Occupata e indipendente: l’inatteso identikit della donna che subisce violenza

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Riprendiamo e pubblichiamo un articolo uscito qualche giorno fa sul Corriere della Sera on – line. Il tema è la violenza sulle donne: viene presentato una studio che traccia il nuovo identikit della donna che subisce violenza. Lo studio si basa sui dati raccolti dai centri anti – violenza di Milano es è stato presentato da Patrizia Farina del dipartimento di sociologia e ricerca sociale dell’Università Milano Bicocca.

Anche se lo studio riguarda la sola città di Milano e anche i media hanno spento i riflettori sul femminicidio, quella descritta nell’articolo è una realtà drammatica che conferma non solo l’altissimo numero di donne vittime di violenza ma anche l’alto numero di donne che vengono “perse per strada”, soprattutto straniere.

Questo studio mostra che a subire violenza sono donne che hanno un’occupazione e risorse proprie quasi a sfatare il mito della donna fragile e senza risorse e conferma che il raptus di follia è raro visto che la maggior parte delle donne che ha subito o subisce violenza non è vittima di un episodio isolato di maltrattamento.

Il punto critico è la costante mancanza di risorse nascosta da una continua retorica sull’importanza di mettere al centro dell’agenda politica il problema della violenza sulle donne; peccato il governo e le istituzioni in generale siano bravi a tirare fuori il tema solo in maniera strumentale e solo quando si tratta di approvare leggi liberticide, come l’ultima sull’omofobia (vedi qui).

Questo studio, per concludere, non fa altro che confermare la non volontà politica di affrontare il problema.

Chiara Carratù

 

di Giovanna Pezzuoli (dal blog del Corriere)

Dal 2009 al 2013 quasi 4 mila donne a Milano hanno chiesto aiuto ai centri anti-violenza. Che cosa raccontano i dati? Lo spiega Patrizia Farina, del dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale dell’Università Milano Bicocca, presentando “In rete si può”, il progetto che dal 2005 raggruppa 9 realtà milanesi (dalla Casa della donna maltrattata Soccorso violenza sessuale e domestica, dalla cooperativa Cerchi d’acqua a Telefono Donna) ed ora si rafforza con un piano di azioni comuni.

Il 63 per cento delle donne sono italiane, 38 anni è l’età media(34 anni per le straniere, 41 per le italiane). La più giovane ha 13 anni e viene dall’Ecuador, la più anziana ne ha 86 ed è italiana. Il 60 per cento delle donne che hanno subito violenza ha un’occupazione e il 64% dispone di risorse proprie (dato che sale al 67% nel caso delle italiane).

Già questo identikit colpisce, sfatando l’idea di “vittime” in una condizione di estrema debolezza e dipendenza economica. Forse più della presunta fragilità delle donne è il loro desiderio di libertà e di autonomia a scatenare la violenza

Tra le straniere ci sono ben 87 differenti nazionalità, con Perù, Romania, Ecuador e Marocco ai primi posti. Si tratta di violenza fisica nel 35% dei casi, di violenza psicologica nel 37%, due tipologie di abuso spesso concomitanti. Le violenze sessuali rappresentano il 12%. Non sono quasi mai episodi isolati, i famosi “raptus” che spezzerebbero una serena quotidianità : 1 donna ogni 5 ha subito 3 o più episodi di violenza.

Chi maltratta? Nel 55% dei casi è il coniuge o il partner, nel 18% l’ex coniuge o convivente, che più spesso commette il reato di stalking. Gli sconosciuti sono solo il 5%, e commettono perlopiù atti di violenza sessuale. L’età è una discriminante tra abusi sessuali (che riguardano di più le minorenni) e violenze fisiche e psicologiche, più spesso esercitate nei confronti di donne adulte. Dice Patrizia Farina:

«Che cosa si è fatto per queste donne che si trovano in una condizione temporanea di fragilità? Qui la differenza tra italiane e straniere si fa evidente: per le prime gli interventi più frequenti sono più “leggeri” e “sofisticati”, come ascolto telefonico e percorsi psicologici, per le altre vengono richieste più spesso ospitalità, assistenza sociale e sanitaria».

Qual è il punto critico? L’abbandono, ovvero il chiedere soccorso e poi andarsene via, rinunciare, cedere allo sconforto, all’impotenza magari perché non si è trovata abbastanza comprensione… Ogni abbandono comporta un peggioramento della situazione. E ogni 100 percorsi conclusi, 30 restano interrotti.

Chi abbandona nel 27% dei casi è italiana, nel 42% straniera. Ha più probabilità di andarsene chi contatta i servizi attraverso il centralino 1522 o viene segnalata dalle forze dell’ordine o dai presidi ospedalieri. Evidentemente la scelta non volontaria favorisce l’abbandono, meno frequente nel caso delle minorenni contattate in modo diretto.

«La qualità dell’approccio e un ascolto attento e competente sono l’unico modo per evitare gli abbandoni», ha precisato Manuela Ulivi, avvocata, presidente della Casa delle donne maltrattate (con 25 mila donne ascoltate in 25 anni) . Quanto al punto critico dei rapporti con le forze dell’ordine e la magistratura vengono chieste due cose: che non ci siano mai donne rispedite a casa, né casi archiviati.

Il monitoraggio e la comunicazione costanti dei dati sono la base di un “patto per la città” che integra le competenze delle singole realtà, tra loro autonome, e dà l’avvio a sei sportelli, punti di ascolto decentrati, nuove porte di accesso alla rete dei servizi. Questi i punti di forza di un progetto che come momento di maggiore criticità ha la mancanza di certezza e di continuità delle risorse, ha sottolineato Miriam Pasqui,dell’assessorato alle Politiche sociali del Comune di Milano. «Il monitoraggio è compito delle istituzioni», ha chiarito suor Claudia Biondidell’area maltrattamento della Caritas, sottolineando anche un altro aspetto contraddittorio, ovvero il fatto che l’ospitalità delle donne che subiscono violenza sia ancora nel 70/80% dei casi a carico di enti estranei ai centri anti-violenza.

Ha concluso l’assessore alle Politiche Sociali dei Comune, Pierfrancesco Majorino:

“Sono stati annunciati dal governo stanziamenti per 17 milioni di euro ma di fatto finora abbiamo 150 mila euro in meno rispetto a un anno fa. Si fa molta retorica sulle risorse ma il problema vero è come verranno utilizzate. Per noi un obiettivo importante resta la relazione con le donne migranti e le ragazze, ricordandosi che l’intervento non è mai ispirato dalla compassione bensì dal sostegno dell’autonomia femminile”

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