Alpi Apuane: storia di un attentato contro l’ambiente – parte seconda
Pubblichiamo questa ulteriore puntualizzazione sulla vicenda delle Alpi Apuane prodotta dalle compagne e dai compagni di Sinistra Anticapitalista Toscana.
In particolare, segnaliamo l’intervista al compagno Ildo Fusani pubblicata su un quotidiano locale, qui
di Sinistra Anticapitalista Toscana
Quale valorizzazione della filiera? Quale Parco delle Alpi Apuane?
Sempre più un distretto minerario al servizio di pochi, deleterio e insostenibile, antitetico alla costruzione di un modello economico a misura degli interessi della comunità locale.
La discussione pubblica sui testi di legge è spesso fuorviata, con la colpevole complicità dei media, dalle esigenze propagandistiche dei governanti e delle loro forze politiche che propongono narrazioni, coerenti con il pensiero unico, finalizzate a disinformare e cloroformizzare la società civile o almeno settori di essa.
Noi di Sinistra Anticapitalista riteniamo che ogni nuova normativa vada valutata in base agli effetti che è destinata a produrre; in questo senso possiamo tranquillamente constatare che le leggi varate dalla Regione Toscana in materia di cave negli ultimi anni ottengono risultati esattamente contrari a quelli con enfasi proclamati dalla Giunta Regionale e dai diversi esponenti del PD e del Centro Sinistra.
Per questo, in attesa della pubblicazione del testo definitivo della legge e del piano cave recentemente approvati dal Consiglio Regionale, riteniamo utile tornare sui principali effetti e conseguenze che le nuove norme sono destinate a portare.
BENI ESTIMATI
Nel preambolo alla presentazione della proposta di legge 181/19 (Nuove disposizioni in materia di cave. Modifiche alla l.r. 35/2015) approdata in Consiglio Regionale ci si limita a prendere atto della sentenza della Corte Costituzionale che pure, nonostante l’azione avventuristica intrapresa dalla Regione Toscana in tempo elettorale e denunciata tempestivamente da Sinistra Anticapitalista, non ha chiuso le porte in faccia alle ragioni fondamentali che avevano motivato l’iniziativa.
La Suprema Corte ha infatti riconosciuto che “ è possibile che tale premessa (che i beni estimati appartengano al patrimonio indisponibile del Comune) sia la più conforme all’intento e alla ratio dell’editto teresiano del 1751” e conclude “ affermando che la Regione ha ecceduto i limiti della propria competenza legislativa, violando l’articolo 117, secondo comma, lettera l), Cost. non in ragione degli interessi pubblici che ha inteso tutelare ma perché a, tal fine, essa avrebbe dovuto avvalersi delle competenze possedute e non di competenze che, costituzionalmente, non le spettano”.
Sostanzialmente si conferma o almeno si apre a quanto Sinistra Anticapitalista ha sempre sostenuto, cioè che le Regioni non hanno potere in merito all’individuazione della natura pubblica o privata dei beni, che appartiene all’ordinamento civile e, quindi, allo Stato ,ma che le Regioni hanno il potere di classificare la natura pubblica o privata dei giacimenti; basterebbe quindi classificare l’escavazione dei marmi nella categoria delle miniere per recuperare al patrimonio indisponibile pubblico anche i beni estimati. Questa scelta è già stata fatta in altre parti d’Italia, superando anche il vaglio della Corte Costituzionale. Ma in Toscana abbiamo scherzato e, in buona sostanza, si torna esattamente al punto di prima, anzi nel testo proposto si creano i presupposti giuridici per poter affidare in concessione ai titolari dei beni estimati gli agri marmiferi adiacenti.
QUANTITATIVI ESCAVATI
Il Piano Regionale cave prevede, nei prossimi vent’anni, l’estrazione di materiali lapidei per una media di 2.385.000 mc a fronte (dati dei lavori preparatori del piano) di 1.800.000 nel 2016. I numeri sono impietosi, al di là dei discorsi si estrarrà più marmo in tutta la Toscana e, particolarmente, sulle Apuane e prevalentemente a Carrara.
PERIODO TRANSITORIO
Nulla è più definitivo in Italia, soprattutto nelle cave di Carrara nel corso degli ultimi tre secoli, di quanto viene definito transitorio. La legge conferma la possibilità di una proroga di 25 anni per le escavazioni in atto i cui titolari si impegnino alla lavorazione di almeno il 50 per cento del materiale nel sistema produttivo locale, da dimostrarsi mediante un sistema di tracciabilità del prodotto che dia garanzia effettiva e con l’eventuale impegno allo sviluppo di un progetto di interesse generale per il territorio che attraverso nuovi investimenti sia in grado di generare un impatto positivo sull’occupazione, sull’ambiente e sulle infrastrutture. A parte ogni considerazione sulle difficoltà presenti nel controllare che questo impegno venga effettivamente rispettato, a parte la discrezionalità di chi autorizza e di chi controlla (implicita nel testo), a partire da cosa si debba intendere per “lavorazione”, a parte i contenziosi di esito incerto che sicuramente si apriranno ancora una volta sul potere della Regione di normare in questo senso le attività imprenditoriali, a parte tutto questo, soprattutto a Carrara, nelle cave resterà il caos ad oggi esistente, fondato su occupazioni di fatto del territorio che, per la loro frammentazione e irrazionalità (si tratta di situazioni determinatesi tra il settecento e i primi del novecento e oggi assolutamente inadeguate alle moderne esigenze dell’attività estrattiva), non consentono una seria programmazione e pianificazione delle attività della durata superiore a qualche anno. Questo assetto continuerà ad impedire una vera pianificazione, quindi a creare situazioni di rischio, per i lavoratori, per l’incolumità pubblica e per l’ambiente e permetterà agli attuali “occupanti senza titolo di concessione” di continuare a lavorare per vanificare il riconoscimento che la proprietà pubblica ha ottenuto negli ultimi venticinque anni.
ANALISI DELLA DOMANDA
Il Piano Regionale Cave parte, per la costruzione di uno scenario di lungo periodo, dall’analisi dei dati riferiti a tre variabili economiche: valore aggiunto dell’industria, valore aggiunto delle costruzioni, esportazioni estere di beni. Non si è quindi proceduto partendo da un’analisi della capacità della filiera locale ( artistica, artigianale e industriale) di lavorare e valorizzare la materia prima, ma in funzione delle commesse che i grandi mercanti del marmo e del carbonato di calcio saranno in grado di procacciarsi sul mercato mondiale. Del resto i quantitativi di materiale escavato previsti dal piano confermano appieno questa scelta di cui sono la logica conseguenza.
APERTURA DI NUOVE CAVE
Il piano lo prevede espressamente, sia pure attraverso specifiche procedure. La definizione di “giacimento” prevista nel testo andato in aula apre la strada all’escavazione in aree nelle quali non è dimostrata neppure la possibilità di coltivare la cava con profitto. Quindi la possibilità scavare in ogni posto dove geologicamente ci sia marmo o altro minerale a meno che non siano presenti particolari emergenze, tutele o vincoli. Le leggi Estensi erano più moderne, imponevano che dopo l’attività di esplorazione, il ricercatore dimostrasse che il giacimento fosse idoneo all’estrazione di marmo in blocchi. Un approccio di questo genere non può che aprire la strada per l’apertura di cave che per la produzione prevalente o esclusiva di inerti o di carbonato di calcio.