Migranti, il “pizzo di stato” di Meloni e Piantedosi e i 10 punti di Ursula Von Der Leyen

di Fabrizio Burattini

L’arrogante e indecente decisione del governo di imitare le mafie che gestiscono i lager libici, esigendo dai migranti il pagamento di un “pizzo di stato” di ben 4.938 euro per evitare di finire nei lager italiani che Meloni e Piantedosi intendono moltiplicare in giro per la penisola, sintetizza bene la politica della destra al potere.

Pace con le banche, guerra ai migranti

Mentre si azzera la demagogica proposta di tassare i miliardi di superprofitti delle banche accumulati sulle spalle dei cittadini costretti a pagare astronomiche rate di mutuo (una proposta che aveva indotto i creduloni a pensare che il governo fosse dalla parte dei più poveri), si vuole far cassa sulle spalle dei migranti.

Questo perché il governo è consapevole del fatto che, nonostante i memorandum sottoscritti con i dittatori, nonostante i “dieci punti” ipotizzati da Ursula Von Der Leyen, nonostante i messaggi minatori della presidente del consiglio e dei suoi ministri, i migranti continueranno ad affluire in Italia e in Europa.

Il taglieggiamento deciso dal governo dovrebbe gravare sui migranti che arrivano da “paesi sicuri”, cioè da paesi nei quali non ci siano guerre o limitazioni ai diritti democratici ed umani. Ma ci chiediamo, in particolare nel Sud del mondo, quali sono i “paesi sicuri”?

Le misure del governo 

Le altre misure previste nei nuovi decreti emergenziali, la moltiplicazione dei CPR, la loro codificazione come veri e propri campi di concentramento (“facilmente perimetrabili e collocati in aree a bassissima densità abitativa”), l’allungamento fino a 18 mesi della “detenzione amministrativa” anche per le/i “richiedenti asilo”, la delega al ministero della Difesa, cioè alle forze armate della loro gestione, la rinnovata minaccia di “blocco navale”attraverso i memorandum e gli accordi con i dittatori dei paesi di provenienza e di transito non solo non risolveranno la presunta emergenza e non solo offendono i diritti e la dignità umana dei migranti, ma costituiscono di per sé un nuovo e sempre più grave attentato alla democrazia del nostro paese.

I partiti di governo continuano a gareggiare tra loro in demagogia, al fine di spartirsi fette di elettorato impaurito dal timore di perdere i propri miserabili “privilegi”, indicando negli “ultimi” (migranti, percettori del reddito di cittadinanza, disoccupati…) i responsabili delle difficoltà economiche in cui si dibatte il paese. 

Un’emergenza fabbricata in casa

Si è gridato all’emergenza perché in una settimana sono arrivati in Italia una decina di migliaia di migranti.

Ma facciamo un po’ di cifre: secondo i dati più recenti, il numero complessivo di persone che nel mondo fuggono da persecuzioni, conflitti e violenze è valutato in 108 milioni e mezzo di esseri umani. Il 40% dei rifugiati è composta da bambini. I paesi che ospitano il maggior numero di rifugiati sono la Turchia, l’Iran, la Colombia, la Germania e il Pakistan. I tre quarti dei rifugiati nel mondo sono ospitati in paesi a reddito medio e basso.

Nel 2022 i richiedenti asilo nell’Unione europea sono stati 880.000, nel 2021 540.000, dunque meno dell’1% dei rifugiati mondiali e meno del 2 per mille della popolazione europea. 

Ma, nonostante le dimensioni del tutto gestibili del fenomeno, l’avvicinarsi di delicate elezioni (quelle europee del prossimo giugno) spinge tutti i governi della UE e tutti i partiti istituzionali a fare a gara nel prendere le distanze da ogni seria politica di accoglienza e a rinviare sine die la revisione del trattato di Dublino.

La politica razzista e classista dei visti 

D’altra parte né la UE, né i singoli paesi che la compongono e che aderiscono al trattato di Schengen hanno mai preso in considerazione l’ipotesi di ridefinire le politiche di accesso degli “extracomunitari” nella UE, che continuano da sempre ad essere improntate a espliciti principi razzisti e discriminatori. 

Il Regolamento UE sui visti (Reg. 539/2001) elenca i paesi i cui cittadini devono essere muniti di visto per accedere ai paesi dell’Unione (attraversamento delle “frontiere esterne”), suddividendoli in “lista bianca” (paesi i cui cittadini sono esenti da obbligo di visto) e “lista nera” (quelli per i quali vige l’obbligo di visto e dunque di discrezionalità da parte delle autorità consolari europee).

In realtà, anche questa “discrezionalità” è fortemente limitata e classista perché nei fatti concede il visto a cittadini extracomunitari provenienti dai paesi della “lista nera” solo se sono in grado di dimostrare di possedere un patrimonio ed un reddito che faccia escludere l’ipotesi di immigrazione a fini lavorativi.

Naturalmente nel regolamento UE sui visti la “razza”, la religione e la classe sociale non sono esplicitamente menzionate come criteri per la compilazione delle due liste nera e bianca. Ma l’impostazione discriminatoria, razzista e classista, è comunque evidente: tutti i paesi africani (nessuno escluso) sono elencati nella lista nera; per quel che riguarda l’Asia sono esclusi solo il Giappone, la Corea del Sud, la Malesia, Brunei, Singapore, Taiwan, Timor Est, Emirati Arabi Uniti e Israele; anche l’orientamento religioso incide, in quanto, ad eccezione di Singapore, Malesia, Brunei ed Emirati Arabi Uniti, i cittadini di tutti i paesi a maggioranza musulmana sono soggetti all’obbligo di visto, al pari di tutti i paesi a maggioranza induista o buddista; e un esame obiettivo delle due liste fa emergere anche una forte correlazione classista con il PIL pro capite dei diversi paesi, per certi versi ancora più forte di quella con colore della pelle e l’orientamento religioso.

D’altra parte le due liste, nel corso dei 22 anni trascorsi dalla stesura nel 2001 delle liste originarie, sono state modificate in misura molto marginale, come, ad esempio, con il passaggio alla lista di esenzione dal visto per numerose isole dei Caraibi (Antigua e Barbuda, Bahamas, Barbados, Dominica, Grenada, Santa Lucia, Saint Kitts e Nevis, Saint Vincent e Grenadine, Trinidad e Tobago), delle Mauritius, delle Seychelles, e di alcune isole del Pacifico (Kiribati, Marshall, Micronesia, Nauru, Palau, Samoa, Salomone, Tonga, Tuvalu e Vanuatu). E’ del tutto evidente la motivazione “turistica” dei questi cambi di lista.

Un’impostazione da rivedere alla base

Peraltro è lo stesso concetto di “rifugiato politico” che andrebbe riconsiderato, includendo nei criteri le ragioni che molto spesso giustificano la scelta del migrare, come la mancanza reale di prospettive economiche, la devastante insicurezza ambientale, la crescente disuguaglianza, la corruzione delle élite… 

E il refrain razzista del “aiutiamoli a casa loro”, anche ammesso che si voglia farlo “in buona fede” e mettendo a disposizione fondi adeguati, si scontra strutturalmente con le responsabilità dei paesi ex “colonizzatori” nell’aver affidato i paesi dismessi dagli imperi coloniali a governanti del tutto inaffidabili e complici del comportamento predatorio del neocolonialismo, non molto dissimile dal colonialismo diretto del XIX secolo.

Il piano della presidente UE

I dieci punti del “piano europeo” avanzato da Ursula Von Der Leyen dopo la sua visita a Lampedusa il settembre, non presentano alcun elemento di novità. 

Il punto 1 (la promessa di un “aiuto europeo” all’Italia per affrontare una “emergenza” sostanzialmente inesistente) serve solo a mascherare la colpevole impreparazione e l’inerzia demagogica del governo Meloni, peraltro denunciata anche dai cittadini lampedusani. 

Il punto 2 (“intensificazione degli sforzi” dell’Ue per il trasferimento dei migranti verso altre destinazioni, sulla base del “meccanismo volontario di solidarietà”) è anch’esso una pia intenzione, esplicitamente vanificata non solo dai paesi “sovranisti”, ma anche da altri paesi del “cuore della UE”. 

Il punto 3 (“supporto delle strutture di Frontex per i rimpatri”), il (“aumento delle azioni per la lotta contro i trafficanti”), il 5 (“intensificazione della sorveglianza aerea e navale”attraverso Frontex), il 6 (“azioni concrete contro la logistica dei trafficanti”, garantendo il sequestro e la distruzione delle imbarcazioni utilizzate) sono tutte enunciazioni che guardano al problema dei “trafficanti” con una logica complottista, come se il fenomeno delle migrazioni di massa fossero conseguenza dell’azione dei trafficanti e non frutto della disperazione di intere comunità, e di migliaia di persone pronte proprio a tutto pur di partire. 

Il punto 7 (“aiuto del personale dell’Agenzia Ue per l’asilo” al fine di accelerare l’esame delle domande presentate dai migranti respingendo quelle prive di fondamento e rispedendo nei paesi di origine coloro che le hanno presentate) può essere utile ad accelerare la scandalosa lentezza e l’approssimazione con cui le commissioni italiane preposte esaminano le domande di asilo e di protezione, ma i suoi effetti dipendono in fin dei conti dall’esistenza o meno della volontà di fare una seria politica di accoglienza, cosa totalmente smentita dalle scelte del governo Meloni in questi mesi. 

punti 9 (“rafforzare la collaborazione con le agenzie Onu” per garantire la protezione dei migranti anche durante i rimpatri) e 10 (“attuazione del memorandum con la Tunisia”) manifestano la totale complicità della UE nei confronti dei respingimenti che vorrebbe attuare il governo italiano.

Resta il punto 8 (“offrire alternative valide alle rotte illegali attraverso il rafforzamento dei corridoi umanitari”) che potrebbe essere l’unica novità del piano, ma probabilmente destinata a restare lettera morta, nel contesto demagogico della campagna elettorale e della cinica utilizzazione della tematica per cercare di aumentare il peso politico dei vari partiti.

Le vere ragioni della politica governativa

D’altra parte, la risposta da dare alla questione “migranti” non si misura solo sul terreno “umanitario”. Per l’economia del capitalismo italiano, la possibilità di sfruttare una forza lavoro ricattabile in quanto “irregolare” è un fattore di profitto assolutamente non trascurabile e spinge costantemente contro ogni ipotesi di regolarizzazione dei flussi migratori.

Ed ha un “valore d’uso” anche politico. La continua denuncia di un “capro espiatorio”, la “narrazione” continua dell’esistenza di una “emergenza invasione” contribuiscono a distrarre l’elettorato piccolo borghese ma anche popolare dai veri problemi sociali e dalle vere responsabilità delle classi dirigenti. E, non solo, ma creano consenso attorno a chi vuole che si adottino misure repressive che in realtà poi saranno utilizzate non solo contro i migranti ma contro tutti.

Noi – e lo dichiariamo a voce alta – siamo perché venga immediatamente dato a tutte/i il permesso di soggiorno e perché si riconosca ovunque la più completa libertà di movimento.