Brescia, una giustizia di classe, su misura per imbavagliare chi lotta

Condannati il nostro compagno Flavio Guidi e Brescia Anticapitalista per aver scritto che un “padroncino” era “arrogante” visto che sfruttava i “suoi” operai

Una giustizia di classe, su misura: la Corte di Appello di Brescia ha sostanzialmente confermato (con alcune modifiche migliorative) la condanna inflitta un anno fa al nostro compagno Flavio Guidi e a Brescia Anticapitalista. E’ accaduto lo scorso 30 novembre, in assenza dell’imputato (non ammesso all’udienza per i protocolli anti-Covid19) e alla presenza dei due avvocati, il difensore, Manlio Vicini, e l’avvocato del proprietario della Motive (possiamo chiamarlo “padrone”?), la corte ha deciso, a quanto pare (ma bisognerà aspettare la pubblicazione delle motivazioni) di assolvere il nostro compagno dalla precedente condanna per aver definito Giorgio Bosio un “negriero” e per averlo paragonato al padrone immortalato dalla canzone di Della Mea (“O cara moglie”). Ma ha mantenuto la condanna per averlo definito “arrogante padroncino” (non si sa se per l’aggettivo o il diminutivo) e la sua “subcultura razzista” come “subcultura da letamaio”. La multa è stata ridotta da 200 a 140 euro, il risarcimento da versare a Bosio da 1000 a 600 euro. Contemporaneamente sono cresciute le spese processuali, da 1440 a 2340 euro: in totale, insomma, si è passati dai 2640 euro ai 3080 euro.

Al di là della beffa di vedere, contestualmente alla “vittoria” parziale, crescere de facto la sanzione pecuniaria grazie al lievitare delle spese processuali, resta il fatto grave di vedere di nuovo sanzionata la libertà di espressione, in barba al dettato costituzionale e alle famose libertà di parola e di stampa formalmente in vigore nella democrazia borghese italiana.

Come rivoluzionari, non ci stupiamo: il diritto (borghese o di qualsiasi altra natura) è sempre frutto dei rapporti di forza reali in una determinata società. E gli anni Settanta, quando c’erano i famosi “pretori d’assalto” sono molto lontani. Le “toghe rosse” sono sempre esistite solo nella fantasia malata del sig. Berlusconi. Magistratura, polizia, governo, parlamento, sono tutte articolazioni del potere della classe dominante, al di là delle parziali contraddizioni che emergono qua e là, e non nutriamo nessuna illusione al riguardo. Ma non possiamo non vedere con preoccupazione i “salti di qualità” repressivi: è già molto grave l’accanimento giudiziario contro i compagni “colpevoli” di azioni concrete di solidarietà (picchetti, manifestazioni, ecc.); ora si colpisce (per quanto in modo ancora lieve) persino il diritto di dare del padrone e del razzista ad un padrone e ad un razzista. Non si può accettare passivamente questo ulteriore inasprimento repressivo. Quasi sicuramente il nostro compagno sarà costretto a ricorrere nuovamente, questa volta in Cassazione, a Roma. E, nel caso non fosse accettato il suo ricorso, a sborsare ulteriori 2.000 euro per le spese processuali. A meno che non rinunci a far valere le sue (e nostre) ragioni, accettando di essere messo a tacere (o quanto meno a limitare le sue critiche secondo i voleri di Lor Signori). Per solidarizzare con Flavio ed aiutarlo a pagare le spese di questi processi è possibile versare un contributo economico (di qualsiasi entità, anche minima) sul seguente conto corrente, specificando la causale “Io sto con Flavio”.

Sinistra Anticapitalista fa sua questa battaglia anche a livello nazionale costruendo sia la solidarietà concreta con Flavio, sia una campagna politica che coinvolga le espressioni di giornalismo dal basso, indipendente e di classe. La vertenza a cui si riferisce questa vicenda è la durissima lotta dei lavoratori di Uniqacoop, operai metalmeccanici alla Motive di Castenedolo (Brescia), con un lungo picchetto ai cancelli, nell’inverno del 2016, per reclamare l’inquadramento del Ccnl delle tute blu, anziché un contratto farlocco, meno tutelato e peggio pagato. I lavoratori, assunti da Uniqacoop, percepivano 6,70€ lorde all’ora senza gli istituti contrattuali, arrivando così a circa 900€ a fronte di 170 ore medie al mese. Per di più Motive ha rescisso il contratto con Uniqacoop e quei lavoratori furono licenziati. Tuttavia avevano ragione, perfino dal punto di vista del Tribunale del lavoro. Il padrone ha dovuto risarcirli con 300mila euro, e gli assunti dopo di loro avrebbero goduto di un trattamento contrattuale meno ingiusto.

Intanto, la campagna di solidarietà è già partita con cento euro sottoscritti dalle Rsu della Pasotti. Flavio incassa anche il sostegno del SiCobas che animò il presidio alla Motive. E noi, oltre a segnalare in calce gli estremi per la sottoscrizione, pubblichiamo una lettera che lo stesso Flavio ha spedito al Giornale di Brescia, principale quotidiano della sua città, che però non ha ritenuto di pubblicarla. Appuntamento per commentare insieme, con un evento ad hoc, le motivazioni della sentenza previste non prima della fine dell’anno.

Mi chiamo Flavio Guidi, ex insegnante di lettere presso il CPIA1 di Brescia
Ieri mattina sono stato condannato, dalla corte di Appello di Brescia, per presunta “diffamazione” del sig. Giorgio Bosio, imprenditore e proprietario della Motive di Castenedolo. Il mio delitto? In un mio articolo, uscito sul blog Brescia Anticapitalista nel febbraio del 2016, definii il succitato signore “arrogante padroncino” per come aveva trattato 22 lavoratori. Scrivo a Lei e al suo giornale per due motivi. Il primo di ordine generale, in quanto questa sentenza lede, a mio avviso, la libertà di espressione e, di fatto, configura un “reato di opinione” inammissibile per chiunque abbia a cuore uno dei diritti universalmente riconosciuti (per inciso, anche dalla Costituzione Italiana). L’altro motivo, più specifico, riguarda proprio il Giornale di Brescia. La polemica tra il sottoscritto e il sig. Bosio iniziò, infatti, proprio sulla pagina Facebook del GdB. In seguito ad un articolo di una vostra giornalista sulla vicenda dello sciopero dei 22 lavoratori, il sig. Bosio la accusò pubblicamente di “pubblicare le veline dei COBAS” (in sostanza di dar voce ai 22 lavoratori), lasciandosi andare ad insulti calunniosi nei confronti dei sindacalisti (definiti “pregiudicati” e “criminali”, oltre che accusati di “prendersi il 10% delle indennità di disoccupazione”). Di qui l’inizio di un carteggio pubblico, sempre sulla vostra pagina Facebook, tra il sottoscritto e il sig. Bosio, in cui prendevo le difese della giornalista e dei 22 lavoratori in questione. Sia detto per inciso, il sig. Bosio è poi stato condannato dal Tribunale del Lavoro a risarcire i 22 lavoratori ingiustamente licenziati. Ma torniamo alla sentenza di ieri. La Corte di Appello, pur avendo ridimensionato la sentenza di primo grado di un anno fa, ha ritenuto diffamatorio uno dei miei articoli, contenente l’espressione, appunto, di “arrogante padroncino”. Si badi bene, mentre l’esimio Bosio usava espressioni come “criminali” e “pregiudicati”, io mi limitavo  a stigmatizzare la sua arroganza da “padrone delle ferriere” ottocentesco. Una specie di duello in cui il sottoscritto impugnava il fioretto, e il sig. Bosio la scimitarra. Nonostante ciò, il tribunale, inspiegabilmente, dava sostanzialmente ragione al Bosio (anche se ridimensionando le sue assurde pretese – 600 euro invece dei 10.000 richiesti- più una multa da 140 euro e il pagamento delle spese processuali). Sto aspettando, col mio avvocato Manlio Vicini, la pubblicazione delle motivazioni della sentenza per poi ricorrere in Cassazione, ovviamente. Ma ci tengo a rendere pubblica, anche grazie al suo giornale ingiustamente attaccato dal sig. Bosio quasi 5 anni fa, la mia preoccupazione per una sentenza che sembra riportarci ai decenni bui in cui non era possibile esprimere liberamente la propria opinione. Intuisco una domanda che sorge spontanea a chi leggerà questa lettera: come mai, di fronte agli insulti scritti pubblicamente dal sig. Bosio nei confronti dei sindacalisti e dei lavoratori, il sig. Guidi non ha sporto denuncia per “diffamazione”? In fin dei conti, si dirà (giustamente) “criminale”, “pregiudicato” e ladro “del 10% dell’indennità di disoccupazione” sono espressioni ben più pesanti di “arrogante padroncino” o di “negriero”. Semplice: io, diversamente dal sig. Bosio (e anche da qualche giudice) ritengo che la libertà di opinione, anche tramite scritti pubblici, sia un bene fondamentale, anche quando scade nell’insulto (il caso del sig. Bosio) o nell’espressione forte (il mio caso). Ciò che è accaduto ieri mi preoccupa molto: può essere una china liberticida molto pericolosa. Spetta a tutti noi impedire di scivolarvi. La ringrazio per la cortese attenzione.

Per aiutare a pagare le spese si può partecipare alla campagna “Io sto con Flavio”, attraverso il codice IBAN IT07L0301503200000000205606 di Fineco Bank intestato a Flavio Guidi, specificando la causale “Io sto con Flavio”.