Non rassegnarsi ai tempi di guerra e al governo delle destre
Qualche sintetica considerazione sul quadro nazionale e internazionale segnato più che mai da molteplici elementi di crisi [Franco Turigliatto]
Fermiamo i capitalisti che ci portano alla guerra
Sul fronte orientale continua la guerra in Ucraina, con tutte le sue violenze e crudeltà e con un enorme baratro di vittime civili e militari; nulla fa pensare che il massacro possa essere fermato in tempi rapidi. Continua con gli implacabili bombardamenti della Russia sulle città e sui civili nel tentativo di fiaccare le capacità di resistenza della popolazione e di impedire la controffensiva delle forze militari ucraine, tante volte annunciata dai media; continua la spaventosa guerra di trincea, cimitero della gioventù come è stato nella prima guerra mondiale. Il folle e oppressivo disegno di Putin di riprendere il controllo dell’Ucraina per ripristinare un dominio imperiale di stampo zarista e per contrastare le scelte espansive della Nato nello scontro sempre più forte che oppone i diversi imperialismi (Russia versus Usa, ma anche Usa versus Cina), si è tramutato nel suo opposto. L’invasione dell’Ucraina è diventata un’incredibile occasione per gli Usa e la Nato di operare un loro rafforzamento su grande scala, di rendere gestibile un vasto piano di riarmo militare, che era già in atto, ma che ora conosce uno sviluppo quale non si vedeva dai tempi della guerra fredda. Micidiali sono gli incrementi della spesa militare di Germania, Francia Inghilterra, Italia, Polonia per non parlare di USA, Russia e Cina.
La scelta degli imperialismi occidentali è oggi chiara: usare la legittima resistenza del popolo ucraino all’invasione russa, per i propri fini con un prolungamento sine die della guerra stessa. L’intenzione dichiarata di entrambe le parti, “Continuo la guerra fino alla vittoria, in ogni caso per ottenere il migliore posizionamento per avviare poi trattative a mio vantaggio” è un gioco non solo tragico, ma molto pericoloso; è una indecente roulette russa da cui può partire il colpo mortale e distruttivo della stessa arma nucleare. In ogni caso già oggi è inaccettabile che a patire siano intere popolazioni, quella ucraina in primo luogo, ma anche, se pure in forme diverse, quella russa, che le vittime dei giovani militari si contino ormai a centinaia di migliaia dalle due parti e che si produca una corsa alla guerra con il micidiale aumento delle produzioni belliche (anche risorse del PNRR europee sono state spostate in tale direzione), ma anche con una intensa campagna ideologica volta ad assuefare i popoli alla guerra.
In proposito la visita in Italia di Zelenski è stata sintomatica. Il Presidente ucraino per conto suo e per conto delle potenze occidentali, è venuto in Italia per dire al papa che la deve smettere con i suoi progetti di pace, che si deve mettere da parte, che nessuna tregua o cessate il fuoco per ora è possibile e che la guerra deve continuare; in secondo luogo per ottenere il pieno supporto, per altro scontato, del governo italiano in questa prosecuzione del conflitto; quale occasione migliore per Meloni e compari per rilanciare il loro nazionalismo patriottico. E dietro a questi scenari si manifestano gli appetiti di profitto di coloro che producono cannoni, ma anche di quelli vogliono avere un ruolo privilegiato nella futura ricostruzione dell’Ucraina. Vedremo però quando mai sarà.
Come scrivono le/i nostre/i compagne/i francesi, i capitalisti, di fronte alle difficoltà economiche, ci portano dritti alle guerre: “Se Putin ha aggredito il popolo ucraino con una guerra di invasione, nel Pacifico si accentua lo scontro tra USA e Cina e in Africa e Medio Oriente le guerre si moltiplicano, Il mercato mondiale non sembra più in grado di garantire che tutti i poli imperialisti, dalla USA alla Cina, dalla UE alla Russia, realizzino all’infinito i profitti”. A questo punto la concorrenza economica non è più sufficiente e qualcuno pensa di far valere i rapporti di forza materiali, compresi quelli militari.
Serve un forte movimento contro la guerra per fermarli.
Governo: non c’è mai fine al peggio
Il governo dell’estrema destra (parvenu politici arrivati al potere grazie a una legge elettorale falsificante del voto popolare e a varie manovre e intrighi istituzionali) per garantirsi un forte sostegno internazionale ha firmato due assicurazioni: quella dell’alleanza totale, politica e militare con l’imperialismo USA e quella economica con la UE per continuare le politiche liberiste. Poi ci ha aggiunto del suo, costruendo un processo politico, ideologico e sociale completamente reazionario, di penalizzazione dei ceti più deboli, (2,5 miliardi all’anno rubati ai poveri e 10 miliardi in 3 anni ai pensionati), garantendo profitti e rendite al grande capitale, ma anche tutte le forme di esenzione fiscale per la piccola e media borghesia e il diritto allo sfruttamento pieno della forza lavoro, di involuzione civile (vedi i diritti dei bambini e delle famiglie arcobaleno e sempre più saranno sotto attacco anche i diritti conquistati delle donne). La Meloni piazza le sue pedine storiche e i nuovi servi nei posti chiave dell’apparato statale e in quello economico pubblico, ma anche nei luoghi della produzione ideologica (non scordiamoci il minculpop, il ministero fascista della cultura popolare), per costruire il suo regime conservatore. Spicca infine la combinazione tra due mali, quello della autonomia differenziata di divisione del paese e della classe lavoratrice e quello presidenzialista con i suoi tratti antidemocratici e autoritari.
La forza della destra non si basa solo sul sostegno diretto di alcuni settori sociali, che restano contenuti o in una egemonia politica sociale in larga parte ancora da costruire, ma nella inconsistenza delle forze di opposizione del centro sinistra (ci vuole altro che il “nuovo corso” della Schlein per cambiare le carte in tavola) e nella apatia di vasti settori di lavoratori, espressione della l’inattività e subordinazione delle direzioni sindacali.
Mobilitazioni sindacali: fare sul serio
Abbiamo sostenuto che la CGIL e le altre confederazioni avrebbero dovuto negli anni passati combattere le politiche antipopolari dei governi che si sono succeduti, ma che tanto più devono oggi individuare nel governo delle destre un nemico pericolosissimo da combattere fino in fondo, attraverso una vasta opera di discussione, di sensibilizzazione e di costruzione della lotta sui luoghi di lavoro che permetta di indebolirne il consenso e di batterlo sul campo. Così non è stato. Le scelte della direzione CGIL, per non parlare della CISL, è stato quello di indugiare e di proporre mobilitazioni solo dimostrative e simboliche, non costruendo un percorso che renda credibile alla massa dei lavoratori l’assoluta necessità della lotta per difendersi e poter migliorare le loro condizioni di vita.
Le manifestazioni messe in atto sono inconsistenti e non ingannano certo i padroni che conoscono bene le intenzioni dei dirigenti confederali con una CISL che condiziona fortemente sia i contenuti che le forme delle mobilitazioni. Condizionamento ben accettato da CGIL e UIL. E’ quasi incredibile come Landini susciti il consenso dei partecipanti alle manifestazioni descrivendo le ingiustizie sociali, senza però indicare mai quello che si dovrebbe fare per combatterle. Eppure la partecipazione ai cortei indica (non si tratta di manifestazioni di soli apparati o di funzionari, ma di delegate e delegati e ad anche di settori importanti di lavoratrici e lavoratori con un livello medio di coscienza politica) una disponibilità a partecipare a una attività sindacale. Potrebbero questi settori, se attivati a fondo e sospinti da un chiaro disegno di lotta, essere un importante punto di partenza per ricostruire nuovi rapporti di forza. Contemporaneamente dovrebbe essere colmato, almeno in parte, il fossato che oggi divide i settori sindacali di classe combattivi organizzati nei sindacati di base, se pure minoritari e quelli della CGIL che dispone di una articolazione organizzativa e militante in tutto il paese e in tutte le categorie. Per questo abbiamo detto, e lo riaffermiamo, che occorre fare come in Francia, lavorare per superare questo gap in un’ottica di intersindacale di lotta. Vedremo sabato prossimo quale sarà la partecipazione alla manifestazione di Napoli in cui forte sarà il tema dell’opposizione all’autonomia differenziata e quali siano le ricadute degli scioperi alla Stellantis di Pomigliano.
Al centro della battaglia deve essere la sacrosanta rivendicazione del salario minimo, ma anche della scala mobile, di aumenti per lavoratrici/lavoratori e pensionate/i di almeno 300 euro netti, combinati alla difesa di un reddito per gli indigenti, al rifiuto della autonomia differenziata e al rigetto delle controriforma Fornero e di tutte le leggi che garantiscono al precarietà e lo sfruttamento ai padroni e quelle che reprimono le lotte sciali.
Le elezioni comunali parziali
Infine qualche parola sulle elezioni comunali che coinvolgevano 6 milioni di persone, 600 comuni, tra cui 13 capoluoghi di provincia per il rinnovo del Sindaco e del Consiglio. La partecipazione al voto, già stata storicamente bassa 5 anni fa (61%) è scesa ancora di due punti (59%).
I risultati confermano che le destre unite vanno forte e vincono largamente in parecchie città, portando a casa per ora 4 capoluoghi contro i 2 del centro sinistra. Sarà tuttavia l’esito dei numerosi ballottaggi che indicheranno meglio la dinamica del voto complessivo. All’interno della destra si registra le difficoltà di FI, forza ormai minoritaria, ma anche la Lega subisce pesantemente l’avanzata di FdI, anche se la Meloni deve accontentarsi di progressioni inferiori a quelle ottenute nel voto politico dell’anno scorso. Il centrosinistra, con i DS e il M5S che si presentano molte volte divisi, conosce parecchie difficoltà ma mostra di avere ancora qualche capacità di resistenza; vince al primo turno in città come Brescia e Teramo; in molte altre va al ballottaggio, ma ha comunque qualche difficoltà a riconquistare città che una volta erano roccaforti della sinistra. Il PD può dichiararsi soddisfatto per la tenuta dei voti di partito che lo pongono in molte situazioni al primo posto, mentre il M5S risulta ancor più penalizzato del solito nel voto amministrativo.
Vogliamo però richiamare ancora il fatto che il sistema elettorale attuale è assai discutibile e poco democratico penalizzando, attraverso la riduzione del numero dei consiglieri e il premio di maggioranza, le forze della sinistra autentica; se lo sbarramento ufficiale è al 3%, quello fattuale risulta molto più alto.
Per esempio in una città storicamente e politicamente così importante come Ivrea in Piemonte, dove la candidatura di Unione popolare sfiora il 3% grazie a una bella campagna elettorale, per avere una/o eletto sarebbe servito in ogni caso il 60% di voti in più!
Viene invece eletta a Bussoleno in Valle Susa, simbolo della lotta No Tav, Nicoletta Dosio, dove UP ottiene un lusinghiero 13%. A Nicoletta i nostri migliori auguri.
La partecipazione della sinistra radicale a questa tornata elettorale è stata come al solito a macchia di leopardo ed anche diversificata nella titolazione delle liste e tanto più nei risultati, in genere modesti, con qualche isolata eccezione (la conferma di Pisa) non scevra inoltre di qualche discutibilissima e per nulla condivisibile alleanza con il M5S (tra cui Brescia, Treviso e Massa).