Liberarsi tutti, liberarsi adesso

Abbiamo davanti due scadenze simboliche, ma anche politiche e sociali distintive del movimento operaio, il 25 aprile e il Primo maggio che devono essere utilizzate per una mobilitazione reale [Franco Turigliatto]

Il governo gioca d’azzardo con la pandemia decidendo una riapertura generalizzata e prematura delle attività, una scelta che viene interpretata dai più come un segnale di “liberi tutti”  dalle conseguenze imprevedibili.   

Pandemia: il salto nel buio di Draghi

Draghi ha operato questa scelta sotto la spinta delle proteste dei ristoratori, dei commercianti e di vari settori autonomi, l’incalzare della Lega di “lotta e di governo”, la pressione di Fratelli d’Italia e quella dei presidenti delle Regioni, (destra e democratici uniti), sempre più irresponsabili, spinti da meri calcoli politici e dagli specifici interessi economici di soggetti privati.

L’ha fatto nonostante il parere contrario su molte questioni del CTS (Comitato Tecnico Scientifico), sempre più messo ai margini delle scelte, e le preoccupazioni di molti scienziati che hanno denunciato l’irresponsabilità del “rischio calcolato” di Draghi; e lo ha fatto girandosi dall’altra parte rispetto allo scenario delle migliaia di vittime che ogni settimana le statistiche denunciano.

Il piano di vaccinazione anche se ha avuto qualche parziale miglioramento operativo (ma è pur sempre dipendente dalla quantità dei vaccini disponibili), resta però molto indietro e la dimensione dei vaccinati non può certo ancora fermare la dinamica della pandemia. La Lega di Salvini ha tenuto alti i toni, rivendicando una riapertura ancor più generalizzata e determinando anche qualche tensione all’interno del governo di coalizione. Salvini oltre a difendere gli interessi dei settori padronali che rappresenta deve far fronte alla concorrenza di Fratelli d’Italia; i sondaggi attribuiscono a questo partito percentuali elettorali sempre più inquietanti.

Così ci si avvicina alla cifra terribile delle 120 mila vittime, ma questo ormai è considerato un mero dato statistico che i media registrano giornalmente ma anche marginalmente, quasi fosse un dettaglio secondario. Un giornale come La Stampa ha annunciato le scelte del governo con un titolo, che era anche un “messaggio al popolo”: “Draghi riapre l’Italia”.

Il taglio dei salari e la crisi sociale

In primo piano sono le rivendicazioni e le proteste delle piccola e media borghesia, e beninteso le attese della Confindustria sul Recovery Plan, mentre sono passate quasi inosservate le statistiche dell’Eurostat sui salari che rappresentano invece il nocciolo principale della situazione sociale. Le statistiche europee segnalano che nel primo anno del covid, i salari in Italia hanno perso 40 miliardi; le lavoratrici e i lavoratori hanno  avuto una riduzione del loro reddito del 7,47%, una percentuale molto più alta di paesi come la Francia e la Germania, dove pure il calo è stato consistente. Per una disamina più dettagliata si veda questo articolo.

Certe marionette filopadronali esprimono tutta la protervia della classe dominante proponendo che i lavoratori privati e pubblici, dall’alto del loro “privilegio” di aver ricevuto uno stipendio il 27 del mese o il sussidio della cassa integrazione, mettano mano al portafoglio per sostenere i più derelitti e le categorie autonome che hanno visto i loro redditi cadere. Come se le statistiche stesse non ci informassero che ci sono settori della borghesia che hanno fatto grandi affari anche nell’anno della pandemia e come se, anche solo il buon senso non dovesse spingere a chiedere alle classi agiate di contribuire al paese attraverso un accresciuto impegno fiscale.

Come nell’”ancien régime” la casta proprietaria, pretende di essere al di sopra delle/dei normali cittadine/i e di disporre del diritto divino ad una rendita intoccabile.

Il quadro è ancora più fosco perché nel 2020 sono andati persi un milione di posti di lavoro, in particolare tra precari, le finte partite IVA, i giovani e le donne, a cui si aggiungono le 770.000 persone in più inattive che neanche provano a cercare un lavoro impossibile; i poveri assoluti (erano già molti milioni) sono cresciuti di un altro milione.  E la fine, più o meno prossima del blocco dei licenziamenti e le tante crisi industriali irrisolte mostrano la gravità della situazione occupazionale.

Come se non bastasse, di fronte a questi problemi lo stato (borghese) moltiplica gli interventi repressivi per “normalizzare” le contraddizioni che il sistema economico produce. Livio Pepino nell’articolo del Manifesto “ Tav e non solo – Pensiero unico, dissenso, repressione”  spiega come esista un filo rosso che unisce diversi fenomeni “la criminalizzazione del conflitto sociale, la repressione delle rinate lotte operaie, la delegittimazione della rete di soccorso e accoglienza e molto altro ancora”.

Quando sta avvenendo in questi giorni in Val di Susa è drammatico e mette in luce la profonda involuzione democratica in corso e le responsabilità di tutte le forze politiche del governo e beninteso dell’estrema destra parafascista in questo passaggio alla cosiddetta “democrazia autoritaria” che cancella lo stato di diritto.

Combattere il fascismo e la reazione di oggi, essere in piazza il 25 aprile e il Primo maggio

Una situazione di disgregazione sociale, non solo fa crescere la demoralizzazione e la rabbia, ma anche favorisce l’azione delle forze reazionarie e fasciste che possono utilizzare i loro strumenti divisi e le loro ideologie d’accatto per conseguire nuovi consensi in settori della piccola e media borghesia e popolari.

Il fenomeno è tanto più marcato perché da tempo manca una soggettività del movimento delle lavoratrici e dei lavoratori,  fortemente dispiegata ed attiva. Certo la pandemia ha posto degli ostacoli ma, a monte, ci sono le scelte subalterne dei gruppi dirigenti dei maggiori sindacati rispetto al governo e ai padroni, che più volte abbiamo denunciato e che costituiscono un elemento di debolezza drammatico per il movimento dei lavoratori.

Abbiamo davanti due scadenze simboliche, ma anche politiche e sociali distintive della classe lavoratrice e del movimento operaio, il 25 aprile della Liberazione dal nazifascismo e il Primo maggio espressione dell’unità del movimento dei lavoratori nella sua dimensione nazionale ed internazionale.

Nonostante le necessarie attenzioni e i protocolli di sicurezza che la pandemia impone queste due scadenze devono essere utilizzate per una mobilitazione reale. Quella del 25 aprile non solo per ricordare la vittoria sul fascismo, ma per essere nelle piazze, nei mercati (dove sempre di più si dispiega l’azione e la propagande dei fascisti e dei FdI) per contrastarne l’ attività; dobbiamo combattere, sul terreno sociale e nelle proposte alternative di unità del movimento dei lavoratori, il fascismo e le forze reazionarie attuali; esse non sono solo un retaggio del passato, ma una pericolosa minaccia del presente; e insieme a loro dobbiamo respingere i processi autoritari oggi in atto nella società.

E il Primo maggio deve essere momento di mobilitazione che costruisca l’unità delle lavoratrici e lavoratori intorno ai contenuti di alternativa, la distribuzione del lavoro esistente tra tutti quelli che ne hanno bisogno, la riduzione dell’orario a parità di salario, un piano di interventi pubblici per creare posti di lavoro utili e buoni, a partire dalla sanità,  dalla scuola, dalla preservazione dell’ambiente.

Le risorse ci sono per fare tutto questo; sono nascoste in quella che viene chiamata la “diseguaglianza sociale”, una minoranza della società si è impadronita di gran parte della ricchezza prodotta dal lavoro, espropriando la stragrande maggioranza della società. Gli espropriatori, devono essere “espropriati”, devono restituire alla società, alle classi lavoratrici il maltolto attraverso una forte imposizione fiscale progressiva e la patrimoniale. La pandemia impone che ancor più di prima la salute, il lavoro e i diritti debbano essere prioritari rispetto alle rendite e ai profitti che vampirizzano la società.

Le forze della sinistra in questi giorni sono chiamate ad esprimere una capacità unitaria di azione e quindi la loro stessa credibilità, nel costruire queste mobilitazioni e di far avanzare questi contenuti di lotta e rivendicativi. Proviamoci.