Il dilemma europeo
Contro l’Europa dell’austerità capitalista, dei muri, del razzismo, dei nuovi e vecchi fascismi
Per una risposta di classe internazionalista all’Unione Europea dei padroni
Per l’Europa delle lavoratrici e dei lavoratori, della democrazia e della solidarietà
di Franco Turigliatto
La scadenza (10 aprile) della presentazione del Documento di economia e finanza (DEF) che indica gli indirizzi di politica economica per il prossimo triennio, riapre la discussione tra le forze politiche e sociali sul ruolo dell’Unione Europea e sulle sue regole liberiste. E’ una questione centrale su cui anche Potere al Popolo, che difende una visione alternativa alle politiche liberiste, deve misurarsi.
Alcuni richiami storici per comprendere la portata della discussione
La divisione del continente in diversi stati nazionali non corrisponde da più di un secolo allo sviluppo delle forze economiche e produttive capitaliste, tanto è vero che ha suscitato due terribili conflitti mondiali, costringendo infine nel secondo dopoguerra le borghesie europee a varare un progetto di collaborazione ed integrazione con istituzioni sovranazionali che regolassero la concorrenza tra di loro e rendessero più efficace quella nel confronti delle altre potenze imperialiste mondiali.
Nel fare l’operazione hanno sfruttato ed indirizzato la legittima e positiva aspirazione di pace e cooperazione di vasti strati della popolazione del continente.
Per tutta una fase, quella della cosiddetta “età dell’oro” e del boom economico, cioè fino ai primi anni ’70, la classi dominanti hanno potuto presentare il loro progetto di unità europea come strumento di miglioramento delle condizioni economiche di vasti strati della popolazione, tanto più in presenza di un forte movimento operaio e sindacale capace di imporre significative conquiste sociali, economiche e importanti diritti del lavoro.
Ma a partire dalla fine degli anni ’70 le nuove e più profonde contraddizioni del sistema capitalista hanno spinto le borghesie ad attivare politiche liberiste sempre più aggressive e di attacco alle conquiste dei lavoratori.
L’austerità capitalista e i suoi autori
L’introduzione della moneta unica (2002) e poi del Fiscal Compact e degli altri trattati hanno costruito una camicia costrittiva funzionale a trasferire in permanenza la ricchezza prodotta dalle classi lavoratori ai profitti e alle rendite, una macchina idrovora che succhia ricchezza distruggendo i salari, l’occupazione, i servizi pubblici, la sanità, la scuola…
L’autore di questo scempio democratico e sociale non è un ente astratto, l’Europa, come viene presentato (e molti anche a sinistra cadono in questa mistificazione), ma è costituito dall’insieme delle borghesie europee, che, unite tra loro, cercano così di governare le contraddizioni tra i vari stati e di imporre politiche classiste e antisociali. Come in ogni banda a delinquere esse si battono anche tra loro per spartirsi il bottino e le più forti assumono una posizione dominante. Da questo punto di vista è bene ricordarsi che se l’Italia non è il primo dei briganti, ruolo che spetta alla Germania, non è neanche l’ultimo, essendo il secondo paese industriale e manifatturiero del continente. Altra cosa sono le profonde disparità e diseguaglianze sociali presenti nel paese.
Quale impostazione politica e strategica?
Noi pensiamo che lo strumento protostatuale, (le istituzioni della UE) deve essere considerato, come gli stati nazionali, uno strumento delle classi dominanti e dunque da abbattere. Pensiamo che coloro che hanno accettato questa struttura, proponendo qualche vaga e parziale riforma sociale, non solo non hanno ottenuto alcun risultato, ma hanno avallato l’operazione del padronato europeo.
Nello stesso tempo diciamo con nettezza che ogni aspirazione al ritorno alle frontiere nazionali costituisce una visione errata e potenzialmente reazionaria, come dimostra lo sviluppo delle forze di destra e di estrema destra che di queste posizioni sono le depositarie e vari fatti accaduti tra cui le raccapriccianti scene ai confini dell’Ungheria o di altri paesi, la tragedia dei naufragi nel Mediterraneo o nell’Egeo e poi la costruzione dei muri e dei campi nel Sahara per “impedire l’invasione”. Ogni discorso “sovranista” ha un sapore acido sciovinista non certo utile a contrastare le campagne razziste e xenofobe della Lega e dell’estrema destra fascista.
Se l’attuale costruzione dell’Europa capitalista corrisponde a un progetto di società reazionaria e violenta di dominazione di classe, il ripiegamento sugli stati nazionali non sarebbe meno reazionario e violento.
Un progetto di classe e internazionalista
Proponiamo un altro progetto che, partendo dal rigetto delle politiche liberiste e dalla rottura dei trattati esistenti sviluppi la battaglia contro le politiche di austerità attraverso rivendicazioni sindacali, sociali ed economiche immediate e dentro un progetto di altra Europa fondata sulla democrazia, la collaborazione e la solidarietà tra i popoli, l’armonizzazione sociale verso l’alto, lo sviluppo dei servizi pubblici comuni. L’unico superamento progressivo della UE non può non fare riferimento al vecchio progetto socialista del movimento operaio cioè a una entità sociale, egualitaria e democratica che unisca tutti i popoli del continente, aperto a tutti coloro, i migranti, che fuggono la fame e le guerre prodotte dalle stesse classi dominanti europee.
Questo non significa che un processo anticapitalista di trasformazione possa avvenire contemporaneamente in tutti i paesi. Le resistenze sociali possono portare a una crisi verticale prima in un paese piuttosto che in un altro; se una mobilitazione politica e sociale portasse, come è nei nostri obiettivi, a un governo di sinistra dei lavoratori, quest’ultimo dovrebbe prendere tutte le misure adeguate per difendere la classe lavoratrice dall’aggressione padronale e dalle istituzioni europee e per aprire una transizione verso il socialismo proponendo a tutte le forze e movimenti sociali, sindacali e politici un nuovo ed altro progetto di unità europea.
Non escludiamo che nel concreto di un conflitto di classe acuto un governo di sinistra debba decidere l’uscita dall’euro, come indispensabile strumento difensivo delle sue scelte sociali, ma sarebbe illusorio pensare che questa soluzione non comporti gravi problemi e rischi per le condizioni di vita delle classi lavoratrici dentro un quadro multiplo di processi di svalutazione. In ogni caso potrebbe essere preso solo in un quadro avanzato di nazionalizzazione delle banche e delle principali aziende.
Una campagna per l’unità degli sfruttati e degli oppressi
Dobbiamo invece fare da subito una campagna che contrasti totalmente le spinte nazionaliste, e quindi anche scioviniste e razziste su cui la destra costruisce la sue fortune, attraverso l’impostazione strategica storica del movimento operaio, la ricerca dell’unità di tutti gli sfruttati ed oppressi all’interno di una paese, ma anche al di sopra delle frontiere, cioè l’internazionalismo. E questo è tanto più vero perché l’internazionalismo è oggi anche l’unità coi migranti, una questione storica strategica non aggirabile, che determinerà l’esito dello scontro di classe.
La lotta contro Unione Europea capitalista è fondata su:
- Un’impostazione internazionalista e di unità dei lavoratori a livello europeo e integrazione e unità dei lavoratori migranti con l’apertura delle frontiere per costruire comunità aperte contro ogni odio e fanatismo, per unire ciò che le classi dominanti e le forze reazionarie vogliono dividere.
- il rigetto delle politiche di austerità e dei loro strumenti istituzionali;
- lo stretto collegamento della rottura delle politiche liberiste europee con il rigetto di ogni politica liberista nel paese dato, cioè con la lotta concreta con la propria borghesia e con un progetto di rifondazione democratica, cooperativistica e socialista dell’Europa.
In ultima analisi solo una profonda e prolungata mobilitazione popolare in diversi paesi e su scala internazionale potrà sconfiggere le classi padronali dell’Europa e i loro progetti reazionari. Una crisi così profonda e violenta del capitalismo richiede soluzioni radicali, l’uscita dal capitalismo; il cammino è lungo e difficile, si parte dalle resistenze concrete, ma la meta dev’essere ben chiara.