Contro il “Dividi ed impera” fascio-leghista. Riunire le lotte delle classi lavoratrici!

di Franco Turigliatto

Nell’articolo dei giorni scorsi avevamo sottolineato la natura reazionaria di un governo che su tutte le questioni sociali e politiche procede come un rullo compressore contro le condizioni di vita e i diritti delle classi lavoratrici per frammentarle e dividerle garantendo lo sfruttamento capitalista e rafforzando il suo potere politico al servizio della classe dominante. Siamo davanti al peggior nemico delle/dei lavoratrici/ori come sempre lo sono stati i fascisti e le estreme destre nelle varie configurazioni con cui si sono manifestate.

Vanno in questa direzione le ultime misure del governo a favore di imprenditori grandi e piccoli e le dichiarazioni della Meloni che ha riaffermato la sua “concezione del mondo” con un frase lapidaria  Se non sei disponibile a lavorare non puoi pretendere di essere mantenuto con i soldi di chi lavora ogni giorno”. Nel nostro paese ci sono 5-6 milioni di poveri.

In altri termini “Se sei povero è colpa tua”. Guarda caso è l’interpretazione che i padroni hanno dato della povertà, prodotta del loro sistema economico, dalla nascita del capitalismo fino ai giorni nostri giorni per liberarsi da ogni responsabilità e colpevolizzare chi si trova sfruttato ed oppresso ai margini della società e per creare una utile contrapposizione tra chi non ha lavoro e coloro che il lavoro lo hanno, ma con salari di fame. “Un pensiero ricorrente quando si vuole governare i poveri e non liberare la società dalla povertà” è l’utile lettura del Manifesto https://ilmanifesto.it/meloni-lodio-dei-poveri-concentrato-in-una-frase.

Non perdere altro tempo

Contro questo governo, contro le forze politiche fascisteggianti che lo compongono, l’unico antidoto per contrastarlo con efficacia è attivare una mobilitazione sociale di massa per difendere, i salari, le pensioni, i posti di lavoro e tutti i diritti sociali e politici, riunire quella classe sociale che capitalisti e governanti vogliono divisa e frammentata.

E’ compito che spetta a tutte le forze politiche e sociali della sinistra, ma per ovvie ragioni di forza organizzativa e rappresentanza del lavoro, riguarda, in prima battuta, le grandi organizzazioni sindacali. Per chiarezza: un lavoro importante lo fanno i sindacati di base con le loro iniziative, pur qualche volta indebolite dalle loro divisioni, e nel lavoro di organizzare militanti combattivi e di classe, ma le loro dimensioni rendono problematica la loro possibilità di incidere nell’evoluzione dei rapporti di forza complessivi. 

Per questo una particolare sottolineatura di responsabilità va alla CGIL, essendo la principale organizzazione di massa nel paese e perché pretende di essere ancora un sindacato di classe, capace di rappresentare le istanze complessive di tutte le categorie delle/i lavoratrici/ori.

Solo che le vicende non sono andate così nello scorso anno; per mesi le direzioni delle maggiori organizzazioni hanno adottato un atteggiamento attendista, di “presunta verifica” delle politiche del governo, quando ne era del tutto chiara la natura antioperaia; solo nel tardo autunno CGIL e UIL hanno indetto un’incerta mobilitazione e uno sciopero, a quel punto di non facile realizzazione. Nei fatti un colpevole immobilismo, mascherato da denunce propagandistiche, alla ricerca di un tavolo di trattativa che il governo non ha problemi a snobbare.

E si sta proseguendo sulla stessa strada. Anche in questi giorni forti sono state le “grida” contro la legge sulla autonomia differenziata con Landini in testa: “ Più divari e diseguaglianze, meno diritti per lavoratori e pensionati…. ci opporremo con tutti gli strumenti che la democrazia mette a disposizione, per impedire che il Governo spacchi il Paese e ne comprometta il futuro”. Il segretario della CGIL in un’intervista a La Repubblica, elenca con precisione tutte le malefatte del governo, sul “salario giusto” e le gabbie salariali, sui contratti, sull’inflazione, sulla occupazione e sulla povertà, sulle politiche industriali e le privatizzazioni, invitando perentoriamente il governo “a fermarsi”….

Facile ricordare il vecchio detto: “Me ne hanno date tante, ma quante gliene ho dette”.

Purtroppo questa situazione in cui si denuncia le politiche governative senza avere la forza materiale di costruire una resistenza efficace riguarda un po’ tutte le forze politiche e sociali della sinistra e l’insieme della classe lavoratrice. Ma appunto, una responsabilità particolare va alla CGIL, che organizza ancora la rappresentanza e l’organizzazione di milioni di lavoratrici e lavoratori.

Il dibattito nell’Assemblea della CGIL

La recente Assemblea generale della CGIL ha visto una discussione difficile con il rinvio delle decisioni sia politiche che operative.  In qualche modo ha dovuto riconoscere che le mobilitazioni e gli scioperi di novembre sono serviti ben poco anche perché promossi in ritardo, mal preparati e dentro un’ottica politica che puntava più  alla semplice dimostrazione di esistenza del sindacato e dei suoi apparati che non a una reale continuità di lotta. Per altro anche in questi giorni quello che emerge di più è la logora richiesta al governo di rispondere alle richieste dei sindacati e non un coerente percorso di ricostruzione della forza del movimento di massa. 

Nell’Assemblea si è discusso soprattutto delle possibili scelte referendarie per l’abrogazione di una serie di leggi antisociali e liberiste, tra cui quelle sulla precarietà del lavoro. Molti i temi e le formulazioni avanzate, decisamente troppe, per poter concentrare la battaglia su obiettivi percepibili a livello di massa e quindi gestibili con efficacia. Inoltre dei referendum non collegati a una più immediata piattaforma rivendicativa e di lotta rischiano di svolgersi senza un contesto sociale trainante. Per questo serve da subito individuare i contenuti della battaglia salariale e per l’occupazione.

La piccola e temporanea mancia governativa di fine anno con la finanziaria non ha certo risolto i problemi di milioni di lavoratrici e lavoratori alle prese con un’inflazione che negli ultimi 2 anni si è avvicinata a un 20% complessivo.

Nello stesso tempo i nodi occupazionali prodotti dalle ristrutturazioni e dalle delocalizzazioni delle aziende sono ben presenti e il governo “sovranista”, non meno dei precedenti, si rifiuta di utilizzare gli strumenti dell’intervento pubblico per risolverle, ma prende ogni volta tempo in attesa di un nuovo soggetto privato. Anzi rilancia la svendita dei beni pubblici, a partire dalle poste, per fare cassa.

Le grandi crisi industriali. Occupazione e salari

Le grandi crisi industriali hanno le loro punte massime nel Gruppo dell’acciaio e nel settore dell’auto, cioè Stellantis e il grande indotto che ne è coinvolto, ma interessano anche centinaia di altre fabbriche. Ne sono coinvolti circa 300 mila lavoratrici/tori, 300 mila famiglie.

La vicenda combattiva, militante e coinvolgente della CKN contro la delocalizzazione e per aprire una nuova fase d’intervento pubblico pianificando riconversioni produttive finalizzate alla transizione verde, avrebbe potuto essere l’occasione per le direzioni sindacali di collegare tutte le aziende coinvolte nelle ristrutturazioni, superando la perdente gestione della crisi caso per caso con l’obiettivo esplicito del rilancio dell’azione pubblica vincolata alla partecipazione e al controllo delle lavoratrici e dei lavoratori.

E’ palese a tutti che questa strada le direzioni sindacali non hanno voluto intraprenderla. Non è il loro orizzonte.

Resta il fatto che se si vuole uscire dal pantano in cui movimento sindacale e classe lavoratrice sono finiti va organizzata un battaglia congiunta sul rinnovo dei contratti di lavoro scaduti con la difesa dei posti di lavoro e questo non può che rimettere in campo il tema delle nazionalizzazioni ed anche della stessa scala mobile dei salari. Nessuno pensa che sia un compito facile: serve una forte discussione nelle assemblee, ma serve anche che ci sia la percezione che le direzioni sindacali, e in particolare la CGIL, vogliano fare sul serio ponendo fine alle subalternità.

Contro ogni forma di autonomia differenziata

Per altro questa è la sola strada che possa farci arrivare, con forza e credibilità complessiva nell’opinione pubblica larga, alla battaglia fondamentale, quella contro la legge sull’autonomia differenziata, una legge che punta alla divisione in tutte le forme delle classi lavoratrici, sui salari, sull’occupazione, sull’accesso al welfare, sui diritti. A questo punto sembra inevitabile che solo un referendum abrogativo possa fermarla ed impedire il disastro. Ma per riuscire a vincere, come è assolutamente necessario, serve la costruzione da subito di una formidabile mobilitazione sociale. sui temi individuati. 

Meloni e soci non lo dicono apertamente, ma sanno che la classe operaia è il loro vero nemico, lo spettro che temono, la forza che può stroncare il loro percorso. Lavoriamo per un rilancio della lotta operaia di massa per cacciare il governo fascio-leghista.