Qualche riflessione sulle proteste studentesche di queste settimane
di F. Dogliotti
Si sta riaffacciando sulle piazze italiane un fenomeno -e un soggetto- politico che negli ultimi trent’anni sembrava, se non scomparso, rarissimo: gli studenti medi che si mobilitano. L’onore delle cronache, le manifestazioni studentesche l’hanno avuto dopo il 21 gennaio, quando un giovane studente di un istituto tecnico di Udine -Lorenzo Parelli- è stato vittima di un incidente mortale mentre compiva uno stage di alternanza scuola-lavoro, la pratica della famigerata “buona scuola” renziana che regala il lavoro degli studenti alle imprese.
La reazione degli studenti in tutta Italia è stata immediata, rabbiosa e relativamente massiccia, tenendo presente le enormi difficoltà di questi ultimi tempi non solo per scendere in piazza e organizzare cortei ma anche per vedersi a scuola, frequentare le lezioni ed avere un rapporto normale con i e le coetanee.
Tuttavia, sarebbe ingenuo pensare che si tratti di una fiammata improvvisa, di un fulmine a ciel sereno. Che esistano problemi nelle scuole italiane lo sanno anche i sassi. In questi anni, è stato perlopiù il corpo insegnante ad esprimere il profondo disagio che vivono i vari gradi dell’Istruzione pubblica, dal problema del precariato alle “riforme” che, nei fatti, hanno introdotto nella scuola e nell’università i saldi principi liberisti della privatizzazione e dell’organizzazione aziendale (l’alternanza scuola-lavoro ne è un esempio).
Gli studenti e i giovani in generale, principali fruitori ed utenti del sistema scolastico, sono i “dimenticati” storici di questa istituzione, quelli che non hanno voce in capitolo, quelli espulsi dal gioco tanti anni fa, con la fine dei movimenti studenteschi all’inizio dei novanta. L’unico orizzonte offerto a ragazzi e ragazze della scuola italiana è il mercato (quello assai lucrativo che si dirige ai giovani) e un insegnamento sempre più selettivo, di bassa qualità e di sbocchi inesistenti. Insomma, la realizzazione di quel “No future” che si cantava negli anni ottanta
Se questa situazione stava producendo proteste e disagio più o meno palesati già qualche anno fa, con il Covid 19 e con le misure socio-sanitarie che sono state prese nella scuola, i problemi e la relativa irritazione sono aumentati geometricamente. Ricordo en passant che queste misure, fiore all’occhiello dei vari ministri e ministre che si sono succeduti, sono state decise e messe in pratica nel modo più pasticcione possibile, con una furfanteria ideologica notevole (si vedano le lodi alla Didattica a Distanza, addirittura segnalata come futuro luminoso dell’insegnamento) e con la sensazione che dei giovani non gliene freghi niente a nessuno. Classi-pollaio -alla faccia del distanziamento!-, genitori che devono disinfettare le scuole perché non c’è personale, mancanza di strumenti didattici, pressapochismo delle circolari e delle decisioni ministeriali, drammatica mancanza di risorse economiche e di nuove assunzioni. Addirittura l’associazione nazionale dei presidi (un gruppo professionale un po’ di casta e piuttosto conservatore, delegato a far funzionare l’impresa-scuola e a maneggiare le patate bollenti) sta iniziando a ribellarsi a questa tragicommedia.
In questo contesto, gli studenti medi -quelli che frequentano tutti i giorni anche con l’incasinata DaD, quelli stipati nelle classi, quelli che si beccano la variante Omicron, quelli che pare siano troppo giovani per occuparsi di cose serie- era tempo che protestavano. Praticamente dall’inizio dell’anno scolastico, con la beffa dolorosa della “messa in sicurezza” delle aule. A Roma c’erano state occupazioni a macchia d’olio già a dicembre e proprio sui temi della sicurezza, sui carichi di studio, contro la DaD e già con una posizione assai critica sull’alternanza scuola-lavoro. La morte di Lorenzo ha funzionato da catalizzatore di una miscela esplosiva in stato avanzato di formazione. C’è da segnalare, almeno per il momento, che sia a Roma come a Torino e a Milano le scuole da cui è partita la protesta e che sono in questi giorni protagoniste, sono i licei. Al di là di considerazioni di classe un po’ spurie, forse bisognerebbe cercare proprio lì il livello più alto di frustrazione studentesca.
E il maldestro ministro di Draghi non ha aiutato: proprio in questi giorni ha annunciato che l’esame di maturità sarà con le due prove scritte canoniche, come se il Covid, la DaD e la scuola di merda che ne è uscita fuori anche grazie a quelli come lui, non fossero mai esistiti.
Insomma, un incendio che viene da lontano e a cui un sacco di soggetti stanno aggiungendo benzina. Uno, il ministro, l’ho già citato. L’altro è la forza pubblica, i boys della ministra Lamorgese, che pare abbiano ricevuto precisi ordini di bastonare gli studenti (e non solo a Torino). E’ un classico. Lo facevano già nel ’68 e non hanno mai smesso. I giovani, gli studenti, sono un soggetto molesto: carne da cannone dell’estremismo politico, con una capacità strana di mettere sottosopra la società, “spia” storica del disagio. Chi si è bevuto la storiella dei tempi nuovi, in cui la borghesia finanziaria e produttiva al potere si sarebbe dimenticata dei suoi avversari di una volta, si sbaglia. Gli studenti e le studentesse del 2020 non rappresentano certo un grande problema, oggi come oggi, ma è meglio far passar loro la voglia subito. Non si sa mai…
E poi ci sono i pompieri, anche loro quelli di sempre. Certo, è brutto bastonare gli studenti, ma l’alternanza scuola-lavoro mica si può gettare alle ortiche… Semmai, si potrebbe riformare un po’. Forse. E soprattutto e innanzitutto la legalità, ragazzi. Non sia mai che si disturbi il manovratore, il grande timoniere. Il salvatore della patria.
Di fronte a questi avversari (che di questo si tratta: anche quelli che blandiscono il neonato movimento sono pronti a venderlo per anche meno di trenta monete), l’ondata di mobilitazioni avrà oggettivamente una vita difficile. Ma bisogna stare attenti e capire quali sono le possibilità concrete di portare a casa almeno qualche piccola vittoria (la faccenda dell’esame di maturità, per esempio, potrebbe essere più fragile di quello che sembra) soprattutto sul terreno delle misure prettamente scolastiche e fino a che punto si decanterà una certa radicalizzazione o/e possano nascere strutture di movimento reali e democratiche. Da questo punto di vista, sarebbe importantissima l’alleanza con altri settori critici esistenti nella scuola, specialmente fra gli e le insegnanti. Discorso non proprio facile ma essenziale.
La maturità politica, le abitudini democratiche di movimento e in generale le capacità di autoorganizzazione e di indipendenza fra le giovani generazioni sono quelle che sono, non si possono aspettare miracoli dopo anni di disgregazione culturale e politica anche e soprattutto delle “vecchie” generazioni. Ma non si possono nemmeno considerare gli studenti medi alla stregua di ragazzine e ragazzini sprovveduti. Oltre ovviamente alla spinta generale alla mobilitazione e alla presenza di obiettivi piuttosto radicali, esistono altri elementi positivi. C’è una quasi naturale adesione, almeno dei settori più politicizzati che dirigono la protesta, al movimento di resistenza sociale che sta crescendo -pure se con difficoltà- nel paese. La buona accoglienza ricevuta delle realtà sindacali di base e dei settori critici della CGIL e la chiara coscienza di essere legati strettamente alle questioni del lavoro, almeno a Torino, fa sperare bene.