Brasile, Lula ineleggibile, vola la destra. Guilherme e Sonia, i candidati del Psol

Brasile, Lula dichiarato ineleggibile dal tribunale supremo elettorale. Estrema destra vola nei sondaggi, attivisti scatenati contro i sostenitori dei candidati del Psol, il partito di Marielle Franco

di Checchino Antonini

A poco più di un mese dal primo turno delle elezioni presidenziali in Brasile (sarà il 7 ottobre)  il candidato favorito da tutti i sondaggi, Luiz Inacio Lula da Silva, è stato escluso dalla gara dal Tribunale Supremo Elettorale per 6 voti contro 1. Edson Fachin, l’unico magistrato che si è espresso a favore dell’autorizzazione della candidatura di Lula, lo ha fatto in base alla richiesta presentata dal Comitato per i Diritti Umani dell’Onu alle autorità brasiliane, perché garantissero all’ex presidente il pieno esercizio dei suoi diritti civili – compreso il suo diritto a presentarsi come candidato alle presidenziali – finché non saranno esauriti tutti i ricorsi riguardo alla sua condanna. Fachin ha sostenuto che la richiesta dell’organismo Onu era vincolante per le autorità brasiliane, ma i suoi sei colleghi hanno ribattuto che le richieste del Comitato per i Diritti Umani solo potrebbero diventare obbligatorie se la presidenza brasiliana avesse promulgato i relativi accordi internazionali, già ratificati dal Parlamento. Questo però non è avvenuto e – ironia della sorte – è stata proprio Dilma Roussef, che successe a Lula e del Pt come lui, la responsabile di questa dimenticanza.

Uno sviluppo drammatico che, anche se ampiamente anticipato dagli analisti, aggiunge un ulteriore tassello al golpe istituzionale messo in atto con la destituzione della presidente Roussef e l’incriminazione di Lula e un elemento di ulteriore incertezza all’appuntamento elettorale. 

L’ex presidente, che resta il leader politico più popolare del paese, è diventato così la vittima più illustre e politicamente significativa delle inchieste anti-corruzione lanciate dalla controversa figura del giudice Sergio Moro della Procura di Curitiba, la stessa città dove dallo scorso aprile Lula sconta una pena di 12 anni per corruzione e riciclaggio.

Le conseguenze dell’esclusione di Lula dalle elezioni saranno immediate: il suo Partito dei Lavoratori (Pt) ha annunciato che farà ricorso contro la decisione delle autorità elettorali, ma pochissimi giorni per formalizzare il suo nuovo «ticket» di candidature. Con ogni probabilità sarà composto da chi finora era il suo candidato alla vicepresidenza, l’ex ministro e sindaco di San Paolo, Fernando Haddad, e dalla giovane deputata comunista Manuela d’Avila. Con Lula fuori dalla corsa, inoltre, il primo posto nei sondaggi sulle intenzioni di voto passa ad essere occupato da Jair Bolsonaro, l’ex militare di estrema destra candidato dal Partito Social Liberale (Psl), noto per le sue posizioni fascistoidi («se un poliziotto uccide 20 delinquenti non lo metto sotto inchiesta, gli do una medaglia» «preferisco avere un figlio morto che gay»).

Con forti possibilità che Bolsonaro passi al ballottaggio – che tutti i sondaggi danno come inevitabile – si creerà dunque una versione tropicale dell’effetto Le Pen nelle ultime presidenziali francesi: il candidato che riuscirà ad affrontarlo al secondo turno è considerato il vincitore potenziale, anche perché il polemico ex militare ha una percentuale di rigetto elettorale superiore al 60%. Finora, stando ai sondaggi, l’unico candidato sicuro di poter battere Bolsonaro al ballottaggio era appunto Lula.

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E proprio un collaboratore di Bolsonaro, mercoledì scorso, di fronte a una sede politica ha minacciato con una pistola, un attivista del comitato per la campagna di Guilherme Boulos e Sonia Guajajara, il più giovane candidato alla presidenza nella storia del Brasile e la prima donna indigena su una targa presidenziale che si battono per ricostruire la democrazia in Brasile contro gli attacchi senza precedenti dalla fine del regime dei militari: «Il discorso di odio di Jair Bolsonaro incoraggia atti di questo tipo, premeditati o meno», il commento di Boulos e Guajajara, candidati del Psol, lanciati con un appello firmato, tra gli altri, da Frei Betto, Paula Lavigne, Sonia Braga, Chico de Oliveira, Boaventura de Sousa Santos. Un progetto «più che simbolico – si legge nell’appello – il 2018 è già un anno cruciale nella storia del Paese. Potrebbe essere un calcio d’inizio per una rinascita democratica e per la formazione di un nuovo progetto popolare di potere, aggregatore di agende, lotte, diritti; capace di risvegliare la speranza in tutti e tutti gli attori sociali dei nostri popoli sfruttati e oppressi che non si sono mai arresi in questi 518 anni di resistenza».

Il Psol è il partito di Marielle Franco, la militante assassinata a a marzo a Rio de Janeiro che era diventata il simbolo della lotta per il rispetto dei diritti della comunità afro-brasiliana e nel“Complexo da Maré”, dov’era stata eletta in municipio, «un grandissimo quartiere povero, situato nella Zona Nord di Rio de Janeiro. È formato dalle tradizionali “favelas”, da quartieri di case popolari senza alcun servizio pubblico e da immense baraccopoli, dove il degrado si mischia alla vita di un proletariato urbano sempre alla ricerca di un lavoro», ha scritto Achille Lollo, fuoriuscito dall’Italia negli anni ’70 e giornalista in Brasile. Il partito nasce nel 2004 da quel pezzo di Pt che era inorridito quando Lula, allora a Palazzo di Planalto, scrisse una Lettera ai Brasiliani proponendo un accordo con gli impresari, i banchieri, le multinazionali, la borghesia e i latifondisti, per raggiungere la “governabilità possibile” mentre il Pt controllava la Cut e l’Une.  Alle successive elezioni del 2010 ha eletto 3 deputati e un senatore.

Guillerme Boulos, presidente del Mtst (Movimento dei Lavoratori Senza Tetto) subito dopo l’impeachment contro Dilma Rousseff, nel 2015,  ha saputo costruire un fronte unitario denominato “Povo Sem Medo” (Popolo senza Paura) mobilitando i movimenti sociali del Brasile contro il governo golpista di Michel Temer.

I sondaggi finora sono stati poco favorevoli per il probabile futuro candidato del Pt, attribuendogli perfino meno del 10% dei voti, anche se alcuni analisti elettorali sono più ottimisti su una sua possibile rimonta. Jair Bolsonaro, invece, è risultato primo in un sondaggio sulle intenzioni di voto nello stato di San Paolo, la più grande circoscrizione elettorale del paese, diffuso dalla Paranà Pesquisas. Potrebbe contare sul 21,9% dei voti, battendo  Lula – leader in tutti i sondaggi a livello nazionale – per lo 0,1%. San Paolo è lo stato più ricco e con il maggior numero di abitanti del paese: 45 milioni, compresi i 12 milioni della città di San Paolo, la più grande del continente americano, dei quali 33 milioni avranno diritto a votare nelle presidenziali dell’ottobre prossimo, il che rappresenta il 22% degli iscritti a livello nazionale. Lo stesso sondaggio indica che se Lula venisse escluso dalla lista dei candidati – come potrebbe avvenire  – Bolsonaro salirebbe al 23,1%, seguito da Geraldo Alckmin, del Partito della Socialdemocrazia (Psdb, centrodestra), con il 17% delle intenzioni di voto. Haddad dovrà fare i conti con due ex ministri nei governi di Lula e Dilma Roussef: Marina Silva, che incarna un mix politico e biografico tutto brasiliano – radici afro, analfabeta fino ai 16 anni, ambientalista, cristiana evangelica – e Ciro Gomes, candidato del Partito Democratico Laburista, un dirigente di lunga esperienza e assodato pragmatismo.  Alckmin ha già cominciato a concentrare la sua campagna in attacchi costanti contro Bolsonaro, mentre la candidatura di Henrique Meirelle del Movimento Democratico (Mdb, centro) non riesce a decollare, in gran parte per l’associazione del suo partito con Michel Temer, il presidente più impopolare della storia del Brasile. Per aggiungere un’altra dose di incertezza, tutti i sondaggi indicano che, eliminata la candidatura di Lula, la percentuale di astensioni e schede bianche – già alta – potrebbe aumentare in modo drammatico.