Guariva i malati, mutava l’acqua in vino, moltiplicava pani e pesci ma …la classe operaia venne crocifissa!!!

Mario Draghi Santo Subito: Sua Eccellenza della Borghesia e del Capitalismo

di MP

Viva viva Santo Draghi, viva viva Santo Draghi!!! Tutti ma proprio tutti a cantare le lodi del Salvatore. Finalmente, l’Uomo della Provvidenza per la Salvezza dell’Italia. E allora .. “Dal vangelo di Mario Draghi, il Messia della Borghesia Italiana”.

In quel tempo, il professor Mario Draghi veniva considerato l’allievo dell’economista Federico Caffè. Mai una scemenza più clamorosa. Certamente, egli conseguì la laurea con il professore scomparso nel 1987, con una tesi peraltro sulla impossibilità di considerare l’Europa come un’area valutaria ottimale, ma tutta la sua carriera futura è stata all’insegna del tradimento più becero del pensiero e della scuola di Federico Caffè, tanto da poter essere oggi tranquillamente additato come uno dei suoi bersagli maggiori, ovvero i celeberrimi “incappucciati della finanza”. Piuttosto, Draghi conseguì il dottorato alla MIT della Cambridge americana e divenne piuttosto l’allievo del Nobel Franco Modigliani. Per i meno addetti ai lavori, si tratta di una visione neokeynesiana opposta a quella di sinistra di Federico Caffè: nei loro confronti potremmo usare l’epiteto di un’altra economista keynesiana di sinistra, Joan Robinson, ovvero quello del “keynesismo bastardo”.

Premessa, non apparteniamo a nessuna scuola di tipo keynesiano, ma la chiarezza è d’obbligo. Per essere chiari e sintetici, la versione di Modigliani incastrava pienamente lord Keynes nell’economia mainstream, facendo divenire la Teoria generale di Keynes un caso particolare e fallimentare del mercato e della teoria economica borghese dominante; viceversa, la scuola di Caffè ha sempre cercato di mostrare la generalità del fallimento del mercato e della cosiddetta mano invisibile, il Mercato, e, al tempo stesso, l’estrema particolarità della validità dell’economia dominante e della necessità dell’intervento della cosiddetta mano visibile, lo Stato. Dunque, paragonare Draghi a Caffè è innanzitutto improprio sul piano teorico. Non solo, si tratta di un’assurdità anche sul piano pratico. Tutti gli interventi del professor Draghi, come governatore della Banca d’Italia e come presidente della Banca Centrale Europea, sono stati ispirati al principio del rilancio della competitività basato sulla riduzione del costo del lavoro e delle liberalizzazioni e privatizzazioni; Federico Caffè si svenò per difendere la scala mobile dei salari e vedeva nelle privatizzazioni e liberalizzazioni il peggiore incubo sia per l’economia sia per la crescita della disuguaglianza. Dunque, siamo agli antipodi.

Successivamente, nel 1991 Mario Draghi viene chiamato da Guido Carli, ex governatore della Banca d’Italia e a quel tempo ministro del Tesoro del governo Andreotti che firmerà il trattato di Maastricht, come Direttore Generale. L’obiettivo del mandato è chiarissimo: portare a termine un amplissimo programma di privatizzazioni e liberalizzazioni delle imprese pubbliche italiane. Aldilà dell’episodio del panfilo HMY Britannia, in cui incontrò gli alti rappresentanti della finanza internazionale per pianificare il programma di privatizzazioni, resta che nel decennio tra il 1991 e il 2001 in Italia venne stravolto il sistema capitalista in senso ultraliberista e privatizzatore, con la complicità diretta dei governi di centro sinistra. Nel 2005 viene nominato governatore della Banca d’Italia per rimpiazzare Antonio Fazio, costretto alle dimissioni. Come Governatore della Banca d’Italia, ricordiamo le sue annuali Considerazioni finali sullo stato dell’economia italiana, sempre protese alla denunzia dell’alto debito pubblico e alla conseguente necessità delle politiche liberiste dell’austerità e delle riforme delle pensioni, nonché della bassa competitività e alla conseguente necessità della riforma della contrattazione e del mercato del lavoro.

Il 5 agosto del 2011, a seguito della crisi finanziaria dei titoli di stato italiani, invia una lettera cofirmata con l’allora presidente della BCE, Jean Claude Trichet, al Corriere della Sera. Si tratta di un autentico capolavoro del pensiero e della visione liberista. La ripubblichiamo molto volentieri alla fine di questo articolo perché rimane un cimelio del cinismo impopolare della borghesia e del capitalismo. Ricordiamo l’antefatto. L’Italia necessita di un intervento della BCE a sostegno dei suoi titoli di stato, i cui prezzi stanno crollando e i rendimenti stanno schizzando. Ciò pone in serio pericolo il finanziamento della spesa pubblica, delle pensioni e degli stipendi pubblici. La BCE partorisce allora il primo ricatto della sua storia: si dichiara pronta a acquistare i titoli pubblici italiani solo in cambio di una lista di riforme da attuare in tempi strettissimi. La visione costituzionale di Draghi andava oltre l’impensabile: non solo la banca centrale deve essere indipendente, come amava insegnare in cattedra, ancora una volta ripudiando tutto il keynesismo, ma addirittura prevedeva che fosse il potere legislativo a essere subalterno al potere monetario, in un vero e proprio stravolgimento della democrazia formale e costituzionale.

Le riforme vincolanti sono elencate nella lettera suddetta, ma ne indichiamo un estratto di decalogo solo per rendere l’idea: i) la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali, attraverso privatizzazioni su larga scala; ii) riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d’impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione. L’accordo del 28 Giugno tra le principali sigle sindacali e le associazioni industriali si muove in questa direzione; iii) una accurata revisione delle norme che regolano l’assunzione e il licenziamento dei dipendenti; iv) intervenire ulteriormente nel sistema pensionistico, rendendo più rigorosi i criteri di idoneità per le pensioni di anzianità e riportando l’età del ritiro delle donne nel settore privato rapidamente in linea con quella stabilita per il settore pubblico; v) valutare una riduzione significativa dei costi del pubblico impiego, rafforzando le regole per il turnover (il ricambio, ndr) e, se necessario, riducendo gli stipendi; vi) andrebbe introdotta una clausola di riduzione automatica del deficit che specifichi che qualunque scostamento dagli obiettivi di deficit sarà compensato automaticamente con tagli orizzontali sulle spese discrezionali; vii) garantire una revisione dell’amministrazione pubblica allo scopo di migliorare l’efficienza amministrativa e la capacità di assecondare le esigenze delle imprese; viii) negli organismi pubblici dovrebbe diventare sistematico l’uso di indicatori di performance; ix) forte impegno ad abolire o a fondere alcuni strati amministrativi intermedi (come le Province); x) sarebbe appropriata anche una riforma costituzionale che renda più stringenti le regole di bilancio.

La storia andò diversamente. Il governo Berlusconi si mostrò incapace di portare avanti le riforme strutturali richieste, nonostante la promessa data per ottenere l’intervento di acquisti straordinario da parte della BCE; il governo Monti fu successivamente chiamato ad obbedire a quella lista della spesa delle controriforme. Ma la lezione servì e come al nostro Professore, irriducibile ultraliberista. Infatti, come presidente della BCE, indicato per ironia della sorte proprio da Berlusconi, come già era avvenuto peraltro per la nomina alla Banca d’Italia, dovette fronteggiare quella che ormai i tedeschi chiamavano la no Berlusconi clause, ovvero le classiche promesse non mantenute. Nacque così il whatever it takes, ovvero il discorso del 26 luglio 2012 con il quale si presentava la riforma prevista con il programma degli OMT (agosto 2012) e del MES (settembre 2012). In pratica, il programma degli OMT (Outright Monetary Transactions) e il funzionamento del MES rappresentano l’istituzionalizzazione del ricatto della lettera del 2011. Il nuovo programma, infatti, prevede che la BCE acquisti titoli pubblici in modo incondizionato solo di fronte a un programma di aggiustamento macroeconomico sottoscritto in un Memorandum o Protocollo d’intesa e attraverso il sostegno economico e finanziario del MES (Meccanismo europeo di stabilità). Così nel celebre discorso del “tutto ciò che è necessario per salvare l’euro e credetemi sarà abbastanza” fu sancito definitivamente il ricatto borghese dell’austerità, che produrrà danni economici e devastazione sociale soprattutto in Grecia, ma non solo.

Già la Grecia. Qui siamo giunti davvero all’atto più criminale della sua brillante carriera. Per la verità tutta la sua storia di presidente della BCE è un clamoroso fallimento. Secondo la dottrina oscurantista borghese, la banca centrale deve avere infatti un solo obiettivo: la stabilità dei prezzi. Difatti, lo statuto della BCE prevede un solo obiettivo in termini di inflazione, vicina ma sotto al 2%. Un unico obiettivo, dunque. Totalmente mancato. L’inflazione è stata continuamente al di sotto del suo target, e neanche per poco. Un obiettivo, un fallimento. Il quantitative easing, ossia il programma di acquisto di titoli sul mercato secondario, varato da Draghi nel marzo 2015, con diversi anni di ritardo, è risultato completamente inefficace nella trasmissione della politica monetaria sull’economia reale, essendo da un lato accompagnato a politiche fiscali restrittive e, dall’altro lato, basato sull’assurda intermediazione del sistema bancario. Così, sempre nel 2015, con la Grecia, prima impone un vero e proprio colpo di stato, con i bancomat anziché con i carri armati, alle scelte del ministro Varoufakis, rimuovendo la flebo della liquidità di emergenza e violando lo stesso statuto della BCE, successivamente in qualità di membro della troika imponendo un inaudito programma di austerità, in termini di cospicui avanzi primari, da qui al 2060, con la complicità di tutti gli stati membri dell’Unione europea. Un atto di macelleria sociale che meriterà un giudizio inequivocabile da parte della storia futura.

Durante la pandemia, si susseguono tre interventi rappresentativi del Draghi pensiero. Il 27 marzo 2020 interviene sul Financial Times, invocando il debito pubblico affinché “la perdita di reddito sostenuta dal settore privato…possa alla fine essere assorbita, in tutto o in parte, dai bilanci pubblici. Livelli di debito pubblico molto più elevati diventeranno una caratteristica permanente delle nostre economie e saranno accompagnati dalla cancellazione del debito privato.“. E ancora “La velocità del deterioramento dei bilanci privati – causata da una chiusura economica che è sia inevitabile che desiderabile – deve essere soddisfatta della stessa velocità nello schierare i bilanci pubblici.”, Dapprima, dunque, una richiesta spudorata in difesa univoca degli interessi e dei bilanci delle imprese e delle banche, attraverso il debito pubblico, da scaricare in futuro sulla classe lavoratrice, come del resto lui stesso ci aveva insegnato in modo lucido ed esemplare. Qui, il nostro commento a quell’articolo: https://anticapitalista.org/2020/03/27/il-virus-dellunione-europea-e-il-vaccino-fasullo-del-conte-draghula/.

Successivamente, il 18 agosto scorso, il giorno dell’apertura del meeting di Comunione e liberazione, nel suo intervento, arriva invece a distinguere più precisamente tra un debito buono, quello utilizzato a fini produttivi, e un debito cattivo, quello utilizzato a fini improduttivi. Sembrerebbe l’uovo di Colombo; eppure letteralmente si capisce che il debito pubblico buono è sempre e soltanto quello che la borghesia e i mercati finanziari percepiscono come buono. Non potrebbe essere altrimenti. “I bassi tassi d’interesse non sono di per sé una garanzia di sostenibilità: la percezione della qualità del debito contratto è altrettanto importante. Quanto più questa percezione si deteriora tanto più incerto diviene il quadro di riferimento con effetti sull’occupazione, l’investimento e i consumi”. E qui già si assapora bene una sorta di nuovo ricatto borghese. Da quel momento in poi, l’Unione europea cominciò a rivedere l’ideologia dell’austerità per rimpiazzarla in modo tempestivo e sbalorditivo con una imponente svolta espansiva sul piano economico e finanziario. Una delle straordinarie capacità della borghesia è stata sempre quella di concepire e far apparire tutto e il contrario di tutto, con girotondi e capovolte improvvise, pur di perseguire impietosamente la propria causa manifesta: il profitto.

Improvvisamente, il ruolo dello stato, da opprimente, inutile e dannoso, si è trasformato in strumento fondamentale per una svolta epocale sul piano della crescita economica e della sostenibilità ambientale; allo stesso modo, il debito pubblico, tanto vituperato in passato, è divenuto la leva principale per la ripresa e la resilienza economica dell’immediato futuro. Statalisti di destra e statalisti di sinistra restano improvvisamente attoniti di fronte a questa presunta giravolta borghese. Si scopre in definitiva che l’invocato stato è sempre e comunque lo stato borghese, stato minimo o stato massimo a seconda delle circostanze. In altre parole, il debito pubblico che serve al profitto è buono; il debito pubblico che ostacola il profitto è cattivo. Questa è la logica chiara e semplice per comprendere come l’Unione europea si accinge a finanziare i programmi nazionali dei singoli stati membri. Qui di seguito il nostro commento a quell’intervento: https://anticapitalista.org/2020/10/14/debito-buono-e-debito-cattivo-il-nuovo-mostro-capitalista-in-europa/

Infine, nel mese di dicembre 2020, pubblica, assieme all’ex presidente della Banca centrale indiana ed economista di Chicago, Raghuram Rajan, un rapporto del G30, dal titolo “Reviving and Restructuring the Corporate Sector Post-Covid” (“Rilanciare e ristrutturare il settore aziendale post-Covid”), che verrà definito come la nuova “Agenda Draghi”. Il proposito è davvero inquietante. “È arrivato il momento di fare scelte fondamentali sul futuro e di passare a una seconda fase della pandemia: da una prima fase in cui il problema principale era la liquidità a quella successiva in cui lo sarà la solvibilità … il problema è peggio di quanto sembri perché in gran parte nascosto dall’ossigeno pubblico che però va affievolendosi. Anche le conseguenze economiche del Covid stanno cambiando e la strategia dei governi dovrà uscire dall’emergenza attraverso sussidi indiscriminati per fare delle scelte di fondo”, passando “dagli aiuti generalizzati a politiche molto più selettive”.

Nel Rapporto si elencano in tre grandi aree di interesse, la salute a lungo termine delle imprese, l’uso più produttivo delle risorse e la prevenzione di danni collaterali all’instabilità finanziaria, dieci principi fondamentali: i) agire con urgenza per affrontare la crescente crisi di solvibilità delle imprese; ii) indirizzare con attenzione il sostegno pubblico alle imprese, in quanto le risorse non dovrebbero essere sprecate per aziende che sono destinate al fallimento; iii) adattarsi alla nuova realtà, con una certa dose di “distruzione creatrice”; iv) le forze di mercato dovrebbero essere autorizzate a operare ma i governi dovrebbero intervenire per affrontare i costi del fallimento del mercato; v) sfruttare l’esperienza del settore privato per ottimizzare l’allocazione delle risorse in quanto i governi sono solitamente meno capaci di scegliere vincitori e vinti e di strutturare iniezioni di finanziamenti che allineano adeguatamente gli incentivi; vi) bilanciare la combinazione di obiettivi nazionali più ampi con misure di sostegno alle imprese, come per esempio nella riconversione green in cui occorre evitare di imporre vincoli eccessivi alle imprese o un’allocazione troppo ristretta; vii) ridurre al minimo i rischi per i contribuenti; viii) essere consapevoli dell’azzardo morale ma senza evitare di “salvare” proprietari e manager che si erano presi troppi rischi (e troppi rendimenti, sic!); ix) trovare il giusto tempismo nella predisposizione e durata degli interventi, mitigando le tendenze politiche e burocratiche; x) anticipare potenziali ricadute sul settore finanziario, evitando di costringere le banche a concedere crediti in sofferenza per sostenere l’economia. Insomma, quando il buongiorno si vede dal mattino!

Guarirà i malati di Covid, con una linea aperturista e liberista; trasformerà la debole economia italiana nel segno di una competitività forte e resiliente, così come si trasforma l’acqua in vino; con le risorse del Recovery and Resilience Facility potrà avere effetti moltiplicativi sulla crescita economica, come si moltiplicano i pani e i pesci. Il tutto attraverso le stesse riforme strutturali richieste dalla Commissione europea come condizione imprescindibile per accedere ai prestiti e alle sovvenzioni, pagate con un aumento delle imposte: la riforma delle pensioni per eliminare quota 100 e ripristinare pienamente la Fornero e l’adeguamento automatico dell’età pensionabile alla speranza di vita; la riforma del mercato del lavoro nel segno della contrattazione di prossimità, del salario legato alla produttività aziendale, della riforma degli ammortizzatori sociali e del reddito di cittadinanza; la riforma della Pubblica amministrazione per una remunerazione e selezione del personale basata sulla premialità, sulla c.d. citizen satisfation e sulla valutazione della performance; per una riforma del fisco per spostare il carico fiscale dalle imposte dirette sulle imprese alle imposte indirette come l’IVA, e così via. Insomma, il Messia della borghesia non è altro che la crocifissione della classe lavoratrice!

Ripubblichiamo di seguito la lettera inviata al Corriere della Sera il 5 agosto 2011, nonché un appello firmato da 100 economisti per la cancellazione del debito post-Covid da parte della Banca Centrale Europea. Si tratta di un’iniziativa importante che merita di essere sostenuta, anche tenendo conto dell’immediata reazione contraria della Madame Lagarde, attuale presidente della BCE. Merita di essere sostenuta anche perché sottoscritta da molti economisti allievi e seguaci di Federico Caffè, quelli veri e non quelli fasulli. Sul piano teorico abbiamo sempre contrastato la visione keynesiana di sinistra, pur condividendone molte battaglie sul piano pratico, come questa sulla cancellazione del debito pubblico da parte della Banca centrale europea. Ciò nonostante, evitiamo che l’illustre economista si ribalti, in qualsiasi luogo figurato si sia sarcasticamente nascosto, perché costretto ad essere associato soltanto a Mister Draghi, l’incappucciato della finanza!


ECCO LA LETTERA TRADOTTA IN ITALIANO

Francoforte/Roma, 5 Agosto 2011

Caro Primo Ministro,
Il Consiglio direttivo della Banca centrale europea il 4 Agosto ha discusso la situazione nei mercati dei titoli di Stato italiani. Il Consiglio direttivo ritiene che sia necessaria un’azione pressante da parte delle autorità italiane per ristabilire la fiducia degli investitori.

Il vertice dei capi di Stato e di governo dell’area-euro del 21 luglio 2011 ha concluso che «tutti i Paesi dell’euro riaffermano solennemente la loro determinazione inflessibile a onorare in pieno la loro individuale firma sovrana e tutti i loro impegni per condizioni di bilancio sostenibili e per le riforme strutturali».

Il Consiglio direttivo ritiene che l’Italia debba con urgenza rafforzare la reputazione della sua firma sovrana e il suo impegno alla sostenibilità di bilancio e alle riforme strutturali. Il Governo italiano ha deciso di mirare al pareggio di bilancio nel 2014 e, a questo scopo, ha di recente introdotto un pacchetto di misure. Sono passi importanti, ma non sufficienti.

Nell’attuale situazione, riteniamo essenziali le seguenti misure:

1.Vediamo l’esigenza di misure significative per accrescere il potenziale di crescita. Alcune decisioni recenti prese dal Governo si muovono in questa direzione; altre misure sono in discussione con le parti sociali. Tuttavia, occorre fare di più ed è cruciale muovere in questa direzione con decisione. Le sfide principali sono l’aumento della concorrenza, particolarmente nei servizi, il miglioramento della qualità dei servizi pubblici e il ridisegno di sistemi regolatori e fiscali che siano più adatti a sostenere la competitività delle imprese e l’efficienza del mercato del lavoro.

a) È necessaria una complessiva, radicale e credibile strategia di riforme, inclusa la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali. Questo dovrebbe applicarsi in particolare alla fornitura di servizi locali attraverso privatizzazioni su larga scala.

b) C’è anche l’esigenza di riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d’impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione. L’accordo del 28 Giugno tra le principali sigle sindacali e le associazioni industriali si muove in questa direzione.

c) Dovrebbe essere adottata una accurata revisione delle norme che regolano l’assunzione e il licenziamento dei dipendenti, stabilendo un sistema di assicurazione dalla disoccupazione e un insieme di politiche attive per il mercato del lavoro che siano in grado di facilitare la riallocazione delle risorse verso le aziende e verso i settori più competitivi.

2.Il Governo ha l’esigenza di assumere misure immediate e decise per assicurare la sostenibilità delle finanze pubbliche.

a) Ulteriori misure di correzione del bilancio sono necessarie. Riteniamo essenziale per le autorità italiane di anticipare di almeno un anno il calendario di entrata in vigore delle misure adottate nel pacchetto del luglio 2011. L’obiettivo dovrebbe essere un deficit migliore di quanto previsto fin qui nel 2011, un fabbisogno netto dell’1% nel 2012 e un bilancio in pareggio nel 2013, principalmente attraverso tagli di spesa. È possibile intervenire ulteriormente nel sistema pensionistico, rendendo più rigorosi i criteri di idoneità per le pensioni di anzianità e riportando l’età del ritiro delle donne nel settore privato rapidamente in linea con quella stabilita per il settore pubblico, così ottenendo dei risparmi già nel 2012. Inoltre, il Governo dovrebbe valutare una riduzione significativa dei costi del pubblico impiego, rafforzando le regole per il turnover (il ricambio, ndr) e, se necessario, riducendo gli stipendi.

b) Andrebbe introdotta una clausola di riduzione automatica del deficit che specifichi che qualunque scostamento dagli obiettivi di deficit sarà compensato automaticamente con tagli orizzontali sulle spese discrezionali.

c) Andrebbero messi sotto stretto controllo l’assunzione di indebitamento, anche commerciale, e le spese delle autorità regionali e locali, in linea con i principi della riforma in corso delle relazioni fiscali fra i vari livelli di governo.

Vista la gravità dell’attuale situazione sui mercati finanziari, consideriamo cruciale che tutte le azioni elencate nelle suddette sezioni 1 e 2 siano prese il prima possibile per decreto legge, seguito da ratifica parlamentare entro la fine di Settembre 2011. Sarebbe appropriata anche una riforma costituzionale che renda più stringenti le regole di bilancio.

3. Incoraggiamo inoltre il Governo a prendere immediatamente misure per garantire una revisione dell’amministrazione pubblica allo scopo di migliorare l’efficienza amministrativa e la capacità di assecondare le esigenze delle imprese. Negli organismi pubblici dovrebbe diventare sistematico l’uso di indicatori di performance (soprattutto nei sistemi sanitario, giudiziario e dell’istruzione). C’è l’esigenza di un forte impegno ad abolire o a fondere alcuni strati amministrativi intermedi (come le Province). Andrebbero rafforzate le azioni mirate a sfruttare le economie di scala nei servizi pubblici locali.
Confidiamo che il Governo assumerà le azioni appropriate.
Con la migliore considerazione,

Mario Draghi, Jean-Claude Trichet