Catalogna, il movimento indipendentista resiste, ma senza una strategia chiara
di Marti Caussa, redazione di Viento Sur
Le elezioni del 21 dicembre hanno nuovamente confermato la maggioranza assoluta degli indipendentisti nel Parlament. Ciò significa la disfatta politica dell’Articolo 155, anche se questo articolo e le sue conseguenze sono sempre in vigore. In compenso il blocco “unionista” (favorevole all’ unione nel quadro dello Stato spagnolo emerso dalla Transizione del 1978) e difensore dell’articolo 155 è diventato più forte e ancor più aggressivo. Ciudadanos (C’s) è il primo partito in numero di voti e di deputati ed è diventato la forza egemonica di questo blocco. La maggioranza favorevole all’indipedenza, in voti e in seggi, rende legittima la lotta per la Repubblica catalana e il risultato del referendum del 1° ottobre. Tuttavia la mancanza di chiarezza strategica continua. Il 27 ottobre ha messo in luce che la strategia della maggioranza indipendentista non risulta utile. Nessun passo è stato fatto nella pratica per riesaminare questo orientamento. E alcune affermazioni avanzate oggi indicano una direzione inquietante.
La maggioranza indipendentista nel Parlament (JuntsxCat, rappresentata da Carles Puidgemont, ERC rappresentato da Oriol Junqueras, e la Candidatura di unità popolare-Cup) è stata confermata, malgrado la perdita di 2 seggi (70 invece di 72). Il risultato percentuale è rimasto praticamente lo stesso (47,49% contro 47,74% del 2015) in una situazione di partecipazione straordinaria al voto (circa l’82%). E il numero dei voti di questo 21 dicembre è aumentato leggermente rispetto al referendum del 1° ottobre e a quello del 27 settembre 2014 convocato da Artur Mas (rispettivamente 2.063.000 voti contro 2.044.038 e 1.897.274), ma in un contesto in cui è stato registrato un numero superiore di voti validi (245.000) rispetto al 27 settembre.
I rapporti di forza interni al blocco indipendentista si sono modificati sensibilmente, ma non radicalmente. La candidatura di Puigdemont è riuscita a mantenere la sua leadership, grazie ad una maggiore autonomia rispetto al PDeCat (Partito democratico europeo catalano). L’ERC (Sinistra repubblicana catalana) ha quasi eguagliato i risultati di JuntsCat, ma non è riuscito a sorpassarlo, come invece previsto dalla maggior parte dei sondaggi. Questo avrebbe significato per la sinistra moderata la conquista della maggioranza nel blocco indipendentista e probabilmente la presidenza di Oriol Junqueras. Ma il cambiamento più importante è stato l’arretramento della candidatura anticapitalista della CUP che ha perso più di 140.000 voti e 6 deputati. Ciò significa che avrà molto meno di prima la possibilità di condizionare la politica del blocco indipendentista e l’elezione del Presidente.
Catalunya en Comù-Podem (coalizione di cinque formazioni: Catalunya en Comù, Podem, Barcelona en Comù, Iniciativa Catalunya Verds e Esquerra Unida i Alternativa) , che dovrebbe continuare a qualificarsi come forza di sinistra e sovranista, malgrado la sua campagna elettorale, ha perso circa 43.000 voti e 3 deputati. Ha ottenuto 323.695 voti e 8 deputati, meno che la coalizione Catalunya Sì Que es Pot nel 2015 (366.494 voti e 11 deputati) e che ICV/EUiA (Iniziativa per la Catalogna Verts –Sinistra unita e alternativa) nel 2012 (359.705 voti e 13 deputati).
I partiti unionisti e sostenitori dell’articolo 155 non hanno potuto impedire la vittoria del movimento indipendentista. Tuttavia si sono avvicinati molto ai loro risultati precedenti in termini di voto (174.000 in meno) e in percentuale (4% in meno); la differenza dei seggi è più grande (13). Questo significa che la Catalogna è divisa in due grandi blocchi. Uno indipendentista, con un influenza divisa tra il centro neoliberale e la sinistra moderata: e un’altra “unionista” che difende l’antidemocratico articolo 155, egemonizzato dalla destra neoliberale. La sinistra di rottura è molto minoritaria nel blocco indipendentista e Catlunya en Comù-Podem non può essere inclusa in nessuno dei due blocchi.
C’s è la forza largamente egemone del blocco unionista e partigiana dell’articolo 155: ha ottenuto 367.00 voti in più e conquistato 12 deputati in più rispetto alle elezioni del 2015; i suoi risultati sono particolarmente importanti nel Barcelonés (regione amministrativa di cui Barcellona è il centro), nel Vallès (regione di cui Caldas de Montbui è la capitale storica), nel Tarragonés (regione della provincia di Tarragona). In tutta quella che era la cintura rossa del partito socialista catalano e di ICV (Iniziativa per la Catalogna Verts) fino al 2015, è il colore arancione di C’s a dominare. Una parte importante della crescita di C’s viene dal crollo del PP, che ha perduto 164.000 voti e 8 deputati. Ma quel che è più importante probabilmente è che C’s è riuscito a mobilitare un voto tradizionalmente astensionista. Senza alcun dubbio la disfatta del PP che è il partito che ha ottenuto meno voti e seggi è una buona notizia e questa sconfitta sarà probabilmente pagata da Rajoy, poiché non è stato capace di disfare il blocco indipendentista, distruggendo invece il suo partito in Catalogna. Inoltre ha rafforzato il partito che maggiormente nello Stato spagnolo contesta la sua egemonia.
Miquel Iceta (primo segretario del Partito socialista catalano) ha inserito sulla lista del PSC in terza posizione, Ramon Espadaler (vecchio segretario dell’Unione democratico di Catalogna e dell’attuale Converngence et Union-CiU) ed altre persone prese dalla Società civile catalana o dalla Terza Via. Ha cercato di presentarsi come sostenitore di un articolo 155 accettabile. Ha affermato che avrebbe chiesto l’amnistia per i prigionieri politici, salvo fare marcia indietro quando il blocco unionista gli è caduto in testa. I risultati di tutte queste manovre sono stati modesti. Ha aumentato il suo partito di 80.000 voti e di un deputato.
In breve, i risultati del 28 dicembre dovrebbero permettere la formazione di un governo indipendentista con alla presidenza Puigdemont come capo della formazione indipendentista più votata. ERC ha già espresso che questa è la loro proposta. Ma occorrerà verificare come potranno essere superate le difficoltà che derivano dall’esilio di Pudgemont e le accuse mosse dalla Corte suprema, che continua e allargare la lista delle persone perseguite per ribellione che include Artur Mas, Marta Pascal, Marta Rovira, Anna Gabriel e Neus Lloveras.
Pertanto il compito più urgente dopo le elezioni continua ad essere il ritiro effettivo dell’articolo 155 e di tutti i suoi effetti, in particolare la liberazione dei prigionieri politici, il ritorno degli esiliati e la revoca del processo. La campagna della cravatta gialla (il simbolo di queste rivendicazioni) deve riprendere un nuovo slancio.
In secondo luogo, dobbiamo specificare come sia possibile avanzare nella conquista della Repubblica catalana indipendente: le elezioni del 21 dicembre hanno ancora una volta messo in evidenza il problema principale: come superare largamente i due milioni di voti, come aumentare il sostegno sociale alla repubblica, soprattutto nelle città del Barcelonés, del Vallés, del Tarragonés, ecc. La campagna elettorale non ha permesso di rispondere a questo problema e, al contrario, ha seminato dei dubbi importanti sulla validità di azioni unilaterali. La discussione su ciò che non ha funzionato e quello che deve essere corretto nella strategia del separatismo maggioritario resta aperta. Essa è tanto più necessaria per evitare le fughe in avanti improvvise o indietreggiamenti ingiustificati.