Impariamo l’internazionalismo dai migranti e dalle reti delle donne
di Checchino Antonini, video di Bruno Fruttini
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«L’Unione europea continuerà ad essere l’unione di finanza, banche e padroni, un’unione di stati coordinati nella loro guerra contro le classi popolari, e che vede come primo bersaglio migranti e rifugiati. Dopo le sceneggiate di Merkel di un paio di anni fa, quando la premier tedesca si fece filmare mentre abbracciava dei profughi siriani, l’Europa è peggio di allora, ha eretto nuovi muri, fili spinati, campi di concentramento, magari in Libia, in Turchia, riconsegnati al governo fantoccio di Kabul, ridotti a carne da macello sia che vengano respinti sia che divangano manodopera a basso costo a disposizione della concorrenza reciproca. Ieri doveva essere una giornata, giustamente, per la protesta contro questa Ue, per denunciare le sue politiche brutali, la natura reazionaria: la debolezza con cui si è espressa quella protesta è sotto gli occhi di tutti. I dimostranti che sono riusciti a sfidare non erano moltissimi e le iniziative erano divise. Al mattino gli euroriformisti, nel pomeriggio una protesta divisa tra una rivendicazione sovranista, piuttosto equivoca, presuntamente di sinistra e una movimentista, più simpatica ma largamente incapace di incidere. Questo è lo stato della sinistra in Italia: frammentata e marginale. Fra i tanti anniversari di questo 2017, il decennale del gran rifiuto di Franco Turigliatto di votare i crediti di guerra per l’Afghanista. La vicenda indicava già il nodo che ha portato la sinistra in stato comatoso dopo essere stata espulsa in tutte le sue sfumature dal parlamento dove è rientrata, ai minimi termini, solo grazie alla subalternità al social-liberismo e al renzismo. L’espulsione di Turigliatto dal Prc fu l’occasione che fece nascere Sinistra Critica nel tentativo di indicare una strada diversa che seguiamo ancora anche se il nostro nome è leggermente cambiato. Oggi vogliamo rilanciare la nostra battaglia concentrandoci sul panorama dell’Unione europea assieme a soggetti che con noi condividono lo stesso spirito internazionalista». Il teatro Trastevere di Roma non è molto grande ma è pieno quando Fabrizio Burattini introduce l’assemblea internazionalista “Per una risposta internazionalista alla crisi della UE” che fa seguito alla giornata delle manifestazioni in controcelebrazione del sessantennale del Trattato di Roma. Un evento costruito da Sinistra Anticapitalista per dispiegare quel punto di vista compiutamente di classe e internazionalista che in piazza è stato espunto dalle piattaforme dei vari cortei.
Il primo è l’intervento dalla Grecia, di Sotiris Martalis, responsabile internazionale di Dea, la Sinistra dei lavoratori, uno dei settori più combattivi dentro Unità popolare, la coalizione nata dalla deflagrazione di Syriza all’indomani della capitolazione di Tsipras. Non si può che prendere le mosse da questo snodo cruciale perché rivela sia la natura dell’Ue di «santa alleanza, macchina da guerra imperialista» sia gli equivoci di fondo su cui arranca la sinistra radicale. Come «l’illusione del compromesso onesto, onorevole» inseguita da Tsipras anziché optare per disobbedire alla trappola del debito, alla violenza della Troika con la forza del 62% di No conseguito nel referendum del luglio 2015. Martalis spiega che le pensioni greche stanno per essere tagliare per la tredicesima volta di un ulteriore 20% e che il governo di “sinistra” sta per aumentare le tasse per un ammontare pari a una mensilità di un salario medio basso mentre, all’inverso, si alleggerisce ancora la pressione fiscale sulle aziende e i grandi patrimoni. I dictat della Troika comporteranno ancora un 5-10% di licenziamenti e Tsipras, sempre sotto dettatura, sta varando una legge antisciopero. Finora, per incrociare le braccia serviva la maggioranza degli iscritti al sindacato, la Troika pretende che si scioperi solo se lo chiede la metà più uno del totale dei lavoratori. Congiunzione astrale impossibile in un’epoca di frammentazione del mondo del lavoro. «Come rompere questo quadro? Uscire dall’eurozona è solo uno dei punti di un più ampio programma di transizione che preveda la socializzazione delle banche e la cancellazione del debito», avverte Martalis. Ed è un programma che solo l’alleanza dei partiti dei lavoratori può gestire, senza alcuna torsione nazionalista o tentazione di appoggiarsi al blocco borghese protezionista e tendenzialmente razzista.
Un programma che ha bisogno di gambe fornite dai movimenti sociali ma che, specie in Italia, sono schiacciati dalla crisi della sinistra nelle dinamiche della crisi liberista. «Con l’eccezione notevole dei movimenti delle donne – avverte Giovanna Russo, napoletana di Non Una Di Meno, la rete che ha risposto all’appello partito dalle donne argentine promuovendo in Italia le assemblee e le manifestazioni di massa che hanno scandito l’autunno e l’inverno. E’ un movimento globale, attivo in almeno 40 paesi, che esprime una pluralità di pratiche e che ha strappato l’8 marzo ai riti consumisti per restituirne il senso originario di giornata di lotta capace di catalizzare, a seconda delle latitudini, anche istanze antirazziste e di protesta sociale che ha coinvolto l’universo maschile. Russo ha spiegato che non si tratta di una sommatoria occasionale di vertenze locali, che si praticano obiettivi radicali che implicano la critica e la lotta contro l’ordine sociale. «Il capitalismo ha ereditato il patriarcato, il femminicidio è solo il dito di un gigante». Stavolta s’è attivato il femminismo del 99%, non più quello delle quote rosa, delle donne in carriera. Lo sciopero globale, in Italia, non ha avuto risultati significativi ma le manifestazioni dell’8 marzo sì e NUDM prosegue il suo cammino con la riscrittura dal basso del piano nazionale antiviolenza contro la violenza non solo familiare ma del mercato, del neoliberismo, della repressione delle migrazioni. Prossima stazione: l’assemblea nazionale, la terza, a fine aprile. Su scala europea c’è una saldatura da fare con le battaglie contro il fondamentalismo cattolico delle donne polacche e francesi.
Vista dallo Stato Spagnolo, l’Ue è stata – come per Portogallo e Grecia – lo strumento per stabilire l’egemonia della borghesia dopo la fine del franchismo. Lo scenario è quello di una recessione all’orizzonte e sarà determinato anche dagli effetti della Brexit e del trumpismo non ancora dispiegati. Ma la rottura con l’euro non risolve i problemi dei popoli europei piuttosto renderebbe più care le esportazioni e più vulnerabile la moneta agli attacchi speculativi. Così spiega Andreu Coll Blackwell dirigente di Anticapitalistas, da Barcellona, la corrente marxista rivoluzionaria di Podemos. Ma come in Grecia, e nel Sud dell’Europa la centralità sta nella questione del debito illegittimo, odioso, insopportabile. La strada è quella della disobbedienza ai trattati con una logica internazionalista, come quella segnata dal Plan B di Madrid. C’è bisogno di un’offensiva popolare perché non c’è ancora un dibattito programmatico di massa. Molte resistenze si fermano ancora al livello nazionale dove può scattare la trappola protezionista, il primato nazionale, la lepenizzazione. Al contrario, abbiamo bisogno di un programma di transizione europeo, di un dibattito profondo sull’ecosocialismo.
Elementi di analisi che riprenderà anche Cristina Quintavalla, parmense, esponente delle battaglie per l’audit locale sul debito e tra i promotori di Plan B in Italia. L’Ue è irriformabile e la vicenda Tsipras emblematica. Il problema del debito, aggiunge, non solo è fondamentale ma unificante nella lotta contro l’Unione Europea che non è altro che uno spazio gerarchizzato. Perché il neoliberismo, con i suoi automatismi, è un regime senza democrazia, senza politica, ovvero senza diritti esigibili sostituiti dalla contrattazione pubblico-privato. Esempio calzante è il welfare aziendale, per cui il tuo padrone decide dove spenderai i tuoi soldi per farti curare. In un continente disegnato così, le migrazioni – anche quelle interne, circa venti milioni di persone – sono utilizzate per il dumping sociale o per costruire muri. Ecco perché la questione migrante non deve essere ridotta a un problema di solidarietà e accoglienza: «Oggi i migranti sono coloro che non hanno altro che le loro catene, da spezzare». Il Plan B, spiega Quintavalla, non può prescindere dai movimenti di massa e non può che essere femminista (le donne del Sud e del Nord stanno unificando le loro reti perché vittime dello stesso modello di sottomissione). Tutto il contrario di quanto accaduto nella recente tappa romana, un’«occasione perduta», gestita in modo autoreferenziale dall’esponente di Sinistra Italiana, Stefano Fassina, ex responsabile economico del Pd oggi su posizioni no euro. Al “suo” piano B hanno preso parte, in sostanza, solo i relatori e i rispettivi staff, poche decine di persone.
La questione greca (III memorandum, sì al Ceta e all’accordo con la Turchia per la riconsegna dei migranti, manovre militari con Israele e cooperazione col regime di Al Sisi) è anche uno dei punti di divaricazione nel dibattito congressuale di Rifondazione come riferisce Eleonora Forenza, eurodeputata dell’Altra Europa, femminista e attiva in quel movimento che si sta imponendo nello scenario mondiale. Forenza mette in guardia dall’«equivoco della fine della Grande coalizione al Parlamento europeo» che sta determinando quell’asse Linke-Syriza nel Partito della Sinistra europea che spinge per un’alleanza con i socialdemocratici. In realtà, la vicenda del voto sul Ceta dimostra come, dopo la frattura per l’elezione del nuovo presidente dell’Assemblea di Strasburgo, liberali, popolari e socialisti siano tornati a votare compatti le stesse cose. «Non ci sarà alcun processo di ridemocratizzazione senza la ricostruzione di un demos. E questo non sarà sulla base di alleanze e programmi quanto sulla ridefinizione di un’agenda autonoma dei conflitti e dei movimenti». Insomma, l’unità delle lotte e non l’unità della sinistra. In un contesto di rapporti sociali così sfavorevoli, c’è l’urgenza di studiare anche i meccanismi che costruiscono il senso comune anche per contrastare le torsioni sovraniste, e non solo quelle di destra. Bisogna chiamare le cose col loro nome, dire che gli accordi con la Libia, ad esempio, sono una condanna a morte di massa per migliaia di persone; spiegare che non esiste alcuna dimensione popolare-nazionale, oggi, che non sia intrisa dal senso comune sicuritario costruito dalla “fabbrica della paura”.
Nelle sue conclusioni, al ternine di un dibattito ricco e articolato, Francesco Locantore, di Sinistra Anticapitalista, accenna un bilancio del disastro sociale della Ue a partire dalle percentuali inedite di disoccupazione, dall’aumento di sette milioni dei poveri su un universo che già ne conta 123 milioni nel Vecchio Continente, quasi un quarto degli europei. A tutto ciò vanno aggiunte le “riforme strutturali” che hanno rubato diritti e salari, negando diritti a nativi e migranti considerati umanità indesiderata. Altro che il Manifesto di Ventotene, sbandierato dalle “narrazioni” dominanti come il precursore del sogno europeo. Quel documento era esplicitamente socialista, il contrario di questa Europa così impopolare da doversi blindare per potersi celebrare. E profondamente in crisi se deve provare a darsi velocità differenziate. Se il re è nudo, però, a complicare le cose c’è l’incapacità, a sinistra, di condividere un minimo comun denominatore che renda possibile opporsi alle politiche di austerità. «La sinistra rischia di essere travolta dal discredito del governo Tsipras». E oggi appare divaricata tra due polarità ugualmente riformiste: da una parte l’illusione pericolosa del keynesismo, le connivenze con il social-liberismo, la dismissione del conflitto da parte del sindacalismo confederale. Dall’altro il piano inclinato del sovranismo in nome della Costituzione del ’48, con qualche voce che esorta a sdoganare il concetto di nazione, di patria. Davanti al problema dello strumento monetario c’è la questione dell’avazamento dei rapporti di forza in Europa senza il quale la gestione delle politiche economiche resta nelle stesse mani. E allora? «Dobbiamo imparare l’internazionalismo dai migranti, dai movimenti delle donne, dai popoli che lottano, a cominciare da quello siriano. La nostra proposta è quella di una coalizione anticapitalista e internazionalista, indipendente dal social-liberismo e anche da quelle frazioni della borghesia reazionarie e protezioniste».