La liberazione di Lula e la resistenza al governo Bolsonaro

Pubblichiamo un breve commento sulla liberazione, purtroppo ancora provvisoria, di Lula dalle prigioni federali brasiliane, in cui era stato rinchiuso in seguito a un’inchiesta in tutta evidenza manipolata e completamente inattendibile. 

L’autore è militante del PSOL (Partido del Socialismo e dela Liberdade), nato nella prospettiva di costruire un’alternativa indipendente a sinistra al PT, trasformato da partito dei lavoratori e delle lavoratrici con l’obiettivo del socialismo, a un partito social-liberale che ha gestito il capitalismo brasiliano. Obiettivo ancora attuale. 

Ciò nonostante, con una capacità di elaborazione tattica e strategica purtroppo poco presente in larga parte della sinistra di classe internazionale, l’articolo si concentra sull’importanza della liberazione del leader del PT, non solo dal punto di vista di elementari diritti democratici, ma anche per la resistenza nei confronti del governo reazionario di Jair Bolsonaro, se Lula deciderà di scendere in campo attivamente contro il neofascista del Planalto.


 

di Valerio Arcary (ex docente all’Instituto Federal de Sao Paulo e militante del PSOL)

Pietra che rotola non raccoglie muschio

Proverbio popolare francese

Non si può fare una frittata senza rompere le uova

Proverbio popolare latino

Lula è un prigioniero politico. La sua libertà provvisoria è la più importante vittoria democratica dopo l’ascesa di Bolsonaro. Anche se è parziale, merita di essere celebrata. La presenza di Lula nelle manifestazioni apre la possibilità di mobilitazioni popolare su una scala molto più grande. Gran parte dell’evoluzione della congiuntura, su questo terreno, dipenderà proprio da Lula.

Il posto che Lula occuperà nella lotta contro il governo di estrema destra è la maggior incognita della fase. Il pieno recupero dei suoi diritti politici riveste un’immensa importanza e si scontrerà con un’inflessibile resistenza borghese.

Lula deve uscire di prigione con una decisione dell’Alta Corte di Giustizia (STF – Supremo Tribunal Federal n.d.t.), ma la Lava Jato (l’inchiesta per corruzione che ha indagato anche Lula, n.d.t.) ne è emersa appena indebolita, non sconfitta. L’annullamento dei due processi già passati in giudicato a Curitiba dipende dall’approvazione dell’Habeas Corpus all’esame del STF in programma per la fine di novembre, ma non c’è garanzia alcuna di progressi in tal senso, giacché ci sono ancora più di sette processi da sostenere a Curitiba. La lotta politica per la piena libertà di Lula è lungi dall’essere conclusa.

Il ruolo di Lula nella resistenza diventa un fattore chiave e rafforza la necessità della tattica del fronte unico della sinistra. Se Lula fosse disposto a girare il paese per aiutare a costruire mobilitazioni contro Bolsonaro, tutta la sinistra dovrebbe essere disposta a parteciparvi. Ora, la sinistra brasiliana è molto divisa, polverizzata in due dozzine di organizzazioni e correnti che si strutturano all’interno di partiti legali, e con livelli di influenza molto diversi. Tuttavia, a un’analisi rigorosa, le tattiche in discussione sono soltanto tre. Ci sono coloro che difendono una posizione attendista, coloro che difendono un’offensiva permanente e coloro che difendono il Fronte Unico. Queste concezioni hanno una loro storia, e rinviano al repertorio accumulata dalla sinistra marxista mondiale.

L’attendismo è associato all’orientamento della SPD, il partito socialdemocratico tedesco sotto la guida di Kautsky. L’offensiva permanente era la posizione di Bela Kun, dirigente ungherese della III Internazionale, nei riguardi della situazione tedesca, e si concluse con la sconfitta della rivoluzione del 1923. La tattica del Fronte Unico fu elaborata su inspirazione di Lenin e Trotsky.

Coloro che difendono il quietismo partono dalla premessa che abbiamo sofferto una sconfitta storica; concludono che la situazione è controrivoluzionaria e che ci vorranno anni per recuperare una capacità di lotta. Il pericolo più grande è un auto-golpe e, per questo, non possiamo indulgere in provocazioni.

Coloro che difendono l’offensiva permamente partono dalla premessa che la sconfitta è stata essenzialmente elettorale, le forze della classe lavoratrice sono essenzialmente intatte, la situazione è pre-rivoluzionaria e c’è da attendersi un crollo, più o meno imminente, del governo e non è possibile esitare.

Da ultimo, ci sono coloro, ed io sono tra questi, che ritengono esserci stata una grave sconfitta politico-sociale, di tipo strategico. Qualificano la situazione attuale come reazionaria e si attendono la necessità di un periodo difensivo in cui la resistenza serva ad accumulare forze per avere successivamente capacità di controffensiva. Su questo non possiamo vacillare.

Occorre considerare che il governo mantiene un’offensiva devastante e, ad oggi, incontenibile, poiché sostenuto, in primo luogo, dall’ambasciata nord-americana; dalla stragrande maggioranza dei capitalisti, eccitatissimi dai continui regali di Paulo Guedes (attuale ministro dell’Economia in Brasile, n.d.t.); dalle Forze Armate e dalla Polizia; dalla maggioranza reazionaria del Congresso Nazionale; dal STF e dalla maggioranza della classe media benestante.. Per quanto riguarda la classe lavoratrici e il popolo, continua a prevalere la demoralizzazione e la sfiducia, quando non la confusione.

Nel corso degli ultimi mesi, grazie ad azioni di avanguardia di alcune migliaia di attivisti infaticabili, parole d’ordine come “Via Bolsonaro!”, o “Basta!”, o “Fuori!” hanno ottenuto ampia eco, ma questo alimenta illusioni. Sembra che queste parole d’ordine abbiano avuto un certo impatto sul Rock in Rio (importante manifestazione musicale in Brasile, n.d.t.), ed è un’ottima cosa. “Via Bolsonaro!”, coma parola d’ordine agitatoria, allo stesso modo delle altre, è utile.

Ma accettarla come asse di una strategia politica, ossia “Abbasso il governo!”, significa concepire l’esistenza di condizioni obiettive e soggettive per provare a rovesciare Bolsonaro, qui e ora, è questo è intempestivo. Perché, purtroppo, queste condizioni ancora non esistono. Impegnare tutte le forze che abbiamo in una campagna che non possiamo vincere, perché non ne abbiamo i rapporti di forza necessari, può generare demoralizzazione.

Se, auspicabilmente, la situazione dovesse evolvere rapidamente, allora ciò diventerebbe corretto e opportuno.

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