Natale 2014, il regalo che vogliamo

di Andrea Martini

In questi giorni che stanno precedendo le festività natalizie, molti degli interrogativi che il mondo del lavoro è chiamato a porsi stanno ricevendo chiare risposte. E tutte purtroppo molto negative.

Dopo l’innegabile successo dello sciopero generale Cgil-Uil (e Ugl) del 12 dicembre, che ha raggiunto vette di partecipazione che non si erano viste nel corso degli ultimi tristi anni di rassegnazione e di passività, i principali attori hanno subito chiarito i loro giudizi e le loro intenzioni.

La Cgil e la Uil, appagate per aver fornito una significativa boccata di ossigeno alla “sinistra” paralaburista del PD, ma soprattutto soddisfatte dal drastico ridimensionamento del taglio dei finanziamenti ai patronati (“solo” 35 milioni simbolici, contro i 150 minacciati, sui 430 totali), potendo vantare di aver “strappato” al governo l’impegno a coinvolgerli nella redazione dei decreti attuativi del Jobs Act, hanno deciso di mettere un punto sulla breve e insufficiente stagione di mobilitazione apertasi ad ottobre.

La Cgil lo ha fatto nella “riunione lampo” del direttivo nazionale che il 17 dicembre ha chiuso con solo un’ora e mezza di discussione il dibattito sul bilancio dello sciopero e delle mobilitazioni e su come dare seguito a quella disponibilità a lottare espressa dalle lavoratrici e dai lavoratori in queste settimane, votando al termine una risoluzione che su tutte le principali partite in corso (Jobs Act e suoi decreti applicativi, legge di stabilità, spending review, ecc.) l’iniziativa sarà affidata alla contrattazione di categoria, territoriale e sociale (con le amministrazioni locali), cioè si tenterà di limitare i danni azienda per azienda o territorio per territorio, ma dando per scontata l’applicazione complessiva dei disegni politico sociali di Renzi.

Stessa scelta (e non c’erano dubbi) ha fatto la Uil, che dopo la fiammata di “combattività” identitaria postcongressuale, riprende anche con il nuovo segretario generale la pratica usuale di emanare comunicati di fuoco già approntandosi però a sottoscrivere tutto ciò che possa confermare la propria esistenza in vita.

La Cisl, da parte sua, nonostante che non a caso abbia deciso di incontrare il 19 dicembre il ministro Poletti con una delegazione di seconda fila (priva sia della segretaria generale Annamaria Furlan, sia della numero due Giovanna Ventura), per non avallare così l’importanza dell’incontro “strappato” al governo con lo sciopero Cgil-Uil, continua ad esprimere giudizi positivi sulle intenzioni del governo e ad affermare che “se il Governo ascolterà le nostre proposte si può fare la vera riforma del lavoro di cui c’è bisogno nel paese”. Candidandosi così a diventare il sindacato di riferimento del PD renziano.

Cgil e Uil, al contrario, non possono non riconoscere che nell’incontro concesso da Poletti tutte le peggiori previsioni siano state ampiamente confermate, con un governo che delega tutto al sistema delle imprese, sistema che, non ancora soddisfatto per quanto ottenuto, continua a chiedere. Il “contratto a tutele crescenti”, secondo Camusso sarà solo un “contratto a “monetizzazione crescente”, mentre la tutela dai licenziamenti si limiterà sempre più a consentire la reintegra solo nei casi di azione spudoratamente discriminatoria.

Allora, che senso ha pensare che un contesto di questo genere e progetti così brutali e classisti possano essere fermati, mutati o anche solo rallentati attraverso la contrattazione articolata?

L’offensiva padronale, governativa, europea, è complessiva, politica, generale e non può che essere contrastata con un’azione complessiva, politica, generale e generalizzata. Gli appetiti padronali sono stati stimolati e incoraggiati da decenni di passività e rassegnazione e dagli ultimi anni di paralisi e complicità. Non potranno essere respinti con azioni di lotta sporadiche, testimoniali, dimostrative.

Sporadiche e tardive, perché consapevolmente proclamate in una data nella quale la legge delega brutale e simbolica del Jobs Act non poteva che essere già stata approvata e intascata da governo e padronato, tanto più in un parlamento che si è lasciato trasformare in una sede di ratifica di decisioni già prese, in mancanza di vere opposizioni, con una minoranza PD più preoccupata dei propri destini piuttosto che dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori.

Non a caso lo sciopero del 12 dicembre ha raccolto un insperato credito nel mondo del lavoro. Proprio perché, stimolato da numerose mobilitazioni semispontanee in tante aziende combattive, preparato da importanti iniziative della Fiom, preceduto da iniziative di “sciopero sociale” da parte di movimenti dei precari, dei senza casa, studentesche e giovanili, dava l’impressione a tante lavoratrici e tanti lavoratori che non si trattasse di un’iniziativa isolata, che fosse l’inizio di una fase nuova.

Purtroppo anche la Fiom sembra aver accettato l’idea dell’ineluttabilità dell’affrontare l’attacco in ordine sparso. Il Comitato centrale dell’organizzazione metalmeccanica del 19 dicembre si è concluso approvando a larga maggioranza un ordine del giorno che apre “una nuova fase di contrattazione articolata anche in contrasto del Jobs Act”, replicando, quasi con le stesse parole, quanto approvato dalla Cgil solo 2 giorni prima.

Bene ha fatto la minoranza “Il sindacato è un’altra cosa – Opposizione Cgil” (che ovviamente aveva già espresso il proprio dissenso nel direttivo confederale) a proporre un ordine del giorno alternativo anche nel CC della Fiom che “giudica grave la scelta della Cgil di non dare continuità alla lotta contro il Jobs Act” e che propone di “dare continuità al conflitto e mettere al centro dell’iniziativa e della pratica concreta l’opposizione al governo Renzi ed alle sue politiche, per una nuova centralità del lavoro e dei suoi bisogni”.

Certo, in questi giorni in cui siamo tutti preoccupati nel preparare qualche piccolo regalo per i nostri cari, pur senza far saltare i nostri precari bilanci, dobbiamo assistere alla gigantesca, colossale strenna natalizia che il governo, con il Jobs Act e con la legge di stabilità, ha fatto al padronato e alle imprese sulle spalle delle lavoratrici e dei lavoratori, oltre che dei cittadini tutti. Padronato e imprese, che, come bambini troppo viziati e incontentabili, non scartano neanche i doni perché già sanno che cosa contengono, ma, senza neanche ringraziare, si apprestano a chiedere subito altri regali, sempre più consistenti.

Non resta che sperare e lavorare perché, nelle aziende e nelle fabbriche del paese, quella promettente stagione di conflitto che si era prospettata nei due mesi scorsi non si chiuda come sembrano preconizzare Susanna Camusso e lo stesso Maurizio Landini.

E’ questo il regalo natalizio più bello che tutte quante e tutti quanti noi speriamo di ricevere. Ma è un regalo che dobbiamo meritarci, attivandoci ovunque per dare continuità anche nell’inverno alle lotte dell’autunno.