Rompere con una crescita capitalista, per un’alternativa ecosocialista
Continua la pubblicazione dei documenti in vista del Congresso mondiale della Quarta Internazionale
Rompere con la crescita capitalista, per un’alternativa ecosocialista
Progetto adottato dal Comitato Internazionale del febbraio 2024
La direzione della Quarta Internazionale ha approvato, come prima bozza, un Manifesto Ecosocialista, che sarà discusso al nostro prossimo Congresso Mondiale nel febbraio 2025.
Questo documento si basa sulla nostra convinzione che una società ecosocialista, liberata dalla dominazione di classe, genere, razza o coloniale, è necessaria e può essere realizzata solo attraverso la rivoluzione. Il Manifesto tenta di valutare le modalità migliori per raggiungere questo obiettivo.
Saremmo interessati a commenti, critiche e argomentazioni da parte di scienziati preoccupati, pensatori marxisti e movimenti sociali e politici significativi. Non pretendiamo di avere il monopolio della verità e pensiamo che il dialogo con le altre forze radicali e rivoluzionarie sia necessario, addirittura indispensabile, se vogliamo avanzare nella lotta.
Introduzione
INTR.1.1. Questo Manifesto è un documento della Quarta Internazionale, fondata nel 1938 da Leon Trotsky e dai suoi compagni per salvare l’eredità della Rivoluzione d’Ottobre dal disastro stalinista. Rifiutando il dogmatismo sterile, la Quarta Internazionale ha integrato nel suo pensiero e nella sua pratica le sfide dei movimenti sociali e della crisi ecologica. Le sue forze sono limitate, ma sono presenti in tutti i continenti e hanno contribuito attivamente alla resistenza al nazismo, al maggio 68 in Francia, alla solidarietà con le lotte anticoloniali (Algeria, Vietnam), alla nascita del movimento altermondista. e allo sviluppo dell’ecosocialismo.
La Quarta Internazionale non si considera come l’unica avanguardia; essa partecipa, nella misura delle sue forze, a delle grandi formazioni anticapitaliste. Il suo obiettivo è contribuire alla formazione di una nuova Internazionale, a carattere di massa, di cui essa sarà una delle componenti.
INTR.1.2. La nostra epoca è quello di una doppia crisi storica: la crisi dell’alternativa socialista di fronte alla crisi multiforme della “civiltà” capitalista.
INTR.1.3 Se la Quarta Internazionale pubblica questo Manifesto nel 2025, è perché siamo convinti che il processo di rivoluzione ecosocialista su differenti scale territoriali, ma su una dimensione planetaria, sia più che mai necessario : si tratta oramai non solo di per porre fine alle regressioni sociali e democratiche che accompagnano l’espansione capitalistica mondiale, ma anche per salvare l’umanità da una catastrofe ecologica senza precedenti nella storia umana. Questi due obiettivi sono indissolubilmente legati.
INTR.1.4. Tuttavia, il progetto socialista che sta alla base delle nostre proposte richiede un’ampia revisione alimentata dalla valutazione pluralista delle esperienze e dai grandi movimenti di lotta contro tutte le forme di dominio e di oppressione (classe, genere, comunità nazionali dominate, ecc.). . Il socialismo che proponiamo è radicalmente differente dai modelli che hanno dominato il secolo scorso o da qualsiasi regime statalista o dittatoriale: è un progetto rivoluzionario, radicalmente democratico,alimentato dal contributo delle idee femministe, ecologiste, antirazziste, anticolonialiste, antimilitariste e LGBTQI.
INTR. 1.5. Noi utizziamo il termine ecosocialismo da diversi decenni, perché siamo convinti che le minacce e le sfide globali poste dalla crisi ecologica debbano permeare tutte le lotte all’interno/contro l’ordine globalizzato esistente e richiedere una riformulazione del progetto socialista. Il rapporto con il nostro pianeta, il superamento della “frattura metabolica” (Marx) tra le società umane e il loro ambiente di vita, il rispetto degli equilibri ecologici del pianeta non sono solo capitoli del nostro programma e della nostra strategia, ma il loro filo conduttore.
INTR.1.6. La necessità di attualizzare le analisi del marxismo rivoluzionario ha sempre ispirato l’azione e il pensiero della Quarta Internazionale. Noi perseguiamo questo approccio nel nostro lavoro di stesura di questo Manifesto Ecosocialista: noi vogliamo contribuire alla formulazione di una prospettiva rivoluzionaria capace di affrontare le sfide del XXI secolo. Una prospettiva che prende spunto dalle lotte sociali ed ecologiche e dalle riflessioni critiche autenticamente anticapitaliste che si stanno sviluppando in tutto il mondo.
1. La necessità oggettiva di una rivoluzione ecosocialista, antirazzista, antimilitarista, anticolonialista e femminista
1.1. Il capitale trionfa, ma il suo trionfo lo sprofonda nelle contraddizioni insormontabili evidenziate da Marx. Di fronte a queste, Rosa Luxembourg lancia il suo avvertimento nel 1915: “Socialismo o barbarie”. L’attualità di questo avvertimento è più scottante che mai, perché la catastrofe che si sta sviluppando intorno a noi non ha precedenti. Ai flagelli della guerra, del colonialismo, dello sfruttamento, del razzismo, dell’autoritarismo, delle oppressioni di ogni tipo, si aggiunge un nuovo flagello, che aggrava tutti gli altri: la distruzione accelerata da parte del capitale dell’ambiente naturale da cui dipende la sopravvivenza dell’umanità.
1.2. Gli scienziati identificano otto indicatori globali di sostenibilità ecologica. Per sette di essi sono stimati i limiti di pericolo. A causa della logica capitalistica dell’accumulazione, almeno sette di essi sono già stati superati: (clima, integrità funzionale degli ecosistemi, ciclo dell’azoto, ciclo del fosforo, acque dolci sotterranee, acque dolci superficiali e superficie degli ecosistemi naturali, sei dei quali superano addirittura il “tetto” (solo il clima non lo supera)). I poveri sono le principali vittime, soprattutto nei paesi poveri.
1.3. Sotto la frusta della concorrenza, la grande industria e la finanza rafforzano la loro presa dispotica sugli esseri umani e sulla Terra. La distruzione continua, malgrado le grida di allarme della scienza. La sete di profitto, come un automa, richiede sempre più mercati e sempre più beni, quindi maggiore sfruttamento della forza lavoro e saccheggio delle risorse naturali.
1.4. Il capitale legale, il cosiddetto capitale criminale e la politica borghese sono strettamente legati. La Terra viene acquistata a credito dalle banche, dalle multinazionali e dai ricchi. I governi strangolano sempre più i diritti umani e democratici attraverso la repressione brutale e il controllo tecnologico. Un nuovo fascismo offre i suoi servizi per salvare il sistema attraverso le menzogne, il razzismo, il sessismo e la demagogia sociale.
1.5. Si può affermare che i limiti della sostenibilità sono ugualmente superati anche a livello sociale.
1.6. Con i loro yacht, i loro jet, le loro piscine, i loro enormi campi da golf privati, i loro numerosi SUV, il loro turismo spaziale, i loro gioielli, la loro haute couture e le loro lussuose residenze ai quattro angoli del mondo, l’1% dei più ricchi possiede altrettanto che il 50% della popolazione mondiale. La “teoria del trickle down” è un mito. È verso i ricchi che la ricchezza “fluisce”, non l’inverso. La povertà aumenta anche nei paesi “sviluppati”. I redditi da lavoro sono compressi senza pietà, le protezioni sociali – laddove esistono – vengono smantellate. L’economia capitalista globale galleggia su un mare di debito, sfruttamento e disuguaglianza.
1.7. La ripartizione diseguale delle risorse provoca delle catastrofi ambientali soprattutto tra i diversi gruppi etnici e razziali. Ad esempio, nelle società capitaliste sviluppate o in via di sviluppo, le persone povere e quelle razzializzate generalmente abitano i territori più colpiti dall’inquinamento, con una maggiore concentrazione di rifiuti, così come le aree a rischio prive di pianificazione urbana, come pendii e colline. Il razzismo ambientale è un’altra faccia dell’esclusione che il capitalismo impone alle persone razzializzate e povere.
1.8. Le disuguaglianze e le discriminazioni colpiscono particolarmente le donne, che continuano a svolgere la maggior parte del lavoro domestico e di cura, sia gratuito che retribuito. Esse ricevono solo il 35% del reddito da lavoro. In alcune regioni del mondo (Cina, Russia, Asia centrale), la loro quota sta diminuendo, a volte in modo significativo. Al di là del lavoro, le donne sono attaccate su tutti i fronti in quanto donne, attraverso la violenza di genere e sessuale, nei loro diritti al cibo, all’istruzione, nel loro diritto a essere rispettate e di poter disporre del proprio corpo.
1.9. Se le persone anziane delle classi popolari (e anche di una parte della classe media) vengono messi da parte, la vita delle generazioni future viene generalmente mutilata in anticipo. La maggior parte dei genitori delle classi popolari non crede più che i loro figli vivranno meglio di loro. Un numero crescente di giovani osserva con paura, rabbia, tristezza e dolore la distruzione organizzata del loro mondo, violato, sventrato, annegato nel cemento, inghiottito nelle acque fredde del calcolo egoistico della distruzione pianificata del loro avvenire;
1.10. I flagelli della carestia, dell’insicurezza alimentare e della malnutrizione si erano attenuati alla fine del XX secolo; essi stanno riemergendo oggi a causa della catastrofica convergenza tra il neoliberismo, il militarismo e il cambiamento climatico: quasi una persona su dieci soffre la fame, quasi una persona su tre soffre di insicurezza alimentare, più di tre miliardi non hanno i mezzi per nutrirsi in modo sano. Centocinquanta milioni di bambini sotto i cinque anni soffrono di ritardi nella crescita a causa della fame.
1.11. La speranza di un mondo pacifico a breve termine sta svanendo. Più di 30 paesi in tutto il mondo sono o sono stati recentemente in preda di guerre su larga scala, tra cui Sudan, Iraq, Yemen, Palestina, Siria, Ucraina, Libia, Repubblica Democratica del Congo e Myanmar. La stessa crisi climatica, i fenomeni meteorologici e i flussi migratori intensivi che ne risultano alimentano numerosi conflitti in tutto il mondo. Le sofferenze,gli spostamenti e la morte delle popolazioni sono immensi.
1.12. Mentre gli imperialismi litigano, le misure urgenti per la transizione climatica e un futuro sostenibile vengono messe in discussione. Le guerre, oltre al fatto che sono disastrose in termini di vite umane, che attaccano i corpi delle donne, che usano lo stupro come strumento di terrore e che disumanizzano la vita collettiva, sono nefaste per il pianeta su cui viviamo. Essi distruggono gli habitat, provocano la deforestazione, avvelenano i suoli, l’acqua e l’aria e sono le principali fonti di emissioni di carbonio.
1.13. La brutale guerra della Russia contro l’Ucraina nel 2022 e il nuovo livello di pulizia etnica perpetrato nella guerra di Gaza nel 2023/24 contro il popolo palestinese sono gravi crimini contro l’umanità. Questi due casi confermano la natura barbarica dell’attuale capitalismo. L’aggressione imperialista russa contro l’Ucraina nel 2022 ha alimentato le tensioni geopolitiche su scala globale. Essa conferma l’ingresso in una nuova era di competizione interimperialista per l’egemonia mondiale, tra gli Stati Uniti e i suoi alleati da una parte, la Cina e i suoi alleati dall’altra. Le risorse della Terra energetiche e minerarie giocano un ruolo importante in questa competizione interimperialista.
1.14. Tutti potrebbero avere una buona vita sulla Terra, ma il capitalismo è una modalità di predazione sfruttatrice, maschilista, razzista, bellicosa, autoritaria e mortifera. Il produttivismo è distruttivismo. In due secoli esso ha condotto l’umanità in una profonda impasse ecosociale.
1.15. Il cambiamento climatico è l’aspetto più pericoloso della distruzione ecologica, è una minaccia della vita umana senza precedenti nella storia. La Terra rischia di diventare un deserto biologico inabitabile per miliardi di poveri che non sono responsabili di questa catastrofe. Per fermare questa catastrofe, dobbiamo ridurre di molto le emissioni globali di anidride carbonica e metano prima del 2030, ed eliminarle prima del 2050. Globalmente occorre prioritariamente bandire i combustibili fossili, l’agroindustria, l’industria della carne e l’ipermobilità. vale a dire produrre meno nel complesso.
Da un lato, la follia dell’accumulazione capitalista mette l’umanità di fronte all’urgente necessità di un declino globale del consumo finale di energia e, di conseguenza, della produzione materiale e dei trasporti. D’altro canto, tre miliardi di persone, soprattutto nei paesi del Sud del mondo 1 , vivono in condizioni spaventose, a causa del capitalismo e dell’imperialismo. La giustizia sociale richiede lo sviluppo di determinate produzioni per soddisfare i loro immensi bisogni insoddisfatti: buoni sistemi sanitari, alloggi dignitosi, buon cibo, buona istruzione, trasporti pubblici, acqua pulita, sicurezza sociale per tutti…
1.17. Esiste una via d’uscita da questa contraddizione? SÌ. È possibile per gli esseri umani vivere bene consumando molto meno di prima, in particolare grazie ai progressi tecnologici nel campo della medicina, dell’edilizia, dell’efficienza energetica, tra gli altri. L’impatto sul clima delle produzioni destinate a soddisfare i bisogni umani – soprattutto quando esse sono pianificate democraticamente e assunte dal settore pubblico in un contesto di uguaglianza sociale – è molto inferiore a quello delle produzioni destinate a soddisfare i bisogni dei ricchi mediante la crescita del PIL e la concorrenza cieca del mercato per il profitto. L’1% più ricco emette quasi il doppio della CO2 del 50% più povero. Il 10% più ricco è responsabile di oltre il 50% delle emissioni di CO2. I poveri emettono molto meno di 2-2,3 tonnellate di CO2 pro capite all’anno (il volume medio da raggiungere nel 2030 se vogliamo raggiungere emissioni nette pari a zero nel 2050 con una probabilità del 50%). Soddisfare i loro bisogni avrebbe un impatto ecologico limitato. Infatti, per fermare la catastrofe è necessaria una società che assicuri benessere e garantisca l’uguaglianza come mai prima d’ora. Una prospettiva auspicabile, ma l’1% dei ricchi dovrebbe dividere per trenta le proprie emissioni in pochi anni. Ma si rifiutano di fare il minimo sforzo! Al contrario: vogliono sempre più privilegi!
1.18. I governi si sono impegnati a restare al di sotto dei +1,5°C, a preservare la biodiversità, a realizzare il cosiddetto “sviluppo sostenibile” e a rispettare il principio delle “responsabilità e capacità comuni ma differenziate” nella crisi ecologica,… producendo sempre più merci e utilizzando sempre più più energia. È escluso che queste promesse combinate siano mantenute dal capitale. I fatti mostrano:
1.18.1. – Trentatré anni dopo il Summit della Terra di Rio (1992), il mix energetico globale è ancora interamente dominato dai combustibili fossili (84% nel 2020). La produzione totale di combustibili fossili è aumentata del 62%, passando da 83 terawattora (TWh) nel 1992 a 136 TWh nel 2021. Le energie rinnovabili vengono ad aggiungersi al sistema energetico prevalentemente fossile, offrendo maggiore capacità e nuovi mercati ai capitalisti. 2
1.18.2. – Con la crisi energetica innescata dalla pandemia e aggravata dalla guerra imperialista russa contro l’Ucraina, tutte le potenze capitaliste hanno rilanciato il carbone, il petrolio, il gas naturale (compreso lo shale gas) e l’energia nucleare.
1.18.3. – Principale responsabile storico del cambiamento climatico, l’imperialismo americano dispone di enormi mezzi per lottare contro la catastrofe, ma i suoi rappresentanti politici subordinano criminalmente questa lotta alla protezione della loro egemonia globale, quando non si limitano a rifiutarla.
1.18.4. – Le misure che i grandi inquinatori stanno mettendo in opera sotto l’etichetta “decarbonizzazione” non solo non rispondono alla portata della crisi climatica ma accelerano l’estrattivismo, soprattutto nei paesi dominati, ma anche nel Nord e negli oceani, a scapito delle popolazioni e degli ecosistemi.
1.18.5. – Questa cosiddetta “decarbonizzazione” aggrava l’accaparramento imperialista delle terre e lo sfruttamento della manodopera nel Sud, con la complicità delle borghesie locali (come dimostrano diversi progetti di investimento basati sullutilizzo dell’energia solare ed eolica, in particolare nelle “zone franche” ” dei paesi poveri, al fine di produrre “idrogeno verde” destinato a rifornire le industrie dei paesi sviluppati).
1.18.6. – I “mercati del carbonio”, le “compensazioni del carbonio”, le “compensazioni della biodiversità” e i “meccanismi di mercato”, basati sulla concezione della natura come capitale, pesano sui meno responsabili, i poveri, in particolare le popolazioni autoctone, le popolazioni razzializzate e le popolazioni di il Sud in generale.
1.19. Validi in teoria, i concetti astratti come “economia circolare”, “resilienza”, “transizione energetica”, “biomimetismo” diventano nella pratica delle formule vuote quando vengono messi al servizio del produttivismo capitalista. Se non esiste un piano di riconversione della produzione attuato da tutta la società, i miglioramenti tecnici (ad esempio per rendere più economica la produzione di energia) hanno spesso un effetto di rimbalzo 3 : a La riduzione dei prezzi dell’energia porta generalmente ad un aumento del consumo di energia e di materiali.
1.20. Di fronte alla crisi climatica, il feticismo capitalista dell’accumulazione lascerà alla fine solo due opzioni: impiegare le tecnologie dell’apprendista stregone (nucleare, cattura-sequestro del carbonio, geoingegneria, ecc.)… o lasciare la natura” eliminare alcuni miliardi di poveri nei paesi poveri.
1.21. Politicamente, l’impotenza e l’ingiustizia del capitalismo verde fanno il gioco di un neofascismo fossilizzato, complottista, colonialista, razzista, violentemente machista e LGBTQI fobico, che questa seconda possibilità non respinge. Una frazione dei ricchi sta marciando verso un immenso crimine contro l’umanità, scommettendo cinicamente che la sua ricchezza la proteggerà, lasciando morire i poveri.
1.22. Il capitalismo verde neoliberista e il neofascismo negazionista del clima non sono la stessa cosa, il secondo è molto peggiore, ma nessuno di questi due regimi sarà in grado di impedire che il riscaldamento globale prosegua, con conseguenze disastrose, e il primo alimenta il secondo. Se le vittime sono più numerose nei paesi poveri, i paesi ricchi subiranno ugualmente perdite drammatiche. Il capitalismo globale non sta progredendo gradualmente verso la pace e lo sviluppo sostenibile, ma sta regredendo verso la guerra, il disastro ecologico, il genocidio e la barbarie neofascista.
1.23. Di fronte a questa sfida, non è sufficiente mettere in discussione il regime neoliberista e rivalutare il ruolo dello Stato. Non basta nemmeno fermare la dinamica dell’accumulazione (un obiettivo impossibile sotto il capitalismo!) Il consumo globale finale di energia deve diminuire radicalmente, il che significa produrre meno e trasportare meno su scala globale.
1.24. Per rispettare questo vincolo ecoclimatico, l’orientamento stesso dell’economia deve cambiare radicalmente: la scienza e i progressi tecnologici devono essere utilizzati per soddisfare i bisogni sociali dell’umanità e rigenerare l’ecosistema globale, invece che per soddisfare la corsa al profitto dei capitalisti. Questa è l’unica soluzione che permette di conciliare il legittimo bisogno di benessere per tutti e la rigenerazione dell’ecosistema globale. La giusta sufficienza e la giusta decrescita – la decrescita ecosocialista – sono una condizione sine qua non per la salvezza.
1.25. Uscire dall’impasse produttivista è possibile solo alle seguenti condizioni:
1.25.1. – abbandonare il “tecnosoluzionismo”, vale a dire l’idea che la soluzione verrà dalle nuove tecnologie il cui lato ecologico viene presentato senza misurare il consumo dannoso di energia e risorse che la loro produzione e utilizzo inducono. Per amore della saggezza ecologica, decidere di utilizzare i mezzi di cui disponiamo, poiché sono sufficienti a soddisfare i bisogni di tutti.
1.25.2. – ridurre radicalmente l’impronta ecologica dei ricchi per consentire una buona vita a tutti
1.25.3. – porre fine al libero mercato dei capitali (mercati azionari, banche private, fondi pensione);
1.25.4. – regolamentare i mercati dei beni e dei servizi;
1.25.5. – massimizzare in tutti i settori della società le relazioni dirette tra produttori e consumatori e i processi di valutazione dei bisogni e delle risorse dal punto di vista dei valori d’uso e delle priorità ecologiche e sociali.
1.25.6. – determinare democraticamente quali bisogni questi valori d’uso devono soddisfare e come;
1.25.7. – porre al centro di questa deliberazione democratica la cura dell’uomo e degli ecosistemi, l’attento rispetto degli esseri viventi e dei limiti ecologici;
1.25.8. – eliminare conseguentemente la produzione ed i trasporti inutili, rifondare ogni attività produttiva, la sua circolazione ed il suo consumo.
1.26. Queste condizioni sono necessarie, ma non sufficienti. La crisi sociale e la crisi ecologica sono la stessa cosa. Occorre ricostruire un progetto di emancipazione per gli sfruttati e gli oppressi. Un progetto di classe che, al di là dei bisogni fondamentali, privilegia l’essere al posto dell’avere. Un progetto che modifica profondamente i comportamenti, i consumi, il rapporto con il resto della natura, il concetto di felicità e la visione che gli umani hanno del mondo. Un progetto antiproduttivista per vivere meglio prendendosi cura degli esseri viventi sull’unico pianeta abitabile del sistema solare.
1.27. Il capitalismo ha già precipitato l’umanità in una situazione così cupa,in particolare alla vigilia della prima guerra mondiale. L’isteria nazionalista ha sequestrato le masse e la socialdemocrazia, tradendo la sua promessa di rispondere alla guerra con la rivoluzione, ha dato il via libera ai peggiori omicidi della storia dell’umanità. Tuttavia Lenin definì la situazione come “oggettivamente rivoluzionaria”: “solo la rivoluzione potrà fermare il massacro”, disse. La storia gli ha dato ragione: la rivoluzione in Russia e la paura della sua estensione hanno costretto le borghesie a porre fine al massacro. Il confronto ha ovviamente i suoi limiti. Le mediazioni verso l’azione rivoluzionaria sono oggi infinitamente più complesse. Ma è necessario lo stesso impeto di coscienza. Tuttavia, di fronte alla crisi ecologica, una rivoluzione anticapitalista è ancora più oggettivamente necessaria. È questo giudizio fondamentale che deve servire come base per l’elaborazione di un programma,di una strategia e di una tattica, perché non c’è altro modo per evitare la catastrofe.
1.28. Tutto dipende dai risultati delle lotte. Quale che sia l’ampiezza del disastro, in ogni fase le lotte faranno la differenza. All’interno delle lotte, tutto dipende dalla capacità degli attivisti ecosocialisti di organizzarsi per orientarsi nella pratica secondo la bussola della necessità storica oggettiva.
2. Il mondo per cui combattiamo
2.1. Il nostro progetto di una società futura articola l’emancipazione sociale e politica con l’imperativo di fermare la distruzione della vita e di riparare il più possibile i danni già causati.
2.2. Noi vogliamo (provare a) immaginare come sarebbe una buona vita per tutti e dappertutto riducendo il consumo di materiali ed energia, e quindi riducendone la produzione materiale. Non si tratta di fornire un modello già pronto, ma di osare pensare a un altro mondo, un mondo che invogli a battersi per costruirlo liberandosi del capitalismo e del produttivismo.
“Sì, è per il pane che lottiamo, ma lottiamo anche per le rose. »
2.3. Una buona vita per tutti richiede che i bisogni umani fondamentali – cibo sano, salute, riparo, aria pulita e acqua – siano soddisfatti.
2.4. Una buona vita è anche una vita scelta, appagante e creativa, impegnata in relazioni umane ricche ed egualitarie, circondata dalla bellezza del mondo e dalle conquiste umane.
2.5. Il nostro pianeta dispone (ancora) di sufficiente terra coltivabile, di acqua potabile, di sole e di vento, biodiversità e di risorse di ogni tipo per rispondere ai legittimi bisogni umani rinunciando ai combustibili fossili dannosi per il clima e all’energia nucleare. Tuttavia, alcune di queste risorse sono limitate e quindi esauribili, mentre altre, pur essendo inesauribili, richiedono per il loro consumo umano materiali esauribili anche rari la cui estrazione è ecologicamente dannosa. In ogni caso il loro utilizzo non può essere illimitato, li usiamo con cautela e parsimonia, nel rispetto dell’ambiente.
2.6. Indispensabili per la nostra vita, essi sono esclusi dall’appropriazione privata, considerati come beni comuni, perché devono giovare a tutta l’umanità oggi e a lungo termine. Per garantire nel tempo questi beni comuni si sviluppano norme collettive che definiscono gli usi, ma anche i limiti di tali usi, gli obblighi di manutenzione o di riparazione.
2.7. Perché non ci prendiamo cura di una mangrovia come di una calotta glaciale, di una zona umida come una spiaggia sabbiosa, di una foresta tropicale come un fiume, perché l’energia solare non obbedisce alle stesse regole, non impone gli stessi vincoli materiali che riguardano l’eolico o l’idraulico , l’elaborazione delle regole non può che essere il frutto di un processo democratico che coinvolga i principali interessati, lavoratori e residenti.
2.8. Nostro comune è anche l’insieme dei servizi che permettono di rispondere in modo egualitario, e quindi gratuito, ai bisogni di istruzione, sanità, cultura, accesso all’acqua, all’energia, alle comunicazioni, ai trasporti, ecc. Anch’essi sono gestiti e organizzati democraticamente dall’insieme della società.
2.9. I servizi dedicati alle persone e alle cure di cui hanno bisogno nelle diverse fasi della loro vita, abbattono la separazione tra il pubblico e il privato, l’assegnazione delle donne a questi compiti socializzandoli, cioè facendo in modo che essi siano una questione di tutta la società. Questi servizi di riproduzione sociale sono strumenti essenziali, tra gli altri, per combattere l’oppressione patriarcale.
2.10. Tutti questi “servizi pubblici” decentrati, partecipativi e comunitari costituiscono la base di un’organizzazione sociale non autoritaria.
2.11. Nella scala dell’intera società, la pianificazione ecologica democratica consente alle popolazioni di riappropriarsi delle grandi scelte sociali relative alla produzione, di decidere, in quanto cittadini e utenti, cosa produrre e come produrlo, i servizi che devono essere forniti, ma anche dei limiti accettabili per l’uso delle risorse materiali come l’acqua,l’ energia,i trasporti, la terra, ecc. Queste scelte sono preparate e informate da processi di deliberazione collettiva che si basano sull’appropriazione delle conoscenze, sia scientifiche che derivanti dall’esperienza delle popolazioni, sull’autorganizzazione degli oppressi (movimenti di liberazione delle donne, dei popoli razzializzati, dei disabili, ecc.).
2.12. Questa democrazia economica e politica globale si articola attraverso molteplici collettivi/commissioni decentralizzate: quelle che permettono di decidere a livello locale, nel comune o nel quartiere, sull’organizzazione della vita pubblica e quelle che permettono ai lavoratori e ai produttori di controllare la gestione e l’ organizzazione della propria unità di lavoro, per decidere come produrre e quindi lavorare. È l’insieme di questi differenti livelli di democrazia che permette la cooperazione e non la competizione, una gestione giusta dal punto di vista ecologico e sociale, appagante dal punto di vista umano, a livello dell’officina, dell’azienda, della filiale. ..ma anche del quartiere, del comune,della regione, del paese e perfino del pianeta!
2.13. Tutte le decisioni relative alla produzione e distribuzione, su come vogliamo vivere, sono guidate dal seguente principio: decentralizzare quanto più possibile, coordinare quanto necessario.
2.14. Prendersi carico della propria vita e partecipare a collettivi sociali richiede del tempo, dell’energia e intelligenza collettiva. Per fortuna il lavoro di produzione e riproduzione sociale occupa solo poche ore al giorno.
2.15. La produzione è dedicata esclusivamente alla soddisfazione di bisogni determinati democraticamente. La produzione e la distribuzione sono organizzate in modo da ridurre al minimo il consumo di risorse ed eliminare gli sprechi, l’inquinamento e le emissioni di gas serra; essa punta permanentemente alla sobrietà e alla “sostenibilità pianificata” (in contrapposizione all’obsolescenza pianificata del capitalismo, pianificato o semplicemente); per la logica della corsa al profitto). Produrre il più vicino possibile ai bisogni da soddisfare permette di ridurre i trasporti e di comprendere meglio il lavoro, i materiali e l’energia necessari.
2.16.In questo modo l’agricoltura è ecologica, contadina e locale per garantire la sovranità alimentare e la tutela della biodiversità. I laboratori di trasformazione e i canali di distribuzione consentono di produrre la maggior parte degli alimenti in circuito breve.
2.17. Il settore energetico basato su fonti rinnovabili è così decentralizzato cosa che rende possibile persino di ridurre le perdite e ottimizzare le fonti. Le attività legate alla riproduzione sociale (salute, istruzione, assistenza agli anziani o non autosufficienti, assistenza all’infanzia, ecc.) vengono sviluppate e rafforzate, facendo attenzione a non riprodurre stereotipi di genere.
2.18. Sebbene il lavoro occupi meno tempo, esso occupa un posto essenziale, perché, insieme alla natura e prendendosene cura, produce ciò che è necessario per la vita.
2.19. L’autogestione delle unità produttive combinata con la pianificazione democratica consente ai lavoratori di controllare la propria attività,di decidere sull’organizzazione del lavoro e sfidare la divisione tra lavoro manuale e intellettuale. La deliberazione si estende alla scelta delle tecnologie a seconda che consentano o meno al collettivo di lavoro di controllare il processo di produzione. Privilegiando la conoscenza concreta, pratica e reale del processo lavorativo, il saper fare collettivo e individuale, la creatività, permette di progettare e produrre oggetti robusti, smontabili e riparabili, riutilizzabili e, se del caso, riciclabili, e di ridurre consumo di materiali ed energia dalla produzione all’utilizzo.
2.20. In tutti gli ambiti si coniugano la convinzione di fare qualcosa di utile e la soddisfazione di farla bene. Quando si tratta di compiti noiosi come la raccolta dei rifiuti, tutti si sforzano di ridurre la propria pesantezza e faticosità. Resta però una parte essenziale che ciascuno realizza a turno.
2.21. Gran parte della produzione materiale, poiché il suo volume è molto ridotto, può essere deindustrializzata (tutta o parte dell’abbigliamento o del cibo) e dovrebbero essere valorizzate le competenze artigianali, nelle quali tutti potrebbero essere formati.
2.22. Liberare il lavoro dall’alienazione permette di abolire il confine tra l’arte e la vita in una sorta di “comunismo del lusso”. Possiamo conservare o condividere strumenti, mobili, una bicicletta, vestiti… per tutta la nostra vita perché sono belli e ingegnosamente progettati.
Essere piuttosto che avere
“Solo ciò che è bene per tutti è degno di te. È degno di essere prodotto solo ciò che non privilegia né svilisce nessuno. ”
2.23. La libertà non risiede nel consumo illimitato, ma in un’autolimitazione scelta e compresa, conquistata contro l’alienazione consumistica. La deliberazione collettiva permette di decostruire i bisogni artificiali, di definire bisogni “universalizzabili”, cioè non riservati a certe persone o certe parti del mondo, che devono essere soddisfatti.
2.24. La vera ricchezza non sta nell’aumento infinito dei beni (avere), ma nell’aumento del tempo libero (essere). Il tempo libero apre la possibilità di prosperare nel gioco, nello studio, nell’attività civica, nella creazione artistica, nelle relazioni interpersonali e con il resto della natura.
2.25. Noi stiamo quindi aprendo la strada a tanto lavoro perché abbiamo il tempo per rifletterei e perché possiamo farlo ponendo al centro l’attenzione alle persone e al resto della natura.
2.26. I luoghi in cui viviamo, ogni spazio in cui socializziamo, ci appartengono per costruire altre relazioni sociali interpersonali. Liberati dalla speculazione fondiaria e dalle automobili, possiamo ripensare l’uso degli spazi pubblici, colmare la separazione tra centro e periferia, moltiplicare gli spazi ricreativi, di incontro e di condivisione, de-artificializzare le città con l’agricoltura urbana e l’orticoltura locale, ripristinanare biotopi inseriti nel territorio, il tessuto urbano… E oltre a ciò, attuare una politica a lungo termine volta a riequilibrare le popolazioni urbane e rurali e a superare l’opposizione tra città e campagna al fine di ricostituire delle comunità umane vivibili e sostenibili su una scala che consenta una vera democrazia.
2.27. I nostri desideri e le nostre emozioni non sono più cose che possono essere comprate e vendute, la gamma di scelte è notevolmente ampliata per tutti. Tutti possono sviluppare nuovi modi di avere rapporti sessuali, di vivere,di lavorare e di crescere dei figli, di costruire progetti di vita in modo libero e diverso, nel rispetto delle decisioni personali e dell’umanità di ciascuno, con l’idea che non esiste una sola opzione possibile o un’opzione migliore delle altre. La famiglia può cessare di essere lo spazio di riproduzione del dominio e cessare di essere l’unica forma possibile di vita collettiva. Possiamo così ripensare la forma della genitorialità in modo più collettivo, politicizzare le nostre decisioni personali in materia di maternità e genitorialità, riflettere sul modo in cui consideriamo l’infanzia e il ruolo degli anziani o dei disabili, sulle relazioni sociali che lasciamo stabiliamo con loro, e il modo in cui siamo capaci di rompere le logiche di dominio che abbiamo interiorizzato, ereditato dalle società precedenti.
2.28. Stiamo costruendo una nuova cultura, in contrapposizione alla cultura dello stupro, una cultura che riconosca i corpi di tutte le donne cis e trans, così come i loro desideri, che riconosca ognuno come soggetto capace di decidere del proprio corpo, della propria vita e della propria vita. sessualità, che rende visibile il fatto che esistono mille modi di essere persona, di vivere ed esprimere il proprio genere e la propria sessualità.
2.29. Una attività sessuale che sia liberamente consensuale e piacevole per tutti coloro che vi partecipano è di per sé una giustificazione sufficiente.
2.30. Dobbiamo imparare a pensare all’interdipendenza degli esseri viventi e sviluppare una concezione della relazione tra l’umanità e la natura che probabilmente assomiglierà per certi aspetti a quella dei popoli indigeni, ma che sarà tuttavia diversa. Una concezione secondo la quale le nozioni etiche di precauzione, rispetto e responsabilità, nonché lo stupore di fronte alla bellezza del mondo, interferiranno costantemente con una comprensione scientifica sempre più raffinata e sempre più consapevole della propria incompletezza.
3. Il nostro metodo transitorio
3.1. La nostra analisi del capitalismo, e più in particolare delle politiche della classe dirigente in relazione ai pericoli ecologici e al cambiamento climatico, ci porta ad affermare quanto segue:
3.2. In primo luogo, la necessità di un’alternativa globale e di un progetto di società basato sulla produzione di valore d’uso piuttosto che sul valore di scambio. Girare questa o quella vite all’interno del sistema e senza cambiare il modo di produzione non impedirà né allevierà in modo significativo le attuali crisi e le catastrofi con le quali ci stiamo confrontando e che sorgeranno a causa della persistenza del sistema capitalista. Uno dei compiti importanti della politica rivoluzionaria è trasmettere questa idea.
3.3. La comprensione della necessità di un cambiamento rivoluzionario globale è un compito che non può essere risolto direttamente e senza difficoltà nella pratica. Questo è il motivo per cui, in secondo luogo, è importante combinare la presentazione della prospettiva globale con la diffusione di rivendicazioni immediate per le quali delle mobilitazioni possano essere effettivamente sviluppate o promosse.
3.4. In terzo luogo, va sottolineato: non è possibile convincere le persone soltanto attraverso la discussione. Per convincere le persone ad allontanarsi dal sistema capitalista e incoraggiarle a resistere, sono necessarie lotte riuscite che diano coraggio e dimostrino che sono possibili vittorie parziali.
3.5. In quarto luogo, affinché le lotte abbiano successo, è necessaria una migliore organizzazione. Ciò è ancora vero in linea di principio, ma oggi – in un momento in cui i sindacati (in molte parti del mondo) sono in gran parte scomparsi politicamente e la sinistra è frammentata – è importante promuovere la cooperazione pratica in maniera non settaria, in particolare all’interno del partito. sinistra anticapitalista e allo stesso tempo sostenere i lavoratori nella loro autorganizzazione.
3.6. Da un lato, il tempo stringe se non vogliamo vedere superati i punti cruciali di non ritorno e il riscaldamento globale accelerare in maniera incontrollata. D’altro canto, la stragrande maggioranza delle persone non è pronta a lottare per un altro sistema, cioè per rovesciare il capitalismo. Ciò è dovuto in parte alla mancanza di consapevolezza della situazione generale, ma soprattutto a una mancanza di visione di come potrebbe o dovrebbe essere l’alternativa. Inoltre, l’equilibrio di potere sociale e politico tra le classi non incoraggia realmente il confronto con i leader e i profittatori dell’ordine sociale capitalista.
3.7. Inoltre, un programma che mira a riformare il capitalismo o a superarlo frammentariamente (e con una politica proveniente dall’alto) non ha alcuna possibilità di successo. Le riforme che rispettano le regole del sistema capitalista non sono in grado di affrontare le sfide della crisi ecologica. E i cambiamenti incrementali nell’economia e nello Stato non hanno mai portato a un cambiamento del sistema. I proprietari e i profittatori del capitalismo non assisteranno in tranquillità alla confisca delle loro ricchezze e alla privazione dei loro mezzi di arricchimento, pezzo per pezzo.
3.8. Il tempo stringe e si impongono misure urgenti. Alcuni oppositori dell’ecosocialismo sostengono riforme moderate “perché non possiamo aspettare la rivoluzione mondiale”. I sostenitori dell’ecosocialismo non hanno intenzione di aspettare! La nostra strategia è di iniziare ORA, con richieste transitorie concrete. Questo è l’inizio di un processo di cambiamento globale. Non si tratta di fasi storiche distinte, ma di momenti dialettici all’interno di uno stesso processo. Ogni vittoria parziale o locale è una tappa in questo movimento, che rafforza l’autorganizzazione e incoraggia la lotta per nuove vittorie.
3.9. Nelle prossime lotte di classe – che costituiscono la base della battaglia per l’egemonia che coinvolge strati più ampi della classe operaia, giovani, donne, popolazioni indigene, ecc. – deve essere chiaro che, in ultima analisi, non vi è alcuna via di fuga dal reale cambiamento del sistema e dalla questione del potere. La classe dominante deve essere espropriata e il suo potere politico rovesciato.
Per un programma di transizione anticapitalista
3.10. Il metodo transitorio era già stato suggerito da Marx ed Engels nell’ultima sezione del Manifesto comunista (1848). Ma è stata la Quarta Internazionale a dargli il suo significato moderno, nel Programma di transizione del 1938. L’ipotesi di base è la necessità che i rivoluzionari aiutino le masse, nel processo di lotta quotidiana, a trovare il ponte tra le rivendicazioni attuali e la politica socialista. programma della rivoluzione. Questo ponte dovrebbe includere un sistema di rivendicazioni transitorie, derivanti dalle condizioni attuali e dalla coscienza attuale di ampi strati della classe operaia, con l’obiettivo di condurre le lotte sociali verso la conquista del potere da parte del proletariato.
3.11. Naturalmente i rivoluzionari non mettono da parte il programma delle vecchie rivendicazioni tradizionali “minime”: difendono ovviamente i diritti democratici e le conquiste sociali dei lavoratori. Propongono però un sistema di rivendicazioni transitorie, che può essere adeguatamente compreso dagli sfruttati e dagli oppressi, ma che allo stesso tempo è diretto contro le fondamenta stesse del regime borghese.
3.12. La maggior parte delle richieste transitorie menzionate nel Programma del 1938 sono ancora attuali: scala mobile dei salari e scala mobile dell’orario di lavoro; controllo operaio delle fabbriche, apertura di conti aziendali “segreti”; espropriazione delle banche private; espropriazioni di alcuni settori capitalisti… L’interesse di tali proposte è quello di unire nella lotta le masse più ampie possibili di persone, attorno a rivendicazioni concrete che sono in contraddizione oggettiva con le regole del sistema capitalista.
3.13. Ma dobbiamo aggiornare il nostro programma di richieste transitorie, per tenere conto delle nuove condizioni del 21° secolo, e in particolare della nuova situazione creata dalla crisi ecologica e dal pericolo imminente di un cambiamento climatico catastrofico. Oggi queste rivendicazioni devono avere un carattere socio-ecologico e, potenzialmente, eco-socialista.
3.14. L’obiettivo delle rivendicazioni ecosocialiste di transizione è strategico: essere in grado di mobilitare ampi strati di lavoratori urbani e rurali, donne, giovani, vittime del razzismo o dell’oppressione nazionale, così come sindacati, movimenti sociali e partiti di sinistra in una lotta che sfida il sistema capitalista e il dominio borghese. Queste rivendicazioni, che combinano interessi sociali ed ecologici, devono essere considerate necessarie, legittime e rilevanti dagli sfruttati e dagli oppressi, a seconda del loro livello di coscienza sociale e politica. Nella lotta, le persone realizzano la necessità di organizzarsi, unirsi e combattere. Cominciano anche a capire chi è il nemico: non solo le forze locali, ma il sistema stesso. L’obiettivo delle richieste ecosociali di transizione è rafforzare, attraverso la lotta, la coscienza sociale e politica degli sfruttati e degli oppressi, la loro comprensione anticapitalista e, si spera, una prospettiva rivoluzionaria ecosocialista.
3.15. Alcune di queste richieste sono di carattere universale: ad esempio, il trasporto pubblico gratuito. È una richiesta sia ecologica che sociale, che porta in sé i semi del futuro ecosocialista: servizi pubblici contro mercato, servizi gratuiti contro profitto capitalista. Tuttavia, il loro significato strategico non è lo stesso nelle società e nelle economie. Le richieste ecosocialiste di transizione devono tenere conto dei bisogni e delle aspirazioni delle masse, in base alla loro espressione locale, in diverse parti del sistema capitalista globale.
4. Il profilo di un’alternativa ecosocialista alla crescita capitalista
INTR.4. Soddisfare i reali bisogni sociali rispettando i vincoli ecologici è possibile solo rompendo con la logica produttivista e consumistica del capitalismo, che amplia le disuguaglianze, nuoce agli esseri viventi e “rovina le uniche due fonti di ogni ricchezza: la Terra e i lavoratori” (Marx). Rompere questa logica implica lottare in via prioritaria per le seguenti linee di forza. Essi costituiscono un insieme coerente, da completare e declinare secondo le specificità nazionali e regionali. Naturalmente in ogni continente, in ogni Paese ci sono misure specifiche da proporre in una prospettiva di transizione.
4.1. Contro le catastrofi, piani pubblici di prevenzione adattati ai bisogni sociali, sotto il controllo popolare
Alcuni effetti della catastrofe climatica sono irreversibili (innalzamento del livello del mare) o dureranno a lungo (ondate di caldo, siccità, precipitazioni eccezionali, tornado più violenti, ecc.). Le compagnie di assicurazione capitaliste non proteggono le classi lavoratrici, o (almeglio) li proteggono male. Di fronte a questi flagelli, i ricchi hanno sulle labbra solo la parola “adattamento”. “L’adattamento al riscaldamento, per essi, serve 1°) a distogliere l’attenzione dalle cause strutturali, di cui è responsabile il loro sistema; 2°) a perseguire le loro pratiche dannose focalizzate sul massimo profitto, senza preoccuparsi del lungo termine 3°) offrire dei nuovi mercati ai capitalisti (infrastrutture, aria condizionata, trasporti, compensazione del carbonio, ecc.). Questo “adattamento” capitalista tecnocratico e autoritario è in realtà ciò che l’IPCC chiama “disadattamento capitalista”. riscaldamento globale, con il rischio di compromettere seriamente la possibilità stessa di adattamento al futuro, soprattutto nei paesi poveri. Noi opponiamo l’immediata esigenza di piani pubblici di prevenzione adattati alla situazione delle classi lavoratrici di cui sono le principali vittime dei fenomeni meteorologici estremi, soprattutto nei paesi dominati e i piani pubblici di prevenzione devono essere progettati in funzione dei loro bisogni e della loro situazione, in dialogo con gli scienziati. Essi devono riguardare tutti i settori, compresi l’agricoltura, la silvicoltura, l’edilizia abitativa, la gestione delle risorse idriche, l’energia, l’industria, il diritto del lavoro, la sanità e l’istruzione. Devono essere oggetto di un’ampia consultazione democratica, con diritto di veto per le comunità locali e i collettivi di lavoro interessati.
4.2. Condividi la ricchezza per prenderti cura degli esseri umani e del nostro ambiente di vita, gratuitamente
4.2.1. Assistenza sanitaria di qualità, una buona istruzione, una buona cura dei bambini piccoli, una pensione dignitosa e una rispettosa cura della dipendenza,un alloggio accessibile, permanente e confortevole,dei trasporti pubblici efficienti, delle energie rinnovabili, cibo sano, acqua pulita, un accesso a Internet e un ambiente naturale in buono stato : sono questi i reali bisogni che una civiltà degna di questo nome dovrebbe soddisfare sufficientemente per tutti gli esseri umani, indipendentemente dal colore della loro pelle, dal loro genere, dalla loro etnia, dalle loro convinzioni. Ciò è possibile riducendo significativamente la pressione complessiva sul nostro ambiente. Perché non l’abbiamo? Perché l’economia è guidata dal consumo indotto creato come sottoprodotto industriale dai capitalisti. Consumano e investono sempre più a scopo di lucro, si appropriano di tutte le risorse e trasformano tutto in merce. La loro logica egoistica semina sfortuna e morte.
4.2.2. Si impone una rotazione di 180°. Le risorse naturali e le conoscenze costituiscono un bene comune da gestire con prudenza e collettivamente. La soddisfazione dei bisogni reali e la rivitalizzazione degli ecosistemi devono essere pianificati democraticamente e sostenuti dal settore pubblico, sotto il controllo attivo delle classi popolari, ed estendendo quanto più possibile il libero accesso. Questo progetto collettivo deve mettere al suo servizio le competenze scientifiche. Il primo passo necessario è la lotta contro le disuguaglianze e l’oppressione. La giustizia sociale e il buon vivere per tutti sono esigenze ecologiche!
4.3. Sviluppare i beni comuni e i servizi pubblici contro la privatizzazione e la mercatizzazione
4.3.1. È uno degli aspetti chiave di una transizione sociale ed ecologica, in molti ambiti della vita. Per esempio :
4.3.2. – Acqua: l’attuale privatizzazione, lo spreco e l’inquinamento dell’acqua – fiumi, laghi e falde acquifere – costituiscono un disastro sociale ed ecologico. La scarsità d’acqua e le inondazioni dovute ai cambiamenti climatici rappresentano una grave minaccia per miliardi di persone. L’acqua è un bene comune e dovrebbe essere gestita e distribuita dai servizi pubblici, sotto il controllo dei consumatori. I paesaggi e le città dovrebbero essere de-impermeabilizzati, in grado di immagazzinare acqua per evitare massicce inondazioni.
4.3.3. – Alloggio: il diritto fondamentale di tutte le persone ad un alloggio dignitoso, permanente ed ecologicamente durevoloe non può essere garantito nel capitalismo. La legge del profitto prevede sfratti, demolizioni e la criminalizzazione di quelli che resistono. Ciò implica anche bollette energetiche elevate per i poveri ed energie rinnovabili sovvenzionate per i ricchi. Il controllo pubblico del mercato immobiliare, la riduzione e il congelamento degli interessi e dei profitti bancari, l’aumento radicale del numero di alloggi sociali e cooperativi, un processo pubblico di isolamento climatico delle abitazioni e un massiccio programma di costruzione di edifici energeticamente autonomi sono le prime tappe di una politica alternativa.
4.3.4. – Salute: il bilancio della pandemia di Covid-19 è chiaro: le privatizzazioni ei tagli nel settore sanitario indeboliscono le classi lavoratrici – in particolare bambini, donne e anziani – e pongono gravi minacce alla salute pubblica in generale. Questo settore deve essere rifinanziato massicciamente e rimesso integralmente nelle mani della comunità. Gli investimenti devono dare la priorità alla medicina di prima linea. L’industria farmaceutica deve essere socializzata.
4.3.5. – Trasporti: il trasporto individuale nel capitalismo favorisce le automobili individuali, il che ha conseguenze disastrose per la salute e l’ecologia. L’alternativa è un sistema ampio ed efficiente di trasporto pubblico gratuito, nonché una grande espansione delle zone pedonali e ciclabili. Le merci vengono trasportate a grandi distanze tramite camion o navi portacontainer, con enormi emissioni di gas; ridurre gli sprechi, delocalizzare la produzione e trasportare le merci su treno sono misure immediate e necessarie. Il trasporto aereo dovrebbe essere notevolmente ridotto in maniera significativa ed eliminato per le distanze che possono essere coperte in treno.
4.4. Prendete i soldi là dove sono: i capitalisti e i ricchi devono pagare
Una strategia di transizione globale degna di questo nome deve articolare la sostituzione dei combustibili fossili con energie rinnovabili, la protezione dagli effetti già percepibili dei cambiamenti climatici, la compensazione delle perdite e dei danni, l’aiuto alla riconversione (in particolare la garanzia di reddito dei lavoratori interessati) e la riparazione degli ecosistemi. Il fabbisogno finanziario necessario entro il 2050 ammonta a diversi migliaia di milioni di dollari. Chi deve pagare?I responsabili del disastro: multinazionali, banche, fondi pensione, stati imperialisti e ricchi del Nord e del Sud. L’alternativa ecosocialista passa per un un vasto programma di riforma fiscale e di riduzione radicale delle disuguaglianze per andare a cercare il denaro là dove esso si trova: tassazione progressiva, abolizione del segreto bancario, catasto dei beni, tassazione dei patrimoni, imposta unica eccezionale sui beni fondiari. , eliminazione dei paradisi fiscali, abolizione dei privilegi fiscali per le imprese e i ricchi, apertura dei libri contabili delle società, limitazione dei redditi alti, abolizione dei debiti pubblici riconosciuti come “illegittimi” (senza compensazione, tranne che per i piccoli investitori), compensazione da parte dei paesi ricchi per il costo della rinuncia allo sfruttamento delle proprie risorse fossili da parte dei paesi dominati (progetto parco Yasuni).
4.5 Nessuna emancipazione senza lotta antirazzista
L’oppressione razziale è un elemento strutturale e strutturante del modo di produzione capitalistico. Essa garantiva l’accumulazione primitiva del capitale, resa possibile dalla colonizzazione, dalla tratta degli schiavi e dalla schiavitù.
La costruzione di un nuovo mondo libero da tutte le oppressione e da tutto lo sfruttamento esige di affrontare frontalmente il razzismo, che costituisce un compito centrale della strategia ecosocialista. Dobbiamo riconoscere che il razzismo modella le relazioni sociali, rafforza e complica i meccanismi di sfruttamento borghese e di accumulazione di ricchezza. La diversità che si discosta dalle norme del bianco si trasforma in oppressione.
Lo spostamento forzato di milioni di africani, la loro commercializzazione nelle Americhe e lo sfruttamento del loro lavoro hanno assicurato l’arricchimento degli europei e garantiscono ancora oggi i loro privilegi. Occorre rompere con la logica genocida contro i gruppi non bianchi e rafforzare la lotta anticarceraria contro l’incarcerazione di massa, in particolare attraverso la tattica liberale della cosiddetta guerra alla droga,
La lotta contro la militarizzazione della polizia deve essere al centro della lotta antirazzista, così come l’accesso a condizioni di vita dignitose in generale.
Il razzismo si manifesta centralmente come un meccanismo di oppressione di settori della classe operaia fino ai giorni nostri, configurando delle posizioni specifiche e degli accessi socialmente determinati per i bianchi, cioè il presunto soggetto universale, e per le persone percepite come razzializzate.
È necessario combattere tutte le politiche di austerità, che aggravano la precarietà della vita della classe operaia nel suo complesso e colpiscono principalmente e sempre più le persone non bianche. Esse strutturano il razzismo ambientale che, in questa situazione di emergenza climatica, distribuisce in modo ineguale le conseguenze mortali della produzione capitalista.
4.6. Libertà di movimento e di residenza sulla Terra! Nessuno è illegale!
La catastrofe ecologica è un fattore di migrazione sempre più importante. Tra il 2008 e il 2016, una media annuale di 21,5 milioni di persone sono state costrette a sfollare a causa di eventi meteorologici. La maggior parte di loro sono poveri provenienti da paesi poveri. Si prevede che la migrazione climatica si intensificherà nei prossimi decenni: 1,2 miliardi di persone potrebbero essere sfollate in tutto il mondo entro il 2050. A differenza dei richiedenti asilo, i “rifugiati climatici” non hanno nemmeno uno status. Non hanno alcuna responsabilità per la catastrofe ecologica ma il vero responsabile, il sistema capitalista, li condanna ad ingrossare le fila dei 108,4 milioni di persone nel mondo che sono state sfollate con la forza nel 2020 a causa di persecuzioni, conflitti, violenze, violazioni dei diritti umani. I diritti fondamentali di queste persone sono costantemente sotto attacco: il diritto di essere protetti dalla violenza, ad avere sufficienza di acqua e di cibo, di vivere in un alloggio sicuro, a tenere unita la propria famiglia, a trovare un lavoro dignitoso. Un numero crescente di loro (10 milioni) sono addirittura considerati apolidi dall’UNHDR. Tutto ciò è contrario alla giustizia più elementare. Nutre i fascisti che fanno dei migranti il capro espiatorio e li disumanizzano. Questa è una minaccia enorme per i diritti democratici e sociali di tutti. Come internazionalisti noi ci battiamo per politiche restrittive contro il capitale, non contro i migranti. Ci opponiamo alla costruzione di muri, al confinamento nei centri, alla costruzione di campi, alle espulsioni, alle deportazioni e alla retorica razzista. Nessuno è illegale sulla Terra, tutti devono avere il diritto di muoversi e andare ovunque. Le frontiere devono essere aperte a tutti coloro che fuggono dal proprio Paese, che sia per delle ragioni sociali, politiche, economiche o ambientali.
4.7. Eliminare le attività economiche non necessarie o dannose
L’arresto della catastrofe climatica e dl declino della biodiversità passa imperativamente per una riduzione molto rapida e significativa del consumo energetico finale a livello globale. Questo vincolo è inevitabile .Le prime tappe consistono nel ridurre drasticamente il potere d’acquisto dei ricchi, abbandonando il fast fashion, la pubblicità e la produzione/consumo di lusso (crociere, yacht e jet o elicotteri privati, turismo spaziale, ecc.), nella riduzione della produzione di massa di carne e latticini e di porre fine all’obsolescenza accelerata dei prodotti, allungandone la durata di vita e facilitandone la riparazione. Il trasporto aereo e marittimo delle merci dovrebbe essere drasticamente ridotto mediante la delocalizzazione della produzione e, ove possibile, sostituito dal trasporto ferroviario. Più strutturalmente, il vincolo energetico può essere rispettato solo riducendo il più rapidamente possibile le attività economiche inutili o dannose. I principali settori produttivi da considerare sono:la produzione di armi, combustibili fossili e la petrolchimica, l’industria estrattiva, la manifattura non sostenibile, l’industria del legno e della pasta di legno, la produzione di automobili personali,l’ aeronautica e la cantieristica navale.
4.8. Sovranità alimentare! Uscire dall’industria agroalimentare, dalla pesca industriale e dall’industria della carne
Questi tre settori rappresentano una grave minaccia per il clima, la salute umana e la biodiversità. Il loro smantellamento richiede misure a livello di produzione ma anche cambiamenti significativi a livello di consumo (nei paesi sviluppati e tra i ricchi di tutti i paesi) e di rapporto con gli esseri viventi. Sono necessarie politiche proattive per fermare la deforestazione e sostituire l’agroindustria, le piantagioni industriali e la pesca su larga scala rispettivamente con l’agroecologia contadina, l’ecoforestazione e la pesca artigianale. Queste alternative consumano meno energia, impiegano più manodopera e sono molto più rispettose della biodiversità. Gli agricoltori e i pescatori devono essere adeguatamente ricompensati dalla comunità, non solo per il loro contributo alla alimentazione umana, ma anche per il loro contributo ecologico. I diritti dei primi popoli alla foresta e agli altri ecosistemi devono essere protetti. Il consumo globale di carne deve essere ridotto drasticamente. L’industria della carne e dei latticini deve essere smantellata e deve essere promossa una alimentazione basata principalmente sulla produzione vegetale locale. In tal modo, porremo fine al trattamento abietto degli animali nell’industria della carne e nella pesca industriale. La sovranità alimentare, in linea con le proposte di Via Campesina, è un obiettivo chiave. Essa passa attraverso una riforma agraria radicale: la terra per chi la lavora, in particolare per le donne. Espropriazione dei grandi proprietari terrieri e dell’agroindustria capitalista che producono beni per il mercato globale. Distribuzione di terreni ai contadini e alle contadine senza terra (famiglie o cooperative) per la produzione agrobiologica. Abolizione delle vecchie e nuove colture OGM in campo aperto ed eliminazione dei pesticidi tossici (a cominciare da quelli di cui i paesi imperialisti vietano l’uso ma ne autorizzano l’esportazione verso i paesi dominati!)
4.9. Riforma urbana popolare
Oggi più della metà della popolazione mondiale vive in città sempre più grandi. Nello stesso tempo, le regioni rurali si spopolano, sono rovinate dall’agroindustria e dall’attività mineraria e sempre più private dei servizi essenziali. I paesi dominati hanno alcune delle più grandi megalopoli del pianeta (Giacarta, Manila, Città del Messico, Nuova Delhi, Bombay, San Paolo e altre), un numero crescente di senzatetto e baraccopoli dove milioni di persone (intorno a Karachi, Nairobi , Baghdad, ecc.) sopravvivono e lavorano informalmente in condizioni indegne. È una delle ferite più odiose lasciate dallo sviluppo capitalista e dalla dominazione imperialista. Oltre alla violenza, le ondate di caldo rendono sempre più difficile la sopravvivenza nelle baraccopoli e nei quartieri poveri, soprattutto nei climi umidi. L’alternativa ecosocialista prevede il lancio di un vasto programma di costruzione di alloggi sociali accompagnato da una riforma urbana popolare che modifichi l’organizzazione delle grandi città, progettata in collaborazione con le associazioni dei senzatetto. Essa deve basarsi su una legislazione del lavoro che tuteli i lavoratori, da un lato, e sull’attrattiva della riforma agraria,al fine di avviare un movimento di contro-emigrazione rurale, dall’altro.
4.10. Socializzare l’energia e la finanza senza compensazione o riacquisto per uscire dai combustibili fossili e dall’energia nucleare il più rapidamente possibile
Le multinazionali dell’energia e le banche che le finanziano vogliono sfruttare fino all’ultima tonnellata di carbone, fino all’ultimo litro di petrolio, fino all’ultimo metro cubo di gas. Esse hanno prima nascosto e negato l’impatto della CO2 sul cambiamento climatico. Oggi, per continuare a sfruttare queste risorse nonostante tutto, e mentre l’impennata dei prezzi assicura loro enormi profitti in eccesso, promettono ogni tipo di tecniche fasulle (greenwashing, scambio di “diritti a inquinare”, “compensazione delle emissioni”, “cattura, sequestro e utilizzo del carbonio”) e promuovere l’energia nucleare come “a basso contenuto di carbonio”. Non c’è dubbio: questi gruppi assetati di profitto stanno portando il pianeta dalla catastrofe climatica al cataclisma. Allo stesso tempo, sono in prima linea negli attacchi capitalisti contro le classi lavoratrici. Devono essere socializzati attraverso l’espropriazione, senza compensazione né riscatto. Per fermare la distruzione sociale ed ecologica, per determinare collettivamente il nostro futuro, niente è più urgente che stabilire servizi pubblici di energia e credito, decentralizzati e interconnessi, sotto il controllo democratico delle popolazioni.
4.11. Per la liberazione e l’autodeterminazione dei popoli; contro la guerra, l’imperialismo e il colonialismo
Difendiamo un programma internazionalista basato sulla giustizia sociale, per una transizione ecosocialista guidata da forze collettive e liberatrici e per la pace tra i popoli, affrontando le politiche oppressive. Ci opponiamo alla NATO e alle altre alleanze militari che stanno portando il mondo verso nuovi conflitti interimperialisti, lottiamo contro l’aumento dei bilanci militari, per lo smantellamento della produzione e degli stock di tutte le armi nucleari e chimiche, delle armi batteriologiche e informatiche; per lo smantellamento di tutte le compagnie militari private. Le armi non devono essere merci, il loro utilizzo deve essere sotto il controllo politico a fini di difesa e protezione contro gli attacchi.
L’unica strada verso la pace passa attraverso lotte vittoriose per il diritto all’autodeterminazione, la fine dell’occupazione della terra e la pulizia etnica. Come internazionalisti, siamo solidali con i popoli oppressi che lottano per i propri diritti, in particolare in Palestina e Ucraina.
4.12. Garantire l’occupazione per tutti/tutte, assicurare la riconversione necessaria in attività ecologicamente sostenibili e socialmente utili
I lavoratori impegnati nelle attività dispendiose e nocive dei combustibili fossili, nell’agroindustria, la grande pesca e l’industria della carne non devono pagare il prezzo della gestione capitalista. È necessario istituire una garanzia di lavori verdi per assicurare la loro riqualificazione collettiva, senza perdita di reddito, nelle attività del piano pubblico per soddisfare i bisogni reali e ripristinare gli ecosistemi. Questa garanzia di posti di lavoro verdi permetterà di vincere i timori legittimi dei lavoratori interessati. Così, il cinico sfruttamento di queste paure da parte dei capitalisti verrà messo fine, al servizio dei loro interessi produttivisti/consumisti. Al contrario, la garanzia di posti di lavoro verdi incoraggerà e motiverà i lavoratori dei settori condannati a formarsi e mobilitarsi per farsi carico attivamente della realizzazione del piano, in dialogo con il pubblico beneficiario, investendo le loro conoscenze, le loro competenze e la loro esperienza in un’attività ricca di significato, emancipatrice, veramente umana perché preoccupata della vita delle generazioni future.
4.13. Lavora meno, vivi e lavora meglio, vivi una buona vita
Ridurre radicalmente il consumo finale di energia eliminando le produzioni/consumi inutili e dannosi ha logicamente l’effetto di ridurre radicalmente il tempo del lavoro sociale retribuito. Questa riduzione deve essere collettiva. Gli sprechi capitalisti sono di tale portata che la loro eliminazione aprirà senza dubbio la possibilità concreta di una riduzione molto significativa dell’orario di lavoro settimanale (verso una mezza giornata lavorativa) e di un significativo abbassamento dell’età pensionabile. Questa tendenza alla riduzione sarà in parte compensata dalla necessaria riduzione dei ritmi di lavoro nonché dall’aumento del lavoro di riproduzione sociale ed ecologica necessario alla cura delle persone (anche attraverso la socializzazione di una parte del lavoro domestico svolto gratuitamente in maggioranza dalle donne) e degli ecosistemi. La pianificazione democratica sarà essenziale per articolare nel tempo questi movimenti in diverse direzioni. La rottura ecosocialista con la crescita capitalistica implica una doppia trasformazione del lavoro. Quantitativamente lavoreremo molto meno. Qualitativamente essa creerà le condizioni per fare del lavoro un’attività di vita buona, una mediazione consapevole tra gli esseri umani (e quindi anche tra uomini e donne), e tra gli umani e il resto della natura. Questa profonda trasformazione del lavoro e della vita farà più che compensare i cambiamenti nei consumi che interessano le fasce meglio pagate della classe operaia, soprattutto nei paesi sviluppati.
4.14. Garantire i diritti delle donne sul proprio corpo
L’umanità non potrà gestire consapevolmente il suo rapporto con il resto della natura senza gestire consapevolmente il suo rapporto con se stessa, cioè la propria riproduzione biologica, che passa attraverso il corpo delle donne. Non è un caso se gli attacchi patriarcali ai diritti delle donne si intensificano ovunque: questi attacchi sono parte integrante di progetti politici che mirano a stabilire poteri forti al servizio dei ricchi e dei capitalisti. Essi sono nella maggior parte dei casi attuati in nome di un’ideologia reazionaria “pro-vita”, che nega anche il cambiamento climatico di origine antropica. Ma accanto a queste forze reazionarie esistono anche delle correnti tecnocratiche che attribuiscono la crisi ecologica alla “sovrappopolazione” e tentano così di imporre delle politiche autoritarie di controllo delle nascite. Di fronte a questi due tipi di minacce, riteniamo che nessuna morale, nessuna ragione superiore, nemmeno ecologica, possa essere invocata per negare alle donne il diritto fondamentale al controllo della propria fertilità. La negazione di questo diritto è consustanziale a tutti gli altri meccanismi di dominio, compreso il “dominio umano” sul resto della natura, a beneficio del patriarcato e della sua attuale forma capitalista. L’emancipazione umana passa attraverso l’emancipazione delle donne. Ciò significa, in via prioritaria, che le donne devono avere libero accesso alla contraccezione, all’aborto, all’istruzione sul modo di usarli e alle cure riproduttive in generale.
4.15. La conoscenza è un bene comune. Riforma dei sistemi di istruzione e di ricerca
La conoscenza è un bene comune dell’umanità. L’attuazione del programma di emergenza ecosocialista ha un disperato bisogno di saperi decolonizzati e decapitalizzati, incarnati da insegnanti e ricercatori numerosi e competenti in tutte le discipline. Riforma del sistema educativo, sviluppo delle scuole pubbliche e delle università, fine della discriminazione nell’istruzione, di cui in alcuni paesi sono particolarmente vittime le ragazze. Riconoscimento e integrazione delle conoscenze e del saper fare autoctono. Riforma profonda della ricerca per porre fine alla sua sottomissione al capitale. Orientare la ricerca principalmente verso la riparazione degli ecosistemi e il soddisfacimento dei bisogni delle classi popolari, determinati in concertazone con loro.
4.16. Non toccare i diritti democratici! Controllo popolare e autorganizzazione delle lotte
Incapace di fermare la catastrofe ecologica che ha creato, la classe dominante inasprisce il suo regime, criminalizza la resistenza e designa dei capri espiatori. La sua politica apre la strada a un neofascismo nichilista, nazionalista, razzista e maschilista. Di fronte alla borghesia che si toglie la maschera, l’ecosocialismo sventola la bandiera dell’estensione dei diritti e delle libertà: diritto di associazione, di manifestazione, diritto di sciopero; libera elezione degli organi parlamentari nel quadro del sistema multipartitico, divieto del finanziamento privato dei partiti politici, legalizzazione dei referendum di iniziativa popolare, abolizione delle istituzioni non democratiche (Banca Centrale Autonoma); divieto della proprietà privata dei principali mezzi di comunicazione, abolizione della censura; lotta alla corruzione, scioglimento delle milizie al servizio dei leader, rispetto dei diritti e dei territori delle comunità indigene e degli altri popoli oppressi, ecc. L’ecosocialismo è un’alternativa sociale che richiede la più ampia democrazia. esso si prepara attraverso l’autorganizzazione democratica delle lotte popolari e l’esigenza, a tutti i livelli, di trasparenza e controllo popolare, con diritto di veto.
4.17. Promuovere una rivoluzione culturale basata sull’attento rispetto per gli esseri viventi e “l’amore per la Terra nutrice”
Una rottura radicale con l’ideologia del dominio della natura da parte dell’uomo è essenziale per lo sviluppo di una cultura ecologica e femminista (ecofemminista) del “prendersi cura” dell’uomo e dell’ambiente. La difesa della biodiversità, in particolare, non può fondarsi unicamente sulla ragione (l’interesse umano propriamente inteso): essa richiede altrettanta empatia, rispetto, prudenza e una concezione globale che i primi popoli sintetizzano con l’espressione “amore per la Madre Terra”. Mantenere questa concezione globale o riacquistarla – attraverso le lotte, la creazione artistica, l’educazione e le alternative di produzione/consumo, in particolare – è una delle principali sfide ideologiche della lotta ecosocialista. La modernità occidentale ha sistematizzato l’idea che l’essere umano è una creatura divina la cui missione è di dominare la natura e di sfruttare gli altri animali, ridotti al rango di macchine. Questa concezione non materialista, intimamente legata alle dominazioni coloniali e patriarcali, è oggi completamente squalificata dalla conoscenza scientifica. Noi facciamo parte della Terra vivente, siamo anche animali e la vita umana sarebbe impossibile senza le piante, gli altri animali, la rete della vita su questo pianeta.
4.18. Pianificazione di autogestione ecosocialista
La transizione ecosocialista ha bisogno di pianificazione. In particolare, la trasformazione del sistema energetico (uscita dal nucleare e dai combustibili fossili, risparmio energetico e sviluppo delle rinnovabili) necessita di essere pianificata. Contrariamente a quanto spesso si afferma, la pianificazione non è in contraddizione con la democrazia e l’autogestione. L’esempio disastroso dei paesi conosciuti come “socialismo reale” mostra semplicemente che l’autogestione è incompatibile con una pianificazione autoritaria e burocratica, imposta dall’alto in disprezzo di ogni democrazia. Cosa significa pianificazione di autogestione ecosocialista? Concretamente, che tutta la società sarà libera di scegliere democraticamente le produzioni da privilegiare e il livello di risorse da investire nell’istruzione, nella sanità o nella cultura. Lungi dall’essere “dispotica” in sé, la pianificazione di autogestione ecosocialista è l’esercizio della libertà di decisione dell’intera società, a tutti i livelli, da quello locale a quello globale. Un esercizio necessario per liberarsi da “leggi economiche” e da “gabbie di ferro” che sono alienanti e reificate nelle strutture capitaliste e burocratiche. La pianificazione dell’autogestione associata alla riduzione del tempo di lavoro rappresenterebbe un progresso considerevole dell’umanità verso quello che Marx chiamava “il regno della libertà”: l’aumento del tempo libero è infatti una condizione per la partecipazione dei lavoratori alla discussione democratica e alla autonoma gestione dell’economia e della società. La pianificazione democratica ecosocialista riguarda le grandi scelte economiche e non i ristoranti locali, i negozi di alimentari, le panetterie, i piccoli negozi, le imprese artigiane. Allo stesso modo, è importante sottolineare che la pianificazione ecosocialista non è in contraddizione con l’autogestione dei lavoratori nelle loro unità produttive. L’autogestione significa dunque il controllo democratico del piano a tutti i livelli – locale, regionale, nazionale, continentale e planetario – poiché le questioni ecologiche come il cambiamento climatico sono globali e possono essere affrontate solo a questo livello. La pianificazione democratica ecosocialista si oppone a quella che viene spesso definita “pianificazione centrale” perché le decisioni non sono prese da un “centro” ma determinate democraticamente dalle popolazioni interessate, secondo il principio di sussidiarietà:la responsabilità dell’azione pubblica, quando è necessario, deve essere assegnata alla più piccola entità in grado di risolvere il problema stesso.
5. Il declino globale nel contesto di uno sviluppo disomogeneo e combinato
5.1. Non ci sarà una soluzione nazionale, una alternativa eco socialista giusta può iniziare in un paese, ma la sua piena attuazione richiede l’abolizione del capitalismo a livello globale. D’ora in poi, gli sfruttati e gli oppressi necessitano quindi di una coerente strategia anticapitalista, antimperialista, antirazzista e internazionalista, che miri a un mercato globale. Questa strategia deve articolare le lotte che si svolgono in contesti molto diversi. Ciò significa che le linee generali di un programma ecosocialista in rottura con la crescita capitalista hanno rilevanza generale ma si applicano in modo diverso in funzione del paese. Alcune rivendicazioni sono più importanti in alcuni paesi piuttosto che in altri, a seconda del loro posto nello sviluppo disomogeneo e combinato del capitalismo sotto la dominazione imperialista.
5.2. Dopo secoli di schiavitù e di saccheggio coloniale, le popolazioni dei paesi cosiddetti “in via di sviluppo” sono vittime di una nuova mostruosa ingiustizia. Se la loro responsabilità nelle le emissioni di gas serra è bassa, quasi pari a zero nei paesi più poveri, lo sconvolgimento climatico provocato da duecento anni di crescita capitalista imperialista li pone in prima linea nei disastri che li colpiscono sempre più duramente.
5.3. L’Africa, l’America Latina, l’Asia meridionale e sud-orientale e il Pacifico ospitano la stragrande maggioranza dei 3,5 miliardi di donne, uomini e bambini le cui condizioni di vita o addirittura la stessa esistenza sono già crudelmente colpite dalle conseguenze del riscaldamento climatico globale. L’emergenza c’è e cresce molto velocemente. Più le temperature aumentano, meno le società possono proteggersi dagli effetti del riscaldamento climatico globale. Siccità, inondazioni, tifoni, ondate di calore mortali e degrado degli ecosistemi minacciano sempre più la sopravvivenza di milioni di esseri umani, la loro capacità di lavorare e i loro diritti fondamentali nel breve e medio termine.
5.4.Maggioritarie sul pianeta, le popolazioni dei paesi dominati hanno il diritto fondamentale di accedere a delle condizioni di vita dignitose. I governi imperialisti, le istituzioni internazionali e gli stessi governi dei paesi periferici sostengono che la crescita capitalista consentirà alle popolazioni del Sud di “raggiungere” il tenore di vita dei paesi capitalisti sviluppati. Tutto ciò che serve è un “buon governo” per “regolare” le società alle esigenze del mercato globale. Si tratta di un vicolo cieco, come dimostra il fatto che le disuguaglianze continuano ad aumentare (tra paesi e, sempre più, all’interno dei paesi), mentre il “bilancio del carbonio” compatibile con 1,5°C svanisce rapidamente.
5.5. In realtà, il modello di sviluppo imperialista mantiene i paesi dominati in una posizione neocoloniale di subordinazione, come fornitori di materie prime e manodopera a basso costo, produttori di beni vegetali e animali per l’esportazione, luoghi di stoccaggio dei rifiuti – tra gli altri pozzi di carbonio di cui si appropriano capitalisti per il loro profitto – e principali vittime della crisi ecologica. A ciò si aggiungono ora le politiche scandalose dei paesi sviluppati che pagano i paesi dominati per svolgere il ruolo di polizia di frontiera. Le “élite” locali corrotte hanno la responsabilità maggiore. Invece di promuovere uno sviluppo alternativo, basato su altri valori sociali, si sono messi al servizio dell’imperialismo.
5.6. Il discorso secondo cui “il Nord sta raggiungendo il Sud” è solo una chimera, una cortina di fumo per nascondere la continuazione dello sfruttamento capitalista e imperialista, che amplia le disuguaglianze. Con l’aumento dei disastri ecologici, questo discorso perde oggettivamente ogni credibilità.
5.7. Il mondo multipolare dei BRICS non è un’alternativa all’imperialismo, come dimostrano le politiche di Russia e Cina, i due principali leader di questa alleanza geostrategica. I loro dirigenti autocratici non si oppongono alle pratiche imperialiste e oppressive dell’imperialismo occidentale “classico”, vogliono la stessa cosa. Allo stesso modo, ciò a cui si oppongono non è il divario tra i diritti e le realtà nelle pratiche delle società occidentali, sono i diritti stessi (dei lavoratori, delle donne, LGBTIQ+ ecc.). Putin vuole ricostruire un impero coloniale attraverso la forza e la coercizione. Approfittando delle sue immense riserve di combustibili fossili, cerca di allearsi con le monarchie petrolifere, altre dittature e potenti interessi nell’industria energetica e nella criminalità per prolungare lo sfruttamento dei combustibili fossili. Il Partito Comunista Cinese pretende di mostrare al Sud del mondo che può sfuggire al dominio e svilupparsi lungo le Nuove Vie della Seta, ma il suo progetto di egemonia capitalista globale è uno dei principali motori della distruzione ecologica e dell’accumulazione attraverso l’espropriazione.
5.8. Non è l’ora di “recuperare terreno”, ma di condivisione globale. La grande massa di lavoratori, donne, giovani, minoranze etniche, nel “Nord” e nei paesi dominati sono vittime del cambiamento climatico. Secondo l’analisi scientifica delle politiche climatiche, l’1% più ricco emetterà ancora più CO2 entro il 2030, il 50% povero ne emetterà un po’ di più ma resterà largamente al di sotto dei livelli di emissioni individuali compatibile con 1,5° C, il 40% medio sosterrà la maggior parte della riduzione delle emissioni (con lo sforzo proporzionalmente maggiore imposto ai redditi bassi nei paesi ricchi). È la base di una lotta internazionale per la giustizia e l’uguaglianza. Il magro budget di carbonio ancora disponibile deve e può essere condiviso in base alle responsabilità e alle capacità storiche, non solo tra paesi ma sempre più tra classi sociali. Le risorse minerarie e la ricchezza della biodiversità devono essere sfruttate con cautela, in funzione dei bisogni reali di tutti.
5.9. I capitalisti dei paesi imperialisti sono di gran lunga i principali responsabili della crisi ecologica e devono pagarne le conseguenze. Ciò vale anche per paesi come le “monarchie del petrolio”,la Russia e la Cina, anche se la loro responsabilità storica non è la stessa. I paesi industrializzati del “Nord” – Europa, Nord America, Australia, Giappone – devono compiere gli sforzi maggiori in termini di rapida riduzione della produzione inutile e/o dannosa. Essi hanno anche la responsabilità di consentire ai paesi dominati l’accesso a tecnologie alternative, nonché di finanziare una transizione ecologica e una reale riparazione delle perdite e dei danni. L’abolizione dei brevetti deve permettere ai popoli del Sud di accedere liberamente alle tecnologie in grado di rispondere ai bisogni reali senza utilizzare ancora più energia fossile.
5.10. Un dollaro speso per soddisfare i bisogni dell’1% più ricco genera trenta volte più emissioni di CO2 di un dollaro investito per soddisfare i bisogni sociali del 50% più povero della popolazione mondiale. Numerosi studi scientifici dimostrano che la soddisfazione dei bisogni primari delle classi lavoratrici, sia nei paesi dominati che in quelli cosiddetti “sviluppati”, avrebbe solo un’impronta di carbonio modesta. La riduzione radicale dell’impronta di carbonio dell’1% più ricco – nel Nord e nel Sud! – e l’autosufficienza per tutti compenserebbe ampiamente questo fenomeno.
5.11. Per soddisfare i propri bisogni, le popolazioni dei paesi dominati necessitano di un modello di sviluppo radicalmente opposto al modello imperialista e produttivista. Un modello che privilegia i servizi pubblici (sanità, istruzione, alloggi, trasporti, servizi igienico-sanitari, elettricità, acqua potabile) per la massa della popolazione, e non la produzione di beni per il mercato mondiale. Un modello anticapitalista e antimperialista, che espropria i monopoli dei settori finanziario, minerario, energetico e agroindustriale e li socializza sotto il controllo democratico.
5.12. Nei paesi più poveri, la necessità di soddisfare i bisogni della popolazione richiederà, nel corso del tempo, un aumento della produzione materiale e del consumo di energia. Nel quadro di un modello di sviluppo alternativo e di altri scambi internazionali, il contributo di questi paesi alla decrescita ecosocialista globale e al rispetto degli equilibri ecologici consisterà in:
- imporre un’equa riparazione ai paesi imperialisti;
- cancellare il consumo cospicuo delle élite parassitarie;
- lottare contro i megaprogetti ecocidi ispirati dalle politiche capitaliste neoliberiste, come i giganteschi oleodotti, i progetti minerari faraonici, i nuovi aeroporti, i pozzi petroliferi offshore,le grandi dighe idroelettriche e le immense infrastrutture turistiche che si appropriano del patrimonio naturale e culturale a beneficio dei ricchi;
- attuare una riforma fondiaria agroecologica contro l’agricoltura industriale
- rifiutare la distruzione dei biomi da parte degli allevatori, dei coltivatori di olio di palma, dell’agroindustria in generale e dell’industria mineraria, la “compensazione delle foreste” (progetti REDD e REDD+) così come gli “accordi di pesca” che offrono le risorse della pesca alle multinazionali della pesca industriale, ecc.
Attraverso le loro lotte, le classi popolari dei paesi dominati possono contribuire in modo decisivo a coinvolgere gli sfruttati di tutto il mondo su questa strada, l’unica compatibile sia con i diritti umani che con i limiti terrestri.
6. Andare controcorrente, far convergere le lotte per rompere con il produttivismo capitalista. Prendere il governo, avviare la rottura ecosocialista basata sull’autoattività, sull’autorganizzazione, sul controllo dal basso, sulla più ampia democrazia
6.1. L’economia, lo Stato, la politica della borghesia e le sue relazioni internazionali sono profondamente colpite dall’impasse ecosociale in cui l’accumulazione capitalista e il saccheggio imperialista hanno gettato l’umanità. In tutto il mondo gli sfruttati e gli oppressi sono attraversati da una profonda angoscia.
6.2. Dei movimenti di resistenza si stanno sviluppando controcorrente. Anche in dei contesti estremamente difficili, delle persone si mobilitano per difendere i propri diritti sociali, democratici, antimperialisti, ecologisti, femministi, LGBTQI, antirazzisti, indigeni, contadini. Sono state ottenute vittorie notevoli: vittoria dei contadini indiani contro il governo Modi, vittoria degli “zadisti” in Francia contro l’aeroporto di Notre-Dame-des-Landes, vittoria delle donne nella lotta per l’aborto in Argentina, vittoria dei Sioux negli Stati Uniti contro l’oleodotto XXL… Ma il nemico è all’offensiva e molte lotte sono state sconfitte. Il nostro compito, come attivisti della Quarta Internazionale, è quello di aiutare a organizzare e ad espandere le lotte, portando la nostra prospettiva ecosocialista e internazionalista.
6.3. Il produttivismo delle forze egemoniche della sinistra, partiti e sindacati, costituisce un serio ostacolo sul cammino verso una risposta ecosocialista commisurata alla situazione oggettiva. La maggior parte delle direzioni ha abbandonato ogni prospettiva anticapitalista. La socialdemocrazia e tutte le altre varianti del riformismo sono diventate social-liberali: la loro unica ambizione è quella di apportare alcune correzioni sociali al mercato entro i confini del quadro neoliberista. La maggior parte dei dirigenti delle grandi organizzazioni sindacali si accontentano di sostenere le politiche neoliberiste con l’illusione che la crescita capitalista migliorerà l’occupazione, i salari e la protezione sociale. Invece di aumentare la consapevolezza dell’impasse ecosociale, queste politiche di collaborazione di classe la approfondiscono e ne dissimulano la gravità.
6.4. Fortunatamente, alcune forze politiche e alcune correnti sindacali – soprattutto in Europa, Stati Uniti e America Latina – stanno cominciando a prendere le distanze dal produttivismo e dal neoliberismo. Nei sindacati, i militanti consapevoli della sfida ecologica hanno avanzato il concetto di “transizione giusta”. La socialdemocrazia e i dirigenti sindacali della CIS l’hanno deviata nella direzione del sostegno al produttivismo e alla competitività delle imprese. La classe dirigente è esperta nella manipolazione. È così che la “transizione giusta” si è unita allo “sviluppo sostenibile” nei discorsi dei governi che si fanno beffe della giustizia e organizzano l’insostenibilità.
6.5. Nei paesi capitalisti “sviluppati”, i ranghi delle forze tradizionali sono stati rafforzati dai partiti verdi. Ci sono voluti quattro decenni perché la stragrande maggioranza di questi partiti si unisse alla casta dei dirigenti politici del capitalismo. Il loro pragmatismo basato sulla responsabilità individuale dei consumatori è diffuso nella società civile da numerose associazioni ambientaliste. Esso ha permesso alla socialdemocrazia e alle direzioni sindacali tradizionali di mascherare la loro collaborazione di classe nella difesa del “male sociale minore” di fronte alle ecotasse e ad altre soluzioni cosiddette “realistiche” all’ ecologia “né di destra né di sinistra”.
6.6. In altre parti del mondo, anche se ancora in minoranza, l’ecosocialismo comincia a guadagnare influenza nei movimenti sociali e nella sinistra radicale. Alcune importanti esperienze locali – a Mindanao, Rojava e Chiapas, tra gli altri – hanno delle affinità con la prospettiva ecosocialista. Tuttavia, la crescita capitalista appare ancora erroneamente alla maggior parte delle persone come l’unico modo per migliorare le condizioni sociali.
6.7. Data la profondità della crisi e del disordine, esiste il rischio reale di vedere svilupparsi in alcuni settori delle classi lavoratrici la tendenza a sacrificare gli obiettivi ecologici sull’altare dello sviluppo, della creazione di posti di lavoro e dell’aumento dei redditi. Questa tendenza non farebbe altro che accelerare la catastrofe di cui queste stesse classi sono già le prime vittime e accentuerebbe la perdita di legittimità dei sindacati. essa creerebbe anche un terreno fertile per i tentativi neofascisti di rendere verdi progetti razzisti, colonialisti e genocidi. I migranti in fuga dalle loro terre devastate sono i principali obiettivi di queste campagne di odio.
6.8. Il progetto socialista è profondamente screditato dai risultati del bilancio dello stalinismo e della socialdemocrazia. È a partire dalle lotte che dobbiamo reinventare un’alternativa, e nona partire dai dogmi.
6.9. Chi è oggi in prima linea nel movimento reale? I popoli indigeni,i giovani,i contadini,le persone razzializzate che pagano un prezzo pesante per la distruzione sociale ed ecologica. In questi quattro gruppi, le donne svolgono un ruolo decisivo, in connessione con le loro specifiche rivendicazioni ecofemministe, per le quali lottano e si organizzano in modo autonomo.
6.10. L’alleanza contadina internazionale Via Campesina dimostra che è possibile coniugare la difesa dei diritti dei contadini/contadine poveri e delle popolazioni indigene, la lotta contro l’estrattivismo e l’agroindustria, la lotta per la sovranità alimentare e la preservazione degli ecosistemi con il femminismo.
6.11. La stragrande maggioranza dei salariati dipendenti è assente o ritirata dalle lotte antiproduttiviste. Alcuni ne deducono che la lotta di classe sia superata o che debba essere guidata da una “classe ecologica” che esiste solo nella loro immaginazione. Ma l’arresto della catastrofe è possibile solo rivoluzionando il modo di produzione dell’esistenza sociale. Come sarebbe possibile questa rivoluzione senza la partecipazione attiva e consapevole dei produttori? Soprattutto perché sono la maggioranza…
6.12. Altri, al contrario, deducono che bisognerà attendere il momento in cui la massa dei lavoratori che lottano per le loro rivendicazioni socioeconomiche immediate avrà raggiunto il livello di coscienza che consentirà loro di partecipare alla lotta ecologica su una “linea” di classe. . Ma come potrebbe il livello di coscienza della massa dei lavoratori integrare nel tempo le questioni ecologiche se nessuna grande lotta sociale arrivasse a scuotere il quadro produttivista in cui la massa dei lavoratori, sempre più sulla difensiva, sostiene spontaneamente le sue immediate rivendicazioni socioeconomiche? Per uscire dall’ottica produttivistica è necessaria una logica di iniziativa pubblica e di pianificazione delle riconversioni necessarie, con garanzia di occupazione e reddito.
6.13. La lotta di classe non è una pura astrazione. “Il movimento reale che abolisce lo stato attuale delle cose” (Marx) lo definisce e ne designa i suoi attori. Le lotte delle donne, delle comunità LGBTQI, dei popoli oppressi, razzializzati, dei migranti, dei contadini e dei popoli indigeni per i loro diritti non sono affiancate alle lotte dei lavoratori contro lo sfruttamento lavorativo da parte dei padroni. Esse fanno parte della lotta della classe vivente.
6.14.Essi ne fanno parte perché il capitalismo ha bisogno dell’oppressione patriarcale delle donne per massimizzare il plusvalore e garantire la riproduzione sociale a costi inferiori. Ha bisogno della discriminazione delle persone LGBTQI per convalidare il patriarcato. Ha bisogno del razzismo strutturale per giustificare il saccheggio della periferia da parte del centro. Ha bisogno di “politiche di asilo” disumane per regolare l’esercito di riserva industriale. Ha bisogno di sottomettere i contadini ai dettami dell’agroindustria produttrice di cibo spazzatura per ridurre il prezzo della forza lavoro. E ha bisogno di eliminare il rapporto rispettoso che le comunità umane ancora mantengono con se stesse e con la natura, per sostituirlo con la sua ideologia individualista di dominio, che trasforma il collettivo in un automa e il vivente in una cosa morta.
Tutte queste lotte e quelle dei lavoratori contro lo sfruttamento capitalista fanno parte della stessa lotta per l’emancipazione umana e questa emancipazione è realmente possibile e degna dell’umanità solo nella consapevolezza dell’appartenenza della nostra specie alla natura pur avendo, per la sua intelligenza specifica , la responsabilità, ormai ineludibile e vitale, di prendersene la massima cura. Questa è infatti per noi l’implicazione strategica che nasce dal fatto che la forza distruttiva del capitalismo ha fatto entrare il pianeta in una nuova era geologica.
6.16. Questa analisi è la base della nostra strategia di convergenza delle lotte sociali ed ecologiche.
6.17. Questa convergenza delle lotte non deve limitarsi alla ricerca, tra movimenti sociali, o tra apparati di movimenti sociali, del massimo comune denominatore in termini di rivendicazioni. Una tale concezione potrebbe implicare l’emarginazione di alcune rivendicazioni di alcuni gruppi, a scapito dei più deboli, vale a dire… il contrario della convergenza.
6.18. La convergenza delle lotte sociali ed ecologiche comprende tutte le lotte di tutti gli attori sociali, dai più agguerriti ai più esitanti. È un processo di articolazione dinamica, che eleva il livello di coscienza attraverso l’azione e il dibattito, nel rispetto reciproco. Il suo obiettivo non è la determinazione di una piattaforma fissa ma la costituzione dell’unità degli sfruttati e degli oppressi nella lotta per delle rivendicazioni concrete che possano aprire una dinamica mirata alla conquista del potere politico e al rovesciamento del capitalismo in tutto il mondo.
6.19. In pratica, la convergenza ecosociale delle lotte implica soprattutto, oggi, che i settori più consapevoli delle minacce ecologiche si confrontino con i settori più consapevoli delle minacce sociali, e viceversa, per superare insieme la falsa opposizione capitalista tra sociale ed ecologico.
6.20. In questo approccio gioca un ruolo essenziale, la difesa di un eco-sindacalismo che è allo stesso tempo lotta di classe e antiproduttivista, basato sulle preoccupazioni concrete dei lavoratori per la salvaguardia della loro salute e della sicurezza sul lavoro e del loro ruolo come informatori, sugli attacchi agli ecosistemi o sulla pericolosità della produzione, che sono nella posizione migliore per svolgere.
6.21.Militanti ecosocialisti, noi incoraggiamo la resistenza nei luoghi di lavoro attraverso gli scioperi e tutte le iniziative che consentono l’organizzazione e il controllo dei lavoratori. Lavoriamo per rafforzare le mobilitazioni promuovendo l’estensione degli scioperi, la massificazione delle manifestazioni, tutte le forme di autorganizzazione e di autoprotezione delle lotte contro la repressione, nonché polarizzandole per contrastare le menzogne dei media dominanti e degli apparati governativi.
6.22. Ci ispiriamo anche a forme di disobbedienza civile, dal blocco dei siti al boicottaggio degli affitti, che hanno dato prova della loro efficacia.
6.23. Le esperienze nate dalle lotte permettono di alimentare il dibattito strategico.
6.24. Le lotte antiproduttiviste sono diverse, ma generalmente il loro punto di partenza è molto concreto, spesso inizialmente locale, in opposizione a una nuova infrastruttura di trasporto (autostrada, aeroporto, ecc.), commerciale o logistica, estrattivista (miniera, oleodotto, mega-diga). . …), all’accaparramento della terra o dell’ acqua, alla distruzione di una foresta, di un fiume… Innanzitutto è la minaccia alla vita quotidiana, ai mezzi di sussistenza e alla salute che mobilitano ampiamente, e non i discorsi generali. Confrontandosi con i decisori politici, con i gruppi capitalisti,con le istituzioni che li tutelano, stringendo alleanze tra attori legati da storie e impegni diversi, la lotta diventa sempre più globale e politica.
6.25. Queste combinazioni di lotte ancorate su un territorio, su un obiettivo specifico e su un combattimento generale esistono in tutto il mondo e formano una nuova realtà politica chiamata “Blockadia”.
6.26. In Francia, contro il progetto dell’aeroporto di Notre-Dame-des-Landes, la convergenza di agricoltori, giovani attivisti radicali e residenti locali ha ottenuto il sostegno della popolazione e dei sindacalisti, compresi quelli del concessionario, e ha condotto alla vittoria.
Ispirato da questa strategia vittoriosa, il movimento dei Rivoltosi della Terra è riuscito, organizzando la lotta contro i megabacini (enormi serbatoi d’acqua per l’irrigazione delle colture industriali), a sollevare la questione dell’acqua come bene comune da preservare contro la sua monopolizzazione da parte dell’agroindustria. .
6.27. Negli Stati Uniti, contro la Dakota Access Pipeline che minaccia di inquinare il Missouri e il Mississippi e attraversa le terre sacre degli indigeni Sioux, questi ultimi hanno allestito un accampamento a Standing Rock, a cui hanno aderito migliaia di persone, giovani, ecologisti. Il campo ha resistito a una feroce repressione e ha imposto un’indagine sui pericoli ambientali della DAPL. La battaglia legale e politica continua.
6.28. La formazione di una coscienza di classe ecosocialista implica una convergenza di lotte alle quali i (giovani) scienziati possono contribuire utilizzando e condividendo le loro conoscenze (agronomiche, climatiche, naturalistiche, ecc.).
6.29. I comitati di sciopero,i centri sanitari comunitari, l’acquisizioni di imprese, le occupazioni di terreni, gli spazi abitativi autogestiti,le officine di riparazione, le mense, le biblioteche di sementi, ecc. permettono di sperimentare un’organizzazione sociale liberata dal capitalismo. Queste esperienze consentono a coloro che sono privati del potere politico ed economico di mettere alla prova il proprio potere e la propria intelligenza collettiva. Tuttavia, scontrandosi prima o poi con lo Stato e il mercato capitalista, esse contraddicono le illusioni su una possibile elusione o aggiustamento del sistema, dimostrando che è impossibile ignorare il potere politico e il necessario rovesciamento del sistema. Tuttavia, stabilendo, anche temporaneamente, un’altra legittimità, popolare, solidale e democratica, alternative concrete permettono ai dominati di prendere coscienza delle proprie forze e di lavorare per la costruzione di una nuova egemonia.
6.30. Più in generale, la costruzione di organismi auto-organizzati di potere popolare è al centro della nostra strategia.
6.31. La crisi sistemica del “tardo capitalismo” dominato dalla finanza transnazionale alimenta sia un disgusto per i fenomeni di decomposizione del regime borghese sia un sentimento di impotenza di fronte al profondo deterioramento, sia quantitativo che qualitativo, dei rapporti di forza tra le classi. In questo contesto, la questione del governo assume un’importanza sempre maggiore. La presa del potere politico è un prerequisito per l’attuazione di un piano che avvii una politica di rottura, ma questi ultimi anni hanno mostrato le illusioni mortifere di progetti politici che sfruttano le aspirazioni popolari, incanalano le mobilitazioni, addirittura le soffocano in nome della realpolitik, fanno quindi il gioco dell’estrema destra.
6.32. Non esiste una scorciatoia. Una strategia ecosocialista di rottura implica la lotta per la formazione di un governo sulla base di un piano di transizione e la promozione sistematica dell’auto-attività, dell’auto-organizzazione democratica, del controllo e dell’intervento diretto degli sfruttati e degli oppressi a tutti i livelli, perché nessuna misura sostanziale contro lo sfruttamento, l’oppressione e la distruzione degli ecosistemi può essere imposta senza un rapporto di forza basato su questa autorganizzazione. Perciò, l’autoemancipazione non è solo il nostro obiettivo, ma anche una strategia per rovesciare l’ordine costituito. Occorre costruire delle nuove istituzioni per deliberare, decidere democraticamente, organizzare la produzione e la società nel suo insieme… Questi nuovi poteri dovranno affrontare la macchina statale capitalista, che dovrà essere distrutta. Il rovesciamento dell’ordine sociale, l’espropriazione dei capitalisti incontreranno inevitabilmente la risposta violenta e armata delle classi dominanti. Di fronte a questa violenza, gli sfruttati e gli oppressi non avranno altra scelta che difendersi: si tratterà di auto-organizzare democraticamente la violenza legittima, rifiutando il virilismo e il sostitutismo;
6.33. Riflettere e agire, costruire le lotte e gli strumenti di lotta, confrontare le esperienze e imparare da esse: la realizzazione internazionale di questo immenso compito necessita di uno strumento politico, una nuova Internazionale degli sfruttati e degli oppressi. Attraverso questo Manifesto, la Quarta Internazionale esprime la sua volontà di contribuire ad affrontare questa sfida.
Febbraio 20241 In questo documento, usiamo il termine “Sud del mondo” per descrivere i paesi dipendenti, dominati, periferici in Asia, Africa e America Latina. Usiamo tutte queste espressioni per riferirci alla stessa realtà. Non includiamo paesi come Cina, Russia, monarchie petrolifere, ecc. nel Sud del mondo. che occupano un posto specifico nel sistema di dominio capitalistico globale e non possono essere