Referendum contro le trivellazioni, Davide sfida Golia

di Umberto Oreste, da cantolibre.it

Il 17 aprile saremo chiamati ad esprimerci sull’abrogazione di un articolo della legge di stabilità che prolunga indefinitamente le concessioni ad estrarre idrocarburi dai mari italiani.

Si prefigura uno scontro impari tra le potentissime compagnie petrolifere e gli attivisti che difendono l’ambiente, i diritti, la democrazia.

Le multinazionali degli idrocarburi hanno dalla loro parte ingenti risorse finanziarie con le quali comprare tecnici, scienziati, politici e media. Il loro passato ha sporcato la storia d’Italia a cominciare dalla morte di Enrico Mattei; colpi di stato in paesi ricchi di idrocarburi non sono rari (Iran 1951) e la Guerra del Golfo fu intrapresa dietro pressione della Esso; immani tragedie ecologiche a cominciare dagli incidenti dell’Exxon Valdez (1989) a finire a quello della piattaforma della British Petroleum nel Golfo del Messico (2010) sono responsabilità delle compagnie petrolifere. Non è da dimenticare che il futuro del pianeta, caratterizzato da disastrosi cambiamenti climatici è responsabilità della ricerca del massimo profitto da parte delle multinazionali che gestiscono il reperimento e l’utilizzo degli idrocarburi fossili.

Il 17 aprile di fronte al gigante Golia delle multinazionali del petrolio si schiera il ragazzo Davide, cioè tutti quelli che pensano che vengono prima i diritti di tanta gente e poi i profitti di pochi. Ci sono tantissimi comitati referendari per il Sì che sono sorti in tanti paesi d’Italia; ci sono le associazioni ambientaliste che da anni lavorano nei territori educando alla cultura ecologica; ci sono i soggetti politici della vera sinistra (non la pseudo-sinistra della cancellazione dei diritti dei lavoratori, dello stravolgimento della costituzione, dei tagli indiscriminati ai servizi pubblici, della privatizzazione dei beni comuni); ci sono i sindacati conflittuali; ci sono i collettivi studenteschi, c’è chi produce cultura alternativa.

In questo contrasto è più che evidente da che parte è la ragione e dovremmo aspettarci una vittoria schiacciante del Sì. Purtroppo, però, il problema vero è che la gente comune non è stata sufficientemente informata, e questa mancanza di informazione è voluta dal governo e dai potentati economici chi dirigono la politica in Italia.

Hanno fatto e continuano a fare di tutto per far fallire il referendum: si potrà votare un sol giorno (domenica 17) e non due giorni come nei precedenti referendum. Non si è voluto accorpare il referendum con le amministrative di maggio, facendo pagare agli italiani 300 milioni di euro in più. Non si è dato ai comitati del SI possibilità di spazi elettorali e rappresentanti di lista: solo ai soggetti promotori (consigli regionali) ed ai partiti presenti in parlamento (quasi tutti contrari al referendum) è stata data possibilità di accedere alla campagna referendaria gestita dalle istituzioni. Si è negato ai sindaci in quanto tali, di pronunziarsi sulla materia referendaria.

Quando però i media parlano di referendum lo fanno dicendo un cumulo di bugie.
Dicono che le trivelle non sono inquinanti: falso, da dati ISPRA risulta nei due terzi dei casi rilascio di idrocarburi sulle sabbie dove poggiano le trivelle.
Dicono che si perdono posti di lavoro: falso, le piattaforme continueranno a funzionare per molti anni fino alla scadenza delle concessioni, ci sarà quindi tutto il tempo per ricollocare i pochi tecnici necessari a far funzionare ciascun impianto.
Dicono che l’energia da fonti rinnovabili non è competitiva: falso, già da adesso le energie rinnovabili forniscono il 41% dell’energia elettrica e tutto il settore petrolifero è in crisi per l’abbassamento del prezzo del barile; anzi molte company sono sull’orlo del fallimento con pericolo di perdita di moltissimi posti di lavoro.
Dicono che il petrolio che si estrae in mare è indispensabile ai bisogni energetici nazionali; falso, se si estraesse tutto il petrolio dei mari italiani, questo basterebbe per far funzionare il paese per sole sei settimane e tutto il gas si esaurirebbe in sei mesi.

Ma allora perché ci tengono tanto a che il referendum fallisca?
Perché in Italia i petrolieri pagano tra le tasse più basse al mondo (solo il 7% dei guadagni dei petrolieri vanno in tasse).
Perché sperano di utilizzare le risorse nell’ipotesi che il loro prezzo salga in futuro.
Ma anche perché se il Sì vincesse, sarebbero obbligati a smantellare le trivelle alla fine della concessione, cosa che costerebbe parecchio; con il fallimento del referendum le trivelle rimarranno indefinitamente sul posto.

Da quanto detto risultano più che evidenti le ragioni del Sì, ma c’è un’ultima cosa da dire, forse la più importante: se vince il Sì si dimostrerà che è possibile opporsi a questa come ad altre leggi sulle quali saremo chiamati a votare in autunno. Si rafforzerà un fronte comune per la difesa dell’ambiente, dei diritti, della democrazia, e questo è interesse del 99% del mondo.