Risoluzione conclusiva della Conferenza programmatica

Approvata all’unanimità

La nostra conferenza programmatica si è svolta in un contesto nazionale e internazionale che continua ad essere segnato dalla aggressione capitalistica alle classi popolari, da un approfondimento senza precedenti delle disuguaglianze, dalla distruzione delle tutele alle condizioni di lavoro e di vita delle masse lavoratrici.

Le popolazioni di numerosi paesi arabi, dopo il riflusso e la sconfitta delle rivoluzioni del 2011, sono sottoposte a guerre violente, in particolare in Libia e in Siria, che provocano, assieme alla povertà prodotta dallo sfruttamento neocoloniale e imperialista, ondate di migrazioni epocali che si riversano in Europa.

L’arrivo dei profughi e dei migranti, assieme al degrado delle condizioni di vita provocato da una crisi strutturale del capitalismo che non vede soluzioni, offre alle forze reazionarie e scioviniste un pretesto per sviluppare in numerosi paesi campagne razziste, in assenza di una adeguata risposta da parte delle forze di sinistra e sindacali. Il razzismo e il ripiegamento nazionalistico sono alla base dei risultati del referendum ungherese sul rifiuto dell’accettazione dei profughi e di quello ticinese contro i lavoratori frontalieri, ma anche alla base della crescita delle forze di destra nelle recenti elezioni regionali tedesche. Ma il ripiegamento sciovinistico è anche la spiegazione più forte dei risultati del referendum britannico sulla “Brexit” e dell’ascesa del nuovo governo di Theresa May e di Boris Johnson, che sposta ancora più a destra di Cameron l’asse politico inglese.

A dicembre si ripeterà il voto per il presidente dell’Austria con la possibile elezione di Norbert Hofer, candidato del partito di estrema destra FPÖ, sventata in extremis a maggio.

Nella Spagna il partito tradizionale della sinistra moderata entra in una crisi gravissima che riporta in auge il Partito popolare di Mariano Rajoy, peraltro sanzionato nelle precedenti votazioni perché ritenuto responsabile di gravi misure antipopolari.

In Grecia, paese che tante speranze aveva suscitato nel 2015, il secondo governo di Syriza applica sistematicamente le misure dettate dalla trojka nel terzo memorandum e aderisce al trattato UE-Turchia contro i migranti.

Negli USA il mese prossimo si va alla elezione del nuovo presidente e gli elettori statunitensi avranno di fronte l’alternativa tra la peste della guerrafondaia Clinton e il colera del razzista e sessista Trump, almeno a prendere in considerazione i due principali candidati.

L’Unione europea vive una profonda crisi di consenso, certo per la durezza delle sue politiche economiche e sociali, ma che si esprime soprattutto nel razzismo crescente e nel ripiegamento nazionalistico.

Prosegue il deterioramento del clima e dell’ambiente, con il moltiplicarsi degli eventi disastrosi che esso provoca che, come ha dimostrato ad Haiti il recente uragano Matthew, colpisce con una tragica e rigorosa logica classista i settori più poveri e meno protetti delle popolazioni.

In Italia, in un contesto di sostanziale stagnazione economica, il governo ha emanato la legge di bilancio per il prossimo anno mentre è alle porte il referendum costituzionale del 4 dicembre. La UE è consapevole della portata politica di quel referendum e del fatto che una vittoria del NO costituirebbe un’ulteriore prova della crisi della politica liberista. Per questo, è probabile che la UE e i suoi organismi siano indotti a “chiudere un occhio” sulle scelte di spesa che il governo Renzi è portato a fare per conquistare demagogicamente consenso utile a non soccombere nel voto referendario. Resta evidente, nell’ulteriore abbattimento delle imposte sulle imprese, la volontà di Renzi di offrire alla Confindustria un ulteriore sostegno per incrementare i margini di profitto dei suoi associati con un nuovo assottigliamento del contributo delle aziende al bilancio pubblico.

Le misure messe in cantiere dal governo italiano, perciò, tra accantonamento (o forse solo rinvio) dell’aumento dell’IVA, “quattordicesima” ai pensionati poveri, anticipazione pensionistica, parziale sblocco del Turn over nella sanità e nel pubblico impiego e abolizione dell’odiata Equitalia (con il condono mascherato che ciò comporta), vanno nella direzione di dipingere la falsa immagine di un governo che cerca di forzare le percentuali di deficit imposte dai trattati europei per dare una qualche risposta ai bisogni sociali.

A sostenere questa mistificazione da parte di un governo che si sente debole di fronte alla prova referendaria si prestano in modo vergognoso le direzioni sindacali confederali, con la loro recente decisione di avallare la proposta governativa dell’APE, che sancisce la definitiva accettazione della legge Fornero, fingendo di attenuarla ma in realtà regalando alle banche e alle assicurazioni un vasto mercato tra i lavoratori estenuati da una vita lavorativa sempre più lunga e sempre più logorante, e di concordare con la Confindustria un “avviso comune” per chiedere al governo di prendere in considerazione il fatto che oggi, dopo le riforme del governo Monti e del Jobs Act, non esiste un sistema valido di governo delle crisi aziendali ed esiste quindi una concreta possibilità che le dismissioni e le delocalizzazioni si trasformino in conflitti esplosivi.

Le direzioni sindacali maggioritarie, dunque, ancora una volta si caricano della responsabilità di lavorare per evitare ogni sviluppo di conflittualità e mobilitazione e di consentire al governo più antioperaio e antisindacale della storia della repubblica di affrontare questo delicato autunno in un clima di sostanziale pace sociale.

Peraltro, anche nella politica contrattuale, Fim, Fiom e Uilm nella trattativa con Federmeccanica rischiano di accettare un contratto penalizzante non molto diverso dai contratti separati che la Fiom aveva rifiutato di firmare negli ultimi 15 anni, mentre, per quanto riguarda i contratti pubblici, le relative federazioni di Cgil, Cisl e Uil si apprestano a trattare sulla base del progetto governativo di controriforma del pubblico impiego.

La giustificazione per queste politiche, almeno per la direzione Cgil, sarebbe nel fatto che i lavoratori non sarebbero disposti alla lotta. Invece, le lotte esistono, se pure isolate, frammentate, certamente drammaticamente sproporzionate di fronte alla vastità dell’offensiva padronale. La stessa reazione semispontanea in tanti luoghi di lavoro alla criminale uccisione del compagno Abd Elsalam dimostra la persistenza di una perlomeno embrionale coscienza di classe in non irrilevanti settori di classe lavoratrice.

Un altro segnale di questa consapevolezza, pure se non si esprime in azioni di lotta, viene dai risultati delle consultazioni delle lavoratrici e dei lavoratori sui pessimi contratti sottoscritti in Fincantieri e nel comparto dell’Igiene ambientale, sul quale, soprattutto nelle grandi aziende delle principali città, ha prevalso il No.

Resta inoltre diffuso un profondo dissenso contro le politiche di austerità e contro le forze politiche che se ne fanno interpreti. Anche se, non si può sottacere il fatto che tale dissenso si esprime solo sul piano elettorale e che viene massicciamente canalizzato da una forza certamente interclassista come il Movimento 5 stelle.

Per evitare che questo autunno sia il più freddo da decenni, invitiamo le lavoratrici e i lavoratori a partecipare alle due giornate, purtroppo separate, di sciopero generale, il 21 ottobre, indetta da USB, Unicobas, USI, SiCobas e ADL, e il 4 novembre indetta dalla CUB e dall’USI-Ait, entrambe sostenute anche dall’area di minoranza della Cgil.

Inoltre, per il 22 abbiamo promosso, assieme ad un vasto arco di forze politiche, sindacali e di movimento, il “NoRenziDay”, una giornata di contestazione di tutta la politica governativa, sul piano economico, su quello sociale e nel suo disegno autoritario di stravolgimento di 47 articoli della Costituzione.

Quella costituzione era basata sui rapporti di forza instauratisi tra le classi dopo la sconfitta del fascismo, che hanno consentito un compromesso tra le forze politiche più rappresentative. La sua attuazione peraltro è stata da subito messa in discussione dal momento in cui le forze politiche borghesi hanno ripreso il controllo della situazione.

Infatti, i principi enunciati nella costituzione sono stati ripetutamente e impunemente violati e non hanno impedito né la partecipazione italiana a varie guerre né le politiche che che hanno aggredito diritti costituzionali teoricamente garantiti (lavoro, sanità, istruzione, ecc.).

Nonostante ciò, i teorici della controrivoluzione neoliberale ritengono necessario distruggere anche le tracce formali dei rapporti di forza post-bellici. E il governo Renzi-Boschi, con la sua la riforma costituzionale, raccoglie questa indicazione, con l’intento politico di disegnare un assetto istituzionale che consenta nel modo più efficace possibile di coniugare una simulazione della democrazia con un’accelerazione della politica antipopolare e liberista.

E’ dunque la finalità sociale e di classe di questa controriforma che ci ha indotto a intraprendere una campagna “per il NO sociale” in vista del referendum del 4 dicembre che vedrà un primo momento nella giornata del 22 ottobre. E’ con questa impostazione che le nostre compagne e i nostri compagni promuovono nelle loro città e nei loro quartieri comitati per il NO, o partecipano attivamente a quelli già esistenti.

Ma anche Sinistra Anticapitalista tutta deve impegnarsi in questa campagna, anche in prima persona, portando il nostro materiale (volantini, manifesti, iniziative di propaganda, ecc.) nei posti di lavoro e di studio, nei quartieri.

In Italia, i casi di “femminicidio”, il più delle volte commessi dai partner o ex partner, non sono casi di eccezione o emergenza, ma l’estrema conseguenza della cultura patriarcale. Le uccisioni delle donne avvengono il più delle volte proprio nel momento in cui cercano di sottrarsi alla relazione violenta e sono quindi la conseguenza di un tentativo estremo degli uomini di esercitare la cultura del possesso sui corpi delle donne. Al di là dell’indignazione, la narrazione comune è quella di trattarli come casi isolati, i raptus!, o comunque di spostare l’attenzione sulla presunta responsabilità delle donne, per come erano vestite, per i loro comportamenti, perché non hanno denunciato prima, ecc. Parallelamente il mondo cattolico, del cui apporto il governo Renzi ha bisogno, continua la sua spinta verso una riproposizione del ruolo tradizionale delle donne. Lo si è visto nella conclusione della discussione e approvazione della legge sulle cosiddette “unioni civili”. Lo si vede nella vergognosa campagna del ministero della Salute sulla “fertilità”. Lo si vede nella inadeguatezza del Piano Straordinario Nazionale Anti Violenza, che depotenzia i centri antiviolenza e assume una logica assistenzialista e vittimista delle donne.

Il 26 novembre a Roma è stata indetta da numerosi collettivi femministi, centri antiviolenza e associazioni di donne una manifestazione nazionale contro la violenza maschile sulle donne. Sinistra Anticapitalista aderisce e sostiene questo percorso di mobilitazione e la giornata del 27 novembre dove si discuterà in tavoli tematici per la realizzazione collettiva di un Piano femminista contro la violenza maschile sulle donne. La nostra organizzazione riconferma il suo più generale impegno contro il patriarcato e le discriminazione delle donne sul piano economico, sociale e delle condizioni sul lavoro.

I prossimi anni sono contrassegnati da importanti ricorrenze storiche: il 2017 è il centesimo anniversario della Rivoluzione d’ottobre e il cinquantesimo dell’assassinio di Ernesto Che Guevara. E occorre tenere conto che anche l’anno successivo, il 2018, ricorrerà il cinquantesimo anniversario del 1968.

Ciò costituirà un’occasione importante per le classi dominanti di svolgere una massiccia campagna propagandistica e ideologica per distruggere nella memoria l’importanza storica e il valore progressista di quegli avvenimenti. Noi perciò, con le nostre modeste forze e con i nostri poveri mezzi, vogliamo prepararci per tempo per raccogliere nel modo migliore questa sfida, proponendoci di sviluppare una nostra contro campagna perché la memoria di quegli eventi venga tutelata e rilanciata.

Anche a questo fine, Sinistra Anticapitalista lancia una campagna di sottoscrizione, chiedendo a tutte e a tutti di aiutarci con i propri contributi ad organizzare, con la nostra impostazione, la celebrazione di queste ricorrenze e a contrastare la valanga di falsificazioni che i mass media dominanti si preparano a riversare sull’opinione pubblica, ma anche le mistificazioni staliniste sull’Ottobre, cioè le mistificazioni di chi ha responsabilità storiche sulla sua tragica involuzione.

Il nostro appuntamento autunnale, quest’anno, è stato dedicato ad un approfondimento delle basi programmatiche della nostra azione politica, così come deciso nel corso del nostro congresso a gennaio.

Una commissione ad hoc ha elaborato in questi mesi un insieme di analisi e riflessioni sintetizzate nel documento “Materiali per un manifesto programmatico”. A questo documento di base si sono aggiunti, nel corso della discussione nei circoli di base, altri contributi scritti e qui, nel corso di questa Conferenza programmatica, le relazioni e il dibattito nei gruppi di lavoro. Nelle prossime settimane pubblicheremo in formato cartaceo e sul nostro sito anticapitalista.org una sintesi delle nostre riflessioni sul terreno strategico e programmatico. Sulla base di questi materiali verrà elaborato un progetto di “Manifesto programmatico di Sinistra Anticapitalista” sul quale l’organizzazione si pronuncerà nel prossimo congresso.

Un dato che si sta consolidando in questa nostra identità, andando al di là della semplice intuizione che fin dalla nostra fondazione ci aveva indotto ad inserire questo termine nei nostri simboli e nelle nostre bandiere, è quello dell’ecosocialismo, cioè della affermazione del fatto che il capitalismo, oltre ad essere incompatibile con la pur minima giustizia sociale, è anche incompatibile con un seppur minimo equilibrio ambientale tra il genere umano e la natura. La distruzione della natura operata dal capitalismo e accelerata dalla sua crisi strutturale sta raggiungendo livelli irreversibili e sta producendo devastanti catastrofi di dimensione crescente.

E’ perciò necessario che la nostra tradizionale ispirazione classista si intrecci sempre più con una nostra convinta ispirazione ambientalista, che nel movimento dei lavoratori cresca la coscienza ecologica, e che nel movimento ambientalista si comprenda la necessità di affiancare alla intransigente difesa dell’ecosistema la lotta per una trasformazione sociale radicale.

Emblematico è il caso dell’ILVA di Taranto. E’ oramai ampiamente appurato che quella acciaieria, così come è strutturata la produzione, è incompatibile con la incolumità di chi ci lavora e con la salute di chi abita vicino. I numerosi decreti governativi che si sono succeduti dal 2012, dopo l’apertura dell’inchiesta giudiziaria sull’impatto di quella azienda, si sono dimostrati del tutto inefficaci al fine anche solo di attenuarne le conseguenze micidiali. Il commissariamento dell’azienda non ne cancella il carattere privatistico e le norme europee che vietano ogni intervento pubblico non possono costituire un impedimento alla indispensabile nazionalizzazione di questa impresa sotto il controllo dei lavoratori e della cittadinanza.

Solo la proprietà pubblica può sottrarre quell’azienda e la sua produzione alla logica del profitto e della sua massimizzazione. Trasformarla in una impresa pubblica è l’unica soluzione che possa consentire di verificare la possibilità di una sua radicale ristrutturazione, una ristrutturazione dai costi giganteschi che solo lo stato potrebbe essere disposto a sostenere, una ristrutturazione che sia compatibile con l’ambiente e con la salute pubblica e che possa destinarne la produzione ai bisogni popolari. Oppure, constatata la impraticabilità di una simile ristrutturazione, decidere che l’arresto definitivo di quella produzione è inevitabile e, contemporaneamente, che quell’area può essere utilizzata con finalità produttive o di servizio diverse. In ogni caso, lo stato dovrà consentire la continuità di reddito e di occupazione per gli addetti, compresi quelli dell’appalto e dell’indotto.

La risoluzione di nodi di questo tipo è la sola strada per non contrapporre in modo insanabile la difesa dell’ambiente e quella dell’occupazione.

La Conferenza programmatica di Sinistra Anticapitalista sottolinea la necessità che la direzione nazionale e tutti circoli locali sviluppino in tutte le città in cui siamo presenti una campagna sui contenuti dell’ecosocialismo e su come questo elemento si combina con il resto del nostro programma, della nostra politica e della nostra identità. Tale campagna sarà coordinata sul piano nazionale.

Nel documento approvato nel Congresso di gennaio dicevamo: “Uno degli elementi che più grava in senso negativo sulla situazione politico sociale è stato ed è il venire meno di ogni soggettività che in modo sufficientemente visibile avanzasse verso le classi oppresse proposte programmatiche di sinistra. (…) Noi ci siamo battuti strenuamente perché si ricostruisse a sinistra un punto di riferimento unitario che indicasse con chiarezza le responsabilità politiche, economiche, sociali e sindacali del profondo degrado delle condizioni di vita delle masse subalterne e di quello delle condizioni ambientali planetarie.” E continuavamo: “Sinistra Anticapitalista vivrà, ancora per tutta una fase, come organizzazione indipendente, tentando di conquistare spazi e terreni di azione. Siamo però disponibili ad aprire fin da subito un processo di verifica con diverse forze sociali e politiche di varia rilevanza che in questa fase non si sono collocate nel coro politico prima richiamato e che hanno mostrato preoccupazioni e critiche rispetto ai giudizi politici e alle concezioni strategiche che si sono prodotte di fronte alla crisi greca.” E concludevamo: “Vogliamo dunque costruire Sinistra Anticapitalista come soggetto capace di lavorare meglio, di organizzare i settori più coscienti dei movimenti, di costruire il rapporto con le altre forze, ma di saper intervenire in prima persona, non solo di dire le cose giuste come corrente di minoranza, ma di sviluppare e dirigere un proprio lavoro, un’organizzazione che abbia come tratto di fondo un orientamento e una capacità di iniziativa e di interlocuzione internazionalista”.

La nostra conferenza programmatica, a distanza di 10 mesi, di fronte a sviluppi che hanno fortemente avvalorato il nostro quadro di analisi, assume la relazione introduttiva sul Programma, le relazioni e i report dei gruppi di lavoro, i contributi dei nostri ospiti internazionali e la relazione e le conclusioni dell’assemblea plenaria finale, riconferma gli orientamenti approvati al congresso e rilancia la nostra ispirazione unitaria combinata con la costruzione della nostra organizzazione.

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