A passo lento verso l’anno nuovo
di Diego Giachetti
Un recente sondaggio dell’Ipsos sulle preoccupazioni degli italiani mette al primo posto le questioni economiche e occupazionali, seguono welfare e assistenza, poi distanziati nell’ordine: la situazione politica (24%), l’immigrazione (18%). Altra fonte di preoccupazione in crescita riguarda la guerra in Ucraina, soprattutto per le conseguenze economiche derivanti dalle sanzioni: il 55% inizialmente favorevole è sceso al 46%.
Chi si aspettava una reazione decisa al governo più a destra della storia repubblicana deve attendere. Il Pd è percorso da un dibattito surreale su regole e candidati alle primarie in vista di un prossimo lontano congresso. In ciò che rimane alla sua sinistra prevalgono per ora coltivazioni autoreferenziali dei propri orticelli. La mobilitazione dei sindacati incontra non nuove difficoltà di adesioni, che in parte hanno origine nel mutamento della composizione interna delle classi lavoratrici, che si manifesta nella fioritura di norme contrattuali, introdotte rispettivamente dai governi di centro destra e di centro sinistra. Vi sono dati significativi su cui riflettere a partire dalla composizione generazionale del movimento delle lavoratrici e dei lavoratori dipendenti che sono 18.063.000. Circa la metà è composta da persone in età compresa tra i 14 e i 49 anni. In questa fascia d’età circa 4.200.000 persone, in maggioranza giovani, sono coinvolti nel mondo del lavoro in diverse forme contrattuali di flessibilità: contratti a tempo determinato, stagionali, lavoro in somministrazione, a chiamata.
A questi si aggiungono altre forme “atipiche” di lavoro, i cosiddetti “lavoratori invisibili”, secondo la definizione dell’INPS: oltre ai rider, i giovani impiegati con lavori temporanei a chiamata e occasionali che le aziende possono assumere da appaltatori indipendenti; quelli dipendenti dalle piattaforme digitali, comandati da una app. Anche la platea che gode di contratti a tempo indeterminato non è garantita più di tanto. È il caso del personale che lavora in appalto o subappalto, con contratto diverso e penalizzante rispetto a quello applicato ai dipendenti dell’azienda appaltatrice.
Da decenni il lavoro in Italia si caratterizza per le basse retribuzioni, oggi aggravate dal mancato adeguamento alla crescita dell’inflazione, con perdita del potere d’acquisto e della posizione sociale in termini di status e di prestigio. Il lavoro si svalorizza, non è più propulsivo di un progetto di vita, non più mezzo per costruire unità familiari, prospettare un futuro, integrarsi nella società e nelle istituzioni in maniera organica e non meccanica. La precarietà materiale genera quella esistenziale, crea incertezza, appartenenze temporanee che non possono consolidarsi in forme di solidarietà, in quanto spezza i legami che un tempo univano i lavoratori di una stessa azienda. Oggi si sta magari assieme nella stessa azienda, ma non si fa comunità, ognuno sta col suo contratto, perso dietro il caso suo.
Questa forma assunta dal nuovo movimento delle lavoratrici e dei lavoratori, risultato di arretramenti e sconfitte subite sul fronte del mercato del lavoro, concorre a spiegare le difficoltà incontrate nella mobilitazione sindacale. Anche gli apparati dei sindacati maggioritari poggiano su un terreno fragile e friabile che genera una forzata resilienza, intesa come adattamento a condizioni difficili, un disincanto circa la possibilità di un riscatto sociale. L’alto numero di astensioni registrato nelle ultime elezioni politiche esprime anche questo. Una disillusione che si manifesta nelle “dimissioni” dalla politica e dalla partecipazione alle lotte sindacali, a fronte però di un ritorno “di fiamma” partecipatoria a destra, galvanizzati dalla vertigine del successo, ottenuta con la vittoria elettorale di Fratelli d’Italia e l’insediamento del governo guidato da Giorgia Meloni.