Fca-Renault: grandi manovre nell’industria auto mondializzata

 

 

di Npa/AutoCritique

Da dieci anni, la concorrenza nell’industria automobilistica globale era stabilizzata e aveva permesso di aumentare ovunque i profitti delle principali aziende, che non hanno smesso di aumentare la produzione mondiale di automobili.  Oggi si apre una nuova fase di ristrutturazione. Non c’è niente di più classico di questa alternanza di fasi in un’industria capitalista. La novità è costituita dai fattori che stanno causando questa situazione.

In Europa la fine del motore termico è annunciata intorno al 2040

Anche se questa data, presa da governi e da costruttori come Volkswagen, non abbia un valore vincolante, indica una tendenza. Il danno causato dal traffico automobilistico dei motori termici è sempre meno accettato e le limitazioni al suo utilizzo sono ormai diffuse nella maggior parte delle grandi città europee. D’altro canto la fornitura di petrolio è sempre meno sicura. È per questo che le aziende automobilistiche sono alla ricerca di alternative al motore termico – benzina o diesel. Un altro fattore scombussola gli equilibri di questi ultimi 10 anni: l’emergere di GAFA[1] e di altre nuove aziende al di fuori del settore automobilistico nel controllo elettronico delle auto per andare più o meno a lungo termine alla “macchina automatica”.

Anche se le aziende automobilistiche provano e proveranno a ritardare questi cambiamenti per sfruttare al massimo i loro investimenti, ora cercano di salvaguardare l’essenziale, vale a dire la produzione di automobili individuali, campo in cui controllano gran parte della catena del valore. Ciò implica ora nuovi investimenti in queste nuove tecniche di motorizzazione e per finanziarli una nuova corsa al risparmio, realizzato a scapito dei lavoratori e delle lavoratrici.

I primi segnali di questa nuova fase dell’industria automobilistica globale sono emersi con il disimpegno delle aziende nordamericane dal continente europeo: General Motors (GM) ha venduto la sua filiale Opel a PSA (Peugeot) e Ford dopo essere fuggita dalla fabbrica di Blanquefort ha annunciato la cancellazione di 5.000 posti di lavoro in Germania. E GM ha annunciato nel novembre 2018 la soppressione del 15% della sua forza lavoro in Nord America.

Negli Stati Uniti il terzo grande costruttore è Chrysler -Fiat

Il gruppo FCA, nato dall’acquisizione di Chrysler da parte della Fiat nel 2009, sta affrontando le stesse difficoltà. È ancora di proprietà della famiglia Agnelli, storico proprietario della Fiat. La stampa finanziaria internazionale afferma da diversi mesi che FCA è alla ricerca di nuove partnership. PSA per lungo tempo è sembrato essere il candidato più affidabile. Ma alla fine è stata scelta Renault per aprire ufficialmente i negoziati.

La proposta di Fiat punta ad una fusione completa, con il 50% -50% in termini di capitale con Renault. Tra questa proposta e un eventuale accordo finale ci saranno negoziati complicati il ​​cui esito non è prevedibile oggi. Certo, Macron e il governo francese sono coinvolti nei negoziati, loro che hanno scelto solo pochi mesi fa il nuovo presidente della Renault. In Europa e in Sud America, Fiat e Renault producono e vendono auto in competizione diretta: ci sarebbe una rottura sociale altissima.

Sempre più con 15 milioni di auto all’anno

Ghosn (ex amministratore delegato dei gruppi automobilistici Renault e Nissan) in attesa di giudizio in Giappone, Nissan che blocca una fusione con la Renault, e quest’ultima che attacca alle spalle il partner per negoziare una fusione con Chrysler-Fiat: è uno scenario alla Dallas che disvela le pratiche di un capitalismo che produce miliardi di euro e dollari a partire dallo sfruttamento assolutamente reale dei lavoratori e lavoratrici in centinaia di fabbriche.

Fino ad ora si è sostenuto, con poche prove, che per essere tra i più grandi gruppi automobilistici del mondo era necessario produrre minimo dieci milioni di vetture all’anno. La crisi sociale come in ogni ristrutturazione o fusione è certa. Essa imporrebbe una resistenza ai loro livelli non basata su un ritiro sciovinistico in “difesa della propria industria nazionale”, ma su un coordinamento fondato sulle tradizioni di solidarietà e di lotte ancora vive in Renault e Fiat, nei loro paesi storici la Francia e l’Italia.

La possibile fine del motore termico è ovviamente un’opportunità per le aziende automobilistiche di andare ancora oltre nella loro ristrutturazione. Gli investimenti in veicoli elettrici sono all’ordine del giorno. Si produrrebbe meno inquinamento diretto sulle vie di circolazione ma secondo tutti gli studi indipendenti condotti dalle case automobilistiche non si avrebbe nessuna conseguenza positiva per il clima. Con tanti saluti al progresso quando si tratta di sostituire al petrolio l’estrazione di terre rare[2] indispensabili per le batterie con il lavoro minorile, come denunciato da Amnesty International.

Lasciare fare a questa industria automobilistica globalizzata significa andare sempre più verso la concentrazione, l’aumento dello sfruttamento dei lavoratori e più danni per il pianeta, perché si mira a produrre individualmente sempre più auto. Sempre più viaggi con sempre più singole auto a benzina, diesel, ibridi, elettrici o idrogeno quando i trasporti pubblici causano meno danni alla nostra salute e al clima! Mentre, in piena campagna elettorale, Macron organizzava il suo “consiglio di difesa ecologica”, è stata discussa per il 30 giugno la soppressione della linea di trasporto giornaliero della ferrovia Perpignan- Rungis. Questo ha come conseguenza la circolazione di 20.000 camion in più all’anno.

Le grandi manovre organizzate oggi da alcune mega-compagnie dell’auto rendono più attuale la questione dell’esproprio per produrre per il bene comune e non per il profitto di qualcuno.

traduzione Chiara Carratù

[1] Google, Amazon, Facebook, Apple

[2] Gruppo di elementi chimici (elementi o metalli delle terre rare) così detti perché inizialmente rintracciati solo in minerali poco frequenti in natura