Un bilancio politico di fine anno del governo Draghi e i compiti della sinistra di classe
di Francesco Locantore
La gestione della pandemia
L’anno si sta chiudendo con una ripresa dei contagi senza precedenti e con il rischio che ancora una volta le strutture sanitarie vadano in crisi, come era già successo nel 2020. Le politiche sanitarie del governo Draghi dal suo insediamento, basate sulla sola campagna di vaccinazione, pensando che potesse essere sufficiente a garantire una ripresa del business as usual stanno mostrando tutta la loro debolezza. Le scelte contraddittorie e reticenti delle ultime settimane sotto la pressione dei governatori regionali e degli interessi dei vari settori capitalisti sta producendo un vero e proprio caos sanitario e sociale. Non solo in Italia, ma in tutta l’Unione europea, tutta concentrata sul disumano respingimento dei migranti, il fallimento delle politiche neoliberiste prima e di gestione della pandemia poi, nella stessa logica della preminenza del mercato e del profitto, è ormai evidente e continua a mietere vittime.
A scanso di equivoci, noi crediamo che tutte le organizzazioni del movimento operaio debbano fare campagna perché tutte e tutti si vaccinino, per avere un minimo di sicurezza sanitaria in più sui posti di lavoro e nelle occasioni di socialità, comprese le riunioni e le manifestazioni che in periodo di pandemia sono state compresse al minimo. L’efficacia dei vaccini non è in discussione, i dati dell’Istituto superiore di sanità sono chiari: l’incidenza dei contagi, delle ospedalizzazioni, delle terapie intensive e dei decessi è molto minore tra la popolazione vaccinata che tra quella non vaccinata (si veda l’ultimo rapporto ISS). Gli effetti avversi del vaccino hanno una incidenza trascurabile e sono di molto inferiori alle probabilità di subire gravi conseguenze dal Covid-19. Non c’è ragione per non vaccinarsi (a meno che non lo certifichi un medico per il proprio specifico caso), proteggendo se stessi e gli altri con cui si viene in contatto (si veda il rapporto AIFA).
Il problema però consiste nel fatto che non si può assumere il vaccino come unico strumento per combattere la pandemia, in quanto il vaccino non protegge completamente dal contagio Questo fatto era noto fin dall’inizio della campagna di vaccinazione, ed oggi rischia di essere aggravato dall’avanzata di nuove varianti del virus, varianti che proliferano anche grazie al fatto che i vaccini sono a tutt’oggi protetti da brevetti internazionali e quindi accessibili solo nei paesi che possono permettersi di onorare contratti miliardari con le multinazionali del farmaco. Non solo i brevetti non sono stati né cancellati né sospesi in ragione della lotta alla pandemia, ma neanche si sono onorati gli impegni alla donazione di vaccini ai paesi più poveri.
Il governo è interessato ad addossare tutte le colpe della ripresa della pandemia su chi non si è ancora vaccinato, non avendo peraltro mai istituito un obbligo alla vaccinazione se non in forme limitate ad alcuni settori, scaricando le responsabilità sulle scelte individuali dei singoli. In questo modo si legittima la stessa concezione individualistica della sanità adottata dai No vax, come se scegliere di vaccinarsi fosse una scelta strettamente personale e non avesse a che fare con il vivere in una collettività.
Abbiamo denunciato più volte su questo sito il fatto che la pandemia ha portato alla luce i risultati di trent’anni di politiche neoliberiste di tagli ai servizi pubblici, di privatizzazioni, di definanziamento della sanità, dell’istruzione, dei trasporti pubblici, di precarizzazione del lavoro. Questo fatto si è reso evidente da subito ed ha prodotto quasi 140.000 vittime per Covid e chi sa quante altre per le patologie che non hanno potuto ricevere cure adeguate; ha determinato la drammatica alternativa tra la chiusura delle scuole o l’aumento dei contagi, il ricatto operato sui lavoratori e le lavoratrici, che non hanno potuto scegliere se tutelarsi rimanendo a casa o andare a lavorare in condizioni spesso non protette, o che hanno perso del tutto il lavoro e la retribuzione.
Il governo Draghi è stato il campione del ritorno alla normalità degli affari, pur permanendo lo stato di emergenza: si è ripristinata la possibilità di licenziare nella maggior parte dei settori produttivi; si sono riaperte le scuole al 100% in presenza, derogando al vincolo della distanza interpersonale di un metro, già ridotto rispetto alle raccomandazioni scientifiche, per tornare a riempire le classi sovraffollate; si sono eliminati di fatto tutti i vincoli sulla capienza dei trasporti; infine oggi, visto che le quarantene dei lavoratori rischiano di turbare gli affari, si è eliminata anche la quarantena per i vaccinati, così possiamo continuare a lavorare anche dopo aver avuto contatti stretti con positivi, in barba alle raccomandazioni dello stesso comitato tecnico scientifico nominato dal governo.
I principali mezzi di comunicazione hanno costruito una opposizione sociale di comodo alle politiche governative, dando uno spazio smisurato a tutte le manifestazioni dei No vax, sia per l’evidente assurdità della gran parte delle loro affermazioni antiscientifiche, negazioniste, complottiste, sia come capro espiatorio di eventuali insuccessi delle politiche contro la pandemia.
È troppo comodo dare tutta la responsabilità della ripresa dei contagi a questi soggetti, quando le responsabilità principali sono proprio dalla parte della borghesia (dal “Bergamo is running” della Confindustria, quando si opponevano alle zone rosse e ai lockdown fino ad oggi che sono riusciti ad imporre l’abolizione delle quarantene per i vaccinati), dei governi locali e di quello centrale che accorrono al richiamo del padrone. Questi sono i veri e ben più pericolosi negazionisti del Covid-19, che mandano al massacro i lavoratori e le lavoratrici pur di continuare a fare profitti.
Il progetto della borghesia
Si dirà che però il governo Draghi ha messo in campo un intervento finanziario straordinario con le risorse del PNRR e con una manovra finanziaria espansiva. Sul PNRR abbiamo già dato una lettura sia dei rischi di rimettere le basi per una crescita del debito pubblico che porterà a nuove politiche di austerità (la classe lavoratrice dovrà ripagare domani ciò che viene regalato ai padroni oggi), sia sull’ideologia che sta dietro alla gran parte dei finanziamenti stanziati. Il grosso degli investimenti previsti sono infatti destinati alla digitalizzazione ed al green washing dell’economia. Siamo ben lontani da quello di cui ci sarebbe bisogno: potenziare la sanità pubblica statale, aprire nuovi ospedali, aumentare i medici di base, eliminare il numero chiuso nelle facoltà di medicina, potenziare il sistema scolastico prevedendo spazi e assunzione di personale in modo da poter ridurre drasticamente il numero medio di alunni per classe (necessità questa che va ben oltre la sicurezza sanitaria e che sarebbe una riforma fondamentale per riqualificare l’istruzione pubblica), potenziare il trasporto pubblico locale, le linee ferroviarie per i pendolari, riconvertire urgentemente le produzioni inquinanti, chiudere la produzione di fonti energetiche fossili e potenziare drasticamente la produzione da fonti rinnovabili. Siamo all’assurdo che il governo continua a finanziare le fonti fossili ed altre attività dannose per l’ambiente (34,6 mld € spesi in questo senso nel 2020 e non sono stati tagliati con la finanziaria di quest’anno)! D’altronde anche su questo terreno il governo Draghi ha dimostrato di stare dalla parte di chi fa solo bla bla sull’ambiente sia in occazione del G20 di Roma che della COP26 di Glasgow, due fallimenti storici rispetto alla necessità di fermare subito il surriscaldameto globale provocato dal capitalismo.
La manovra finanziaria approvata in via definitiva il 30 dicembre (ne abbiamo parlato qui), definita “espansiva” dalla propaganda governativa è in realtà una manovra regressiva dal punto di vista fiscale, perché taglia le tasse soprattutto per i redditi più alti, eliminando uno scaglione Irpef (dai 32 del 1982 ne sono rimasti solo 4!), ed eliminando l’Irap per le piccole e medie imprese (l’Irap è fondamentale per il finanziamento della sanità pubblica, settore ancora una volta penalizzato dalla legge di bilancio!). Inoltre è piena di regali per le imprese e per i ricchi, a partire dai bonus e superbonus edilizi che vengono prorogati ancora una volta, così come le scadenze di pagamento delle cartelle esattoriali. Come se non bastasse il fallimento patente della missione in Afghanistan, è previsto anche un aumento delle spese militari (leggi l’articolo di U. Oreste). Infine alla manovra finanziaria sono stati collegati due disegni di legge di capitale importanza. Il primo è quello sull’autonomia differenziata, che rischia di ridisegnare gli assetti istituzionali fondamentali per quanto riguarda la distribuzione delle competenze normative tra Stato e Regioni, avallando le richieste di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna (non a caso tre tra le regioni più ricche, che vogliono trattenere quote sempre maggiori del gettito fiscale) e che farebbe da apripista ad una ulteriore ondata di privatizzazioni della sanità, scardinamento dell’istruzione pubblica nazionale oltre che attribuire potestà legislativa alle Regioni in tutta una serie di altre materie, compresa la sicurezza sul lavoro. Il secondo è quello sulla concorrenza, che spinge alla privatizzazione di tutti i servizi pubblici locali, in aperta contraddizione con il risultato referendario del 2011 (leggi l’articolo di Marco Bersani).
La borghesia ha trovato nel Presidente del consiglio Draghi un funzionario efficiente, con l’autorità necessaria per poter forzare e riorientare le politiche di austerità dell’Unione europea di cui egli stesso è stato tra i principali artefici, ma anche per tenere insieme una improbabile maggioranza parlamentare (quasi totalitaria se si escludono la finta opposizione di Fratelli d’Italia e quella di Sinistra Italiana) e fino a dicembre anche per tenere a bada gran parte del movimento sindacale.
Lo scenario politico sull’elezione del Presidente della Repubblica
In una recente conferenza stampa, Mario Draghi ha dichiarato che il lavoro politico del suo governo è sostanzialmente compiuto, candidandosi così implicitamente alla presidenza della Repubblica e riaprendo ufficialmente lo scenario di crisi politica che è stata una caratteristica strisciante di tutta questa legislatura, in cui si sono alternate maggioranze politiche improbabili, con un Movimento 5 stelle disposto ad allearsi con chiunque per rimanere al potere e infine un governo di unità nazionale guidato da un autorevole funzionario del capitalismo europeo.
L’elezione di Mario Draghi alla Presidenza della Repubblica porterebbe a compimento una degenerazione della democrazia istituzionale iniziata già da Napolitano, poi perseguita coerentemente anche da Mattarella. Si tratta di un progetto organico di presidenzialismo di fatto, a scapito del dibattito politico parlamentare, che purtroppo continuerà ad avanzare a prescindere dal Presidente che verrà eletto.
Sul Presidente della Repubblica uscente si concentreranno gli elogi e i ringraziamenti di tutti, coro a cui ci permettiamo di non unirci, memori di tutti i peggiori provvedimenti degli ultimi governi che sono stati sempre firmati senza mai un rilievo costituzionale. Oggi la retorica non è più quella di Salvini al ministero degli Interni, ma perfino i disumani decreti Salvini (che peraltro sono in gran parte ancora in vigore, per quanto attiene alla repressione dei movimenti sociali e anche alla criminalizzazione delle navi di soccorso delle Ong, sebbene siano stati temperati) sono stati emanati senza battere ciglio con la firma di Sergio Mattarella, che ha poi anche promulgato la legge di conversione senza rimandarla alla discussione parlamentare per palese incostituzionalità. Inoltre nel passaggio dal governo Conte a quello Draghi, le scelte procedurali del Presidente sono risultate assai poco coerenti con i protocolli costituzionali consolidati, tutte rivolte in ogni caso ad affermare la realizzazione di una nuovo governo.
Ciò detto Draghi al Quirinale sarebbe un salto di qualità per la borghesia: il ruolo del dibattito politico parlamentare sarebbe ridotto al minimo, come peraltro ha dimostrato di saper fare anche da Presidente del consiglio, non consentendo per niente la discussione in Parlamento del provvedimento legislativo più importante dell’anno, la legge di bilancio appunto. Il Presidente della Repubblica assumerebbe definitivamente un potere che va ben oltre quello disegnato dalla Costituzione, per essere di fatto la guida del potere esecutivo e di quello legislativo. Lo ha detto candidamente Giorgetti qualche settimana fa, ipotizzando la sostanziale continuità nella sua funzione di capo del governo di Draghi pur se collocato al Quirinale. E’ chiaro che una pressione in questo senso sulle forze politiche è molto forte da parte della borghesia confindustriale, tant’è che praticamente nessuna forza politica si è ancora espressa esplicitamente contro l’ipotesi dell’elezione di Draghi, anche se questa ipotesi non è ben vista dalla maggioranza delle forze politiche e soprattutto dalla maggioranza dei parlamentari, che vogliono scongiurare in ogni modo la chiusura anticipata della legislatura (e la rielezione di un Parlamento dimezzato dalla riforma costituzionale del 2020, per cui la maggioranza dei parlamentari attuali non sarebbe riconfermata).
Ogni esito sarà possibile e non è detto che gli interessi della borghesia riescano a prevalere su quelli delle forze politiche o dei parlamentari. Però ad oggi non sono in campo alternative concrete all’elezione di Draghi. Dati i numeri non è probabile che si imponga una candidatura di bandiera dell’una o dell’altra parte (l’ipotesi di Berlusconi è semplicemente una boutade, non si può credere che arrivi ad avere una maggioranza qualificata, ma è indicativa della miseria e del pantano politico del dibattito borghese), né sarebbe più facile mantenere l’attuale maggioranza di governo se questa dovesse spaccarsi sull’elezione del Presidente della Repubblica. D’altronde con Draghi al Quirinale non è detto che si riesca a trovare un Presidente del consiglio capace di conservare la stessa maggioranza.
Insomma qualunque sia l’esito, non sembra probabile che questa legislatura superi il 2022.
I movimenti sociali
Le mobilitazioni sociali di questo autunno sicuramente non sono state sufficientemente ampie per costruire un’opposizione efficace alle politiche di questo governo, tuttavia bisogna considerare due fattori: in primis, veniamo da un periodo di stasi completa dei movimenti anche a causa della pandemia e delle conseguenti restrizioni al diritto di manifestare che sono state messe in campo; in secondo luogo, le direzioni sindacali maggioritarie sono state completamente succubi dei governi, paralizzate dalla logica di non disturbare il manovratore durante un periodo di emergenza, tanto più quando il manovratore agiva con il consenso di tutti i partiti di centrosinistra, ancora oggi punto di riferimento politico della maggioranza delle burocrazie sindacali confederali.
Avendo presente questi due fattori paralizzanti, non ancora rimossi dal campo dei movimenti sociali, non possiamo che valutare positivamente alcuni segnali di ripresa delle mobilitazioni che si sono espressi nell’autunno. Il primo e forse più importante è stato quello della mobilitazione dei lavoratori GKN, capaci di costruire dal basso una manifestazione nazionale contro i licenziamenti che ha portato quarantamila persone a Firenze il 18 settembre scorso, ed ha impresso il segno dell’importanza dell’insorgenza operaia a tutte le mobilitazioni successive. Così l’11 ottobre si è svolto il primo sciopero generale unitario del sindacalismo di base, che al di là delle adesioni ancora piuttosto contenute (ma in questa fase è stato difficile portare allo sciopero i lavoratori anche per le organizzazioni più grandi) è stato importante proprio per l’indicazione della costruzione di mobilitazioni comuni e non concorrenziali tra le varie sigle sindacali. Il 30 ottobre c’è stata l’importante manifestazione (e poi il 31 l’assemblea dei movimenti sociali) organizzata dalla Società della cura e dalla Rete Genova 2021 contro il G20 di Roma, a cui hanno partecipato spezzoni significativi sia del movimento operaio intorno alla GKN che di giovani e ambientalisti, che nell’autunno hanno ripreso la mobilitazione contro il riscaldamento globale, con lo sciopero mondiale per il clima del 24 settembre e le contestazioni alla COP dei giovani a Milano alla fine di settembre. A novembre c’è stato il ritorno in piazza del movimento femminista Non una di meno contro la violenza sulle donne, arricchito dalle istanze dei movimenti per i diritti delle persone LGBTQ+, umiliate da un Parlamento che ha deciso di respingere il ddl Zan, non riconoscendo nell’omotransfobia una matrice specifica di odio e di violenza nella società. A dicembre è sceso di nuovo in campo il movimento operaio prima con la giornata del No Draghi Day organizzata dai sindacati di base, poi con lo sciopero della scuola del 10 dicembre e lo sciopero generale contro la finanziaria di Cgil e Uil del 16. Infine non è trascurabile la ripresa del movimento degli studenti medi che soprattutto a Roma nel mese di dicembre hanno dato vita a tante occupazioni di istituti per esprimere il loro disagio nelle scuole che per molti motivi, ma con la matrice di fondo delle politiche liberiste, sono luoghi sempre meno aperti al confronto e alla crescita collettiva e sempre più votati alla produzione di competenze utili da sfruttare sui posti di lavoro. Ciò è stato peraltro dimostrato dall’atteggiamento repressivo e paternalistico delle varie articolazioni del ministero dell’istruzione.
Non vogliamo qui vendere lucciole per lanterne, ma i movimenti che si sono espressi in questi ultimi mesi devono costituire un incoraggiamento per tutte e tutti gli sfruttati e gli oppressi per continuare nel prossimo anno con la mobilitazione sociale e la costruzione di una critica dal basso delle politiche della borghesia e del governo. Innanzi tutto è necessario che continui in questa direzione la Cgil, che non lasci cadere gli scioperi di dicembre, lasciandoli come date isolate, ma che costruisca un vero percorso di ripresa della mobilitazione tra le lavoratrici e i lavoratori. Purtroppo i primi segnali non vanno per niente in questo senso, visto che la Funzione pubblica Cgil ha firmato una ipotesi di rinnovo contrattuale davvero misera e umiliante (leggi l’articolo di E. Minervini) per le lavoratrici e i lavoratori pubblici (per ora limitata alle funzioni centrali). Bisogna lavorare perché questo atteggiamento venga rispedito al mittente e non si ripeta negli altri comparti pubblici, in primis quello dell’istruzione che pure dovrebbe andare al rinnovo nelle prossime settimane, perché la disponibilità alla mobilitazione che si è espressa da parte di tante e tanti a dicembre non sia messa ancora una volta a tacere dalle burocrazie firmatutto che sono alla guida del sindacato.
Il percorso di convergenza iniziato dalla Società della cura e dalla Rete Genova 2021 ci sembra uno spazio che può alludere ad un riconoscimento reciproco dei movimenti in campo e della costruzione di qualcosa di comune, come nella stagione dei forum sociali di 20 anni fa. E proprio di questo ci sarebbe bisogno in questa fase, che i movimenti sociali allarghino la propria visuale per riconoscersi in una visione complessiva della società necessariamente alternativa a quella borghese-capitalistica dominante e che quindi assumano un ruolo nella costruzione di uno spazio politico alternativo. Allo stesso tempo, ciò che resta delle forze politiche della sinistra radicale deve spogliarsi della competizione settaria e inconcludente che le ha animate e mettersi al servizio di chi si mobilita in questa fase per costruire una nuova prospettiva. Ciò che da anni stiamo dicendo sulla necessità di un nuovo forum sociale e politico della sinistra di classe forse oggi trova condizioni più favorevoli per la sua realizzazione, ed in questo senso lavoreremo già dalla prossima riunione plenaria prevista per il 12 gennaio.
Se non ci sarà un impegno unitario di tutte le forze politiche della sinistra radicale in questo senso, sarà inutile tirare fuori dal cilindro una qualche aggregazione elettorale che possa avere una minima credibilità nelle prossime elezioni politiche. E le elezioni politiche potrebbero arrivare anche prima della scadenza naturale della legislatura nella primavera del 2023.
Buon anno di lotta a tutte e tutti!