Foibe: narrazioni tossiche e verità storiche
Come i fatti storici, raccontati omettendo il contesto storico e sociale in cui avvengono, si trasformano in narrazione tossica per sdoganare culture fasciste, nazionaliste e reazionarie [Michele Azzerri]
Ogni anno, nei giorni che precedono il “Giorno del ricordo”, ritorna ossessivo tra i media il mito delle foibe, presentate quasi sempre come una semplice manifestazione di barbarie e di inspiegabile odio senza ragione nei confronti degli “italiani” e come uno scheletro nell’armadio disvelato dopo anni di oblio. Le foibe rappresentano un feticcio da evocare, senza approfondirne l’argomento, per gridare al genocidio del popolo italiano nei territori ex jugoslavi. Una retorica che alimenta il vittimismo nazionale, dando ai fascisti e postfascisti strumenti per urlare le loro menzogne, per oscurare la risonanza dei crimini nazisti e fascisti e per omologare in una indecente par condicio eventi storici incomparabili quali le foibe e i lager nazisti. Per questi motivi, il “Giorno del ricordo” non è altro che una narrazione tossica fabbricata a tavolino dalle destre (con enormi responsabilità del centrosinistra) per una lettura storica revisionista, accompagnata da una ideologia nazionalpopolare degli “italiani brava gente”, per colpire la memoria della lotta di resistenza al nazifascismo e per colpire l’antifascismo di oggi.
Quando si parla di foibe, così come per ogni evento storico, non ci si dovrebbe riferire ad un semplice fatto isolato ed avulso dal contesto generale in cui si manifesta. La questione foibe non dovrebbe essere affrontata semplicemente, come purtroppo avviene, contando i morti dell’una e dell’altra parte, per equipararli e per assolvere chi ne ha meno sulla coscienza. Non si dovrebbero tacere o volutamente ignorare le vittime delle popolazioni slave oppresse, martoriate e decimate sia dalle deportazioni e violenze che avevano caratterizzato le annessioni di quei territori all’Italia al termine della Prima Guerra Mondiale, sia dal ventennio fascista in Istria e a Zara, sia, ancora, dagli eventi bellici del Secondo conflitto mondiale.
Sulla bilancia della storia vanno inseriti dunque anche le sofferenze e i dolori che le vicende belliche e il fascismo hanno arrecato a quelle popolazioni. Inoltre, vanno smascherati e contrastati i falsi storici e le “fake news”, ovvero episodi “storici” inventati di sana pianta.
Dal «fascismo di frontiera» degli anni ’20 ai crimini del secondo conflitto mondiale
La zona geografica dell’Alto Adriatico (Istria e Dalmazia) è sempre stata una zona abitata da popolazioni diverse: italo-latine, slave e tedesche. È sempre stata una zona multiculturale, multilinguistica e multinazionale. Questo indiscutibile dato storico dovrebbe essere di per sé sufficiente per smontare il mito dell’italianità prevalente in quei territori, che viene continuamente sbandierato dalla destra reazionaria e revanscista.
In questo contesto, il fascismo cercò di imporre in queste terre una italianizzazione forzata, così come tentò di fare successivamente nei territori balcanici occupati durante la Seconda guerra mondiale, rivelando il suo volto criminale e suscitando la legittima indignazione popolare. In un discorso pronunciato al Teatro Ciscutti di Pola il 20 settembre 1920, Benito Mussolini disse: «Di fronte a una razza come la slava, inferiore e barbara, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. I confini italiani devono essere il Brennero, il Nevoso e le (Alpi) Dinariche. Dinariche, sì, le Dinariche della Dalmazia dimenticata! Il nostro imperialismo vuole raggiungere i giusti confini segnati da Dio e dalla natura, e vuole espandersi nel Mediterraneo. Basta con le poesie. Basta con le minchionerie evangeliche».
Agli slavi vennero italianizzati i cognomi, venne vietato di parlare la loro lingua, vennero tolte le scuole e qualsiasi diritto di identità nazionale. Il Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato dispensò varie condanne a morte tra i resistenti slavi. A causa delle violenze fasciste e della snazionalizzazione forzata, più di 80.000 sloveni, croati, tedeschi e ungheresi, ma anche alcune migliaia di italiani antifascisti, furono costretti ad andarsene. Quando nell’aprile del 1941 l’Italia aggredì militarmente la Jugoslavia, iniziò la violenta occupazione di larghe regioni della Slovenia e della Croazia e dell’intero Montenegro e Kosovo. Vennero assoggettate al territorio italiano regioni abitate al 99% da sloveni e croati con una popolazione di oltre mezzo milione di persone che si andavano ad aggiungere ai 342.000 “allogeni” già assoggettati all’Italia ed al fascismo italiano nei due decenni precedenti. Dopo l’8 settembre 1943, i fascisti italiani passati al servizio dell’esercito tedesco, continuarono a battersi “per l’italianità” dei territori ceduti al Terzo Reich. Tra il 1941 e il 1945 l’italianizzazione forzata delle popolazioni sul piano linguistico e anagrafico provocò la distruzione di case e interi villaggi, fucilazioni di massa di ribelli, e creazione di campi di internati nei quali finirono circa 100 mila jugoslavi. In quei campi morirono di fame, di stenti e di epidemie circa 16.000 persone. Secondo alcuni storici, furono 340.000 i civili slavi fucilati e massacrati dall’aprile 1941 al settembre 1943. Queste violenze furono denunciate addirittura dal vescovo di Trieste Antonio Santin (di comprovata fede fascista) che, il 2 settembre 1943, scrisse una lettera al cardinal Maglione in cui affermava: «Essere slavi non è un delitto […] Villaggi e case incendiate, famiglie disperse, gente uccisa senza motivo all’impazzata, torture e bastonature violente durante gli interrogatori, arresti in massa, campi pieni di internati spesso tenuti in modo disumano (chi parla ha visto con i suoi occhi) hanno seminato odio, amarezza, sfiducia, e hanno favorito la campagna partigiana».
Nella vicenda di quel periodo si intrecciarono dunque le comprensibili vendette che accompagnano ogni crisi politica e sociale complessa, tanto più perché in quel caso sopraggiungevano dopo una lunga e feroce oppressione nazionale italiana nei confronti delle maggioranze croate e slovene delle zone annesse dopo la Prima guerra mondiale. Tutto questo viene taciuto nel “Giorno del ricordo” che si celebra ogni 10 febbraio in Italia, perché altrimenti si dovrebbe riconoscere la drammaticità del contesto bellico, politico e sociale in cui quegli avvenimenti avvennero e ciò darebbe inevitabilmente una lettura diversa rispetto la narrazione tossica mainstream.
Negli anni abbiamo assistito a uno sciorinare di numeri differenti riguardo le vittime delle foibe: Casa Pound indicava nel numero di diecimila le vittime, mentre sulle pagine di un giornale nazionale Pietrangelo Buttafuoco scriveva di «ventimila italiani torturati e gettati nelle foibe». Anche Maurizio Gasparri dava il suo contributo al dibattito parlando di milioni di infoibati, dovendo successivamente ritrattare in alcune migliaia poiché l’intera Istria non arrivava a un milione di abitanti.
Molti storici, negli anni, hanno ridimensionato il numero delle vittime del 1943 e del 1945, cancellando dagli elenchi delle “vittime del terrore rosso e slavo” i dispersi in guerra negli anni precedenti, le persone ancora vive e vegete e perfino i partigiani morti in combattimento, utilizzando archivi sloveni e italiani, e la documentazione dei militari angloamericani che dal 1945 presidiavano la zona A e larga parte della Venezia Giulia.
La falsificazione più grottesca, infine, è quella che attribuisce alle vendette del 1943, dopo due decenni di violenze fasciste, o ai soprusi nazionalisti jugoslavi del 1945 il cosiddetto “esodo” degli istriani, uno spostamento di popolazioni che era crudele e ingiusto ma era la norma in gran parte dell’Europa, e che colpiva tra l’altro molti milioni di tedeschi, tra cui anche chi non era colpevole dei crimini hitleriani.
Verità di Stato e verità storica
La narrazione tossica delle foibe, infondata e anticomunista, è divenuta negli anni “verità di Stato”, a dispetto dei risultati della ricerca storica. Infatti, abbiamo assistito non solo alla trasformazione della menzogna in verità, ma alla sua istituzionalizzazione. Responsabili di questa istituzionalizzazione sono state le più alte cariche dello Stato. Il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro nel 1992 rifiutava ogni contestualizzazione degli eccidi avvenuti in Istria e nel litorale dalmata, negando che fossero diretti prevalentemente contro “elementi fascisti o compromessi con il passato”, e sostenendo che le vittime fossero “colpevoli soltanto di essere italiane”. Allo stesso Scalfaro si deve la proclamazione della foiba di Basovizza come monumento nazionale. Sulla stessa linea il suo successore Ciampi, mentre Giorgio Napolitano, con il discorso del 10 febbraio 2007, ha rappresentato il culmine del processo di “consacrazione del discorso sulle foibe” affermando che «vi fu un moto di odio e di furia sanguinaria, e un disegno annessionistico slavo, che prevalse innanzi tutto nel Trattato di pace del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una “pulizia etnica”».
Non da meno furono Luciano Violante e molti altri dirigenti nazionali e locali del Pds (poi Pd) come Cuperlo, Fassino, D’Alema, Spadaro e Serracchiani che negli anni si dichiararono concordi nel denunciare gli orrori paralleli della Risiera di San Sabba e delle vendette partigiane del 1943 e del 1945, assolvendo gli italiani da ogni colpa e responsabilità. Tutto ciò per un intento politico di “conciliazione nazionale” necessario per eliminare ogni ostacolo a un’intesa politica tra centrosinistra e centrodestra.
Negli ultimi anni, chi non si è allineato alla narrazione di Stato dominante, è stato bollato con l’etichetta di “negazionista”. Lo stesso Presidente della Repubblica Mattarella ha tuonato contro i portatori di qualsiasi forma di “negazionismo” e di “riduzionismo”. Sotto tali fattispecie vengono collocati tutti coloro che tentano di inserire le vicende del Confine nordorientale nel contesto proprio: l’occupazione fascista di quelle terre, la politica violenta e repressiva delle truppe italiane ai danni degli abitanti, la scia di odio e di risentimento che essa ha lasciato.
Come ha scritto lo storico Antonio Moscato qualche anno fa sul suo sito, dovere intellettuale e politico è quello di essere “complici” dei pochi che hanno contrastato con rigore la lettura faziosa e mistificante di una tragedia, riproposta ritualmente dai fascisti e dai difensori dell’imperialismo italiano.
Michele Azzerri
Per approfondimenti sui temi trattati in questo articolo, si rimanda alla sezione dedicata alle foibe, presente sul sito della Biblioteca Livio Maitan, cliccando qui