Le elezioni del 5 giugno

Risoluzione del Coordinamento nazionale di Sinistra Anticapitalista

approvata all’unanimità con due astensioni

1. La situazione politica

Ad oltre due anni dall’insediamento del governo Renzi, ci sono tutti gli elementi per poter affermare che questo governo è stato ed è l’esecutivo che, durante tutto il dopoguerra, con maggiore determinazione e con più efficacia ha applicato nel nostro paese le politiche desiderate dalle classi dominanti nazionali e internazionali.

Ha sostanzialmente abbattuto lo Statuto dei lavoratori del 1970, cioè la conquista legislativa più importante che, con maggiore organicità, seppure nel quadro di una società capitalista, affermava importanti diritti del mondo del lavoro.

Ha distrutto con il Jobs act il contratto a tempo indeterminato, sostituendolo con quello cosiddetto “a tutele crescenti” che lascia le lavoratrici e i lavoratori in balia dell’arbitrio padronale.

Ha sconvolto il funzionamento tendenzialmente partecipativo nella gestione della scuola pubblica, spingendo il suo funzionamento ad assomigliare sempre più a quello degli istituti di formazione privati.

Ha sancito l’impossibilità per le pensioni (in particolare per quelle medio-basse) ad avere il benché minimo adeguamento alla crescita del costo della vita, nonostante il pronunciamento in senso contrario della stessa Corte Costituzionale, rafforzando così le controriforme previdenziali dei precedenti governi.

Ha mantenuto il blocco dei contratti dei dipendenti pubblici, erodendone sensibilmente i già bassi livelli retributivi. La legge di riforma Madia punta a ridurre drasticamente i servizi pubblici e a introdurvi pesanti dosi privatistiche.

Ha abolito o disarticolato gran parte degli strumenti di controllo sulle attività private, a tutto vantaggio della corruzione e del saccheggio del territorio e dell’ambiente.

Ha tagliato a più riprese i trasferimenti di fondi alle regioni e agli enti locali, spingendo queste istituzioni da un lato a diminuire o a sopprimere importanti servizi e dall’altro a fare cassa aumentando i prelievi fiscali a danno dei bassi redditi.

Ha ulteriormente destrutturato la sanità pubblica, a tutto favore del mercato della salute.

Ma l’opera del governo Renzi si è anche concentrata sulla riforma costituzionale, per tentare di far coincidere maggiormente l’assetto delle istituzioni disegnate subito dopo l’abbattimento del fascismo ad una politica esplicitamente antipopolare.

La cancellazione delle provincie, la trasformazione del senato in una camera di designati, la restrizione drastica della rappresentanza del pluralismo politico, il deliberato perseguimento di una energica diminuzione degli spazi di partecipazione popolare alla politica, la già acquisita riforma dell’art. 81 della costituzione, unite con la nuova legge elettorale antidemocratica, sono tutti tasselli ritenuti necessari per poter gestire una politica di risoluto ulteriore peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro della stragrande maggioranza della popolazione.

In questo 2016 il governo si trova di fronte ad una serie di verifiche politiche che possono o consolidarne l’assetto di potere o scuoterlo pesantemente.

Alcuni scandali che hanno coinvolto, o perlomeno sfiorato alcuni personaggi chiave del governo e della maggioranza hanno significativamente intaccato la sua immagine politica e reso meno certo l’appoggio dei principali mass media, finora sostanzialmente incondizionato.

Il ridestarsi del mai sopito conflitto tra governo e magistratura sta anch’esso a indicare un significativo elemento di instabilità politica.

La spinta internazionale verso nuove avventure belliche dagli esiti tutt’altro che scontati, la “crisi dei profughi”, la vergognosa risposta sciovinista e reazionaria adottata da numerosi governi della UE, le incognite del referendum inglese sulla “Brexit” acuiscono l’instabilità del quadro politico nazionale e internazionale.

E lo stesso risultato del referendum ambientale del 17 aprile, pur se furbescamente affrontato con l’antidemocratico appello all’astensione, ha mostrato l’esistenza di un ampio settore di opinione pubblica ostile al governo, seppure politicamente composito e contraddittorio.

Si preparano altre scadenze elettorali nelle quali il grado di sostegno al governo verrà messo alla prova: in primo luogo la tornata amministrativa del 5 giugno che coinvolge circa 1.300 comuni, tra i quali i capoluoghi di importanti regioni (Roma, Milano, Torino, Bologna, Napoli, Cagliari, Trieste). Seguirà in autunno il referendum confermativo della controriforma Boschi della costituzione, recentemente approvata in quarta lettura il 12 aprile dalla Camera dei deputati.

2. La situazione nel centrosinistra

Il centrosinistra, così come si era venuto componendo nel corso dei primi anni 2000, attraverso la convergenza tra gli epigoni del PCI-PDS-DS-PD e ampia parte di quella che fu la sinistra “radicale”, si è definitivamente scomposto.

L’attivismo renziano ha peraltro sfiancato e sfibrato la cosiddetta “sinistra” del PD, frammentandola tra coloro che hanno scelto la via dell’uscita e coloro che proclamano di perseguire una politica di riaffermazione di un’idea “laburista” dentro un partito esplicitamente confindustriale.

Oramai la politica del PD di Renzi si basa su una maggioranza sempre più caratterizzata in senso centrista, una maggioranza che, seppur formatasi all’inizio per “cause di forza maggiore”, è ormai stabilmente imperniata sull’alleanza tra il PD e quella parte della destra che vuole mettere a frutto e salvaguardare la sostanza della politica dell’austerità, rinunciando e lasciando ad altri il perseguimento di una politica demagogico-reazionaria.

Sulle scelte sociali di fondo, però, le politiche del centrosinistra e del centrodestra continuano a coincidere, nell’applicazione della politica europea dell’austerità.

I candidati per le prossime comunali scelti dal gruppo dirigente “renziano” e fatti ratificare con il meccanismo manipolato delle “primarie” indicano con forza il carattere centrista e confindustriale di questo partito.

3. Il centrodestra

Questa scelta politica di netto spostamento a destra dell’asse politico del PD tende ormai da tempo ad acuire la crisi del fronte di destra, già profondamente scosso dalla drastica caduta della leadership berlusconiana.

Ciò si è riflesso anche nella difficoltà di definire candidati unitari in alcune delle principali città che vanno al voto, fino ad arrivare all’irrisolta situazione di Roma, dove, ad oggi, i candidati di destra in lizza sono 4 o 5. Solo a Milano le forze del centro destra sembrano essere riuscite a individuare una candidatura capace di misurarsi con l’ex capo dell’Expo.

Il ridimensionamento di Forza Italia, il rafforzamento della Lega, l’affermarsi della Meloni a capo di FdI, l’apparizione di nuovi candidati leader, come Passera (poi rientrato nei ranghi) o Marchini sono tutti fenomeni che impediscono per il momento la definizione di un’alternativa di destra vincente nei confronti di Renzi. Anche se il tessuto sociale che ha sostenuto la destra in questi ultimi venti anni è tutt’altro che evaporato.

4. Il Movimento 5 Stelle

Nonostante le vicissitudini politiche e qualche risultato elettorale deludente il Movimento 5 Stelle resta una proposta elettorale forte, che le recenti vicende giudiziarie, ma anche le divisioni e i problemi degli altri due schieramenti (e il meccanismo elettorale avventuristico dell’”Italicum”) rendono potenzialmente vincente.

La sua strategia, anche dopo il decesso di uno dei due leader indiscussi, resta quella dell’opposizione populistica e politicamente indefinita che ha caratterizzato da sempre un movimento che non vuole essere collocato né a destra né a sinistra. Non è un caso che su alcune questioni cruciali come la condizione dei lavoratori pubblici, la stessa questione sindacale e infine sui migranti assuma posizioni molte volte decisamente reazionarie. E non a caso quindi il M5S resta orientato verso una ipotesi esclusivamente elettorale, escludendo dal suo orizzonte ogni ipotesi di stimolo di mobilitazioni sul piano sociale.

Il M5S perciò affronta le prossime comunali come una scadenza nella quale cercherà di affermarsi come principale soggetto di opposizione al renzismo.

Naturalmente, come avviene già almeno dal 2013, la forza del M5S costituisce un ulteriore elemento di ostacolo alla costruzione a sinistra di un’alternativa politica tendenzialmente di massa. E infatti per tutte queste ragioni il movimento 5 Stelle non può certo essere considerato una forza alternativa al sistema come pensano certi ambienti della sinistra; e in nessun modo quindi è votabile.

5. La sinistra

Sul piano elettorale la sinistra “radicale” non si è più risollevata dopo il “disastro” del 2008. Solo la parte più moderata della sinistra, quella rappresentata da SEL, è riuscita ad ottenere un qualche risultato elettorale, sfruttando la necessità per il PD (allora diretto dai “bersaniani”), di avere un alleato alla sua sinistra. Il risultato parzialmente positivo delle liste dell’Altra Europa alle elezioni europee del 2014 non ha affatto rappresentato un’inversione di tendenza, ma solo il frutto di una fortunata congiunzione di occasioni, rafforzata dal prestigio che ancora allora raccoglieva il progetto di Syriza.

Anche il sogno perseguito da molti di rilanciare le sorti elettorali della sinistra grazie alla confluenza con i fuoriusciti dal PD non ha, almeno per il momento, condotto da nessuna parte. Peraltro, tutte le ipotesi di riaggregazione a sinistra emerse finora si sono tutte caratterizzate con un progetto di rilancio dell’impostazione “originaria” del centrosinistra, quella cioè di una gestione “temperata” dell’austerità e per un appiattimento acritico a sostegno della linea di rassegnata accettazione “critica” delle politiche dell’austerità praticata dalle organizzazioni sindacali maggioritarie.

L’approssimarsi della futura scadenza elettorale amministrativa non è stata affatto colta come occasione per costruire una forte opzione politica di sinistra alternativa al PD (e al M5S), ma è stata affrontata in ordine sparso, con un’impostazione spesso autonoma dal PD ma solo e soprattutto a causa dell’impostazione dichiaratamente centrista dei candidati renziani.

In questo quadro ancora una volta si sono manifestate tutte le contraddizioni di una forza politica come Rifondazione, che pretende da una parte di essere partito più radicale, segnalando il suo riferimento ideologico al comunismo, e dall’altra la sua impossibilità a difendere una reale proposta politica anticapitalista, accettando e/o subordinandosi alle posizioni politiche moderate delle altre forze della sinistra.

6. Le elezioni comunali

Come già detto l’imminente tornata elettorale comunale costituirà un momento importante per la definizione degli assetti di governo di alcune delle principali città del paese. Verranno eletti i sindaci che, in base alla riforma voluta nel 1993 dal centrosinistra, saranno sostanzialmente i detentori quasi assoluti del governo locale nella loro città, con consigli comunali ridotti a palestre di dibattito con un pressoché irrilevante ruolo politico e deliberativo.

Ma, in barba al tanto decantato decentramento, a causa delle scelte perseguite in tutti i paesi della UE, anche questi “podestà” sono stati privati di buona parte del loro potere discrezionale e ridotti a strumenti di “governance”, cioè di amministrazione delle politiche di austerità definite in ben altre sedi.

Dunque, solo di fronte a sindaci e a coalizioni politiche disposte a rompere clamorosamente con queste politiche, a disobbedire, a chiamare la popolazione a sostenerli attivamente, operando scelte di netta rottura con le istituzioni “superiori”, a partire dal rigetto del patto di stabilità interno, potremo avere città più vivibili, con servizi migliori, con una partecipazione popolare alla politica cittadina effettiva.

Non a caso anche le amministrazioni conquistate in precedenti tornate amministrative dal M5S (Parma, Livorno, Venaria, Gela, Ragusa, Comacchio, ecc.), seppure con vicende differenti, sono tutte in crisi, per l’incapacità dei loro sindaci e delle compagini consiliari che li sostengono di reggere lo scontro con i “poteri forti” locali e con le istituzioni nazionali.

Resta che le elezioni comunali del prossimo 5 giugno saranno comunque un fondamentale passaggio nella misurazione del grado di consenso che i vari progetti politici in campo riescono a raccogliere.

Proprio per questo è ancora più grave che le varie forze di sinistra non abbiano approfittato di questa occasione per mettere in campo una loro ipotesi.

Emblematico è il caso di Milano, dove il tanto decantato successo 5 anni fa del sindaco “arancione” Pisapia lascia una sinistra ex radicale divisa tra l’appoggio “critico” al manager Beppe Sala e la tardiva e scialba candidatura di Basilio Rizzo.

A Torino, complice l’impostazione indifendibile della ricandidatura di Piero Fassino, espressione delle classi dominanti della città, la sinistra, fin dall’inizio, si è trovata costretta ad una convergenza attorno al nome di Giorgio Airaudo, parlamentare di SEL, ma soprattutto ex leader della Fiom piemontese. Al di là della alternatività nei confronti di Fassino, pesano non solo e non tanto le recenti responsabilità passate di molti dei protagonisti di questa ipotesi elettorale, ma soprattutto il macigno della presenza di forze della coalizione Airaudo nella maggioranza di centrosinistra che governa la regione Piemonte.

A Roma dopo vari tentennamenti dovuti alla possibilità di una nuova candidatura del defenestrato Ignazio Marino, ritenuto un’ipotesi difendibile anche da sinistra nonostante le scelte praticate nei due anni della sua amministrazione, è stata infine ufficializzata la candidatura di Stefano Fassina, l’ex responsabile economico del PD di Bersani e poi viceministro dell’economia nel governo Letta.

Come si vede, anche solo con questi tre casi, le candidature di sinistra in lizza nelle varie città si presentano con un volto definito dalle vicissitudini della sinistra con tutti i suoi limiti e contraddizioni in quel determinato luogo più che da una immagine politica che proponga una prospettiva complessiva.

E infatti queste coalizioni cercano di presentarsi soprattutto come una valida variante di alternativa amministrativa di governo locale, piuttosto che come parte di un progetto radicale di alternativa al PD. E’ per questo anche che l’attenzione dedicata ai problemi della classe lavoratrice resta limitata.

7. Sinistra Anticapitalista

Sinistra Anticapitalista perciò prende atto del fatto che anche in questa occasione non verrà fatto un passo avanti nella costruzione di un’ipotesi si sinistra radicalmente alternativa alle altre opzioni politiche in campo, anche solo attraverso la parziale dimensione delle elezioni comunali. Ciò rende molto difficile affrontare la prossima scadenza per un’organizzazione come la nostra che ritiene la costruzione di quel progetto uno dei tasselli fondamentali della ripresa dei movimenti e del conflitto sociale nel nostro paese. Per un’organizzazione che ritiene che una scelta programmaticamente astensionista, in una fase di smobilitazione come questa, costituirebbe per tutte e tutti i nostri interlocutori sociali un invito ad un ulteriore disimpegno dalla politica.

D’altra parte le opzioni in campo non sono particolarmente attraenti, con la parziale eccezione della ricandidatura di Luigi De Magistris a Napoli, che, in effetti, pur nella difficilissima situazione del contesto partenopeo e in un quadro di scelte contraddittorie che non intendiamo sottacere, è riuscito a portare avanti una proposta di forte rottura con il governo nazionale, come è stato bene evidente nel corso del recente scontro con Renzi sul futuro dell’area di Bagnoli.

Delle altre opzioni sostenute in varia maniera dalla sinistra “ex radicale” abbiamo detto, per le loro persistenti ambiguità nei confronti dell’ipotesi di una nuova possibile alleanza con un PD “de-renzizzato”.

Quanto al cosiddetto “Partito comunista” di Marco Rizzo, le sue posizioni fieramente neostaliniste e “campiste” non riescono a mascherare un’impostazione nettamente riformista né alcune affermazioni francamente reazionarie in materia di immigrazione e diritti civili.

E il Partito comunista dei lavoratori di Marco Ferrando, che pure avanza proposte programmatiche largamente condivisibili, resta pervicacemente ancorato ad una ipotesi politica di esclusiva autoaffermazione.

In questo quadro, perciò, Sinistra Anticapitalista, al di là del suo completo sostegno ad alcune liste locali di sinistra a cui le compagne e i compagni della nostra organizzazione di alcuni centri minori partecipano in prima persona, ed avendo valutato come non ci fossero le condizioni per partecipare alle diverse coalizioni messe in piedi dalla sinistra nelle principali città chiamate al voto, ritiene di non poter andare oltre un generico invito alle lavoratrici e ai lavoratori, ai giovani e a tutti coloro che hanno a cuore gli interessi delle classi popolari a votare a sinistra, contro il PD, lasciando ai nostri circoli la possibilità di ulteriori specificazioni o indicazioni suggerite dalle realtà locali.