I vecchi e i nuovi nemici della classe lavoratrice

Le fosche previsioni dei sondaggi elettorali delle scorse settimane sono state confermate appieno dal voto del 25 settembre che assegna la vittoria all’estrema destra di FdI, capofila largamente egemone della coalizione delle destre che disporrà di una forte maggioranza in tutte e due i rami del Parlamento.

Siamo di fronte a una situazione politica e sociale che pone gravi interrogativi all’insieme del movimento delle lavoratrici e dei lavoratori, alle forze sindacali che queste organizzano, e a tutte le forze politiche e sociali che ad esso fanno riferimento.

Siamo infatti in presenza di una svolta storica per il nostro paese da diversi punti di vista.

In primo luogo non può essere sottaciuta la dimensione dell’astensione, cresciuta di quasi 10 punti ulteriori rispetto al record negativo già di 4 anni fa e che supera ormai il 35%, con punte che si avvicinano addirittura al 50% in alcune regioni del Sud.

In questo dato tutta la profondità della crisi sociale, la disperazione e la rabbia di settori di massa, l’accentuata frammentazione del corpo sociale, non solo disillusione di fronte alle politiche condotte da governi che si sono succeduti, ma anche il venir meno della speranza di poter cambiare la propria condizione sociale.

In secondo luogo il fatto che la macerazione della crisi, le politiche liberiste dell’austerità, la mancanza di risposte del movimento sindacale delle classi lavoratrici, alcune volte dopo vari passaggi di riferimento politico, hanno spinto alcuni milioni di persone ad approdare col voto ad una forza di estrema destra come FdI. La vittoria di Fratelli d’Italia, cioè degli eredi, più o meno dichiarati, di quella che è stata la pagina storica più negativa del nostro paese, con le loro concezioni reazionarie e fascisteggianti e la loro natura profondamente nemica del movimento dei lavoratori e delle sue organizzazioni, costituisce un grave pericolo che non può essere sottovalutato; modificherà in profondità la vita del paese e obbliga da subito tutte le forze di alternativa a un forte cambio di passo. L’arrivo al governo di questo partito si profila a 100 anni dalla marcia su Roma e della conquista del potere da parte di Mussolini.

Mentre tutti gli altri principali partiti politici, perdono centinaia di migliaia o anche milioni di voti rispetto alle elezioni di 4 anni fa, pur di fronte a un aumento degli aventi diritto, il partito della Meloni passa da poco meno di un milione e mezzo di voti (4%) ad oltre 7 milioni di voti (26%).

FdI ha costruito questo successo soprattutto nel corso del governo di unità nazionale di Draghi, presentandosi come l’unica forza di opposizione, anche se molto più di facciata che di sostanza. A riprova che l’agenda Draghi non era per nulla popolare e che milioni di cittadini sono stati indotti ad astenersi o sono stati spinti ancor più a destra da questa esperienza. L’ascesa della Meloni svuota infatti la Lega di Salvini che viene sopravanzato da FdI anche in alcuni regioni del Nord, suo tradizionale feudo politico ed elettorale. Anche Forza di Italia di Berlusconi subisce rispetto al 2018 una significativa perdita di voti, pur riuscendo a mantenere una presenza elettorale significativa.

I voti (oltre 12.200.000) del centro destra del 2022 sono infatti di poco superiori a quelli del 2018, ma la differenza politica, la modifica storica sta nella totale egemonia della forza erede del MSI, che sconvolge l’intero quadro politico emerso nel secondo dopoguerra.

Esiste un terzo elemento che porta a segnalare il carattere storico degli attuali avvenimenti italiani, è che la vittoria dell’estrema destra si inserisce in un quadro internazionale caratterizzato da numerosi e consistenti avanzamenti politici ed elettorali di forze più o meno apertamente fasciste e di estrema destra in diversi paesi europei che focalizzano la profonda crisi del sistema capitalista e dei loro sistemi democratici ed istituzionali.

Il distorcente sistema elettorale (una vergogna antidemocratica ed anticostituzionale) del Rosatellum, voluto dal PD e da Forza Italia e votato anche dalla Lega, permette a una coalizione che non dispone della maggioranza assoluta (ha ottenuto il 44% dei voti), di ottenere una larghissima maggioranza di seggi nelle due Camere. La rappresentanza parlamentare è quindi fortemente stravolta rispetto al voto reale delle cittadine dei cittadini.

Resta tuttavia il fatto che le ideologie e le politiche di destra e reazionarie sono appannaggio anche di altre forze politiche ed oggi risultano largamente presenti nella società italiana e saranno portate avanti con maggiore forza e strumenti da parte del nuovo governo. Questo non significa che nella società italiana non vivano anche ben altre concezioni, democratiche, sociali, di giustizia e che bisognerà partire dai movimenti che le sostengono per contrastare l’offensiva oscurantista delle varie destre.

Il M5S, dato in via di esaurimento solo 3 mesi fa, dopo 4 anni di governo in cui si è reso responsabile di troppe misure antipopolari, comprese le spese di guerra, le leggi contro i migranti e contro le lotte sociali, per non parlare dei regali fatti alle imprese, grazie alla parziale rottura con Draghi ed a un ruolo dinamico e centralizzatore di Conte che ne ha costruito un posizionamento indipendente e un’immagine “progressista”, riesce a rilanciarsi e si presenta come terza forza politica con oltre il 15% dei voti

Il Pd di Letta ha sbagliato praticamente tutto, a partire dalle politiche delle alleanze, tra cui quella rifiutata con il M5S, anche perché ha cercato invano di combinare la sua natura ed anche immagine di partito gestore degli affari della borghesia con il mantenimento del tradizionale bagaglio di voto popolare erede di una storia passata. Operazione fallita, il suo risultato è sotto il fatidico 20% del tutto simile a quello fallimentare del 2018, pur avendo reinserito nelle sue liste Art. 1, cioè la scissione di Bersani che nel 2018 aveva portato a casa come lista indipendente, una percentuale superiore al 3%. Difficile inoltre pensare che la politica dell’elmetto e della partecipazione alla guerra possa avergli attirato particolari simpatie, perché sono questi i terreni su cui le destre sono più a loro agio.

Infine occorre sottolineare che la coalizione dei turboliberisti , cioè Calenda e Renzi, anche se non riesce a sfondare e resta lontana dall’auspicato 10%, rivaleggia col PD nel rappresentare la borghesia tanto che in alcuni collegi dell’Italia del Nord lo sopravanza.

Verdi e Sinistra italiana, soddisfatti per aver conquistato la rappresentanza parlamentare, (nell’ultima settimana avevano sperato in una soglia più alta), non possono però non essere inquieti per il rapporto che il PD ha imposto loro; il congresso prossimo del PD chiamato a ridefinire il suo progetto politico, potrebbe costringerli a ridefinire i loro orientamenti.

Impossibile il quorum per Unione Popolare, nonostante il grande impegno ed anche l’abnegazione di tante compagne e compagni delle diverse forze politiche che lo hanno costituito e una campagna dinamica nelle poche settimane in cui ha potuto svilupparsi. Il risultato (1,43%, poco più di 400.000 voti) è infatti di poco superiore quello di Potere al Popolo di 4 anni fa. A dimostrazione della forbice che esiste inevitabilmente tra l’attivismo militante che ha permesso di raccogliere in due settimane le firme necessarie per la lista e la dimensione di massa del voto che richiede ben altra credibilità politica e soprattutto pretende, data la drammaticità della situazione economica e sociale, un lavoro molto più lungo in un quadro politico unitario e coerente.

Anni trascorsi senza però aver avuto la capacità e la volontà di costruire un progetto sociale e politico che fosse credibile agli occhi della classe, che sapesse praticare la convergenza reale, che fosse in grado di ricostruire una sinistra di classe e alternativa, per anni invece troppo spesso concentrati sulla competizione e sull’autocostruzione, errori ai quali non si rimedia nel tempo di una campagna elettorale.

Questo vuol dire che le forze che si sono raccolte intorno alla lista devono ricercare più significative forme di unità e di allargamento oltre che di azione comune; decisivi sono un orientamento e una pratica che impegni le forze disponibili nella ricostruzione del movimento di classe, a partire dai quartieri e dai settori popolari martoriati dalla crisi e dal carovita, ma anche dai luoghi di lavoro e nei sindacati, che più che mai saranno decisivi per poter rendere la vita dura al governo delle destre a trazione Meloni.

La politica del nuovo governo delle destre non potrà che essere la continuazione dell’agenda Draghi, cioè delle politiche liberiste della borghesia; il numero 2 di FdI, ha già detto che la prossima finanziaria dovrà essere elaborata a 4 mani, cioè anche con Draghi.

La classe borghese italiana non avrà alcuna difficoltà a cooperare con il governo Meloni e a condizionarlo; è già chiaro che veglierà soprattutto, anche attraverso il Presidente della Repubblica, che non si discosti dalle politiche economiche dominanti, e che si resti dentro l’alveo dell’Alleanza atlantica e il quadro europeo dato; diritti democratici, diritti civili verranno in secondo piano….

All’interno del governo ci saranno tensioni, dati i rapporti di forza emersi dalle elezioni e i tre partiti cercheranno di tutelare e garantire i diversi settori borghesi (piccolo, medi e grandi) che più rappresentano. Per far questo dovranno ulteriormente puntare sulla divisione tra i lavoratori e sulla precarizzazione del lavoro, dovranno rimettere in discussione il RdC, penalizzare ancora più i settori deboli e marginali, fare la guerra ai migranti, buttare alle ortiche i diritti civili e quelli delle donne ed infine utilizzare tutti gli strumenti repressivi disponibili contro le lotte operaie e sociali. E non si dimenticheranno di partecipare alla guerra.

Tutto questo chiama in causa in primo luogo il movimento sindacale. Se la situazione è così di m…., se settori sociali guardano a Meloni e agli eredi del fascismo per una soluzione ai loro problemi, le responsabilità sono anche di chi non ha costruito la difesa collettiva dei lavoratori contro i padroni e i loro governi. I dirigenti sindacali portano una pesante responsabilità nello sfacelo politico sociale in cui siamo finiti.

Difficili pensare che possano mutare rotta, al di là di azioni puramente dimostrative, che pure la CGIL è obbligata a fare vista anche la particolar attenzione che le forze fasciste dedicano alle sedi e alle insegne del sindacato.

Sabato scorso migliaia e migliaia di giovani hanno espresso, scendendo in piazza, un’altra visione del mondo rispetto a quelle delle destre e delle classi dominanti, la volontà di combattere contro la distruzione del pianeta, contro la logica dello sfruttamento della natura e del lavoro. In una congiuntura difficile ed oscura sono un segno di speranza insieme a tante altri soggetti e realtà sociali e già nelle prossime settimane bisogna costruire le convergenze e più forti legami tra loro.

E la nostra organizzazione deve essere ben presente e in prima fila in questo lavoro di ricostruzione delle resistenze e delle lotte ai tempi della vittoria delle destre, in forma partecipata e militante. Dopo il turno elettorale, viene il secondo turno quello sociale, che presuppone il rigetto di qualsiasi filosofia di passività e di “contemplazione” dei disastri, ma di ricostruire tutti i fronti di mobilitazione e di crederci.

Saremo a Roma alla manifestazione della CGIL, ma vogliamo andarci non con le vuote parole dei dirigenti, ma con parole d’ordine di lotta e di contenuti coerenti antipadronali.

Più che mai è il tempo delle insorgenze e delle resistenze; saremo a Roma il 1 ottobre alla assemblee della convergenza e tanto più alla manifestazione di Bologna del 22 ottobre.

Seguiamo con attenzione e partecipazione la discussione die sindacati di base che stanno discutendo di una iniziativa generale nell’autunno e che sono chiamati anche essi a una maturità operativa e politica al passo coi tempi.

E comincia proprio ora il congresso della CGIL un momento concreto per parlare a migliaia di lavoratrici e lavoratori su cosa fare e come si deve lottare contro il governo delle destre nemiche e parafasciste e contro capitalisti, burattinai di questo sistema più che mai intenti a difendere profitti e superprofitti.

Oggi la Lagarde ha preannunciato un lungo periodo di forte inflazione, cioè di attacco ai salari e alle pensioni, cioè alle condizioni di vita elementari delle classi popolari.

L’autunno sarà caratterizzato da forti contraddizioni, da situazioni di povertà, di disagio, di difficoltà a fronteggiare le spese fondamentali da parte di milioni di persone nel nostro paese, quindi da tensioni fortissime, anche da possibili rivolte o sollevazioni.

Per non lasciare sole le persone, per costruire un movimento reale capace di contrastare le politiche dominanti, è in costruzione una campagna sociale contro il carovita, una campagna lanciata già in Inghilterra che ha preso il nome di “noi non paghiamo” e che oggi è in costruzione in molti parti del nostro paese; nelle prossime settimane punta ad allargarsi e a radicarsi; la nostra organizzazione la sostiene appieno e nostri circoli sono impegnati a portare il proprio contributo e intervento.