Russia. Intervista a Ilya Budraitskis: “Questo regime non evolverà”
Lo scrittore e analista politico Ilya Budraitskis* spiega la visione della sinistra sulla governance decentralizzata e perché il Partito Comunista della Federazione Russa debba andarsene, esattamente come Putin.
L’invasione dell’Ucraina ha messo la società russa di fronte alle conseguenze di una trasformazione pluridecennale iniziata, tra l’altro, con l’introduzione da parte di Vladimir Putin di un nuovo codice del lavoro. La nuova legislazione sul lavoro, approvata nel dicembre 2001, ha limitato i diritti dei sindacati, contribuendo alla frattura sociale e alla rottura delle politiche di solidarietà. Lo storico e analista politico Ilya Budraitskis fa parte della scena politica russa di sinistra dagli anni ’90 ed è stato coinvolto nell’attivismo sindacale e in altre iniziative popolari. “Meduza” (la rivista e agenzia di notizie in russo online diretta da Galina Tímchenko con sede a Riga, in Lettonia. Censurata e osteggiata dal regime di Putin, costituisce probabilmente la maggiore espressione di giornalismo indipendente russo contemporaneo. N.d.T.) ha parlato con lui della politica della sinistra russa in tempo di guerra, del ruolo del CPRF (il Partito Comunista della Federazione Russa) nel contesto generale della sinistra russa e della sua sopravvivenza in quelle che Budraitskis definisce “condizioni di dittatura”, nonché degli obiettivi a cui gli attivisti della sinistra possono aspirare oggi per realizzare in futuro una Russia decentrata e democratica, in cui lo Stato serva davvero gli interessi della maggioranza.
D.: Quali sono gli elementi che compongono l’attuale sinistra politica russa?
R.: Dal 24 febbraio 2022, l’attuale regime russo è entrato in una fase di palese dittatura che mette in discussione ogni attività politica legale nel paese. Perciò, le organizzazioni e i movimenti politici esistenti fino a quella data si sono divisi in due grandi blocchi: uno che ha sostenuto la cosiddetta operazione militare speciale in Ucraina e un altro che ha condannato e protestato contro di essa. Lo stesso tipo di divisione si è verificata nella sinistra politica in generale. Si è trattato di uno sviluppo prevedibile che ha accentuato tendenze che si possono far risalire al 2014. La Russia di oggi ha due diversi tipi di sinistra, e dobbiamo essere chiari a quale di questi due movimenti antagonisti ci stiamo riferendo.
D.: Cominciamo con il blocco favorevole alla guerra. Quando ci riferiamo alla sinistra parlamentare dello stablishment, rappresentata dal Partito Comunista (PCFR), possiamo considerarla una vera forza di sinistra?
R.: La sinistra favorevole alla guerra è rappresentata innanzitutto dalla direzione del PCFR e da coloro che ne sostengono le posizioni. Ad esempio, il Fronte di Sinistra di Sergey Udaltsov ha adottato una posizione favorevole alla guerra e si è alleato con il CPRF. Pensano che la guerra e il conflitto con l’Occidente siano una sfida radicale al precedente modello socio-politico della Russia, sfida che condurrà inevitabilmente il paese nella direzione di quello che amano chiamare socialismo.
Il problema principale di questa posizione -senza entrare nel merito della sua moralità e fattibilità- è che non spiega quale dev’essere il soggetto della trasformazione politica verso il loro socialismo. Non possono fare riferimento alle masse o al lavoro salariato organizzato perché in Russia questa possibilità è stata sradicata. Tutta la vita politica pubblica, compresa la libertà di riunione, è stata spazzata via. Gli scioperi hanno cessato di esistere. La società russa è in uno stato di massima depressione e umiliazione. Nella Russia di Putin non c’è spazio per alcun tipo di progresso verso la giustizia sociale.
Dal punto di vista della sinistra favorevole alla guerra, il soggetto della trasformazione socialista dev’essere l’attuale élite al potere. La sua strategia, quindi, consiste nel convincere l’élite a seguire la strada delle riforme socio-economiche. Allo stesso tempo, le ragioni di queste riforme (ci riferiamo a cose come la nazionalizzazione delle principali imprese industriali o a una più equa ridistribuzione delle risorse del paese) sono le necessità oggettive di un paese che deve affrontare un conflitto esterno cruciale. Da qui l’orientamento verso un socialismo militarizzato, che comprende una pianificazione dall’alto verso il basso per soddisfare le esigenze della guerra in corso.
Nelle attuali condizioni dittatoriali, Putin è diventato l’unico destinatario di tutta la propaganda del CPRF. È lui che questo partito deve convincere ad attuare le riforme che promuove. Così, in occasione dell’incontro del presidente con le fazioni parlamentari nel luglio 2022, il presidente del CPRF Gennady Zyuganov ha dichiarato che il suo partito appoggia pienamente il percorso politico di Putin, anche se vorrebbe vedere qualche passo verso il socialismo. Putin ha risposto -con una certa riluttanza- che si tratta di un’idea interessante, ma che sarebbe bene realizzare prima qualche calcolo su come sarebbe il socialismo nella pratica.
Esistono ottime ragioni per dubitare che il CPRF e i suoi alleati possano essere definiti un’autentica forza politica di sinistra, dal momento che le premesse socialiste si basano sull’idea che siano le masse diseredate a dover riconquistare il potere politico ed economico attraverso l’auto-organizzazione delle basi. Il socialismo, in questo senso classico della sinistra, è qualcosa che viene messo in moto dal popolo, che stabilisce un nuovo ordine sociale a beneficio di molti e non di pochi.
L’attuale CPRF e i suoi alleati hanno rifiutato questa idea dato non vedono le masse interessate al cambiamento dal basso come soggetto o motore del cambiamento. L’idea di socialismo di Ziuganov non richiede alcuna partecipazione delle masse; a suo avviso, l’attività di base è in realtà indesiderabile perché il comportamento della gente comune è imprevedibile e quindi suscettibile di essere sfruttato dai nemici della Russia, che potrebbero sedurla con i loro falsi valori. È molto più sicuro portare avanti le riforme pensando agli interessi dello Stato.
D.: Il CPRF ha un potere politico reale? Anche se ha abbandonato le idee fondamentali della politica di sinistra, ha una reale influenza sulle riforme del paese?
R.: Il CPRF ha appena festeggiato in pompa magna il suo 30° anniversario. Il partito, guidato dal suo immutabile leader Gennady Zyuganov, è praticamente contemporaneo dello stesso sistema politico post-sovietico. Vale la pena ricordare che il suo posto in tale sistema è piuttosto ambiguo. Come partito della democrazia gestita non ha mai rivendicato un vero potere politico, ma ha coordinato ogni suo passo con il Cremlino e negli ultimi tempi ne ha seguito esplicitamente le direttive.
Questo partito non ha mai cercato di portare la gente in piazza. Non si concentra su ciò che accade al di fuori del parlamento; al contrario, si preoccupa di ridistribuire i seggi nella Duma Statale e nel governo regionale. In altre parole, questo partito non ha grandi ambizioni politiche. Si limita a sostenere se stesso e il proprio apparato e a fornire un trampolino di lancio per le carriere politiche.
Molte persone sono diventate governatori o rappresentanti solo perché hanno trascorso i primi anni di carriera nella gerarchia del Partito Comunista. Ad esempio, il governatore di Orël, Andrey Klychkov, o deputati della Duma di Mosca come Leonid Zyuganov, nipote di Gennady Zyuganov, o il governatore della Repubblica della Chakassia, Valentin Konovalov. Tutti loro hanno fatto carriera nel CPRF, dove hanno raggiunto la loro modesta quota di potere politico. Nell’attuale sistema politico è improbabile che il CPRF ti porti oltre il seggio di deputato o di un posticino nel governo locale.
La nicchia del CPRF nel sistema politico russo è il prodotto della sua funzione, che non è altro che quella di assorbire gli elettori dissidenti con mentalità rivendicativa alle elezioni. Chi vota per il CPRF non lo fa perché vuole far fare carriera al nipote di Zyuganov o perché il suo partito sostiene ogni nuova impresa di Putin. Votano per il CPRFR perché sono insoddisfatti della vita russa sotto diversi aspetti, in primo luogo quello sociale. Sono insoddisfatti della disuguaglianza e della povertà.
Per 30 anni il CPRF ha sistematicamente tradito gli interessi delle persone che l’hanno votato. In ogni fase della storia politica contemporanea della Russia abbiamo assistito a questo divario tra gli elettori e coloro che hanno finito per rappresentarli al governo. Si veda, ad esempio, il 2011, quando dopo le elezioni della Duma Statale, con relativi brogli a favore di Russia Unita, è stato lanciato il movimento Voto Giusto, insieme al movimento di protesta Bolotnaya. In quelle elezioni i voti sono stati rubati ai comunisti. L’opposizione liberale o non partecipò a queste elezioni o ottenne risultati molto più modesti dei comunisti. Le proteste di Voto Giusto erano soprattutto l’espressione dell’indignazione di coloro che avevano votato per il CPRF. Ma il partito non si è unito alle proteste, bensì alla persecuzione dei manifestanti.
Un altro esempio sono le elezioni della Duma Statale del settembre 2021. Grazie in gran parte alla strategia del voto intelligente sostenuta dal gruppo di Navalny, la maggior parte degli elettori dell’opposizione ha votato per i candidati del CPRF. Una parte significativa di questi candidati ha vinto nei propri distretti, ma non è riuscita a conquistare un seggio in parlamento a causa dei numerosi brogli, tra cui la manipolazione del voto online. Allo stesso tempo, la posizione della direzione del partito è stata la seguente: è vero, ci sono state alcune irregolarità, ma non così gravi da mettere in discussione i risultati elettorali o da accusare il regime.
Questa ambiguità del PCFR, un partito dell’establishment che ha attratto elettori inclini alla protesta, si è riflessa anche nella sua composizione. Il PCFR è stato una calamita per coloro che volevano prendere sul serio la politica dell’opposizione di sinistra senza inchinarsi al Cremlino, difendere gli interessi dei loro elettori e sviluppare movimenti di base. Nel corso della sua esistenza, il CPRFR ha incluso questi due gruppi in conflitto con motivazioni completamente diverse. La sua direzione, tuttavia, è sempre stata composta da collaboratori del Cremlino soddisfatti di vedere il CPRFR come un partito dell’establishment. Allo stesso tempo, le sedi locali del partito hanno spesso attirato persone con aspettative completamente diverse.
Nel 2021 questa contraddizione è diventata evidente quando la strategia del voto intelligente ha ottenuto il sostegno di candidati del CPRFR come Mikhail Lobanov a Mosca, soprattutto perché difendevano posizioni anti-establishment genuine e coerenti. Allo scoppio della guerra, solo pochi deputati della Duma Statale si sono dichiarati contrari al conflitto, ma tutti coloro che l’hanno difeso erano membri del CPRF.
D.: I militanti del CPRF sono riusciti a ottenere dei risultati nonostante questi antagonismi interni?
R.: Quando si diventa deputati municipali o regionali, si aprono alcune opportunità. Certo, sono molto limitate, dato che qualsiasi partito di opposizione, compreso il PCFR, conta comunque con una presenza minoritaria. Tuttavia, un deputato è una persona che può amplificare in modo significativo la voce delle comunità locali, come nel caso del deputato della Duma di Mosca Evgeny Stupin, che si dà il caso sia un membro del PCFR.
D.: Parliamo dell’altro campo della sinistra, quello che non ha sostenuto l’invasione. Per coloro che non sono affiliati al CPRF, quali altre opzioni di sinistra sono rimaste?
R.: Tra le organizzazioni di sinistra che hanno condannato l’invasione, ci sono alcuni piccoli gruppi che operano essenzialmente come vettori di informazione. In un contesto in cui è praticamente vietata qualsiasi attività pacifista o contro la guerra, questi gruppi rasentano l’illegalità. Le organizzazioni politiche che hanno assunto una posizione apertamente contraria alla guerra sono state costrette alla clandestinità e ora devono essere estremamente caute. Questo crea un serio problema strategico per tutti i gruppi di sinistra che esistevano in Russia prima dell’invasione, siano essi socialisti o anarchici. Ci sono diverse strategie di base che utilizzano per adattarsi alle dure condizioni di oggi.
La prima è l’azione diretta illegale, difficile da adottare se si è un personaggio pubblico. La seconda consiste nel limitare la propria attività alla propaganda in piccole comunità, come i gruppi di lettura chiusi. Infine, c’è la strategia della difesa del lavoro, che per il momento rimane legale. Parliamo del sindacato dei corrieri Courier, del sindacato dei lavoratori della sanità Deistvie e di altri sindacati più piccoli a cui partecipano gli attivisti contro la guerra.
D.: In che modo i sindacati russi sono diventati una forza politica? Questa situazione sta cambiando oggi?
R.: Iniziamo col dire che in Russia esistono sindacati ufficiali e sindacati indipendenti. Quelli ufficiali e dell’establishment ricevono pochissima attenzione da parte dei media e la maggior parte dei loro cosiddetti iscritti quasi non sospetta che siano sindacati ufficiali. Tuttavia, la loro burocrazia è enorme. La Federazione russa dei sindacati indipendenti (RFTU) ha funzionato per decenni come estensione del governo nel quadro delle relazioni industriali e come strumento di controllo dei padroni sui lavoratori. Ovviamente non hanno nulla a che vedere con i veri sindacati. Se cerchiamo dei paralleli storici, bisognerebbe parlare dei diversi regimi fascisti che avevano i loro sindacati e le loro associazioni statali di datori di lavoro e lavoratori.
Per quanto riguarda i sindacati indipendenti, le poche vie legali di attività pubblica rimaste (come la difesa dei diritti sindacali, legata alla propaganda dell’autoeducazione) sono diventate rischiose. Ad esempio, Kirill Ukraintsev, dirigente del sindacato dei corrieri Courier, è stato arrestato e imprigionato la scorsa primavera e solo recentemente è stato rilasciato.
Bisogna comunque capire che, nonostante i risultati concreti, queste organizzazioni non possono essere considerate sindacati a tutti gli effetti, poiché un vero sindacato è in grado di negoziare accordi collettivi con i grandi padroni industriali. Ma nella Russia di oggi questo è praticamente impossibile, e non solo per la pressione esercitata dal governo e dalla repressione padronale. È impossibile a causa della legislazione stessa: una delle prime misure adottate da Putin quando è salito al potere è stata l’adozione di un nuovo Codice del Lavoro che ha ridotto i poteri dei sindacati.
Ciò significa che nella Russia di oggi è praticamente impossibile fare un vero sciopero. La portata legale dei sindacati è praticamente inesistente. Associazioni come Courier, Deistvie o l’Alleanza degli Insegnanti sono iniziative eccellenti e molto importanti che operano, tuttavia, in condizioni quasi clandestine. Sono più simili a organizzazioni di supporto che a veri e propri sindacati. Per fare un confronto e vedere la differenza, basta dare un’occhiata alle proteste per la riforma delle pensioni in Francia.
D.: E gli anarchici? Sono stati a lungo bersaglio della repressione statale, ma stanno crescendo i movimenti anarchici come risposta all’invasione? Sono loro ad organizzare i sabotaggi ferroviari e a bruciare gli uffici di reclutamento?
R.: Abbiamo pochissime informazioni su chi ci sia realmente dietro queste iniziative. Non ho dati sul fatto che i movimenti anarchici stiano crescendo o diminuendo, perché operano sotto una pressione molto forte e de facto in clandestinità. Ed è molto difficile crescere in clandestinità.
Il regime ha lavorato duramente per ridurre l’indomabile influenza degli anarchici sulle giovani generazioni della popolazione russa. Circa un decennio fa, in Russia si era affermata un’importante sottocultura antifascista, sostenuta in modo considerevole da alcune idee anarchiche. La sua influenza era molto palpabile. Il regime ha investito molti sforzi per schiacciare questa atmosfera antifascista. Questo ha portato al processo contro La Red e a molti altri casi penali a sfondo politico. Il regime è riuscito a liquidare un movimento più o meno massiccio eliminando i suoi principali attivisti.
È chiaro che una parte di quell’elemento antifascista è sopravvissuta e ha dato vita a gruppi militanti. La questione rilevante non riguarda tanto il presente quanto il futuro: quanto di ciò che questi gruppi fanno oggi continuerà ad avere senso in futuro? Azioni isolate, per quanto eroiche, non sono in grado di farla finita con l’attale situazione. Ma credo che se la società russa optasse per un movimento popolare contro la guerra, tutte le forze disponibili, comprese quelle già esistenti, sarebbero benvenute.
D.: È vero allora che nessun movimento di sinistra può crescere in modo significativo nel 2023? Al contrario, non è questo il momento perfetto per aspirare a crescere?
R.: Penso che le condizioni dittatoriali, per principio, non lascino spazio ai diritti politici e civili. Non consentono alcun tipo di attività politica legale, il che impedisce a questi movimenti di acquisire nuovi seguaci o di diffondere attivamente il loro messaggio nella società.
La questione è se dalla società russa possa emergere un cambiamento abbastanza serio da generare un nuovo tipo di politica, e anche cosa la sinistra stessa abbia da offrire in termini di sviluppo del paese dopo Putin. Questo è il compito principale che la sinistra e qualsiasi gruppo di opposizione in Russia deve affrontare in questo momento, e significa che ciò che si sta facendo ora è un calcolo a lungo termine e non ad effetto immediato.
D.: Come intende la sinistra russa la decolonizzazione e come dovrebbe essere in Russia?
R.: È una domanda complicata perché, da un lato, esiste il termine decolonizzazione così come viene inteso nel contesto degli studi postcoloniali e, dall’altro, esistono questioni pratiche sul futuro politico della Russia dopo l’impasse in cui si trova attualmente. Ed entrambe le cose non hanno nulla a che fare l’una con l’altra. Quindi forse è meglio concentrarsi sull’attuale assetto politico della Russia, radicato nel suo passato imperiale.
In primo luogo, la guerra si basa sul revisionismo storico e sull’idea che non sia possibile un’esistenza autentica per la Russia all’interno dei suoi attuali confini. Secondo il regime, i confini della Russia devono avanzare costantemente per recuperare le terre che si suppone siano storicamente russe. Purtroppo, questa linea di pensiero ha una certa tradizione: non è stata inventata da Putin, ma è condizionata dall’intera eredità imperiale prerivoluzionaria della Russia e dall’esperienza sovietica dell’era di Stalin e del dopo-Stalin.
Questa tradizione si è già radicata nella coscienza di gran parte della popolazione, ed è questo che rende la propaganda così efficace. Affinché la Russia post-Putin possa vivere in pace con i suoi vicini senza minacciare altri paesi -compresi gli Stati post-sovietici e dell’Europa orientale- è necessario rivedere le basi della mentalità imperiale. Dobbiamo risolvere non solo il nostro presente, ma anche il nostro passato e il modo in cui i cittadini vedono la storia della Russia e le sue relazioni con i paesi vicini. Questo è il primo punto.
Il secondo punto ha a che fare con l’attuale status ufficiale della Russia come federazione, mentre in realtà si tratta di uno Stato ipercentralizzato in cui Mosca si appropria di tutte le risorse e le distribuisce nelle regioni a seconda del loro grado di fedeltà politica al regime. È questo che determina le politiche russe nei confronti delle minoranze autoctone, poiché il Cremlino considera una minaccia la sola esistenza di identità non russe all’interno del paese. Da qui la soppressione delle lingue indigene e dei residui di autonomia nelle regioni con significative popolazioni indigene non russe.
Queste politiche sono rimaste in vigore per tutto il ventennio di Putin e sono direttamente collegate alla natura centralista e moscovita di questo regime e all’assenza di una vera democrazia nel paese. In questo senso, è imperativo rivedere seriamente il ruolo di Mosca nella governance russa.
D.: Questo implicherebbe necessariamente la disintegrazione della Russia come un’unica entità politica?
R.: La Russia che conosciamo oggi impedisce lo sviluppo delle sue regioni applicando il potere coercitivo e il denaro. Non ha altri programmi positivi da offrire alle regioni. Quindi, quando il potere politico del regime inizierà a scemare e il denaro smetterà di fluire -e questo accadrà nel prossimo futuro- vedremo emergere forze centrifughe all’interno del paese.
I risultati di questa dinamica non saranno del tutto tranquillizzanti per chi vive nelle regioni. Se vogliamo preservare uno spazio politico comune -non nel senso che sia legato a un unico potere politico, ma nel senso di un ambiente che permetta una sorta di scambio umano interculturale- dobbiamo pensare ai valori, alle idee e ai principi che la Russia in quanto tale può offrire alle regioni. Idee di tolleranza, uguaglianza, politiche sociali ben sviluppate e il diritto delle regioni a gestire le proprie risorse aiuterebbero a preservare questo spazio sotto forma di federazione o di comunità di paesi.
Se continuiamo a negare che la centralizzazione sia un problema, se continuiamo a cercare di costringere le regioni etniche ad adottare il modello unico assimilativo con la motivazione che ogni segno di unicità è una minaccia per lo Stato e per la sua integrità, questo porterà alla disintegrazione. Se la Russia continua sulla strada attuale, è possibile che finisca in uno scenario di disintegrazione molto duro. Ma è anche possibile cambiare questa rotta ed evitare la disintegrazione.
D.: Qual è l’atteggiamento generale dei russi nei confronti della politica di sinistra? In che misura questi movimenti hanno costruito una base per il futuro?
R.: I politici di sinistra hanno avuto un certo successo nella Russia post-sovietica. Ci sono, ad esempio, le vittorie elettorali di Mikhail Lobanov e altri, così come tutta una serie di carismatici deputati municipali come Sergey Tsukazov, già capo del distretto municipale moscovita di Ostankino. Oppure il ruolo della politica di sinistra nei movimenti sociali popolari, come le proteste ambientali di Shies nella regione di Arkhangelsk. Poi c’è il lavoro dei sindacati indipendenti e il loro ruolo in determinate vittorie locali, come l’efficace lavoro della Confederazione sindacale per reintegrare decine di dipendenti della metropolitana di Mosca licenziati illegalmente nel 2021.
Nell’ultimo decennio la Russia ha presentato una duplice dinamica. Da un lato, abbiamo assistito a un crescente impegno politico tra i più giovani, a un aumento dei movimenti popolari e delle proteste politiche e a una partecipazione attiva alle campagne elettorali e alle elezioni. Dall’altro lato, abbiamo assistito alla crescita dell’apparato repressivo dello Stato e alla sua costante pressione su questa società che si sta risvegliando. Tutto ciò che il regime ha fatto in risposta alla Rivoluzione di Maidan in Ucraina fino all’inizio dell’invasione, ha perseguito non solo obiettivi di politica estera ma anche obiettivi interni. L’obiettivo principale del regime era quello di reprimere completamente la società, frammentando la popolazione e instillando un’atmosfera di panico e terrore nei confronti di qualsiasi attività politica.
Tutto ciò che è accaduto nell’ultimo decennio nella politica russa di sinistra rientrava in questa duplice tendenza. La situazione che abbiamo raggiunto il 24 febbraio 2022 può essere considerata il trionfo dello Stato sulla società in questo particolare periodo storico. E dato che la sinistra si schiera sempre dalla parte della società in opposizione allo Stato, questo trionfo è anche una sconfitta per il movimento di sinistra.
Non sono un sociologo e non posso presentare dati concreti, ma in base alla mia esperienza personale, anche come attivista, posso dire che la maggioranza dei russi considera la disuguaglianza sociale e la mancanza di equità la questione politica principale. La maggioranza assoluta delle persone sarebbe favorevole alla ridistribuzione delle risorse e della ricchezza. Concorderebbero anche sul fatto che la Russia deve diventare un vero e proprio Stato sociale che opera nell’interesse della maggioranza. Ecco perché l’agenda della sinistra è così importante su tali questioni.
Anche i successi del più volte arrestato Alexey Navalny hanno molto a che vedere con l’adozione di alcuni elementi dell’agenda di sinistra nella sua retorica anticorruzione. Direi che la maggior parte degli spettatori si rende conto che i video di Navalny non riguardano solo i funzionari statali corrotti. Si tratta in realtà di come una minoranza insignificante si sia accaparrata tutta la ricchezza di un paese altrimenti indigente. Si tratta di una situazione palesemente ingiusta. Che i funzionari si arricchiscano legalmente o illegalmente è l’ultima cosa che conta per il popolo: le leggi che hanno permesso a questo gruppo di usurpare la ricchezza sono state dettate dagli stessi usurpatori.
Un altro aspetto importante della tradizione di sinistra è il suo orientamento verso la democrazia, e non solo formale. Per la sinistra politica, la democrazia non consiste solo nel far funzionare le istituzioni elettorali. Riguarda il modo in cui la gente comune può partecipare alle decisioni che riguardano la propria vita. Il socialismo, così come concepito dai suoi fondatori circa 150 anni fa, era una visione internamente coerente della democrazia spinta ai suoi limiti logici. Era un’idea di democrazia come regola della maggioranza non solo in politica, ma anche in economia. Ecco perché le richieste democratiche che sono state così importanti per la società russa negli ultimi decenni -richieste di elezioni eque, libertà di riunione, sindacati liberi e diritto di sciopero- sono endemiche della sinistra politica.
Credo che se la Russia avesse mantenuto una vera vita politica pubblica, con la creazione di un partito legale di sinistra che avesse potuto partecipare alle elezioni, avremmo già visto un periodo di massimo splendore della politica di sinistra in questo paese. Nell’ultimo decennio c’erano tutte le condizioni per questo e anche le masse vedevano di buon occhio questa possibilità.
D.: Oltre alla repressione statale, sono esistiti altri fattori che hanno impedito ai movimenti di sinistra di penetrare più a fondo nella società?
R.: Nonostante le pretese di democratizzazione e giustizia sociale della società russa, la maggior parte di essa rimane politicamente passiva. La gente si è dimostrata impreparata all’azione, e non credo che ciò sia dovuto solo alle difficoltà poste all’auto-organizzazione dal basso o alla paura della repressione.
In una società puramente di mercato, in cui ognuno pensa a se stesso, in cui il denaro è sinonimo di potere e in cui tutti mirano a una strategia di sopravvivenza personale, qualsiasi indicazione che riguardi l’interesse comune suona come un’assoluta sciocchezza. Questo buon senso russo prebellico ha ostacolato l’agenda della sinistra e qualsiasi auto-organizzazione di base. Gli attivisti russi hanno avuto difficoltà a spiegare perché gli inquilini di un condominio dovrebbero costituire un comitato per difendere i loro diritti contro le società di gestione locali. Anche i lavoratori hanno difficoltà a capire cosa significhi una lotta collettiva organizzata per i diritti comuni. Al contrario, si chiedono se la lotta non porti loro più problemi che benefici. Questa è stata la realtà in Russia, che è stata in gran parte responsabile dell’apatia di cui siamo stati testimoni e della vulnerabilità della popolazione alla propaganda militarista.
D.: La preoccupazione della sinistra per le lotte contro la disuguaglianza sembra allontanarla dalla gente. Allo stesso tempo, la sinistra non propone alcuna riforma sistemica, né economica né di altro tipo. Non è corretta questa visione?
C’è un problema reale nel fatto che gli attivisti si concentrino su questioni pratiche e quotidiane. È più facile motivare le persone quando c’è qualcosa che possono fare qui e ora. Di solito è una cosa positiva, perché gli attivisti riescono spesso ad aiutare qualcuno. Allo stesso tempo, la fissazione sul qui e ora allontana gli attivisti dalla concettualizzazione di programmi e proposte politiche, dalla produzione di un’elaborata interpretazione complessiva che spieghi la realtà sociale. Ma la gente comune ha bisogno di tali narrazioni.
E’ chiaro che l’ossessione dei russi per YouTube e per qualsiasi mezzobusto televisivo ha a che vedere con questa necessità di una visione globale del mondo: per capire cosa devono fare, le persone hanno bisogno di qualcuno che colleghi tutti gli eventi e gli avvenimenti in un quadro olistico coerente. In genere, le persone che sono completamente immerse nell’attivismo non sono in grado di offrire un quadro del genere. O non pensano che sia così importante, o non hanno tempo o risorse. Questo è dannoso per il movimento di sinistra così com’è oggi in Russia.
Ma non è solo un problema di come poche persone sviluppano programmi politici su larga scala. Le proposte che si allontanano dalla pratica e dai movimenti popolari reali finiscono per diventare astratte. Quando gli economisti liberali, ad esempio, parlano di “come riformare la Russia”, di solito lo fanno con una certa chiarezza su come farlo: “Putin dovrebbe essere sostituito da un Evgeny Chichvarkin immaginario che possa trasformare l’economia come meglio crede”. Per la sinistra, la questione di come farlo è radicalmente diversa. Si tratta di come riformare il sistema politico in modo che sia al servizio della maggioranza. La risposta a questa domanda non può essere anticipata o ottenuta attraverso un esperimento intellettuale.
Lenin diceva che non avremmo mai potuto sapere com’era il socialismo nella pratica fino a che le masse no si fossero messe all’opera. E continua ad essere vero per il movimento della sinistra. Non sapremo esattamente com’è una società giusta fino a che questa idea non arrivi a milioni di persone e le masse decidano che vogliono vederla realizzata nella pratica.
P.: Come possiamo sapere quali obiettivi a lungo termine devono essere prioritari nelle politiche della sinistra russa? Su cosa devono insistere i politici se vogliono essere ascoltati?
R.: La sinistra deve imparare la lezione e trarre conclusioni da quanto è successo nel paese. Dobbiamo avere ben chiaro che questo regime non evolverà. Non cambierà attraverso meccanismi interni; è necessaria una trasformazione assolutamente radicale. Questa trasformazione si darà quando la Russia viva una crisi di governabilità accompagnata da una volontà attiva di cambiamento dal basso.
E’ per questo che la sinistra deve riflettere su come pensa partecipare ad un futuro movimento di massa. L’attuale regime ha fatto sì che il cambiamento sia impossibile nel quadro istituzionale vigente. Il paese avrà bisogno di una nuova costituzione, di nuove leggi, di nuovi partiti politici, ed il PCFR, molto probabilmente, finirà nella spazzatura della storia insieme al resto dell’attuale sistema politico.
Sarà necessario rivedere le privatizzazioni del passato, che costituiscono le fondamenta dell’attuale regime in Russia. Sarà necessaria una revisione radicale delle politiche sociali, smantellare la legislazione del lavoro istituita da Putin, creare una fiscalità progressiva, nuove politiche di bilancio per l’educazione e la sanità che adesso vengono finanziate col contagocce.
Oltre a tutto ciò, quello di cui la società ha bisogno non è solo una redistribuzione delle risorse ma una revisione di tutta la filosofia che puntella le politiche sociali nella Russia di oggi. Attualmente queste politiche si reggono su un principio di efficienza: le università, gli ospedali ed i musei sono agenti del libero mercato che devono generare utili e finanziarsi da soli. Le istituzioni improduttive vengono chiuse, cosa che garantisce che lo Stato non debba accollarsi perdite economiche. Bisogna farla finita con l’assioma che lo Stato deve sempre ottenere profitti, che deve guadagnare più di ciò che spende. Tutta la sfera d’influenza del welfare dev’essere determinata dalle necessità della società e non dalla produttività o dalla redditività del mercato.
Allo steso tempo dev’esserci un programma per l’eguaglianza di genere, bisogna abrogare tutte le leggi anti-LGBT ed elaborarne di nuove contro la violenza domestica. Bisogna stabilire un programma speciale affinché la Russia sia un’autentica federazione, che permetta ai governi locali di gestire i bilanci regionali. Dobbiamo anche permettere che le minoranze etniche sviluppino le loro lingue e le loro culture, senza le quali si costringono dette minoranze in una posizione di impotenza e di vittimismo.
Tutti questi obiettivi si legano definitivamente alla decentralizzazione della governance in Russia. Che forma possa adottare tutto ciò è una questione aperta, ma sono convinto che la decentralizzazione è direttamente connessa alla democrazia. Quanto più potere abbia la popolazione a livello locale e meno ne abbia il centro, più durature saranno in futuro le istituzioni democratiche in Russia.
*Ilya Budraitskis (1981) è uno storico, militante ed attivista culturale. Nel 2009 si è dottorato all’Istituto di Storia Mondiale dell’Accademia Russa delle Scienze, a Mosca. Dal 2001 al 2004 ha partecipato all’organizzazione dell’attivismo russo attraverso le mobilitazioni contro il G8, nei Forum Sociali Europei e Mondiali. Dal 2011 è militante e portavoce del Movimento Socialista Russo. E’ membro del consiglio editoriale di Moscow Art Magazine e collabora regolarmente con numerosi siti web di contenuto politico e culturale.