La distruzione capitalista dell’ambiente e l’alternativa ecosocialista

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In memoria di Berta Càceres, militante indigena, ecologista e femminista hondureña, assassinata il 3 marzo 2016 da sicari delle multinazionali, e di tutte le maritri della lotta per la giustizia ambientale

Introduzione

1.1. La pressione che l’umanità esercita sul Sistema Terra aumenta sempre più rapidamente dagli anni 1950. All’inizio di questo 21° secolo, raggiunge livelli estremamente allarmanti e continua a crescere in quasi tutte le aree. Esistono soglie critiche di deterioramento che sono già state superate oggi in molte aree, come la concentrazione atmosferica dei gas serra.

Esiste un innegabile rischio reale che questa crescente pressione quantitativa, palpabile ovunque e in tutte gli ambiti, porti ad una trasformazione qualitativa che potrebbe essere brusca (in alcuni decenni) e in gran parte irreversibile. Il Sistema Terra entrerebbe quindi in un nuovo regime di equilibrio dinamico, caratterizzato da condizioni geofisiche e geochimiche molto diverse da quelle attuali, nonché da una riduzione ancora maggiore della ricchezza biologica. Oltre all’impatto su altri esseri viventi, la transizione verso un nuovo regime metterebbe in pericolo, quanto meno, l’esistenza di centinaia di milioni di esseri umani tra i più poveri, soprattutto donne, bambini e anziani. Nel caso peggiore, un collasso ecologico di proporzioni globali potrebbe portare al collasso della nostra stessa specie.

1.2. Il rischio aumenta di giorno in giorno, ma siamo ancora in tempo a scongiurarlo o, almeno, limitare e contenere la catastrofe. Infatti: non è l’esistenza umana in quanto tale la causa determinante della minaccia, ma piuttosto il modo di produzione e riproduzione sociale di questa esistenza, che implica anche un modo di distribuzione e consumo, oltre a determinati valori culturali. Questo modello, in vigore da quasi due secoli, il capitalismo, è insostenibile perché la competizione per il profitto, che è la sua forza motrice, implica una tendenza cieca alla crescita quantitativa illimitata, incompatibile con i flussi e i cicli limitati della materia e dell’energia nel sistema terrestre. Nel corso del ventesimo secolo, i cosiddetti paesi del “socialismo reale” non sono stati in grado di offrire un’alternativa alla distruzione produttivista dell’ambiente, alla quale, al contrario, hanno contribuito in un modo molto importante.
All’inizio del XXI secolo, l’umanità si trova di fronte a un obbligo senza precedenti: controllare lo sviluppo in ogni ambito per renderlo compatibile con i limiti e la buona salute dell’ambiente in cui ha potuto svilupparsi. Nessun progetto politico può mettersi al di fuori da questa conclusione portata dagli studi scientifici sul “cambiamento globale”. Al contrario, ogni progetto politico deve essere giudicato, in primo luogo, dalla comprensione di questo rischio, dalle risposte sistemiche che esso fornisce, dall’adeguatezza di queste risposte con le esigenze fondamentali della dignità umana e dalla sua correlazione con il suo programma su altri questioni, soprattutto quelle sociali ed economiche.

2. La profonda distanza tra l’urgenza di un’alternativa radicale eco-socialista e le relazioni di forza e i livelli di coscienza

2.1. È urgentemente necessario stabilire una relazione completamente diversa tra l’essere umano e la natura, basata sul “prendersi cura” di entrambi. Questa nuova relazione non nascerà semplicemente da azioni individuali dirette a cambiare i comportamenti; richiede una trasformazione strutturale nella relazione tra gli esseri umani stessi: lo sradicamento totale e globale del capitalismo come modo di produzione dell’esistenza sociale. Questo sradicamento è, infatti, la condizione sine qua non per una gestione razionale, moderata e prudente dello scambio di materiali tra l’umanità e il resto della natura. Scienza e tecnologia potrebbero facilitare questa gestione, ma solo se il loro sviluppo non sarà più dettato dal profitto capitalista.

2.2. Il capitalismo verde e l’accordo di Parigi non rendono possibile uscire dalla prospettiva della distruzione ambientale in generale e, nello specifico, dal pericolo di un negazionismo climatico L’alternativa può venire solamente da una politica globale che soddisfi i reali bisogni umani, cioè quelli che non sono determinati dall’influenza del mercato ma da una scelta democratica, che consentirebbe alle popolazioni di riconquistare il loro destino, liberarsi dall’alienazione mercantile e rompere con la logica impersonale dell’accumulazione produttivista che caratterizza il capitale.

2.3. Gli assi di questa alternativa sono:

– Socializzazione del settore energetico: è l’unico mezzo per uscire da un economia basata sui combustibili fossili, fermare l’energia nucleare, ridurre radicalmente la produzione e il consumo di energia e guidare una rapida transizione verso un sistema di fonti rinnovabili, decentralizzato ed efficiente, in conformità con gli imperativi ecologici e sociali;

– Socializzazione del settore creditizio: è essenziale, data l’interrelazione dei settori energetico e finanziario riguardo gli investimenti su larga scala e a lungo termine, e anche per mettere a disposizione le risorse finanziarie necessarie per la transizione

– Abolizione della proprietà privata delle risorse naturali (suolo, acqua, eolico, energia solare, energia geotermica, risorse marine, ecc.) e della conoscenza intellettuale;

– Distruzione di tutti gli stock di armi, eliminazione delle produzione inutili (tra le quali la stessa produzione bellica) o nocive (petrolchimica, nucleare) e produzione di valori d’uso determinati democraticamente al posto dei valori di scambio

– Gestione comune e democratica di queste risorse in funzione dei reali bisogni umani, nel rispetto del buon funzionamento e della capacità di rinnovamento degli ecosistemi

– Abolizione di tutte le forme di disuguaglianza e discriminazione basate sul genere, la razza, l’origine etnica, la religione o l’orientamento sessuale e l’emancipazione di tutte/i le/gli oppresse/i, in particolare delle donne

– Abolizione del lavoro forzato, del lavoro come produttore di merci – in quanto tale categoria alienante – estraneo alla libera attività umana e distruttivo del tempo libero

– Una politica socioeconomica a lungo termine finalizzata al riequilibrio tra popolazioni urbane e rurali e al superamento del contrasto tra città e campagna

2.4. Una distanza profonda separa questa alternativa oggettivamente necessaria e le attuali relazioni di forza sociale e gli attuali livelli di coscienza. Questa distanza può essere superata solo dalle lotte concrete degli sfruttati e degli oppressi in difesa delle loro condizioni di esistenza e del loro ambiente. Si tratta, attraverso l’ottenimento di obiettivi immediati, di portare ad una radicalizzazione di strati sempre più ampi della popolazione, con una pratica nella quale convergano le loro lotte e si avanzino rivendicazioni incompatibili con la logica capitalista (rivendicazioni transitorie).

Alcune esigenze fondamentali nel quadro di questa strategia sono:
– Disinvestimento dalle energie fossili. Soppressione delle sovvenzioni per lo sviluppo di progetti fossili e di trasporti basati su queste energie. Denuncia della collaborazione pubblico-privato che domina il settore energetico mondiale
– Mobilitazione contro i progetti estrattivi – in particolare il nuovo sfruttamento del petrolio e del gas si scisto – e contro le grandi opere inutili costruite per il profitto del settore fossile (aeroporti, autostrade, ecc.)
– Fermare il nucleare e porre fine al carbone, alle sabbie bituminose e alla lignite
– Sostenere i progetti di formazione permanente e popolare in materia di sostenibilità ecologica
– Rifiuto dell’appropriazione capitalistica dei territori, degli oceani e delle loro risorse
– Riconoscere i diritti delle popolazioni indigene, nonché i loro saperi e il loro modo di gestire gli ecosistemi in forma sostenibile

– Concedere lo status di rifugiata/o alle vittime delle catastrofi ambientali/climatiche. Rispetto integrale dei diritti democratici per le/i rifugiate/i in generale. Libertà di circolazione e di insediamento (residenza)

– Difendere i diritti delle donne lottando contro tutti i tentativi di criminalizzazione della scelta della donna riguardo la propria capacità riproduttiva. Aborto e contraccezione liberi e gratuiti, sostenuti dall’assistenza sociale. De-femminilizzazione e de-privatizzazione della cura dei minori, dei malati e delle persone anziane, perché debe essere una responsabilità collettiva.

– Garantire buoni sistemi di sicurezza sociale e garanzie per tutti gli individui, e assicurare pensioni sufficienti
– Abolire gli accordi di libero scambio, multilaterali e bilaterali, e sottrarre le tecnologie ambientali dal quadro dell’Accordo generale sugli scambi di servizi (GATS) dell’OMC
– Rispetto degli impegni acquisiti riguardo il Fondo verde (100 miliardi di euro all’anno), che dovrà essere sviluppato attraverso finanziamenti (non prestiti). Gestione pubblica del Fondo verde, non della Banca mondiale quanto dai rappresentanti dei paesi del Sud, sotto il controllo delle comunità e dei movimenti sociali.
– Imporre una tassazione sui trasporti internazionali, aerei e marittimi e utilizzare l’entrate di tali tasse ai paesi del sud, come compensazione (parziale) del debito ecologico
– Riconoscimento del debito ecologico con i paesi del sud. Abolizione (senza indennizzo, tranne che per i piccoli creditori) dei debiti pubblici che l’imperialismo usa come modo per imporre uno sviluppo sbagliato, ingiusto e insostenibile
– Tassare le transazioni finanziarie ed effettuare una riforma fiscale redistributiva in modo che capitale e capitalisti paghino per la transizione
– Abolizione del sistema dei brevetti; e, in particolare, il divieto immediato di brevettare il vivente e le tecnologie di conversione/immagazzinamento di energia. Sradicamento dei dispositivi che consentono il furto di saperi ancestrali alle popolazioni indigene, in particolare da parte delle aziende farmaceutiche
– Significativo rifinanziamento della ricerca pubblica e l’eliminazione dei dispositivi che la subordinano all’industria
-Promuovere la sovranità alimentare e la protezione della biodiversità attraverso la riforma agraria
– Passare a un’agricoltura territoriale ecologica e contadina, di prossimità, caratterizzata dall’interesse  pubblico e senza OGM o pesticidi

– Abolizione dell’allevamento industriale di animali. Forte riduzione della produzione e del consumo di carne. Rispetto per il benessere animale
– Proibizione della pubblicità e promozione del riciclaggio, del riutilizzo e della riduzione: rifiuto del modello consumistico, dispendioso ed energivoro imposto dal capitale
– Gratuità di energia e acqua, indispensabili per i bisogni umani fondamentali e, oltre tale limite, tassazione fortemente progressiva dei consumi, per combattere gli sprechi. Estendere la gratuità dei beni (prodotti alimentari di base) e dei servizi (trasporti pubblici, istruzione, sanità, ecc.).

– Garantire ai lavoratori delle aziende che c- nel quadro della transizione – il diritto di proporre un’alternativa nella produzione di infrastrutture sostenibili. Se quelle alternative si riveleranno irrealizzabili, mantenimento dei diritti sociali alla riconversione, ad un nuovo impiego o alla pensione.
– Sviluppo di imprese pubbliche e comunitarie orientate alla creazione di posti di lavoro per l’attuazione della transizione ecologica al di fuori della ricerca del profitto, sotto il controllo di lavoratrici/lavoratori e di cittadine/i (in particolare nel settore della produzione di elettricità, costruzione-isolamento-ristrutturazione di edifici, della mobilità delle persone per uscire dalla logica della “automobile in ogni momento”, del riciclaggio dei rifiuti e la riparazione degli ecosistemi)

– Riduzione collettiva e radicale dell’orario di lavoro senza perdita di salario, riduzione dei ritmi di lavoro con nuove assunzioni relative (soprattutto di donne, giovani e membri di minoranze): insieme allo sviluppo del settore pubblico, è la condizione per eccellenza conciliare la riduzione della produzione con la creazione della piena occupazione e la condivisione sociale della transizione
– Estensione dei diritti di organizzazione e controllo di lavoratrici/lavoratori delle grandi aziende, in particolare per quanto riguarda la salute sul lavoro, la durata dei prodotti, l’efficienza della produzione, ecc., Nonché la protezione di chi segnala l’allarme su questi temi
– Riforma urbana a lungo termine, finalizzata a porre fine alla speculazione terriera, a “de-artificializzare” la città (agricoltura urbana) e liberarla dall’egemonia dell’automobile a beneficio del trasporto collettivo, degli orti collettivi e della mobilità dolce – con spazi riservati ai pedoni e ciclisti.

2.5. Questo programma non è esaustivo; sarà arricchito costantemente attraverso le lotte concrete. Da una prospettiva ecosocialista, questo arricchimento deve essere guidato dai principi chiave di una transizione giusta: giustizia ambientale e sociale, responsabilità comuni ma differenziate, lotta contro le disuguaglianze e miglioramento delle condizioni di vita, rifiuto del colonialismo verde e del razzismo ambientale, priorità alle soluzioni collettive, internazionalismo e principio di precauzione. Innanzitutto si tratta di sviluppare l’empowerment (la crescita del potere) delle persone sfruttate e oppresse, mediante la democrazia, il decentramento, il controllo e l’appropriazione – o la riappropriazione – collettiva dei beni comuni (commons). Perché ciò che è comune si definisce per il processo sociale della sua costruzione democratica e non per la sua natura – che farebbe sì che alcuni siano “comuni” mentre altri rimangono soggetti all’appropriazione privata. Pertanto  queste rivendicazioni non formano una soluzione “chiave in mano”: indicano una direzione generale da seguire per aprire una strada anticapitalista, ecosocialista ed ecofemminista che modificherà tutte le sfere dell’attività (produzione, distribuzione, consumo) e che sarà accompagnata da un profondo cambio di valori. Non sono applicabili separatamente, anzi un’uscita dalla crisi non sarà possibile senza la loro applicazione coordinata e pianificata. Il suo insieme forma un tutto coerente, incompatibile con il funzionamento normale del sistema capitalista. Non c’è altra soluzione, non ci sono scorciatoie per far fronte all’urgenza della situazione.

3. Lavoro salariato, alienazione ed ecosocialismo

3.1. Solo le e gli sfruttati e oppresse/i possono portare la lotta ambientalista fino in fondo, perché l’abolizione del sistema capitalista corrisponde ai loro interessi di classe. Però il capitale incorpora le lavoratrici e i lavoratori mediante l’acquisto della loro forza lavoro. La mercificazione e la distruzione dell’ambiente vanno quindi di pari passo con  la relazione salariale. In condizioni “normali” del modo di produzione capitalista l’esistenza quotidiana del proletariato dipende dal funzionamento del sistema che lo mutila direttamente e indirettamente  – mutilando il suo ambiente. Questa contraddizione fa sì che la partecipazione del movimento operaio alla lotta è allo stesso tempo difficile e decisiva.  La difficoltà tende a crescere nella situazione attuale perché la ristrutturazione dell’economia conduce ad una disoccupazione massiccia e peggiora i rapporti di forza tra lavoro e capitale.

3.2. Le direzioni maggioritarie del movimento sindacale sono favorevoli alla collaborazione di classe con il cosiddetto progetto di “capitalismo verde”. Hanno l’illusione che la transizione capitalistica – a condizione che sia ben negoziata – ridurrà massicciamente la disoccupazione rilanciando la crescita grazie ad una produzione “verde”. Di fronte a questa corrente sindacale dominante, alcuni settori tendono invece al populismo e al protezionismo, e anche al negazionismo climatico. In alcuni casi in effetti la difesa del clima serve da pretesto agli attacchi del capitale, oppure alcuni sindacalisti hanno l’illusione che mettere in dubbio la realtà  potrebbe aiutarli ad evitare l’eliminazione dei posti di lavoro nei settori fossili. Suscitare un dibattito sulle alternative ecosocialiste e contribuire a far emergere dentro i sindacati una sinistra di rottura con la collaborazione di classe è quindi un compito di importanza strategica.

3.3. Alcuni settori sindacali di sinistra partecipano alle lotte ambientali – più in particolare attraverso “Trade Unions for Energy Democracy”, Labor Network for Sustainability” e le campagne per i posti di lavoro climatici (Climate Jobs Campaign). Queste iniziative coinvolgono i sindacati e i loro membri che temono perdite di lavoro massicce. Tutte queste iniziative sindacali importanti attribuiscono la responsabilità dell’uscita dall’economia fossile alle imprese inquinanti e ai governi che le hanno protette e sussidiate. In quanto tali, sollevano rivendicazioni anticapitalistiche che possono essere amplificate e coordinate  quando le lavoratrici e i lavoratori sono confrontate/i alla gravità della crisi ecologica. Trade Unions for Energy Democracy per esempio difende la socializzazione dell’energia. E’ chiaro che le forze pro-capitalistiche tenteranno di limitare la radicalità di queste campagne, insistendo affinché restino nel quadro del “rispetto della competitività delle imprese” (CSI, Congresso di Vancouver, risoluzione sulla “Transizione giusta”). Dall’altra parte le campagne per i posti di lavoro climatici si basano spesso su proiezioni troppo ottimistiche di “crescita” del lavoro attraverso la transizione. Non si tiene sempre conto del fatto che la sostenibilità richiede una riduzione della produzione. Ora, la chiusura delle industrie dannose – dalla fabbricazione delle armi alle centrali a carbone – e la riconversione della produzione di automobili verso la fabbricazione e la manutenzione di un sistema di trasporto pubblico di massa sono misure prioritarie della transizione.  E’ vero d’altra parte, che la transizione implicherà una crescita dei posti di lavoro in altri settori. Per esempio, lo smantellamento dell’agrobusiness a favore di una agricoltura ecologica e lo sviluppo di un settore pubblico o comunitario  sotto il controllo democratico offriranno possibilità di riconversione. Conviene anche mettere in conto il fatto che questa riorganizzazione dell’attività in funzione dei bisogni sociali, così come la riduzione delle disuguaglianze, non sono obiettivi limitati ad una determinata regione, ma sono obiettivi globali, che implicano nuovi posti di lavoro mediante la riparazione dei danni inflitti ai Paesi del Sud. Ciononostante, una riduzione globale della produzione materiale è necessaria. Il movimento operaio deve rispondervi esigendo una riduzione dell’orario di lavoro senza perdita di salario. La RCTT (riduzione collettiva dell’orario di lavoro) è una rivendicazione antiproduttivista per eccellenza. E’ il mezzo privilegiato per “gestire razionalmente il metabolismo con la natura nel rispetto della dignità umana”, cioè per conciliare il pieno impiego con la soppressione delle produzioni inutili, dannose e a obsolescenza programmata.

3.4. Il deterioramento dei rapporti di forza tra capitale e lavoro si traduce in particolare in un deterioramento delle condizioni di lavoro. La salute delle lavoratrici e dei lavoratori più precari/e ne è particolarmente minacciata. La lotta contro l’aumento delle malattie professionali costituisce una leva per favorire una presa di coscienza tra le/i salariate/i che il Capitale distrugge sia la Terra che le/i lavoratrici/ori. Questa distruzione prende anche la forma della crescita dei rischi psico-sociali, che non è dovuta unicamente alle forme di organizzazione e di controllo del lavoro ma anche ai danni ambientali che tanti/e lavoratori/trici sono costretti/e ad effettuare  sotto il comando del capitale. Questa difesa della salute è anche una leva per la convergenza, spesso difficile, delle rivendicazioni dei/lle lavoratori/trici delle imprese inquinanti con le popolazioni circostanti e i movimenti ambientalisti.

4. Lotte delle donne e ecosocialismo

4.1. I popoli indigeni, i contadini e la gioventù sono all’avanguardia delle lotte ambientali e le donne giocano un ruolo di prim’ordine in questi tre settori. Questa situazione è il prodotto della loro oppressione specifica, non del loro sesso biologico. L’oppressione patriarcale impone alle donne funzioni sociali direttamente legate al “prendersi cura di” e che le pongono in prima linea nelle sfide ambientali. Poiché producono l’80% dell’alimentazione di base nei Paesi del Sud, le donne sono direttamente confrontate con i disastri provocati dal cambio climatico e dall’agrobusiness. Poiché assumono la maggior parte dei compiti domestici, di cura e di educazione dei bambini, le donne sono direttamente confrontate con gli effetti della distruzione e dell’avvelenamento dell’ambiente sulla salute e sulla scolarizzazione.

4.2. Sul piano ideologico, i movimenti delle donne conservano la memoria delle esperienze di strumentalizzazione del corpo delle donne in nome della scienza (campagne di sterilizzazione forzata, ecc.) ciò che favorisce una visione critica della pseudo razionalità scientifica meccanicista in quanto strumento di dominio e di manipolazione.

4.3. Le battaglie delle donne danno inoltre un contributo particolare, prezioso e insostituibile allo sviluppo di una coscienza anticapitalista globale, che favorisce l’integrazione delle lotte. Secondo l’ONU la gamma completa di mezzi di pianificazione familiare resta inaccessibile ad almeno 350 milioni coppie nel mondo. Più di 220 milioni di donne non beneficiano di servizi di base legati alla riproduzione, che fanno spesso la differenza tra la vita e la morte. 74 milioni donne muoiono ogni anno in seguito ad aborti clandestini – la maggior parte in Paesi del Sud. Ogni anno 288 milioni donne (per il 99% nei paesi in via di sviluppo) muoiono per cause evitabili, legate alla gravidanza e al parto. Lottando contro l’appropriazione patriarcale del loro corpo e della loro capacità naturale di riproduzione e contro lo sfruttamento del lavoro domestico gratuito (che realizzano per la maggior parte), le donne stimolano la comprensione del fatto che il capitalismo si basa non solo sull’appropriazione della natura e sullo sfruttamento della forza lavoro salariata ma anche sull’invisibilizzazione patriarcale del lavoro di cura e della riproduzione della forza lavoro. A queste tre colonne del capitalismo se ne aggiunge una quarta: lo sfruttamento e l’oppressione basati sulla razza. Ora, queste quattro colonne del capitalismo hanno in ultima istanza un denominatore comune che è l‘appropriazione delle risorse naturali di cui la forza lavoro umana fa parte. Le lotte delle donne  (i) per il diritto a controllare il loro corpo, la loro sessualità e la loro capacità riproduttiva, (ii) contro le discriminazioni sessiste e razziste di cui sono vittime sul mercato del lavoro salariato e nella produzione in generale, così come (iii) per il riconoscimento sociale e la riorganizzazione del lavoro domestico fanno parte integrante della battaglia ecosocialista. Le lotte delle donne approfondiscono e allargano gli orizzonti della liberazione.

La questione agraria e l’ecosocialismo

5.1 In tutto il mondo gli agricoltori, i contadini senza terra e i lavoratori agricoli sono il settore sociale più pesantemente coinvolto nella lotta per l’ambiente, in generale, e per il clima, in particolare. Questo ruolo di avanguardia è attribuibile alla brutale aggressione del capitale, che vuole eliminare i contadini indipendenti e sostituirli con i lavoratori agricoli, i lavoratori del subappalto e i disoccupati (al fine di esercitare una pressione sui salari). Il sistema industriale nell’agricoltura produce beni economici a basso costo per il mercato piuttosto che produrre cibo di qualità per le popolazioni locali. I sindacati contadini come Via Campesina svolgono un’attività organizzativa e di sensibilizzazione, compreso il sostegno ai senza terra per conquistare le terre abbandonate.

5.2 A differenza dei lavoratori salariati, i piccoli agricoltori non sono incorporati nel capitale. Sebbene la produzione per il mercato tenda a imporre metodi e obiettivi produttivisti, essi mantengono anche la mentalità dell’artigiano ansioso di effettuare un “buon lavoro”. Nonostante un potente nemico capitalista, si mobilitano per conservare o riconquistare la proprietà dei loro mezzi di produzione. Ma l’iniquo equilibrio di potere di fronte all’agribusiness e alla grande distribuzione li costringe a cercare alleanze con altri movimenti sociali, in particolare con i lavoratori salariati e il movimento ambientalista. I lavoratori agricoli, specialmente i lavoratori stagionali irregolari che sono ipersfruttati, hanno poche possibilità di abbandonare i margini ultra-precari dei lavoratori salariati. Nonostante le intimidazioni dei datori di lavoro e persino la repressione, alcuni sono riusciti a formare sindacati e ad aumentare i loro stipendi e migliorare le condizioni di lavoro. La loro lotta è oggettivamente anticapitalista.

5.3 L’importanza della questione agraria non dovrebbe essere giudicata solo dalla proporzione degli agricoltori all’interno della forza lavoro, ma dovrebbe essere basata su cinque fattori oggettivi:

5.3.1 Le modalità industriali della produzione agricola e della pesca sono al centro di questioni decisive per la salute umana (obesità, malattie cardiache, allergie, ecc.) e della protezione dell’ambiente, le quali mostrano la forza distruttiva del capitale. I cambiamenti nel comportamento dei consumatori non guideranno la transizione ecologica, ma le scelte nel consumo alimentare possono sostenere il riorientamento dell’agricoltura e avere un significativo impatto ecologico. La domanda di “sovranità alimentare” rende più difficile per le multinazionali di utilizzare il cibo come un’arma contro le lotte popolari. Rende possibile unificare consumatori e produttori intorno a pratiche in grado di suscitare una coscienza anticapitalista.

5.3.2. Le donne svolgono un ruolo importante nella produzione agricola, con il 43% della forza lavoro agricola nei cosiddetti paesi “in via di sviluppo”. La discriminazione patriarcale si riflette nelle dimensioni più ridotte delle loro aziende agricole e del loro bestiame, nel livello più basso di meccanizzazione, in un carico di lavoro più pesante e dalla resa inferiore (a causa del peso delle occupazioni non produttive – come ottenere acqua e legna da ardere), nel minor accesso alla formazione e al credito (tuttavia, con una parte più importante rispetto agli uomini nel microcredito). L’emancipazione delle donne contadine come donne è una delle condizioni decisive per affrontare sia la sfida della sovranità alimentare sia l’agricoltura ecologica. Si tratta, pertanto, in sé di una questione ecosocialista.

5.3.3. Il settore agricolo-forestale nel suo insieme è responsabile di oltre il 40% delle emissioni di gas serra. L’agribusiness è anche agente fondamentale dell’avvelenamento chimico della biosfera, mentre la pesca industriale e l’inquinamento idrico da parte dell’agribusiness sono fattori chiave per la perdita di biodiversità negli ambienti acquatici. Allo stesso tempo, il riscaldamento minaccia la produttività della terra, e l’acidificazione causata dall’aumento dei livelli di CO2 minaccia gli ecosistemi acquatici.

5.3.4. La perdita della biodiversità non sarà fermata principalmente dalla creazione di riserve naturali ma dallo sviluppo di un’agricoltura ecologica. Inoltre, ridurre a zero le emissioni di gas a effetto serra non è più sufficiente per frenare i cambiamenti climatici. Nei prossimi decenni il carbonio deve essere rimosso dall’atmosfera. Data la logica della profittabilità, il capitale può reagire solo con tecnologie pericolose come la geo-ingegneria e un’appropriazione generale di “servizi all’ecosistema”. L’agricoltura contadina e la silvicoltura razionale sono gli unici mezzi per raggiungere questa rimozione in modo efficiente, sicuro e nel rispetto della giustizia sociale. Pertanto la protezione della biodiversità e del clima rafforza la necessità di un’alternativa ecosocialista. Il ruolo decisivo dell’agricoltura agro-ecologica è basato materialmente su questa alternativa complessiva.

5.3.5. La transizione verso un’agricoltura (una pesca e una silvicoltura) rispettosa dell’ambiente è condizione rilevante per la costruzione di una società ecosocialista. Questo aspetto è della stessa importanza della democrazia dei produttori e dell’uso di energia rinnovabile al 100%. Tuttavia, rispetto all’agricoltura industriale, l’agro-ecologia necessita di una maggiore intensità di lavoro. La transizione verso la silvicoltura sostenibile e il ripristino / la protezione degli ecosistemi comportano un aumento della quota della popolazione impegnata in queste attività. Per rispondere a questa sfida si richiede una politica a lungo termine di innovazione del lavoro agricolo, di formazione dei lavoratori, di dotazione delle aree rurali di infrastrutture e servizi personali e di costruzione di orti urbani.

  1. Popoli indigeni, buen vivir ed ecosocialismo

Nel Nord, Centro e Sud America, in Africa, in Asia e in Oceania, le popolazioni indigene sono in prima linea. La loro lotta spesso si combina con quella dei contadini e delle comunità rurali, ma è una lotta specifica. Le popolazioni indigene producono la loro esistenza attraverso un rapporto diretto con l’ambiente che loro stessi hanno modellato e che costituisce il loro modo di vivere. Di conseguenza, questi popoli stanno bloccando molti potenti attori capitalisti desiderosi di saccheggiare le risorse naturali: petrolio, gas, minerali, legno, polpa, multinazionali della carne, agroindustria, settore farmaceutico e coloro che finanziano la compensazione delle emissioni di carbonio, travestiti da difensori ecologici della foresta,. Tutti questi saccheggiatori generalmente agiscono con la complicità dei governi nazionali e delle autorità locali, che invocano obiettivi di sviluppo e bisogni ecologici per nascondere la loro avidità e il disprezzo neocoloniale per le popolazioni indigene. Da parte loro, questi popoli generalmente non hanno alcun titolo di proprietà o risorse del loro ambiente. Non hanno altri mezzi se non quello di lottare contro la dislocazione. Attraverso la loro lotta le popolazioni indigene conservano e diffondono la conoscenza della loro cosmogonia, che è un bene prezioso per l’intera umanità e un’ispirazione per l’ecosocialismo. Mentre il capitalismo cerca di allontanarli e appropriarsi delle loro risorse e delle loro conoscenze, essi svolgono un ruolo di avanguardia nella lotta per una società di ecologicamente equilibrata. Anche quando le popolazioni indigene vivono in aree urbane, mantengono legami con le loro comunità e la loro cultura, anche se affrontano problemi particolari all’interno delle città, compresa la discriminazione. Giustamente cercano alleati per rafforzare la loro lotta.

 

 

 

  1. Autogestione, controllo e prospettive politiche

7.1. I profondi cambiamenti nello stile di vita e nelle prospettive di sviluppo che la transizione ecologica richiede non possono essere imposti dall’alto, in modo autoritario o tecnocratico. Sono praticabili solo se la maggioranza della popolazione acquisisce la convinzione che siano indispensabili e compatibili con un miglioramento significativo delle loro condizioni di vita, e quindi auspicabili. Ciò richiede importanti cambiamenti di coscienza riguardo al valore del tempo, all’importanza del controllo su ciò che viene prodotto e al lavoro non alienato rispetto alla produzione per la produzione. Pertanto l’educazione popolare sulla gravità della distruzione ambientale e sulle sue cause è fondamentale. Di fronte all’inganno capitalista, il movimento per la sostenibilità deve stimolare processi democratici di controllo attivo, prendere il comando della transizione, intervenire nel processo decisionale pubblico e persino subentrare nella produzione e riproduzione sociale, nonché proteggere gli ecosistemi in via di estinzione. Per la loro stessa natura, questi processi si combinano con le lotte delle nazionalità oppresse per i loro diritti sociali e il diritto democratico all’autodeterminazione. Si tratta di abbozzare nella prassi l’invenzione di relazioni emancipate tra gli esseri umani e tra l’umanità e il resto della natura, per dimostrare che “un altro mondo è possibile”. Queste pratiche dei settori sociali più coinvolti nelle lotte incoraggiano il movimento operaio a combattere al suo interno contro l’influenza del protezionismo e del produttivismo.

7.2. Il movimento per il disinvestimento dai combustibili fossili e il movimento delle città di transizione devono essere sostenuti attivamente. In generale, le esperienze di controllo dei lavoratori, di controllo dei cittadini, di gestione partecipata e autogestione, così come le lotte delle donne per il riconoscimento sociale e la condivisione dei compiti domestici, favoriscono una coscienza anticapitalista e un progetto che pone la dimensione ecosocialista al centro. Gli esperimenti nella agricoltura ecologica di tipo cooperativo, in particolare in Europa ma soprattutto in America Latina, lo dimostrano e hanno anche un’influenza sul movimento dei lavoratori. Molti esperimenti di produzione autogestita riguardano anche lavoratori licenziati, lavoratori esclusi e precari, nonché migranti irregolari e richiedenti asilo. Queste alternative forniscono una risposta immediata all’esclusione sociale massiccia e permanente, che degrada la vita e la dignità delle persone. Rivestono un ruolo importante in una strategia ecosocialista perché rifiutano il fatalismo, creano solidarietà e allargano i circoli degli ambientalisti.

È, tuttavia, un’illusione credere che la loro generalizzazione consentirebbe di evitare la catastrofe ecologica. Le misure socioeconomiche strutturali, in particolare la socializzazione del credito e dell’energia, sono assolutamente necessarie. Le iniziative transitorie devono basarsi su una pianificazione democratica, soddisfacendo i bisogni sociali e nel contempo rispettando i vincoli ecologici. Senza tale articolazione, queste iniziative potrebbero avere un effetto di depoliticizzazione o addirittura costituire una coesistenza di lungo termine con un sistema basato sul profitto.

7.3. La lotta contro le principali infrastrutture fossili è un elemento chiave nel movimento generale di interferenza, controllo e transizione. Manifestazioni di massa, occupazioni di siti, miniere, e campagne di disobbedienza civile rendono possibile l’opposizione concreta alle dinamiche di “crescita” e di “estrattivismo” del capitale. Queste lotte hanno un’importanza fondamentale nel difendere gli ecosistemi e le comunità umane che ci vivono. Sono di importanza strategica nel difendere il clima perché l’attuale livello di infrastrutture costituisce un collo di bottiglia nello sviluppo del capitale fossile. Costituiscono quindi un mezzo privilegiato per costruire ponti tra le lotte dei contadini, i popoli indigeni, i giovani, le donne e da lì, per sfidare il movimento sindacale a unirsi alla lotta. La connessione internazionale in rete di queste resistenze rende possibile il miglioramento dei rapporti di forza, di dissipare le accuse di NIMBY e di rafforzare la legittimità delle rivendicazioni. In alcuni casi, ciò può imporre riforme che, pur rimanendo all’interno del quadro capitalista, servono da trampolino di lancio per una ulteriore radicalizzazione.

7.4. La necessaria convergenza delle lotte sociali e ambientali non è l’assemblaggio nell’ottica di un compromesso stabile, piuttosto un processo dinamico di chiarificazione, ricomposizione e radicalizzazione. Tale processo comporta molteplici conflitti tra settori sociali, in particolare i conflitti con i settori del movimento operaio che si impegnano in una collaborazione di classe con il produttivismo. Pur dimostrando il necessario senso tattico e sottolineando ai lavoratori i benefici della transizione ecologica (soprattutto in termini di occupazione e salute), è necessario sfidare il movimento dei lavoratori che subisce l’influenza protezionista e produttivista. Nel conflitto tra i settori sociali coinvolti nelle lotte ambientaliste e i settori del movimento operaio che credono nel produttivismo, difendiamo i primi cercando di convincere i lavoratori a cambiare il loro punto di vista. In questi casi, dobbiamo cercare di proporre solide alternative programmatiche volte a migliorare i diritti e il benessere dei lavoratori e delle comunità. I lavoratori non dovrebbero pagare per le scelte delle imprese e dei governi che le hanno sostenute.

7.5. Conquistare il movimento operaio e gli altri attori sociali nella lotta per un programma di transizione ecosocialista è in fin dei conti possibile solo attraverso la progressiva affermazione di politiche alternative per un piano globale di riforme strutturali anticapitalistiche che soddisfi sia i bisogni sociali sia i vincoli ambientali. Senza la costruzione di tali politiche alternative, e senza la loro articolazione con i movimenti sociali, ciò sarà sempre una chimera: l’ambiente sarà sacrificato sull’altare del sociale, o il secondo sull’altare del primo. La creazione di un governo ecosocialista che rompa con il capitalismo attraverso la mobilitazione sociale è la pietra angolare di un programma di emergenza ecosocialista. Ma non è possibile l’ecosocialismo in un solo paese. La formazione di un tale governo è, a sua volta, solo la fase transitoria di un processo permanente che mira al rovesciamento del capitalismo su tutta la superficie del globo.

  1. Tecnologie, autogestione e decentralizzazione

8.1 “La Comune è la forma politica finalmente trovata dell’emancipazione del lavoro”, annunciò Marx nel suo lavoro sulla Comune di Parigi. Nel diciannovesimo secolo, il capitalismo ha creato un sistema energetico sempre più uniforme e centralizzato, il cui controllo tecnico e politico ha coinvolto un grande apparato burocratico e un complesso sistema di deleghe di potere. Ovviamente questo sistema non è la causa della degenerazione burocratica dell’URSS – che fu il risultato della controrivoluzione stalinista – ma la favorì in una certa misura. Viceversa, la flessibilità e la modularità delle tecnologie rinnovabili non sono una garanzia per la democrazia socialista, ma aprono nuove possibilità per le riforme strutturali anticapitalistiche. Queste possono essere mirate allo sviluppo territoriale decentralizzato, organizzate attorno al controllo e all’utilizzo democratico da parte delle comunità locali delle risorse energetiche rinnovabili disponibili sul luogo. Ma la realizzazione di queste possibilità dipende dalla lotta di classe. La semplice confisca di una parte delle ricchezze accumulate dalle petromonarchie arabe sarebbe sufficiente per finanziare progetti regionali di sviluppo alternativo nel Vicino e Medio Oriente basati sull’energia solare e diretti verso la soddisfazione dei bisogni sociali su scala locale. Allo stesso modo, è deplorevole che i cosiddetti governi “progressisti” dell’America Latina non abbiano investito gran parte delle entrate dello sfruttamento fossile nei piani di transizione sociali ed ecologici rivolti a un altro tipo di sviluppo decentrato: democratico, con più equilibrio urbano-rurale, basato sulla comunità e al 100% rinnovabile.

8.2. Le tecnologie dell’ energia rinnovabile modificano anche il legame tra le misure strutturali e le esperienze di controllo o di autogestione a livello territoriale, con nuove possibilità di autonomia energetica. Il progetto di una società democratica eco-socialista basata su una rete di istituzioni decentrate di potere acquisisce così nuova credibilità. La natura fisica e la difficoltà di conservazione dell’energia elettrica rendono la gestione di un sistema decentralizzato, combinato e complementare più facile di quanto avviene con l’attuale sistema, che è soggetto ai diktat del mercato. Insieme alla sovranità alimentare, questo ambito di lotta è particolarmente importante per i paesi del Sud del mondo, come parte di un modello di sviluppo alternativo al modello imperialista.

 

  1. Distruzione dell’ambiente e ruolo sociale degli scienziati.

 

Le risposte capitaliste sono insufficienti dal punto di vista ecologico, e ingiuste da quello sociale poiché sono falsate dall’equiparazione delle regole sociali del mercato alle leggi della natura. Questa realtà spinge alcuni scienziati a impegnarsi sul terreno della lotta. Il loro impegno nasce anche dalla crescente frammentazione della ricerca scientifica e della sua sempre più forte subordinazione ai bisogni del capitale. Un numero crescente di ricercatori percepisce la necessità di un lavoro interdisciplinare e tansdisciplinare, che implica la collaborazione con i movimenti sociali. In tale contesto si presenta l’opportunità di ridefinire la «conoscenza», liberandola dal capitale. Gli scienziati sono inoltre provocati dall’ascesa dell’irrazionalità e della negazione dei fatti oggettivi da parte di certi settori della classe dominante, due tratti reazionari personificati in particolare da Donald Trump. Gli ecosocialisti devono incoraggiare gli scienziati a parlare. Non si tratta di sottomettere il movimento sociale alla dittatura della «scienza» o degli esperti, ma piuttosto di mettere la conoscenza al servizio del movimento, anche per stimolare la critica. Questo può aumentare grandemente la credibilità e la legittimità delle opzioni anticapitaliste. In particolare, l’esperienza della cooperazione scientifica internazionale è un forte elemento positivo nello sviluppo e nell’approfondimento dell’internazionalismo.

 

  1. Autorganizzazione delle popolazioni colpite

 

La capacità di scongiurare l’imminente catastrofe ambientale è in ritardo. È quindi probabile che i disastri ecologici «antropogenici» si moltiplichino, in particolare a causa di eventi atmosferici estremi (inondazioni, cicloni, ecc.), come già stiamo vedendo. Ciò crea situazioni di disorganizzazione e caos sfruttato dagli speculatori a scopo di dominazione (politica, economica, geostrategica). Allo stesso tempo, queste stesse situazioni possono condurre a iniziative tese a costruire reti di solidarietà alternative alle agenzie imperialiste. Tale autorganizzazione per l’aiuto, l’accoglienza dei profughi ed anche la ricostruzione della vita sociale in generale è decisiva per la costruzione della solidarietà sociale. Queste iniziative godono quindi di una grande legittimità poiché diventano vitali in tali circostanze e sono più efficienti dell’aiuto internazionale. Una tale prospettiva è parte integrante della nostra strategia ecosocialista. Più in generale, l’incapacità del capitalismo di rispondere alla crescente crisi ecologica pone un’alternativa: o soccombiamo alla devastazione o ci salviamo da noi stessi.

 

  1. Ecosocialismo e internazionalismo

 

11.1. Nel piano di emergenza ecosocialista, le esigenze di localizzazione della produzione e di sovranità alimentare sono parte di una prospettiva internazionalista e di autogestione che è radicalmente opposta tanto alla globalizzazione capitalista e al «libero commercio» da un lato, quanto al protezionismo e alla sovranità nazionale capitaliste dall’altro. Nei paesi sviluppati in particolare, è richiesta la più grande vigilanza rispetto al tentativo dell’estrema destra di spostare le rivendicazioni ecologiche verso pseudo-risposte nazionaliste. Queste sono sempre al servizio del capitale e operano il collegamento con i temi razzisti, islamofobici e reazionari-tradizionalisti. Tali tentativi si trovano per lo più nella domanda di localizzazione della produzione e della sovranità alimentare. È pertanto cruciale inquadrare accuratamente le richieste su queste materie.

 

11.2. Ci opponiamo alla delocalizzazione di imprese in paesi a basso costo, e siamo a favore della localizzazione della produzione in generale, ma non sosteniamo la richiesta di rilocalizzazione nei paesi imperialisti di imprese che si sono spostate in paesi a basso costo. Questa idea implicherebbe che i lavoratori nei paesi a basso costo debbano perdere il loro lavoro affinché quelli dei paesi imperialisti riacquistino il proprio. Invece di unire i lavoratori dei diversi paesi contro i loro sfruttatori, questa richiesta li mette in concorrenza, e quindi li disarma di fronte alle pressioni degli imprenditori per la competitività sui mercati. La localizzazione della produzione è parte di un progetto totalmente differente, basato sui bisogni ecologici e sociali, in particolare il diritto al lavoro e al reddito per tutti, vicino al luogo in cui vivono. Allo stesso modo per noi, la sovranità alimentare non è una sovranità nazionale, ma una sovranità su scala di territori definiti storicamente dalle comunità. Queste devono rispettare la propria storia. Noi difendiamo la solidarietà tra comunità allo scopo di gestire le risorse comuni e scambiarle sulla base della solidarietà e complementarietà, piuttosto che della concorrenza e dello sfruttamento.

 

11.3. In generale, le varie formule di «Protezionismo di sinistra basato sulla solidarietà» sostengono l’idea che la concorrenza dei paesi a bassi salari che non proteggono l’ambiente, è la causa decisiva della perdita di posti di lavoro nell’industria nei paesi sviluppati. Ma la causa principale di questa perdita è l’aumento della produttività del lavoro, sia per l’aumento dell’intensità della giornata lavorativa, l’automazione, o il subappalto a impianti dove i lavoratori hanno meno diritti e salari più bassi. La soluzione ovvia è la riduzione dell’orario di lavoro, ma questa è stata bloccata dal deterioramento del rapporto di forze tra il lavoro e il capitale. Adottando la visione obsoleta di un’economia globale basata sulla concorrenza tra paesi, mentre il ruolo dominante oggi è svolto dalle multinazionali, il «protezionismo di sinistra» distoglie l’attenzione dalla contraddizione capitale-lavoro verso un fronte interclassista in difesa della competitività. Il «protezionismo di sinistra» pretende di essere internazionalista, ma tace sulla concorrenza distruttiva delle esportazioni dell’agroindustria a basso costo dai paesi sviluppati verso il Sud, come ad esempio l’esportazione di granoturco dagli Stati Uniti che ha distrutto la maggior parte delle coltivazioni di granoturco messicane – ed altre manifestazioni della dominazione imperialista. Il pericolo di contaminazione razzista che inizia con posizioni scioviniste è considerevole. In effetti, la difesa dei posti di lavoro nei paesi più sviluppati, con la salvaguardia della competitività delle imprese contro la concorrenza dei paesi a basso costo, si può trasformare facilmente nella difesa dei posti di lavoro combattendo la concorrenza dei lavoratori illegali o stranieri, poiché questi ultimi rappresentano, per così dire, «un terzo mondo in casa». È precisamente in questa trappola mortale che l’estrema destra vuole attirare il movimento operaio e il movimento ambientalista.

 

Non ci sono scorciatoie, tra i capitalisti e la loro forza lavoro non è possibile alcun fronte comune che possa affrontare la disoccupazione e la distruzione dell’ecosistema. I lavoratori devono invece sviluppare campagne di solidarietà nelle quali possano trovare l’unità e la forza per superare la crisi.

 

11.4. Un governo ecosocialista, portato al potere come risultato della mobilitazione de/lle/gli sfruttat/e/i e oppress/e/i comincerebbe a rompere con il capitalismo con misure come il monopolio del commercio estero, il controllo dei movimenti dei capitali, e così via. Ma ciò non significa proteggere le imprese capitaliste dalla concorrenza internazionale. Proprio al contrario, si tratta di proteggere politiche anticapitaliste e insieme fare appello a/lle/gli sfruttat/e/i e oppress/e/i degli altri paesi a unirsi alla lotta. Questa è una prospettiva internazionalista per il rovesciamento del capitalismo mondiale. Tale politica è l’esatto opposto del «protezionismo», che finisce sempre per subordinare le rivendicazioni ecologiche e sociali al bisogno di rafforzare il capitalismo nazionale sul mercato mondiale, vale a dire in definitiva, al libero commercio.

 

11.5. L’ecosocialismo può cominciare su scala nazionale ma si può realizzare solo su scala mondiale. La gestione razionale e prudente del Sistema Terra richiede una pianificazione democratica globale. Il lavoro scientifico globale realizzato da istituzioni come l’IPCC, l’IGBP e altri dimostra che una pianificazione democratica globale è possibile. Il loro modello di cooperazione internazionale dovrebbe essere adottato anche dai rappresentanti democraticamente eletti dei movimenti sociali. In effetti è oggi svolto in parte da organizzazioni come Via Campesina.

 

  1. Conclusione: ecosocialismo e rivoluzione

 

L’assurda logica capitalista – l’espansione irrazionale, l’accumulazione illimitata, così come un produttivismo ossessionato dalla ricerca del profitto ad ogni costo – è responsabile di porre l’umanità sull’orlo dell’abisso: di fronte al cambiamento climatico e alla distruzione ecologica.

 

Andare dal «progresso distruttivo» del capitalismo verso l’ecosocialismo costituisce un processo storico, una trasformazione rivoluzionaria permanente della società, della cultura e della coscienza. Questa transizione ci porterà non solo verso un nuovo mondo di produzione, verso una società egualitaria e democratica, ma anche ad un modo di vita alternativo, a una nuova civiltà, oltre il dominio del denaro, oltre le abitudini di consumi prodotti artificialmente dalla pubblicità e oltre la produzione illimitata di merci inutili. E, come Marx ha detto, il Regno della Libertà inizia con la diminuzione del tempo di lavoro…

 

È importante sottolineare che un tale processo non può darsi senza una trasformazione rivoluzionaria delle strutture sociali e politiche tramite l’azione di massa di una larga maggioranza della popolazione. L’esperienza collettiva delle lotte popolari, dagli scontri locali a un cambiamento radicale della società, è il fattore decisivo nello sviluppo di una coscienza socialista, femminista ed ecologica.

 

Sognare e lottare per il socialismo verde, o come dicono alcuni, per il comunismo solare, non significa che non lottiamo per riforme concrete ed urgenti. Senza alcuna illusione sul «capitalismo verde» dobbiamo cercare di guadagnare tempo e imporre ai poteri in carica misure concrete contro la catastrofe in marcia, cominciando con una radicale riduzione delle emissioni di gas serra.

 

Tali rivendicazioni ecologiche urgenti possono favorire un processo di radicalizzazione a condizione che ci rifiutiamo di limitare i loro obiettivi obbediendo al mercato capitalista o accettando la «competitività»

 

Ogni piccola vittoria, ogni passo avanti parziale può portarci immediatamente a una rivendicazione più avanzata e radicale. Queste lotte su problemi concreti sono importanti, non solo perché le vittorie parziali sono benvenute in sé stesse, ma anche perché contribuiscono alla crescita di una coscienza ecologica e socialista, e promuovono l’autonomia e l’autorganizzazione dal basso. Tali autonomia e autorganizzazione sono le precondizioni necessarie e decisive per una trasformazione radicale del mondo. Ciò significa che una trasformazione rivoluzionaria è possibile soltanto con l’autoemancipazione de/lle/gli sfruttat/e/i e oppress/e/i: operai e contadini, donne, comunità indigene e quanti sono stigmatizzati a causa della loro razza, religione o nazionalità.

 

Le élite dirigenti del sistema, trincerate dietro le loro barricate, sono incredibilmente potenti, mentre le forze dell’opposizione radicale sono piccole. Il loro sviluppo in un movimento di massa di un numero senza precedenti, è la sola speranza di fermare la corsa catastrofica della «crescita» capitalista. Questo ci permetterà di inventare una forma di vita desiderabile, più ricca di qualità umane, una nuova società basata sui valori della dignità umana, della solidarietà, della libertà e del rispetto per «Madre Natura».