Palestina, le responsabilità del sionismo, dell’Occidente, della sinistra

di Fabrizio Burattini

L’esercito israeliano ha organizzato un assedio medievale alla Striscia di Gaza, niente cibo, né carburante, né acqua per i 2 milioni e mezzo di abitanti. Le incursioni dei bombardieri martellano senza tregua il lembo di territorio palestinese e anche il Libano meridionale per impedire anche da quel confine le infiltrazioni di militanti armati. Nel frattempo l’IDF, l’esercito di Israele, sta facendo convergere verso Gaza il grosso del suo potenziale distruttivo nella prospettiva di un’invasione di terra.

Il fallimento dell’apparato israeliano

Si tratta di una “punizione collettiva” in aperta violazione del diritto internazionale. L’assedio e i bombardamenti causeranno la morte di malati e feriti negli ospedali a causa della mancanza di energia elettrica e di rifornimenti, un vero e proprio “crimine di guerra”.

Nel frattempo il governo sionista afferma di aver ripreso totalmente il controllo delle città del Sud attaccate nei giorni scorsi dai militanti di Hamas, che hanno clamorosamente smentito, agli occhi del mondo e soprattutto agli occhi della popolazione israeliana, la tanto decantata onnipotente infallibilità dell’apparato militare e di intelligence sionista, la sua illusione di controllo totale, la sua iper-sorveglianza informatica. 

E’ stato il più significativo fallimento militare e di intelligence di Israele dalla guerra dello Yom Kippur del 1973. Ma, più che un fallimento dell’intelligence, è l’incapacità e la non volontà di comprendere che un popolo non può sopportare stoicamente e passivamente decenni di occupazione.

Le complicità internazionali

Lo schieramento occidentale partecipa attivamente alla “punizione collettiva”: il commissario dell’Unione Europea Oliver Varhelyi ha detto la UE ha già sospeso “tutti i pagamenti” ai palestinesi a causa della “portata del terrore e della brutalità” dell’offensiva di Hamas contro Israele.

In vari paesi d’Europa (Italia compresa), le prese di posizione contro Israele e il suo governo, anche quelle che solo cercano di “contestualizzare” le azioni dei palestinesi nel quadro della ultracinquantennale e brutale occupazione sionista, vengono bollate come “filoterroriste” e a volte danno perfino luogo ad indagini giudiziarie.

L’epiteto di “terrorista” è un comodo espediente propagandistico, da sempre usato da chi opprime contro chi lotta contro l’oppressione: venne usato contro il movimento per la liberazione dell’Algeria dal colonialismo francese, contro i vietnamiti che lottavano contro l’esercito USA di Johnson e di Nixon, contro i curdi che lottavano e lottano per la loro dignità nazionale, contro Nelson Mandela nella sua lotta contro l’apartheid sudafricana.

Lo usava l’impero austro-ungarico contro gli eroi del Risorgimento italiano. Lo usavano i nazifascisti contro i Partigiani. Ed è da sempre usato contro i palestinesi, sia negli anni Settanta, al tempo della loro radicale lotta “laica”, sia oggi nell’epoca dell’egemonia islamista sul movimento nazionale.

Washington ha comunicato che sosterrà il governo di Benjamin Netanyahu in ogni azione che deciderà di intraprendere e Joe Biden ha promesso ad Israele “tutti i mezzi adeguati di sostegno”, una Israele che, secondo il presidente USA, avrebbe tutto il “diritto a difendere se stesso e il suo popolo, punto e basta”. Biden e la UE, dunque, confermano di essere (quali che siano i “colori” dei governi) attivi protagonisti nel sostegno all’oppressione del popolo palestinese.

Una solidarietà che sconfessa la “normalizzazione di Abramo”

Nel mondo arabo ed islamico si moltiplicano le manifestazioni di solidarietà con Gaza e con il popolo palestinese, sconfessando tutte le operazioni di “normalizzazione” dei rapporti con Israele assunte in questi ultimi anni da numerosi governi, come gli “Accordi di Abraham” stipulati lo scorso anno tra il Bahrein e il governo sionista. 

Per anni, il premier di estrema destra Benjamin Netanyahu ha sostenuto che la pace può essere raggiunta senza parlare con i palestinesi e senza fare loro nessuna concessione. Gli Accordi di Abraham hanno privato i palestinesi di una delle loro ultime carte di scambio e basi di sostegno: la solidarietà dei governi arabi, nonostante questa solidarietà sia stata per anni solo di facciata. L’alta probabilità che a quegli accordi stesse per aderire anche l’Arabia “saudita” potrebbe aver contribuito a spingere Hamas all’azione.

Si sta aprendo, dopo lo scoppio su larga scala della guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina, un secondo fronte di orrore, una nuova guerra gravida di tutte le sue terribili conseguenze immediate e di tutte le sue ripercussioni future. Gli eventi di questi giorni, così come l’iniziativa di Putin di quasi 20 mesi fa, stanno cambiando per sempre la vita del mondo e di noi tutti.

L’isteria collettiva di Israele

Quanto a Israele, non si tratta solo di Netanyahu e dei suoi partner. Si sta creando un clima di isteria che non ha precedenti in un paese che è da sempre tenuto insieme dal mito sionista di Israele come “luogo di rifugio sicuro per gli ebrei”. 

Sono sempre più numerosi gli israeliani che affermano che è giunto il momento di sradicare completamente Gaza, invocando in sostanza il genocidio. Persino i media meno guerrafondai, i giornalisti e i politici israeliani più equilibrati invocano massacri a Gaza.

Sui social circolano post di questo tono: “Spianare Gaza”, “Questi sono selvaggi, non persone con cui si può negoziare”, “Stanno uccidendo intere famiglie”, “Non c’è spazio per parlare con costoro”, “Perché ci sono ancora edifici in piedi a Gaza?”, “Gaza va rimandata all’età della pietra”, “Occorre liberarci anche degli arabi in Israele”.

Su quest’ultimo punto, ricordando che ci sono circa 2 milioni di cittadini israeliani arabi, concentrati soprattutto nelle “città miste” (Lyd, Akka e Be’er Sheva), circolano perfino messaggi che invitano gli ebrei a linciare gli arabi a vista, risvegliando il timore non solo di un nuovo conflitto ma anche quelli di una guerra totale tra cittadini ebrei e palestinesi in Israele, con coloni suprematisti ebrei pronti a lanciare nuovi pogrom contro i civili palestinesi in Cisgiordania. Si profila una nuova Nakba.

Negli ultimi mesi, centinaia di migliaia di israeliani avevano marciato per la “democrazia e l’uguaglianza” e molti avevano persino dichiarato di voler rifiutare il servizio militare a causa delle tendenze autoritarie di Netanyahu e del suo governo, ignorando però che quello stesso governo è stato crudelmente autoritario nella perpetuazione di un’occupazione militare illegale e disumana. Oggi molti di loro hanno annunciato l’interruzione delle proteste e la loro disponibilità ad unirsi nella guerra con Gaza.

L’ipocrisia dell’opinione pubblica internazionale

Il mondo è scosso non perché ci siano dei morti, oramai forse oltre duemila morti, in grandissima parte civili.

I morti civili, comprese donne, bambini, vecchi inermi sono la ricorrente “normalità” per i palestinesi. Quei morti dalla pelle scura sono percepiti dall’opinione pubblica internazionale e descritti dai media occidentali come “meno umani”, considerati un neanche tanto imbarazzante “effetto collaterale” del “mantenimento della sicurezza” nel bastione sionista, ritenuto la testa di ponte dell’Occidente nel caotico “mondo arabo”.

Il mondo è stato e continua ad essere complice della disumanizzazione attiva degli abitanti di Gaza, persone da sempre collettivamente private dei propri diritti umani fondamentali.

Ora il mondo è profondamente scioccato non per il numero delle vittime, ma a causa di una disorientante novità: le vittime di questa guerra non sono solo palestinesi, sono anche dei “nostri”. In questo mondo di “noi” e di “loro”.

Sabato 7 ottobre è accaduto a qualche centinaio di israeliani quel che sta accadendo all’intero popolo di Gaza da decenni, nell’indifferenza della “comunità internazionale”. Il terrore che gli israeliani hanno provato in questi giorni è stata ed è l’esperienza quotidiana di vita di milioni di palestinesi da decenni sotto il regime militare nella Cisgiordania e a Gaza.

Le disperate ragioni del popolo palestinese

Perfino nei parametri “normali”, la vita quotidiana a Gaza si era gravissimamente deteriorata negli ultimi sedici anni di assedio israeliano: circa il 97% dell’acqua della Striscia è considerata non potabile, oltre la metà della popolazione vive sotto la soglia di povertà, l’80% dipende dagli aiuti stranieri, il futuro della maggior parte dei giovani è buio, con il 64% di disoccupazione giovanile.

Da anni le famiglie di Gaza, comprese quelle del “ceto medio”, vivono con la costante e inquietante preoccupazione di avere sempre pronti accanto a sé, nel caso di necessità di fuga e di esodo, l’essenziale per sopravvivere (medicinali, documenti, caricabatterie per cellulari, effetti personali, kit per l’igiene…).

La maggior parte dei palestinesi residenti a Gaza sono rifugiati, nell’esperienza di un esilio perpetuo, iniziato con la perdita delle loro case ancestrali, quando vennero espulsi dalle forze sioniste e israeliane nella Nakba del 1948. 

Nel 2018 e nel 2019, lo ricordiamo, decine di migliaia di palestinesi hanno protestato a mani nude davanti ai fili spinati che circondano la Striscia, in quella che è stata definita la Grande Marcia del Ritorno, quando l’esercito ha ucciso centinaia di persone. Sono ferite fisiche e psicologiche che non sono guarite e che non possono guarire.

L’attacco di sabato 7 ottobre viene dopo una serie di intensi mesi di violenza da parte dello stato israeliano e dei coloni nei territori occupati, che hanno giocato un ruolo considerevole nel condurci alla crisi attuale. I palestinesi avevano lanciato l’allarme, avvertendo che il blocco, il persistente impoverimento, le ripetute aggressioni israeliane e la frammentazione delle loro comunità avrebbero portato a un’esplosione. 

I palestinesi di Gaza vivono da decenni nella più grande prigione a cielo aperto della terra, dove la concentrazione di popolazione è la più alta del mondo, tenuti come animali dietro recinti, senza acqua pulita, elettricità, senza speranza e senza dignità, in uno stillicidio di bombardamenti criminali che ogni volta hanno causato centinaia e migliaia di vittime.

E la Cisgiordania non è da meno: solo nel 2022, 146 palestinesi di Cisgiordania, il più delle volte inermi, sono stati uccisi dai soldati e dai superarmati coloni israeliani. Una vera e propria interminabile “pulizia etnica”.

L’esercito israeliano fa regolarmente irruzione nelle città e nei campi profughi palestinesi, mentre i coloni godono di piena libertà nella creazione di nuovi avamposti illegali e nel lanciare pogrom nelle città e nei villaggi palestinesi, con i soldati che li scortano, colpendo e spesso uccidendo i palestinesi che tentano di difendere le proprie case. 

Nei giorni di festività islamica, gli estremisti ebrei profanano la spianata della moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme, sostenuti da politici integralisti, razzisti e semifascisti, in spregio alle convenzioni internazionali. 

Senza dimenticare che il governo israeliano di estrema destra, razzista e suprematista ha fatto della colonizzazione il primo punto del suo programma di governo, con una spettacolare accelerazione delle operazioni di colonizzazione, di pulizia etnica e di repressione contro il popolo palestinese. Cosa che nei fatti ha reso del tutto illusoria la stessa prospettiva dei “due popoli e due stati”.

Ciò che il mondo non capisce è che il popolo palestinese ha il diritto di utilizzare la resistenza armata nella lotta per la libertà e di difendersi dall’aggressione israeliana. In effetti, molti di coloro che attualmente condannano gli attacchi di Hamas contro i civili sono stati terribilmente silenziosi mentre Israele ha commesso crimini indicibili contro il popolo palestinese, compresa l’imposizione di ripetute “punizioni collettive” contro i residenti di Gaza. Qualsiasi analisi o commento che non riconosca questa realtà non è solo vuoto, ma anche immorale e disumanizzante.

La vita dei palestinesi è da decenni, da oltre tre generazioni, compartimentata, controllata, sotto sorveglianza, sottoposta ad umiliazioni quotidiane e ad arresti arbitrari, a torture e ad abusi, all’insolenza dei coloni e all’atteggiamento complice dei soldati. 

È impossibile capire quello che sta succedendo oggi a Gaza senza tenere conto di questo. Un popolo innamorato di una libertà che gli viene quotidianamente negata, a cui viene cancellata ogni prospettiva, più volte costretto a concessioni umilianti nei ripetuti “accordi” (da Oslo in poi), regolarmente non rispettati dagli israeliani, è inevitabilmente spinto alla resistenza con ogni mezzo.

La “dottrina della sicurezza” di Israele ha sempre richiesto (più per necessità politiche che per motivi militari) un rapporto sproporzionato tra vittime israeliane e palestinesi: per ogni soldato o civile israeliano ucciso politici e generali israeliani hanno sempre chiesto almeno 10 teste palestinesi. 

Ora, con questa “logica”, migliaia di donne, di bambini e di uomini a Gaza potrebbero pagare quel prezzo con la propria vita.

I “campismi” a confronto

A sinistra, la denuncia del doppiopesismo dell’Occidente, di un Occidente che in Ucraina sostiene il popolo contro l’aggressione russa mentre in Medio Oriente sostiene l’oppressione israeliana contro i diritti e la dignità dei palestinesi, è inficiata alle basi dal doppiopesismo simmetrico della sinistra campista che nella vicenda ucraina ha sposato le tesi dell’aggressore russo. 

E a ribaltare un’oggettiva visione del mondo contribuisce anche il presidente ucraino Zelensky, con il suo vergognoso e assurdo parallelo tra Ucraina e Israele e la Russia a Gaza. Paragonare la povera prigione a cielo aperto di Gaza alla Russia imperialista non ha assolutamente senso.

Se Zelensky sostiene il “diritto di Israele a difendersi”, noi dobbiamo fare esattamente il contrario: denunciare il neofascismo al potere a Mosca allo stesso modo del neofascismo al potere a Tel Aviv, sostenere la legittima lotta del popolo palestinese contro la dominazione coloniale e l’espropriazione da parte dello stato sionista allo stesso modo di come sosteniamo la legittima lotta del popolo ucraino contro la dominazione coloniale e l’espropriazione da parte dello stato della “Grande Russia”. 

Si tratta di un sostegno al popolo palestinese che non implica nessun sostegno politico ad Hamas più di quanto il sostegno al popolo ucraino implichi un sostegno politico a Zelensky.

L’assurdo parallelo “campista” tracciato dal presidente ucraino diventa una trappola mortale quando ad usare il campismo è la sinistra.

L’internazionalismo non può essere solidarietà con gli stati: è solidarietà con i popoli che lottano per i loro legittimi diritti, in Ucraina, in Palestina, nel Xinjiang, nel Sahara occidentale, ovunque gli sfruttati e gli oppressi resistono ai loro sfruttatori e oppressori. 

Non ci può essere pace senza prospettive politiche, e non ci possono essere prospettive politiche senza sanzioni contro Israele così come sono necessarie le sanzioni contro Putin per porre fine ai loro regime oppressivi e per far loro rispettare il diritto internazionale e le risoluzioni dell’ONU, con la fine delle loro occupazioni, dei loro progetti coloniali e della loro analoga negazione dei diritti dei popoli palestinese e ucraino.

L’unica via per la pace è la fine di ogni colonizzazione in Palestina come in Ucraina, di ogni oppressione e di ogni suprematismo razzista, che sia quello “bianco” statunitense, quello sionista, o quello della “grande russo” di Putin e Dugin.

Allontanarsi da questa linea di principio è una ricetta per il disastro…