Sgombero Askatasuna, quando la repressione è bipartisan

Alcune riflessioni a seguito dello sgombero del centro sociale torinese. La mutazione del tessuto sociale della città, il ruolo complementare del Pd di fronte alla torsione autoritaria del governo, le sfide per la sinistra radicale. Alcune riflessioni a seguito dello sgombero del centro sociale torinese ★ Gippò Mukendi Ngandu

★ Lo sgombero di Askatasuna è un episodio molto grave e impone una riflessione più ampia sulla natura del governo di destra, ma anche sulla città di Torino e le sue trasformazioni per capire la portata delle prossime sfide. Questo è solo un parziale contributo anche alla luce dell’importante reazione manifestata da migliaia di giovedì sera a testimonianza di quella nuova radicalizzazione che si è manifestata nel corso delle ultime mobilitazioni, quelle No Tav ed in particolare in quelle contro il genocidio a Gaza e a sostegno del popolo palestinese.

Sarebbe utile, ma troppo lungo, ripercorrere l’esperienza dell’ex asilo di corso Regina Margherita 47 che dal 1996 è stata la sede del centro sociale Askatasuna. È chiaro che il centro sociale di Vanchiglia ha segnato le vicende politiche, sociali e culturali della città ed è stato nel corso degli anni uno dei punti di riferimento nei confronti di coloro che non si sono rassegnati alla miseria dello stato di cose presenti. I tentativi di porre fine all’occupazione così come all’esperienza del collettivo sono tutti falliti nel corso degli ultimi e il centro sociale è rimasto un pungolo nel cuore della città, uno spazio per nulla rassegnato alle logiche del mercato.

È bene, tuttavia, ricordare gli avvenimenti più recenti. Dal 2024 la giunta comunale di Torino ha approvato una delibera che riconosceva l’edificio occupato come bene comune, avviando così un percorso che avrebbe dovuto coinvolgere un gruppo di cittadini, Comune e il collettivo di Askatasuna volto a mettere l’edificio in condizioni di sicurezza e di maggior agibilità per le attività sociali, culturali e ricreative utili al territorio. Come primo passo del percorso, gli occupanti avevano interrotto tutte le attività, per consentire lo svolgimento dei lavori contemplati da questo processo. Questo percorso riconosceva, al di là dei diversi giudizi politici, il valore sociale e culturale per la città di Torino del centro sociale.

Questo progetto è sempre stato irricevibile da un governo che, come sostiene Adriana Algostino, che insegna diritto costituzionale all’Università di Torino, nel suo articolo sul il manifesto, ha sempre assunto “l’ordine pubblico come mero riflesso di un principio di autorità, mostrando di essere l’asse portante dello stato autoritario in stadio avanzato di costruzione”. L’ autoritarismo del governo si è palesato sin dall’inizio del mandato ed è accresciuto nel corso del tempo. È iniziato reprimendo violentemente gli ultimi della società, i rave party, per proseguire punendo le forme di protesta tipiche della disobbedienza civile, deportando i migranti nei Cpr e finirà non solo con l’equiparazione dell’antisionismo con l’antisemitismo, ma dando una stretta al diritto di sciopero, quello sciopero che ha riacquisito la sua nuova dignità il 22 settembre e il 3 ottobre. Nella stretta repressiva e autoritaria sono stati presi di mira i centri sociali, anche diversi tra loro, con la dichiarata volontà da parte del ministro Piantedosi di “porre la fine di una lunga stagione di illegalità”. Così scrisse in un suo breve comunicato dopo lo sgombero del Leoncavallo a Milano ad agosto e così ha dichiarato dopo lo sgombero dell’Askatasuna.

Il governo si è così scagliato contro un’esperienza politica tra le protagoniste delle ultime grandi mobilitazioni che hanno coinvolto il paese, come quella No Tav e quella a sostegno del popolo palestinese. In questo modo si è anche vendicato della decisione del Tribunale di Torino che durante il processo penale a danno di alcuni militanti di Askatasuna ha escluso il reato di “associazione a delinquere”. La destra reazionaria e fascista pratica ciò che le è naturale fare e porta avanti un progetto autoritario fondato su legge, ordine e disciplina, fortemente avverso alle stesse regole liberali e democratiche.

Attenzione, però, questa destra ha di mira anche Torino, che nel 1939 Mussolini definì quella “porca città francese!” dopo la glaciale accoglienza ricevuta dagli operai di Mirafiori durante l’inaugurazione degli stabilimenti. Per ironia della storia, lo sgombero è stato effettuato proprio durante l’anniversario della “strage di Torino” quando tra il 18 e il 22 dicembre 1922, gli uomini dello squadrista Brandimarte fecero il giro dei quartieri operai, trascinando fuori dalle case 24 comunisti e socialisti, ne massacrano 15, mentre degli altri non si saprà mai più nulla, buttati e dispersi nel Po.

La concentrazione di una classe operaia combattiva ha impedito nel secondo dopoguerra un vero radicamento sociale della destra ex missina che ora punta a rilanciarsi come partito d’ordine anche nel capoluogo piemontese, magari imponendo un proprio candidato a sindaco. L’operazione le è possibile anche perché il centrosinistra e il Partito democratico hanno da anni assecondato il processo di trasformazione della città frammentando e indebolendo la classe operaia, distruggendo pezzi di Stato sociale, esternalizzando i servizi essenziali del Comune, inseguendo il modello “Milano” basto sulla speculazione immobiliare, vagheggiando una Torino degli eventi e ora prospettando un nuovo futuro industriale fondato sull’industria bellica.

In questo modo, le forze del centrosinistra ed in particolare il Partito democratico torinese hanno disilluso la classe lavoratrice e le classi popolari e nel tempo hanno creato le condizioni per l’emergere di quella destra razzista e xenofoba che ora trovano in Fratelli d’Italia un punto di riferimento. Dopo la parentesi pentastellata, il sindaco Lorusso si è illuso di assecondare questo processo cercando un dialogo alla sua sinistra nella speranza di stemperare le istanze critiche e di riportare il suo partito egemone. Sembra di essere di fronte ad un déjà vu che, tuttavia, stride di fronte alle intemperie della crisi capitalistica il cui impatto è feroce nelle grandi città industriali.

Il sindaco di Torino ha alla fine inevitabilmente ceduto alle richieste del governo. Egli non può apparire inaffidabile agli occhi della borghesia torinese e se ora interviene pubblicamente per affermare che lo spazio Askatasuna non mollerà la sua vocazione sociale, lo fa perché ha in mente un’ulteriore concessione a quei settori che hanno fatto del privato sociale una vera e propria impresa a scopo di lucro.

In questa vicenda non si può tralasciare la vicenda de La Stampa. È evidente che la destra fascista ha cercato di approfittarne. Si può, si deve e si dovrà discutere sulla scelta di attaccare la “busiarda” nella giornata di uno sciopero generale e di uno sciopero dei giornalisti contro il suo editore. L’idea di cambiare i rapporti di forza semplicemente con atti di forza e una certa estetica della violenza sono fortemente discutibili. Quel che stupisce è, tuttavia, che tutta quella acrimonia manifestata contro i giovani assalitori del quotidiano, non si stia manifestando contro coloro che vogliono affossare l’esperienza più che secolare del quotidiano torinese. Quella borghesia. che ha oramai abbandonato Torino come suo orizzonte prioritario, rimane comunque intoccabile e indiscussa padrona della città.

Ma che ne è del Movimento operaio e delle sue organizzazioni? La stretta repressiva è avvenuta proprio quando è in discussione e in votazione la legge di bilancio. Certamente la classe operaia è sulla difensiva, demoralizzata da anni di sconfitte, indebolita dai processi di ristrutturazione; tuttavia, dopo lo sciopero del 3 ottobre, c’era tutta la possibilità di costruire la convergenza di tutte le forze sociali, sindacali e politiche che fanno riferimento al movimento delle lavoratrici e dei lavoratori contro la legge dell’austerità e della guerra.  Così non è stato! Sarebbe miope non vedere che il governo, dopo essere stato per la prima volta seriamente in difficoltà, agisce con ferocia cogliendo i primi segnali di debolezza delle mobilitazioni, apprestandosi così a intimidire le giovani generazioni che sono scese in piazza.

In solidarietà con Askatasuna si è costruito un ampio fronte politico e sociale. È un fatto positivo ed in questi giorni saremo impegnati nelle manifestazioni a sostegno delle compagne e dei compagni che si terranno in città. Quel che è certo è che tutta la sinistra radicale, di classe, anticapitalista e antagonista si trova di fronte a nuove drammatiche sfide, come quella del fascismo e dell’autoritarismo che richiedono nuove forme di unità d’azione senza le quali sarà impossibile invertire la tendenza in corso, indebolire questo pericoloso governo che ha il pieno sostegno di ampi settori della borghesia e opporsi in maniera efficace alle sue politiche mortifere e di austerità.