Primo maggio: poca festa, ma lotta sul serio
Nonostante le grandi difficoltà, le numerose sconfitte e la presenza di regimi autoritari e repressivi in tante parti del mondo, milioni e milioni di lavoratrici e di lavoratori scenderanno in piazza nella giornata del primo maggio per affermare i loro bisogni e i loro diritti, testimoniando ancora una volta la necessità dell’unità internazionalista degli sfruttati e degli oppressi, delle proletarie e proletari.
Qui in Europa gli occhi saranno rivolti in primo luogo a quanto avviene il I maggio a Parigi e in Francia dove è in corso da mesi un durissimo scontro tra la classe lavoratrice e il governo borghese capitalista di Macron, uno scontro sempre più politico complessivo che ha prodotto una vera crisi generale del sistema dominante. La posta in gioco è molto alta.
Nel nostro paese le lavoratrici e i lavoratori devono affrontare il governo più di destra e reazionario della storia della repubblica, nemico giurato degli interessi e dei diritti della classe operaia, un nemico molto pericoloso e fino ad oggi troppo sottovalutato da molti, non comprendendo che il governo Meloni se da una parte è la continuità delle scelte economiche dei governi capitalisti precedenti, nello stesso tempo costituisce un salto di qualità politico, sociale ed ideologico dell’offensiva capitalista.
Infatti devi essere un governo non solo reazionario, ma anche un “poco” fascista, in ogni caso fortemente nemico dei lavoratori e totalmente amico dei padroni, se scegli il giorno del primo maggio per decretare una legge che toglie il pane di bocca ai più deboli e colpisce al cuore il lavoro liberalizzando sempre più i contratti precari e reintroducendo i minijob e i voucher. [1]
Questa, della Meloni, è una vera e propria provocazione antioperaia che deve trasformare, più che mai, la giornata del I maggio da una festa a una lotta molto dura già nelle prossime settimane non solo per respingere le misure governative, ma per creare le condizioni per cacciare il più presto possibile il governo delle estreme destre.
I maggio: natura e strumento di una giornata simbolo
Il Primo maggio, nato come giornata internazionale di lotta delle lavoratrici e dei lavoratori, è il simbolo, ma anche uno strumento della battaglia delle classi lavoratrici contro un sistema capitalista da sempre portatore di sfruttamento, oppressione, ingiustizia, violenza, guerre e distruzione della natura. Rappresenta sul piano sociale e politico, l’organizzazione in quanto classe delle lavoratrici e dei lavoratori. Pone in primo piano l’unico soggetto sociale che per la sua collocazione nei rapporti di produzione può costituire, se acquisisce organizzazione, forza collettiva e coscienza politica, unendo tutti gli sfruttati ed oppressi, l’alternativa al sistema capitalista. E’ stato, come ha dimostrato le lotta vittoriosa della Resistenza contro il nazifascismo, ed è indispensabile per garantire all’interno della stessa società capitalista borghese un quadro democratico e una vita sociale minimamente civile; non a caso il suo indebolimento e le sue sconfitte vanno di pari passo anche con uno svilimento della democrazia, l’affermarsi di forme autoritarie e verticiste del potere e lo sviluppo delle forze reazionarie e fasciste in tante parti del mondo, a partire dall’Europa stessa. Mai come oggi è necessario che il movimento internazionale della classe lavoratrice torni protagonista della battaglia per una alternativa di giustizia sociale, di una vera democrazia dispiegata, di preservazione dell’ambiente, nella prospettiva indispensabile della costruzione di una società ecosocialista, alternativa alle tante barbarie del capitalismo, il “sol dell’avvenire” del XXI secolo.
E la società capitalista in Italia, in Europa e nel mondo, nelle sue contraddizioni ed oppressioni, impone con sempre maggiore urgenza che le classi lavoratrici tornino protagoniste, costruiscano le lotte e l’unità necessarie per difendere le loro condizioni di vita e di lavoro, i loro diritti sociali e politici, la preservazione stessa del pianeta di fronte alla folle corsa distruttiva delle classi dominanti allo sfruttamento del lavoro e della natura.
Il mondo capitalista produce barbarie
In Italia abbiamo un governo delle destre estreme che vede al comando quelle forze che la vittoria della Resistenza aveva sconfitto. Nei loro atti e nella loro propaganda ideologica non fanno mistero dei progetti di costruire sempre più al servizio dei padroni una società di classe, di totale sfruttamento capitalista, di penalizzazione dei più deboli, di negazione dei diritti sociali e civili, una società intrisa di razzismo, sessismo, nazionalismo, di riarmo militare imperialista, di restaurazione reazionaria mantenendo contemporaneamente la piena continuità con le politiche liberiste dei precedenti governi. Il governo della Meloni si fa interprete di quel desiderio, da sempre espresso dai padroni, che nessun “laccio o lacciuolo”, ponga ostacolo, al loro pieno utilizzo e sfruttamento della forza lavoro.
Sul piano Europeo le elites politiche capitaliste e le loro istituzioni, dopo la fase complessa e contradditoria degli anni della pandemia, che aveva messo in discussione il loro impianto economico e finanziario, si apprestano a ritornare all’antico, cioè a una nuova fase di austerità accentuata, caratterizzata dalla lotta all’inflazione, dalle norme di bilancio che penalizzano la spesa sociale a garanzia di profitti e rendite e da una strumentazione economica ed istituzionale coercitiva automatica nei confronti dei singoli paesi per il rientro dai debiti. A pagare il conto, come prima e più di prima, non sono chiamate le classi ricche ed agiate, che anzi continueranno a lucrare ed arricchirsi, ma le classi lavoratrici.
Come se non bastasse il mondo è dominato dallo scontro tra i diversi imperialisti che si misura sempre più non solo sul terreno economico, ma con segni di guerra, non solo fredda, ma anche nella sua forma esplicita e violenta. La corsa al riarmo in atto da alcuni anni, ha trovato un nuovo terribile slancio con la brutale invasione dell’Ucraina da parte della Russia neozarista di Putin nel suo tentativo di ristabilire il vecchio dominio imperiale e nel suo scontro geopolitico capitalista con gli Usa (e con l’alleanza della Nato), a sua volta più che mai impegnata a mantenere il sua posizione egemonica nel mondo nel confronto non solo con la Federazione Russa, ma con la nuova potenza emergente, la Cina.
A questi scontri tra gli imperialismi maggiori, partecipano in diverse forme e con un ruolo anche rilevante le potenze capitaliste regionali, molte volte autoritarie e/o dittatoriali volte a garantirsi uno spazio economico e geopolitico.
A fare le spese di queste contraddizioni capitaliste e dei conflitti interimperialisti (quello che abbiamo chiamato il caos geopolitico) sono più che mai i diritti dei paesi più deboli, a partire oggi da quello ucraino (ieri sono stati l’Iraq, l’Afghanistan e molti altri con l’intervento americano), il cui popolo è martoriato da un anno dai terribili bombardamenti russi; più in generale ad essere colpiti sono i diritti alla autodeterminazione di tutti i popoli, comprese le minoranze dei singoli paesi. Ma soprattutto ad essere colpite in questo contesto sono le condizioni delle classi lavoratrici e popolari di tutti i paesi, a partire naturalmente da quelle coinvolte oggi nella guerra, ucraine e russe, che pagano un prezzo enorme con la continuazione della guerra, segnata dal macello di una interazione di giovani, una guerra a cui nessuno dei dominanti ad oggi sembra voler porre fine. Lo stesso utilizzo delle armi nucleari, fino a poco tempo fa ancora considerato un tabù insormontabile, sembra oggi superato nelle dichiarazioni di alcuni dei padroni del mondo.
Porre fine alla guerra che porta con sè ogni nazionalismo reazionario estremo e lo sviluppo delle estreme destre in tutti i paesi, è più che mai nell’interesse delle classi lavoratrici.
In questo contesto le stesse deboli misure stabilite per contrastare il riscaldamento globale e la distruttiva crisi climatica, sono passati in secondo piano, dimenticate e disattese, in ogni caso travolte dagli avvenimenti della guerra e dalla corsa al riarmo. Solo che i processi di deterioramento delle condizioni del pianeta continuano con tempi anche più accelerati di quelli previsti e l’umanità corre verso dinamiche climatiche che possono diventare inarrestabili, cioè verso il baratro.
Lo sguardo sulla condizione della classe lavoratrice in Italia
Per guardare alla condizione delle classi lavoratrici in Italia, occorre sottolineare che nessun aspetto delle loro condizioni economiche e sociali è al riparo dagli attacchi delle forze padronali e dei loro governi.
I livelli salariali nel nostro paese sono tra i più bassi di tutta l’Europa, pensioni e stipendi sono stati taglieggiati da una inflazione superiore al 10%, i livelli di sfruttamento nei luoghi di lavoro sono sempre più feroci ed inaccettabili, il disprezzo per le misure di sicurezza, tanto più accentuate dalla precarietà produce tre omicidi al giorno sul lavoro, una strage terribile ed inaccettabile per ogni paese civile, l’età della pensione è la più alta oggi in Europa grazie alla controriforma Fornero tanto criticata in campagna elettorale dalla stessa Meloni, mai corretta e sempre più agente e gli assegni previdenziali sono molte volte da miseria (soprattutto per le donne), i diritti sociali del welfare sono sempre più degradati e rimessi in discussione; in particolare siamo di fronte allo smantellamento vero e proprio della sanità pubblica di cui non ci si rende ancora pienamente conto, ma che colpisce al cuore il diritto alla salute per tutte le/i cittadine/i. Nella stessa direzione sul terreno della scuola, una scuola sempre più competitiva e di classe, che punta a cancellare una delle più importanti battaglie democratiche e civili degli anni ’60 del movimento dei lavoratori. L’autonomia differenziata prospettata fa a pezzi non solo il paese, ma in primo luogo la condizione delle classi proletarie. Sul piano macroeconomico, risorse immense sono state spostate dalla collettività verso i profitti e le rendite finanziarie. [2]
E con i personaggi di questo governo è fin troppo chiaro che si preparano nuovi attacchi ai diritti all’autodeterminazione delle donne.
Una particolare sottolineatura va fatta sulle politiche violente contro i migranti, politiche inumane e razziste portate avanti già dai governi del centro sinistra e “perfezionate” da Salvini e poi dal governo delle destre. Il Mediterraneo è stato trasformato in un immenso cimitero dalla Fortezza Europa con un ruolo centrale dell’Italia; i nostri governi si sono distinti nella combinazione invereconda tra politiche di respingimento e sfruttamento selvaggio (con negazione dei diritti) delle lavoratrici e dei lavoratori migranti presenti nel nostro paese. [3]
Non c’è altra strada che la lotta per i nostri bisogni e diritti e contro il governo
Abbiamo sostenuto, già con i precedenti governi, ma tanto più con il governo delle destre estreme che il movimento sindacale, espressione primaria dell’organizzazione della classe lavoratrice, compresi quindi le/i disoccupate/i, avrebbe dovuto costruire una vasta mobilitazione di lotta per contrastare tutte le piaghe di Egitto prodotte dai padroni, strumento indispensabile per unire tutti le/gli sfruttate/i e oppresse/i e ricostruire un blocco sociale capace di respingere e sconfiggere il rullo compressore capitalista.
Dobbiamo riaffermare nelle piazze del primo maggio questa necessità di lotta, dobbiamo farla crescere in tutti i luoghi di lavoro e nelle stesse parzialissime mobilitazioni indette dalle tre confederazioni. Serve una mobilitazione forte, ampia, discussa nei luoghi di lavoro, che denunci con forza chi sono i nemici delle lavoratrici e dei lavoratori, che ricostruisca coscienza di classe e volontà di organizzazione, che costruisca cioè le condizioni dello sciopero e dello sciopero generale.
Questa nuova coscienza, questa ribellione e rivolta sono già cominciate in altri paesi di Europa, in particolare in Francia, ma anche in Inghilterra e Germania. Dobbiamo fare come in Francia!
L’unità delle lavoratrici/tori al di sopra delle frontiere contro i comuni nemici capitalisti non solo è necessaria, ma è oggi possibile e praticabile, ma occorre volerla realizzare; il primo maggio è per definizione e vocazione l’unità delle lavoratrici e dei lavoratori al di sopra delle frontiere, contro le divisioni nazionali, etniche, regionali, tra nativi e migranti, cioè contro tutte le forme di divisione che le classi dominanti usano per impedire le lotte della classe operaia.
I contenuti di una piattaforma rivendicativi unitari e di lotta sono molti, ma anche semplici.
Me risottolineiamo alcuni:
- L’aumento generalizzato dei salari (almeno 300 euro netti per tutte/i) e delle pensioni e il salario minimo legale.
- La riduzione generalizzata dell’orario si lavoro a parità di salario.
- L’abolizione di tutte le norme che determinano la precarietà, cioè la legge 30 con il Decreto 276 di inizio secolo, poi “perfezionato” dal Jobs Act di Renzi e le nuove misure di Meloni e compari.
- L’abolizione delle norme che favoriscono la delocalizzazione delle aziende.
- L’abrogazione di tutte le norme repressive dei conflitti sociali e delle libertà civili.
- Il rigetto di ogni forma di autonomia differenziata.
- Il blocco degli sfratti.
- Indispensabile riconquistare la scala mobile dei salari che fino agli inizi degli anni ’90 aveva difeso i salari.
- Un forte imposizioni fiscale sulle grandi ricchezze, ma anche un vera riforma fiscale progressiva. Una drastica riduzione delle spese militari.
Sono misure indispensabili per garantire le risorse della spesa pubblica, cioè forti investimenti per la scuola e la sanità, ma anche i trasporti e l’assistenza sociale, fondamentali per il benessere di tutta la classe lavoratrice e di ogni settore popolare.
Il primo maggio è di lotta, come è stato fin dal primo giorno
1 Vedremo se il presidente Mattarella che proprio in questi giorni ha denunciato pubblicamente la precarietà del lavoro firmerà anche questo decreto, come ha fatto per altri nel passato, confermando la forbice che esiste tra qualche sua buona dichiarazioni formale, con cui mantiene una ampia popolarità, e la realtà delle misure governative che vengono avallate dalla sua carica, espressione, per dirla chiaramente, dalla ben conosciuta ipocrisia democristiana.
2 Per riprendere dal Manifesto. “ Imprenditori, “capitani coraggiosi”, manager, appaiono allineati e soddisfatti. Per loro la pacchia non è finita. Già con i decreti aiuti (Conte 2 e Draghi) mei portafogli aziendali sono confluiti 100 miliardi a fondo perduto e altre 300 a prestiti agevolati con garanzia statale. Con l’attuale governo piovono sgravi fiscali e contributivi, condoni, depenalizzazioni dei reati tributari”. In questo modo anche i privilegi e le rendite di posizioni di piccola e media borghesia sono preservati. Aggiungiamo poi anche i 10 miliardi sottratti alle pensioni nei prossimi 3 anni e i tagli a sanità e scuola. In realtà i regali ai padroni sotto diverse forme, sono cominciati molto prima, da almeno 30 anni, e spiegano le terribili diseguaglianze sociali tra la “razza padrone” e la stragrande maggioranza delle/dei cittadine/i.
3 Pochi giorni fa la Meloni ha fatto visita al Primo ministro inglese Sunak. Tra la nostra borgatara romana, già segretaria dei giovani missini e il ricchissimo rappresentante dell’’upper class” inglese, grande accordo e piena convergenza sul bastonare i migranti…. Bella accoppiata.