Le sfide per la sinistra nella zona euro

Lottare contro la Troika, l’Ue e i trattati senza scorciatoie nazionaliste. Un testo firmato da più di 70 personalità attive in numerosi paesi europei. Contro l’austerità, in favore di un’Europa dei popoli e per la transizione ecologica.

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Il testo che presentiamo è stato firmato da più di 70 personalità attive in numerosi paesi europei. Questo testo individua un’analisi chiara dei rapporti di forza all’interno dell’Unione europea e avanza una serie di proposte radicali, ma necessarie, per chiunque voglia lottare contro l’austerità, in favore di un’Europa dei popoli e per la transizione ecologica.

L’importanza di questo testo è dovuta anche al fatto che è stato condiviso da personalità e militanti di più di 15 paesi europei, provenienti da diverse aree: da Podemos e Izquierda Unida al Blocco de esquerda portoghese, dal Parti de Gauche al Npa così come Ensemble! in Francia, da Unità Popolare ad Antarsya in Grecia, dalla sinistra radicale danese a quella di Cipro così come da quella slovena, della Bosnia Erzegovina e dalla sinistra ungherese. È firmato da deputati europei di differenti partiti e paesi, dal responsabile del bilancio della città di Madrid, dall’ex presidente del parlamento greco, da una serie di membri della commissione per la verità sul debito greco.

Le 10 proposte avanzate in questo testo sono il risultato di un’analisi della situazione in Europa che va dal 2010, ossia dallo scontro tra Syriza e la Troika – dal momento che si trattò di un vero e proprio scontro – al primo semestre 2015, ossia da quando Syriza ha cominciato ad attuare le politiche di austerità, ma anche a partire dalle esperienze spagnole, irlandesi o cipriote. Gli avvenimenti recenti hanno chiaramente dimostrato la necessità che un governo di sinistra abbia il coraggio di disobbedire alle ingiunzioni delle autorità e dei trattati europei. Questo deve essere accompagnato da una mobilitazione popolare incoraggiata dal governo e da una serie di misure forti: organizzare un audit del debito con la partecipazione dei cittadini, approntare misure di controllo dei movimenti dei capitali, socializzare il settore finanziario e il settore dell’energia, riformare radicalmente la fiscalità… . E, sicuramente, assumere l’inevitabile dibattito sulla zona euro, di cui l’uscita è un’opzione che deve essere difesa almeno in alcuni paesi.

L’analisi obiettiva delle politiche europee degli ultimi anni ci porta a questa conclusione: solo forti misure sovrane e unilaterali di autodifesa permetteranno alle autorità nazionali e ai popoli che le hanno elette di mettere in campo questa rottura e di dare una prima risposta al problema del debito illegittimo per rompere con l’austerità.

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Dal maggio 2010, il debito è diventato tema centrale in Grecia e nel resto della zona euro. Il primo programma di 110 miliardi messo a punto dalla Troika, che si è costituita per la sua elaborazione e la sua esecuzione, ha provocato brutalmente l’aumento del debito pubblico greco. Lo stesso processo si è prodotto in Irlanda (2010), in Portogallo (2011), a Cipro (2013) e in una forma particolare in Spagna. I programmi avevano cinque obiettivi fondamentali:

  1. Permettere alle banche private di ricevere un sostegno pubblico con lo scopo di non farle pagare la fattura dovuta allo scoppio della bolla di credito privato da loro creata ed evitare una nuova crisi finanziaria privata internazionale di grande ampiezza.
  2. Dare ai nuovi creditori pubblici, che si sono sostituiti ai creditori privati, un enorme potere di coercizione sui governi e le istituzioni dei paesi periferici per imporre una politica di austerità totale, di deregolamentazioni (a scapito di tutta una serie di conquiste sociali), di privatizzazioni e di rafforzamento delle pratiche autoritarie (vedi il punto 5).
  3. Preservare il perimetro della zona euro (questo significa mantenere nella zona euro la Grecia e gli altri paesi della periferia) che costituisce uno strumento potente nelle mani delle grandi imprese private europee e delle economie che dominano questa zona.
  4. Approfondire le politiche neoliberali particolarmente in Grecia, ma anche negli altri paesi della Periferia, come esempio e mezzo di pressione sull’insieme delle popolazioni europee.
  5. Rafforzare su scala europea (tanto a livello di Ue quanto di ciascun stato membro) le forme autoritarie di governo senza ricorrere direttamente a nuove esperienze di tipo fascista, nazista, franchista, salazarista o tipo regime dei colonnelli greci (1967 – 1974).

Bisogna trarre alcune lezioni dal fallimento della politica adottata dal governo Tsipras per rompere con l’austerità nel 2015 dal governo, ma occorre anche prendere coscienza dei limiti dell’esperienza del governo socialista minoritario di Antonio Costa in Portogallo.

Un orientamento alternativo e favorevole agli interessi dei popoli deve avere di mira l’austerità, il debito pubblico, le banche private, la zona euro, l’opposizione alle politiche autoritarie. Il bilancio del periodo 2010-2016 all’interno della zona euro è chiaro: non è possibile uscire dall’austerità senza avanzare delle risposte almeno a queste cinque problematiche. Senza dubbio, è necessario affermare che l’alternativa comporta altri problemi, tra i quali la crisi climatica e ecologica, la crisi umanitaria legata al rafforzamento dell’Europa fortezza (che nel Mediterraneo ogni anno condanna ad una morte certa migliaia di candidati all’immigrazione e/o all’asilo), la crisi in Medio Oriente. Occorre, inoltre, lottare contro l’estrema destra e l’ascesa del razzismo. Dopo l’elezione di Donald Trump, ma anche dopo l’apparizione di un movimento radicale che si è ritrovato nella campagna di Bernie Sanders e che è chiamato a combattere in prima linea contro Trump e i suoi progetti, la sinistra radicale, i movimenti sindacali, sociali, femministi ed ecologisti europei devono gettare dei ponti verso le forze che resistono negli Stati Uniti.

Gran parte della sinistra radicale, disponendo di una rappresentanza parlamentare, aveva e ha ancora una percezione sbagliata dell’integrazione europea attraverso l’Ue e della zona euro. In sintesi, essa vedeva nell’Ue e nella zona euro più vantaggi che inconvenienti. Essa considerava l’Ue e la zona euro compatibili col ritorno a politiche socialdemocratiche in vista di minore ingiustizia e attraverso un rilancio minimo keynesiano.

È fondamentale sulla base dell’esperienza dell’anno 2015 rafforzare il campo delle forze che non hanno alcuna illusione sull’Ue e la zona euro e che si pongono un’autentica prospettiva ecosocialista di rottura con l’Ue così come è costituita. Bisogna partire dalla constatazione che l’Ue e la zona euro non sono riformabili.

Nel 2015, ciascuno ha potuto constatare che è impossibile convincere, sulla base della legittimità che offre il suffragio democratico e dalla semplice discussione, la Commissione europea, il Fmi, la Bce e i governi neoliberali al potere negli altri paesi europei a prendere alcune misure che rispettano i diritti dei cittadini greci così come quello dei popoli in generale. Il referendum del 5 luglio 2015 che hanno combattuto con il ricatto e la costrizione ( si ricordi la chiusura delle banche greche 5 giorni prima del referendum) non li ha convinti della necessità di fare alcuna concessione. Al contrario, calpestando i diritti democratici fondamentali, hanno radicalizzato le loro pretese.

Certamente, all’inizio, tutta una serie di misure dovranno e potranno essere prese su scala europea per rilanciare l’economia, ridurre l’ingiustizia sociale, rendere sostenibile il rimborso del debito e ridare ossigeno alla democrazia. Yanis Varoufakis, in quanto ministro greco delle finanze, ha fatto nel febbraio 2015 delle proposte che andavano in questa direzione. Si trattava di contraccambiare il debito greco con nuove modelli di obbligazioni: 1. delle obbligazioni indicizzate sulla crescita; 2. delle obbligazioni dette “perpetue”, vale a dire che la Grecia avrebbe rimborsato unicamente gli interessi ma senza alcuna scadenza. Le proposte di Varoufakis, benché moderate e perfettamente realizzabili, non avevano, in realtà, alcuna chance di essere accettate dalle autorità europee.

La Commissione, la Bce, il Fesf (Fondo europeo di stabilità finanziaria) non volevano ascoltare i popoli. È il caso di tutta una serie di proposte volte ad alleggerire radicalmente il peso del debito della Grecia come quello di numerosi altri paesi europei (attraverso la mutualizzazione dei debiti, l’emissione degli eurobond, ecc…).Tecnicamente, si potrebbero realizzare, ma bisogna constatare che nel contesto politico e con i rapporti di forza prevalenti nell’Unione europea, i paesi guidati da un governo progressista non possono sperare di essere ascoltati, rispettati e ancor meno sostenuti dalla Commissione europea, la Bce, il Meccanismo europeo di stabilità. La Bce ha i mezzi per asfissiare il sistema bancario di uno Stato membro della zona euro tagliando gli accessi delle banche alla liquidità. Come abbiamo già sottolineato, essa lo ha fatto in Grecia nel 2015. L’Unione bancaria e il potere arbitrario della Bce rafforzano i mezzi di coercizione di cui dispongono le istituzioni europee per far fallire un’esperienza di sinistra.

I trattati sono diventati super costrittivi in materia di debito e di deficit. In generale, le autorità europee, tra cui il consiglio dei ministri, potrebbero decidere di porre delle deroghe tenendo conto della situazione di crisi (lo hanno già fatto in favore di governi che erano al loro fianco), ma è chiaro che non ne hanno alcuna intenzione. Al contrario, queste istituzioni così come il Fmi e i governi neoliberisti hanno combattuto attivamente il governo greco nonostante facesse prova di una grande moderazione (è il meno che si possa dire). La gran parte dei media e di numerosi dirigenti politici europei hanno pertanto presentato Alexis Tsipras e Yanis Varufakis come dei ribelli, ossia dei radicali antieuropei. La Troika ha combattuto l’esperienza in corso in Grecia tra il gennaio e il luglio del 2015 per dimostrare a tutti i popoli d’Europa che non ci sono alternative al modello capitalista neoliberale.

La capitolazione del primo governo Tsipras non è stata sufficiente. I dirigenti europei e il Fmi hanno preteso e hanno ottenuto dal governo Tsipras II di approfondire le politiche neoliberali colpendo ancora di più il sistema di sicurezza sociale, il sistema pensionistico in particolare; accelerando le privatizzazioni, imponendo molti cambiamenti sul piano giuridico e legislativo che costituiscono dei ripiegamenti strutturali fondamentali in favore del grande capitale e contro i beni comuni. Tutte queste nuove misure e controriforme rafforzano l’ingiustizia e la precarietà. Se i creditori finissero per accordare un nuovo aggiustamento del debito, ciò avverrebbe solo nel caso in cui sia perseguito lo stesso tipo di politiche. In questo caso, una riduzione del debito non costituirebbe per nulla una vittoria e neanche una consolazione. Sarebbe unicamente una misura volta a garantire il perseguimento dei rimborsi e a tentare di evitare una ripresa vigorosa delle lotte sociali.

Si impone una prima conclusione: senza prendere delle forti misure sovrane e unilaterali di autodifesa, le autorità nazionali e i popoli che le hanno delegate per rompere con l’austerità non potranno porre fine alla violazione dei diritti umani perpetrata su richiesta dei creditori e delle grandi imprese private.

Alcuni potrebbero ribattere che se un governo di sinistra raggiungesse il potere a Madrid, potrebbe usare il peso dell’economia spagnola (4° economia della zona euro in base al Pil) nel negoziato coi principali governi della zona euro e ottenere delle concessioni che Tsipras non poteva ottenere. Quali concessioni? La possibilità di rilanciare l’economia e il lavoro con massicce spese pubbliche e quindi con un deficit pubblico considerevole? Berlino, la Bce e almeno 5 o 6 altre capitali della zona euro si opporrebbero! La possibilità di prendere delle misure così forti riguardo alle banche? La Bce appoggiata dalla Commissione rigetterebbe questa opzione.

Ciò che è egualmente sicuro, è che se alcune forze della sinistra radicale accedessero al governo in paesi come il Portogallo, Cipro, Irlanda, Slovenia, le tre repubbliche baltiche, non ci sarebbero i mezzi per convincere la Commissione e la direzione della Bce a metter fine all’austerità, fermare le privatizzazioni e sviluppare i servizi pubblici, ridurre radicalmente il debito…

Questi governi dovranno resistere e prendere delle misure unilaterali per difendere la loro popolazione. E se dovessero nascere al contempo diversi governi di sinistra in più paesi della zona euro e esigessero assieme una rinegoziazione? Sicuramente sarebbe una cosa molto buona, ma bisogna escludere egualmente questa possibilità non fosse altro che per ragioni di calendario elettorale.

Un governo di sinistra al potere a Parigi, nel caso di una vittoria di Mélenchon alle presidenziali del maggio 2017 e delle forze della sinistra radicale alle legislative seguenti, potrà forzare ad una riforma dell’euro? Questa è l’ipotesi dello staff elettorale di Jean-Luc Mélenchon. Si può ragionevolmente dubitare di questa possibilità. Ammettiamo che Mélenchon acceda alla presidenza e costituisca un governo. Vorrà applicare un insieme di misure di giustizia sociale e tentare di ottenere una riforma dell’euro. Cosa sarebbe possibile? Ciò che è possibile per un governo di sinistra in Francia, è disobbedire ai trattati e fare rispettare la sua scelta ma non potrà ottenere una riforma profonda della zona euro. Per ottenere ciò, occorrerebbero delle vittorie elettorali simultanee nei principali paesi così come in molti paesi della periferia. Ciò detto, è chiaro che un governo di France insoumise e dei suoi alleati, prendendo alcune misure unilaterali a favore della popolazione francese e dei popoli del mondo (ad esempio l’annullamento in maniera unilaterale dei debiti della Grecia e dei cosiddetti paesi in via di sviluppo da parte della Francia) potrebbe giocare un ruolo positivo in Europa.

Una strategia internazionalista che spinga ad un’integrazione europea dei popoli. Con queste constatazioni, non si tratta di cercare uno sbocco nazionalista alla crisi. Così come in passato, è necessario adottare una strategia internazionalista e spingere ad un’integrazione europea dei popoli opposta al perseguimento dell’integrazione attuale che è totalmente dominata dagli interessi del grande capitale.

Gli anelli deboli della catena di dominio all’interno dell’Europa si trovano nei paesi periferici. Se Syriza avesse adottato una strategia corretta, ci sarebbe potuto essere nel 2015 una svolta decisiva. Ciò non è stato. Gli altri anelli deboli della catena dove la sinistra radicale può accedere al governo nei prossimi anni sono in particolare la Spagna e il Portogallo. È possibile inoltre che nei prossimi anni ciò accada in Irlanda, in Slovenia e a Cipro… Dipenderà da molti fattori: la capacità della sinistra radicale di trarre le lezioni dal 2015 e di avanzare delle proposte anticapitaliste e democratiche che ricevano consenso… ciò dipenderà senza il minimo dubbio dai livelli di mobilitazione popolare. L’avvenire sarà grigio nel caso non non ci fosse una pressione proveniente dalla piazza, dai quartieri, dai luoghi di lavoro per avanzare dei cambiamenti reali e per rifiutare i compromessi zoppicanti.

Dieci proposte per non riprodurre la capitolazione che abbiamo conosciuto in Grecia

Per evitare di riprodurre la capitolazione che abbiamo conosciuto in Grecia nel 2015, ecco dieci proposte per la mobilitazione sociale e l’azione di un governo realmente al servizio del popolo da mettere in atto immediatamente e simultaneamente.

La prima proposta è la necessità, per un governo di sinistra, di disobbedire, in modo molto chiaro e annunciato preventivamente, alla Commissione Europea. Il partito che pretende, o la coalizione di partiti che pretendono di governare – e certamente pensiamo alla Spagna – dovranno rifiutare di obbedire, fin dall’inizio, alle pretese di austerità, e impegnarsi a rifiutare l’equilibrio di bilancio. Si dovrà dire: «Noi non rispetteremo l’obbligo decretato dai trattati europei di rispettare l’equilibrio di bilancio perché vogliamo aumentare le spese pubbliche per lottare contro le misure antisociali e di austerità e per avviare la transizione ecologica». Di conseguenza, il primo punto è impegnarsi in modo chiaro e determinato a disobbedire. Dopo la capitolazione greca, è essenziale abbandonare l’illusione di ottenere dalla Commissione Europea e dagli altri governi europei che rispettino la volontà popolare. Mantenere questa illusione ci porterebbe al disastro. Dobbiamo disobbedire.

Secondo punto: Impegnarsi a fare appello alla mobilitazione popolare. Tanto su scala di ciascun paese quanto su scala europea. Anche questo è mancato l’anno scorso in Grecia e in Europa. È evidente che i movimenti sociali europei non sono stati all’altezza in termini di manifestazioni, che certo hanno avuto luogo, ma non hanno mostrato un livello sufficiente di solidarietà con il popolo greco. Ma è anche vero che l’orientamento strategico di Syriza, non prevedeva di fare appello alla mobilitazione popolare su scala europea, e nemmeno di fare appello alla mobilitazione popolare in Grecia. E quando il governo di Tsipras ha fatto appello alla mobilitazione con il referendum del 5 luglio 2015, è stato per non rispettare in seguito la volontà popolare del 61,5% dei Greci, che avevano rifiutato di obbedire alle pretese dei creditori e avevano respinto le loro proposte.

Ricordiamo che a partire dalla fine di febbraio 2015 e fino alla fine di giugno 2015, Yanis Varoufakis e Alexis Tsipras hanno fatto dichiarazioni che miravano a convincere l’opinione pubblica che un accordo era in vista e che le cose si sarebbero aggiustate. Immaginiamo al contrario che dopo ogni negoziato importante, avessero spiegato il contenzioso, con comunicati, con dichiarazioni verbali ai media, con discorsi sulle pubbliche piazze, davanti alle sedi delle istituzioni europee a Bruxelles e altrove. Immaginiamo che avessero fatto luce su quanto si tramava, questo avrebbe portato a concentramenti di migliaia o decine di migliaia di persone, le reti sociali avrebbero ritrasmesso a centinaia di migliaia o milioni di destinatari questo discorso alternativo.

Terzo punto. Impegnarsi a organizzare un audit del debito con la partecipazione dei cittadini. Le situazioni nei 28 paesi che dell’Unione Europea sono diverse, così come nell’eurozona. Ci sono paesi europei nei quali la sospensione del rimborso è una misura di necessità assoluta e prioritaria, come nel caso della Grecia, al fine di rispondere in primo luogo ai bisogni sociali e di garantire i diritti umani fondamentali. È anche un elemento chiave di una strategia di autodifesa.

In Spagna, in Portogallo, a Cipro, in Irlanda, dipende dai rapporto di forza e dalla congiuntura. In altri paesi è possibile realizzare prima l’audit, e decidere in seguito sulla sospensione del rimborso. Queste misure sono da attuare tenendo conto della situazione specifica di ciascun paese.

Quarta misura. Imporre il controllo dei movimenti dei capitali. E tenere conto di che cosa significa. Vale a dire, opporsi all’idea che sarebbe proibito ai cittadini trasferire qualche centinaio di euro all’estero. È evidente che le transazioni finanziarie internazionali saranno autorizzate fino a un certo ammontare. Al contrario, si tratta di realizzare uno stretto controllo sui movimenti di capitali al di sopra di questo ammontare.

Quinta misura. Socializzare il settore finanziario e il settore dell’energia. Socializzare il settore finanziario non consiste solo nello sviluppare un polo bancario pubblico. Si tratta di decretare un monopolio pubblico sul settore finanziario, cioè le banche e le società di assicurazione. Si tratta di una socializzazione del settore finanziario sotto il controllo cittadino. Vale a dire, trasformare il settore finanziario in servizio pubblico. Nel quadro della transizione ecologica, anche la socializzazione del settore dell’energia è ugualmente una misura prioritaria. Non ci può essere una transizione ecologica senza monopolio pubblico sul settore dell’energia, sia al livello della produzione che della distribuzione.

Proposta numero sei: Creazione di una moneta complementare, non convertibile e l’inevitabile dibattito sull’euro. Sia nel caso di uscita dall’euro, o di permanenza nella zona euro, ad ogni modo è necessaria la creazione di una moneta complementare non convertibile. In altri termini, una moneta che serva, in circuito corto, agli scambi all’interno del paese. Ad esempio, per pagare l’aumento delle pensioni, aumenti di salari ai dipendenti pubblici, per il pagamento delle imposte, per il pagamento dei servizi pubblici … L’utilizzo di una moneta complementare permette di staccarsi e uscire parzialmente dalla dittatura dell’euro e della Banca Centrale Europea.

Certo, non si può evitare il dibattito sull’uscita dalla zona euro. In vari paesi, anche l’uscita dalla zona euro è una opzione che deve essere difesa dai partiti, i sindacati, altri movimenti sociali. Molti paesi della zona euro non potranno realmente rompere con l’austerità e avviare una transizione ecosocialista senza uscire dalla zona euro. Nel caso di uscita dalla zona euro, bisogna attuare una riforma monetaria ridistributiva,o applicare un’imposta eccezionale progressiva al di sopra di 200mila  €. Tale proposta riguarda solo il patrimonio liquido, quindi non riguarda il patrimonio immobiliare (case, ecc.) trattato nella settima misura.

La settima misura: una riforma radicale della fiscalità. Eliminare l’IVA sui beni e i servizi di consumo di base, come i prodotti alimentari, l’elettricità, il gas e l’acqua (per questi ultimi tre fino a un certo livello di consumo per individuo), altri beni di prima necessità. Al contrario, un aumento dell’IVA sui beni e i prodotti di lusso ecc. Abbiamo anche bisogno di un certo aumento delle imposte sui profitti delle imprese private e dei redditi al di sopra di un certo livello. In altri termini, un’imposta progressiva sui redditi e sul patrimonio. La casa di abitazione dovrebbe essere esonerata da imposta al di sotto di un certo ammontare che varia in funzione della composizione della famiglia. La riforma della fiscalità deve produrre effetti immediati: una diminuzione molto sensibile delle imposte indirette e dirette per la maggioranza della popolazione e un aumento molto sensibile per il 10% più ricco e per le grandi imprese. Infine, la lotta contro la frode e l’evasione fiscale verrebbe intensificata.

Ottava misura: De-privatizzazioni. «Ricomprare» le imprese private con un euro simbolico. Così, da questo punto di vista, utilizzare l’euro potrebbe risultare molto simpatico, pagando un euro simbolico a quelli che hanno profittato delle privatizzazioni. E rafforzare ed estendere i servizi pubblici sotto controllo cittadino.

Nona misura: La realizzazione di un vasto piano d’urgenza per la creazione di posti di lavoro socialmente utili e per la giustizia. Ridurre il tempo di lavoro mantenendo invariati i salari. Abrogare le leggi antisociali e adottare leggi per rimediare alla situazione del debito ipotecario abusivo, disposizioni che riguardano prioritariamente paesi come la Spagna, l’Irlanda, la Grecia… Questo si potrebbe risolvere benissimo per legge, evitando processi (poiché ci sono molti processi sul debito ipotecario nei quali le famiglie si scontrano con le banche). Un Parlamento può decretare con una legge l’annullamento per legge dei debiti ipotecari inferiori a 150.000 euro, ad esempio e in tal modo porre termine a procedure giudiziarie. Si tratta anche di attuare un vasto programma di spese pubbliche per rilanciare l’occupazione e le attività socialmente utili favorendo i circuiti corti.

Decima misura: Aprire un vero processo costituente. Non si tratta di cambiamenti costituzionali nel quadro delle istituzioni parlamentari attuali. Si tratterebbe di sciogliere il parlamento e indire l’elezione a suffragio diretto di un’Assemblea Costituente. E cercare di inserire questo processo in altri processi costituenti su scala europea.

Queste sono dieci proposte di base da sottoporre al dibattito. Ma una cosa è certa, le misure da prendere devono andare alla radice dei problemi e devono essere applicate simultaneamente poiché ci vuole un programma coerente. In assenza della realizzazione di misure radicali annunciate dall’inizio, non ci sarà rottura con le politiche di austerità. È impossibile rompere con le politiche di austerità senza prendere misure radicali contro il grande capitale. Quanti pensano che questo si può evitare sono «venditori di fumo», che non potranno ottenere reali progressi concreti. Sulla scala europea, la natura dell’architettura europea e l’ampiezza della crisi del capitalismo fanno sì che non c’è più spazio reale per politiche produttiviste neokeynesiane. L’ecosocialismo non deve essere ai margini ma al cuore del dibattito, dal quale devono venire le proposte immediate e concrete. Bisogna portare a buon fine la lotta contro l’austerità e lanciarsi sulla via dell’anticapitalismo. La transizione ecosocialista è una necessità assoluta e immediata.

………………………firmatari…………………………………………

Angela Klein, rivista SOZ (Germania);

Christian Zeller, professore di geografia economica, Università di Salisburgo (Austria);

Tijana Okic, filosofa (Bosnia-Herzegovina);

Olivier Bonfond, économistA, membro della commissione per la verità sul debito greco (Belgio);

Jean-Claude Deroubaix, sociologo all’’Università di Mons (Belgio);

Mauro Gasparini, LCR/SAP (Belgio);

Corinne Gobin, politologa all’ULB (Belgio);

Herman Michiel, editore della rivista Ander Europa (Belgio);

Christine Pagnoulle, prof.ssa onoraria Università di Liegi, presidente ATTAC-Liège (Belgio);

Éric Toussaint, portavoce del CADTM internazionale, coordinatore scientifico della commissione per la verità sul debito greco (Belgio);

Stavros Tombazos, economista, prof. universitario, membro della commissione per la verità sul debito greco (Cipro);

Soren Sondergaard, deputato, ex-deputo europeo (Danimarca);

Daniel Albarracín, economista e sociologo, Podemos, membro della commissione per la verità sul debito greco (Spagna);

Marina Albiol, Eurodeputata di Izquierda Unida e portavoce della delegazione della Sinistra plurale al parlamento europeo (Spagna);

Yago Álvarez, attivista, membro della piattaforma di audit cittadino del debito -PACD PACD (Spagna);

Josep Maria Antentas, professore di sociologia dell’Università Autonoma di Barcellona (UAB);

Rommy Arce, consigliera municipale di Madrid, membra della coalizione Ahora Madrid e di Podemos;

Raúl Camargo, Segretario Politico di Podemos della Comunità di Madrid e Deputato di questa. Militante di Anticapitalistas ;

Sergi Cutillas, economista di Ekona. Membro del Gruppo promotore del nuovo movimento politico catalano Un País En Comú, Catalunya, membro della commissione per la vérità sul debito greco;

Jérôme Duval, membro del CADTM e della PACD;

Manolo Gari, economista, attivista ecosocialista, militante di Anticapitalistas e membro di Podemos;

Fátima Martín, giornalista, membra del CADTM e della PACD;

Teresa Rodríguez, deputata andalusa, ex-eurodeputata, portavoce di Podemos Andalucía;

Carlos Sanchez Mato, consigliere municipale e responsabile delle finanze dell’amministrazione comunale di Madrid;

Miguel Urbán, eurodeputato Podemos;

Olivier Besancenot, portavoce del NPA (Francia);

Jeanne Chevalier, Parti de Gauche (sottoscrive le 10 proposte ma non l’introduzione);

Eric Coquerel, coordinatore politico del Parti de Gauche (sottoscrive le 10 proposte ma non l’introduzione);

Pierre Cours-Salies, professore di sociologia all’Università Paris 8, Ensemble !;

Léon Crémieux, NPA; Alexis Cukier – Ensemble ! EreNSEP;

Penelope Duggan, Responsabile della rivista International Viewpoint ;

Pascal Franchet, presidente CADTM France;

Pierre Khalfa, copresidente della Fondation Copernic;

Djordje Kuzmanovic, Parti de Gauche (sottoscrive le 10 proposte ma non l’introduzione);

Jan Malewski, redattore della rivista Inprecor;

Myriam Martin et Jean-François Pellissier, portavoce di Ensemble!;

Corinne Morel Darleux, Parti de Gauche (sottoscrive le 10 proposte ma non l’introduzione);

Christine Poupin, portavoce NPA;Catherine Samary, economista, membra di ATTAC France;

Patrick Saurin, sindacalista SUD, membro del CADTM e della commissione per la verità sul debito greco;

Tassos Anastassiadis, sociologo e giornalista (Antarsya – Grecia);

Aris Chatzistefanou, realizzatore dei documentari Debtocracy e Catastroika (Grecia);

Nikos Chountis, eurodeputato Unità Popolare, ex-deputato europeo, ex-vice ministro nel primo governo di Tsipras;

Zoe Konstantopoulou, ex-presidente del parlamento greco, fondatrice del movimento politico Plefsi Eleftherias, presidente della commissione per la verità sul debito greco (sottoscrive le 10 proposte ma non l’introduzione);

Stathis Kouvelakis, King’s College London, Unità Popolare;

Costas Lapavitsas, economista, SOAS University of London, EreNSEP;

Spyros Marchetos, Università Aristotele di Salonicco, membro di Antarsya, membro della commissione per la verità sul debito greco;

Yorgos Mitralias, Greeks for Bernie’s Mass Movement – CADTM Grecia; membro della commissione per la verità sul debito greco;

Antonis Ntavanelos, RedNetwork, Unità Popolare;

Leonidas Vatikiotis, periodista (Antarsya), membro della commissione per la verità sul debito greco;

Judit Morva, economista, redattrice della rivista BALMIX (Ungheria);

Gigi Malabarba, operaio RiMaflow in autogestione – Fuorimercato, ex-senatore, Communia Network;

Checchino Antonini, direttore della rivista «L’Anticapitalista»;

Justin Turpel, ex deputato déi Lénk – la Sinistra (Lussemburgo);

David Wagner, Député déi Lénk – la Sinistra;

Zbigniew Marcin Kowalewski, giornalista (Polonia); Dariusz Zalega, giornalista (Polonia);

Francisco Louça, economista, Blocco di Sinistra, ex-deputato (Portogallo). Emette alcune riserve su alcuni aspetti tecnici delle 10 proposte;

Alda Sousa, Università di Porto, ex-eurodeputato, Blocco di Sinistra;

Rui Viana Pereira, designer sonoro, membro del CADPP (Portogallo);

Susan Pashkoff, Left Unity, Economic Policy Commission (Regno Unito);

Alan Thornett, Socialist Resistance in Britain;

Andreja Zivkovic, ricercatore (Serbia);

Maja Breznik, ricercatrice (Serbia);

Rastko Močnik, sociologo, prof universitario (Serbia);

Jean Batou, deputato Solidarités Genève, prof. Università di Losanna (Svizzera);

Claude Calame, storico, École des hautes études en sciences sociales EHESS – Parigi, membro di Solidarité