Debito Grecia. L’accordo Tsipras-Ue: una cravatta simile al nodo dell’impiccato

di Antonis Ntavanellos

da Alencontre Traduzione di Titti Pierini

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Alexis Tsipras aveva promesso ai suoi omologhi che avrebbe cambiato stile e indossato la cravatta quando si fosse risolto il problema del debito e l’economia greca fosse riemersa dalla crisi della barbarica politica dei memorandum, applicata sotto la tutela della troika dei creditori.

In effetti, presentando in pubblico allo Zappeion l’accordo dell’ultimo Eurogruppo tenutosi in Lussemburgo [concluso nella notte tra il 21 e il 22 giugno 2018], Tsipras indossava… la cravatta! Era un tentativo volto a sottolineare il “messaggio” del governo Syriza-Anel, secondo cui la politica degli ultimi anni, quella portata avanti dal 2015 – una politica di prosecuzione e approfondimento del rigore dei memorandum avviati nel 2010 – sarebbe in realtà una “storia di successo” che, alla fine, ha condotto il paese fuori dall’era degli stessi odiati memorandum.

Questo tentativo di promuovere una politica di comunicazione convincente è destinato al fallimento, perché totalmente lontano dalla realtà. Dietro la demagogia della presunta “fine dei memorandum” si nasconde la verità dell’impegno imperioso a proseguirne la politica per un periodo di durata inimmaginabile, di fatto per un’intera fase storica.

L’accordo di questo Eurogruppo è risultato al di sotto delle aspettative della squadra di Tsipras. La “proposta francese” (di un Macron dopotutto non troppo “radicale”) di legare il rimborso del debito alla crescita del Prodotto interno lordo (Pil), ricorrendo ai “meccanismi” che dovrebbero ridurre le varie quote dei pagamenti in funzione degli sviluppi della situazione, è stata tacitamente lasciata cadere.

Praticamente, la decisione potrebbe riassumersi nella “dilazione” delle scadenze solo per quel che riguarda un terzo del debito (i 96 miliardi di euro dei prestiti dell’EFSF [Fondo europeo di stabilità finanziaria], nel quadro del secondo memorandum) e la creazione di una riserva di tesoreria (cash buffer), che dovrebbe consentire ai prossimi governi di coprire gli impegni di rimborso, ove il tanto annunciato rientro della Grecia sui mercati finanziari si rivelasse alla fine impossibile. Si tratta di una decisione che è solo il calco delle richieste dei creditori e dell’UE.

Da un lato, essa consente loro di dichiarare che ormai “nessun paese europeo è sottoposto a un memorandum”, e quindi di cercare di rafforzare l’immagine di coesione di uno “Spazio economico europeo”, in previsione del plausibile accentuarsi dei conflitti aperti dalla politica di protezionismo e di guerra commerciale intrapresa da Trump. Dall’altro lato, ne protegge invece gli interessi, e su un arco di tempo prolungato.

La creazione di una riserva di tesoreria, che si è ritenuta indispensabile, si basa sul calcolo che i piani di Tsipras-Tsakalotos di uscire rapidamente sui mercati finanziari sono mere sopravvalutazioni esagerate.

Alcune settimane fa, in seguito all’episodio della crisi italiana, il tasso d’interesse decennale dei titoli di credito greci è arrivato al 4,48% (più o meno lo stesso livello di prima del fallimento che ha aperto la strada al primo memorandum del 2010-2011): Dopo la dichiarazione dell’Eurogruppo, esso ha registrato una lieve flessione al 4,14%, cioè ad un livello ancora proibitivo.

La “grazia del rinvio” – senza rimborso di interessi e capitale – di dieci anni (2032, non più 2022) per i 96 miliardi di crediti dell’EFSF – cosa che non è sicuramente un regalo, in quanto vi aggiunge dieci anni di vantaggiosi interessi per i creditori – deve facilitare il rimborso del resto del debito e, al tempo stesso, comporta un ulteriore picchetto della crisi del debito greco: nel 2032 (invece del 2022, con conseguente ulteriore supervisione).

Per riprendere le espressioni di un giornale autorevole, To Vima [La Tribuna], che attribuisce la stima ad anonimi “esperti”: «L’affare è astuto. I tedeschi non hanno concesso alla Grecia granché, anzi le hanno offerto lo stretto necessario per fare uscire il paese dalla zona di rischio a medio termine. Avremo ancora bisogno di loro nel 2032, se non c’è una ripresa rapida dell’economia».

In compenso, il governo di Tsipras ha “ceduto” sui punti che seguono:

1. L’impegno per cui la totalità delle leggi sottoscritte nel quadro dei memorandum, le riforme e le controriforme dell’intero periodo degli otto anni di crisi rimarranno in vigore senza alcuna modifica, anche di second’ordine, anche dopo la presunta fine dei memorandum. Quanto Tsipras definisce “uscita dai memorandum” è di fatto la trasformazione delle controriforme neoliberiste contenute nel primo, secondo e terzo memorandum in misure permanenti per decenni!

2. L’impegno a introdurre misure aggiuntive di estremo rigore, che consistono: nel ridimensionamento delle pensioni, già predisposto per il 2019; nell’aumento delle tasse versate soprattutto dagli strati popolari; nell’abolizione della soglia di reddito non imponibile dal 2020; nell’aumento della tassa sul reddito patrimoniale, tramite l’“adeguamento” dei valori oggettivi dei beni immobili; nell’abolizione dell’assistenza sociale anche più elementare, con la riduzione delle prestazioni di sicurezza nel 2018; e, ancora, nel programma galoppante di privatizzazioni, che riguarda non solo l’azienda pubblica per l’energia elettrica, ma anche il sistema di distribuzione dell’acqua ad Atene e Salonicco, nonché tutte le aree pubbliche suscettibili di valorizzazione immobiliare.

3. L’impegno a restringere per il futuro la politica economica e sociale nell’angusto spazio previsto dall’accordo sugli avanzi primari (prima del pagamento degli interessi del debito), cosa che continuerebbe, senza sosta, a sospingere più a fondo la società nella barbarie neoliberista. L’accordo stipula che la Grecia debba ricavare un avanzo primario corrispondente al 3,5% del suo Pil fino al 2022, poi del 2,2% in media per altri 37 anni, e cioè fino al 2060!

Anche gli economisti che hanno da sempre appoggiato i memorandum osservano come nella storia economica nessun altro paese al mondo abbia mai puntato a raggiungere avanzi primari di queste dimensioni e per un periodo di tale durata.

Eppure Tsipras non si pone problemi, nonostante l’esperienza greca degli ultimi otto anni gli dimostri che questi avanzi sono pagati con il sangue dei lavoratori e degli strati popolari più poveri. Neanche i creditori si preoccupano, dato che l’accordo dell’Eurogruppo introduce un meccanismo draconiano di sorveglianza e garanzia: audit trimestrali, relazioni di conformità, meccanismi che implicano che si prendano misure aggiuntive se gli obiettivi di bilancio non venissero raggiunti. Si direbbe un quarto memorandum… dopo la fine del terzo.

Come abbiamo accennato sopra, il “normale” svolgimento di un simile accordo comporterebbe il passaggio più o meno rapido dell’economia greca a una situazione di perpetua crescita. Diversamente, esso prevede i successivi stadi di drastico intervento dei creditori, in un primo momento nel 2022 poi, probabilmente in modo più drammatico, nel 2032.

Del resto, Christine Lagarde (MI) e Mario Draghi della BCE dichiarano che l’accordo possa andar bene a medio termine, fino al 2022 (c’è quindi ancora un periodo durante il quale si può continuare a sfruttare la Grecia), ma che non potrà durare all’infinito.

È invece più probabile che il problema possa ripresentarsi più presto, poiché l’accordo non tiene conto delle previsioni di crescita dell’economia greca, né peraltro agevola una crescita. L’impegno a creare avanzi primari corrispondenti al 3,5% del Pil significa che gli investimenti pubblici (tradizionale strumento della “crescita” del capitalismo greco) non aumenteranno. Anzi, si ridimensioneranno ulteriormente. In risposta, lo Stato maggiore di Tsipras promette già investimenti privati e sottolinea che non vi sarà esitazione di alcun genere pur di facilitarli. Ora, nonostante l’azzeramento dei salari e dei diritti dei lavoratori, gli investimenti da parte dei capitalisti greci restano al livello del 30% (!) rispetto a quelli di prima della crisi. N. Christodoulakis, ministro socialdemocratico dell’epoca di Kostantinos Simitis (del Pasok, Primo ministro dal 1996 al 2004) attesta l’assenza di investimenti oggi in Grecia per 100 miliardi. Egli propone la riduzione dell’avanzo primario all’1,5% del Pil, affinché le residue risorse fiscali possano essere destinate a “investimenti nella produzione”, cosa che potrebbe sostenere le speranze di una ripresa economica. Alexis Tsipras dovrà ben presto rendersi conto della validità della posizione storica della sinistra per la quale l’unica prospettiva valida rispetto al debito è quella di ripudiarlo e di sopprimerlo.

Dal punto di vista dei lavoratori e delle lavoratrici, come pure degli strati popolari, l’accordo di Syriza con i creditori e la Troika rappresenta un grave pericolo. Il riconoscimento degli investimenti privati (nazionali e internazionali) come unica speranza di progresso sociale equivale all’assoluta subordinazione agli interessi del capitale. I salari, le pensioni, le spese sociali, il diritto del lavoro, la salvaguardia dell’ambiente, gli spazi pubblici, i diritti sociali in senso lato, subiranno pressioni e ulteriori rimesse in discussione. I “sacrifici” imposti saranno ancor più barbarici e il risultato sarà ancora più incerto di quello del primo memorandum (che prevedeva l’uscita dalla crisi… nel 2012!).

Di fronte a una politica del genere, l’unica risposta che abbia una consistenza reale sta nell’organizzazione del rilancio di lotte massicce per riuscire a rimetterla in discussione.

Di fronte a questa politica, la Nuova Democrazia (di Kyriakos Mitsotakis) e l’estrema destra (Alba dorata), che hanno cercato di dar vita a un movimento nazionalista di massa sul tema della Macedonia, ostentano adesso un comportamento alquanto morbido. Condannano i “colpi fallimentari” di Tsipras, cercano di sfruttare il malcontento popolare di fronte alle misure pianificate. Fanno però attenzione a non colpire il nocciolo della politica prevista dall’accordo. Per la destra, la voce del capitale è da sempre “la voce di Dio”.

In questa nuova situazione, il fardello della resistenza e del rovesciamento non può che ricade, ancora una volta, sulla sinistra radicale.

(25 giugno 2018)

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