Le sfide che arrivano dalla convergenza delle crisi
Cominciamo la pubblicazione in italiano dei testi in discussione al prossimo congresso mondiale della Quarta Internazionale.
Le sfide che arrivano dalla convergenza delle crisi
Cominciamo la pubblicazione in italiano dei testi in discussione al prossimo congresso mondiale della Quarta Internazionale.
“Con la convergenza delle crisi, ora la sfida è capire come devono avanzare coloro che stanno in basso“, il testo sulla situazione internazionale adottato dal Comitato Internazionale della QI con 33 favorevoli 9 contrari, 3 astenuti.
Introduzione
La sanguinosa offensiva bellica scatenata dallo Stato sionista di Israele e dall’imperialismo statunitense contro il popolo palestinese, in seguito all’attacco di Hamas del 7 ottobre, ha violentemente perturbato la fragile e caotica situazione di un mondo in crisi multidimensionale.
Occorre aggiungere a ciò la continua guerra della Russia all’Ucraina, così come l’ascesa e l’affermazione dell’estrema destra, con la vittoria di Milei in Argentina e la prospettiva di un’altra vittoria di vittoria di Trump negli Stati Uniti), l’aumento delle tensioni tra Stati Uniti e Cina sul futuro di Taiwan, e la notizia scientifica che il riscaldamento globale sta già causando disastri che erano previsti per il 2030. In poche parole, le linee generali della situazione di ottobre non sono state smentite, ma tragicamente confermate negli ultimi mesi.
Un attacco imperialista contro tutto il Medio Oriente
La guerra in Palestina apre un nuovo capitolo della storia. Avendo già provocato una nuova Nakba, la guerra in corso ha assunto caratteristiche genocide – con la distruzione, la morte di donne e bambini, la chiusura degli aiuti umanitari e la fame che dilaga nel territorio.
Nel febbraio del 2024, su 2,4 milioni di palestinesi che vivevano a Gaza, un milione di sono stati espulsi dal nord al sud della striscia. Delle 30.000 persone uccise nel corso di quattro mesi, il 40% erano donne e bambini. Con questo assedio alla popolazione, in un territorio privo di assistenza, e con il probabile bombardamento di Rafah, Israele sta dimostrando che il suo obiettivo è quello di colonizzare la Striscia di Gaza. Allo stesso tempo, 16 comunità palestinesi sono state forzatamente in Cisgiordania. Questo è un attacco e una minaccia per tutti i Palestinesi e i vicini popoli arabi e islamici, che si è già trasformato in una guerra regionale.
Non si tratta di una guerra tra Israele e Hamas. Non è nemmeno una semplice continuazione della guerra che dura da 75 anni, una guerra che si sta organizzando 75 anni, una guerra che organizza la colonizzazione, l’accaparramento delle terre, l’apartheid e la pulizia etnica contro coloro che abitavano la Palestina prima della creazione dello Stato di Israele.
È la prima volta dall’offensiva contro l’Iraq nel 2003 che gli Stati Uniti sono intervenuti così direttamente. Il suo sostegno in armi e milioni di dollari a Israele è decisivo nel produrre un massacro di civili storico. Si tratta di un’offensiva coloniale e imperialista basata sulla repressione violenta e sull’incoraggiamento degli insediamenti in Cisgiordani, sullo sfollamento o esodo di massa dei palestinesi, sulle incursioni militari nel sud-ovest della Siria: i bombardamenti nel Libano meridionale e a Beirut hanno lo scopo di infliggere perdite a Hezbollah, e bombardamenti contro gli Huthi in Yemen, che stanno cercando di bloccare le manovre della marina statunitense e delle navi mercantili statunitensi all’ingresso del Mar Rosso. I battaglioni pro-Assad in Siria, gli Hezbollah in Libano e gli Huthi nello Yemen, che si stanno ribellando a un governo controllato dall’Arabia Saudita. Tutte queste forze sono e profondamente repressivo dell’Iran. Esse sostengono di agire nell’interesse del popolo palestinese, mentre in realtà in realtà cercano di portare avanti i propri interessi.
Il conflitto sta già avendo ripercussioni al di fuori della regione e si sta estendendo al Pakistan. L’attuale carneficina è facilitata dalla natura neofascista del governo Netanyahu. Fortemente indebolito da mesi di proteste popolari contro la sua arroganza nei confronti della magistratura, ma approfittando dell’estrema debolezza della sinistra sionista, Netanyahu ha approfittato dell’attacco di Hamas per riprendere il controllo della situazione interna e garantire il ruolo storico e imperativo del suo Stato-gendarme occidentale in Medio Oriente. Netanyahu rappresenta oggi l’avanguardia dell’avanzata dell’estrema destra nel mondo, il cui tradizionale antisemitismo è relativamente accantonato a favore dell’islamofobico globale.
L’offensiva israelo-americana si trova di fronte a contraddizioni sempre maggiori. Si sta sviluppando con il silenzio complice e le proteste ipocrite dei principali paesi occidentali. le proteste tardive della Cina o le posizioni della Russia di Putin. Come per la maggior parte dei governi del mondo arabo, la loro logica di “normalizzazione” delle relazioni con Israele e la non considerazione del popolo palestinese, che prevaleva prima del 7 ottobre, rende ridicole le loro dichiarazioni critiche sul bombardamento di Gaza che avviene solo sa causa della protesta popolare.
Quello che Israele sta facendo non è autodifesa, ma uno dei più vergognosi massacri della storia recente, giustamente denunciato come genocidio dal Sudafrica all’Aia. La tragedia in corso sta causando sconvolgimenti politici e ideologici in tutto il mondo. Sta diventando sempre più difficile per gli alleati difendere Stati Uniti e Israele. La carneficina a Gaza sta avendo un impatto particolare sui giovani universitari e periferici del Nord. I giovani razzializzati dei quartieri popolari, vittime dell’ascesa dell’islamofobia, si identificano con la causa palestinese, mentre le azioni a sostegno di questa causa sono state rapidamente accusate di essere antisemite. Giovani umanisti, ebrei occidentali, molti dei quali sono sionisti o antisionisti, si stanno muovendo in senso opposto ai sentimenti filoisraeliani del 7 ottobre. Dobbiamo agire e dialogare con tutti questi settori.
L’ascesa dell’estrema destra è una sfida i regimi neoliberali cosiddetti “democratici
Stiamo assistendo all’ascesa di una costellazione di nuove forze di estrema destra
nel mondo, che forse non ha ancora raggiunto il suo apice. Queste forze governo in Italia, co-governano nei Paesi Bassi e in Svezia, si stanno rafforzando in Germania e potrebbero conquistare il governo in Francia. L’autoritario Erdogan sta tenendo duro in Turchia. Nell’Europa centrale e orientale; il partito di estrema destra Fidesz è al potere in Ungheria dal 2010; analogamente, il PiS, incarnazione dell’estrema destra polacca, è al potere da otto anni e sebbene abbia perso un po’ del suo potere nelle ultime elezioni dell’ottobre 2023 a favore di una coalizione europeista, mantiene la presidenza del Paese. Nel frattempo, in Bulgaria il partito conservatore populista (Smer-SD), che si è imposto alle elezioni, ha formato un nuovo governo con il partito di estrema destra (SNS).
In America Latina, dopo il colpo di Stato di Bolsonaro e di Dilma Boluarte in Perù due anni fa, le destre estreme hanno conquistato la Casa Rosada argentina, dichiarando una guerra all’ultimo sangue a uno dei movimenti operai più popolari e organizzati. Esse minacciano gli Stati Uniti e il mondo intero, con il possibile ritorno di Trump alla Casa Bianca.
Le estreme destre rappresentano una minaccia reale in Asia, dove Bongbong Marcos, figlio del dittatore Ferdinand Marcos, governa le Filippine e dove l’antimusulmano Narendra Modi controlla l’India dal 2014. Il suo governo, quello del Bharatiya Janata Party (BJP), ha ridotto le libertà civili, i diritti del lavoro, dell’ambiente, e limitato l’autonomia costituzionale della regione del Kashmir. In Indonesia, Prabowo Subianto, di estrema destra, è stato appena confermato alla presidenza.
Dal 2008, e in particolare a partire dalla Brexit e dalla vittoria di Trump nel 2016, i movimenti e i partiti di una presunta “rinnovata” estrema destra” sono diventati più forti e più numerosi in ogni tornata elettorale. Si presentano come contro-sistemici quando in realtà sono (ultra) neoliberali, conservatori, nazionalisti, xenofobi, razzisti e misogini, nemici dei diritti delle persone LGBTQIA+, transfobici. Ispirati in gran parte dal fondamentalismo religioso, essi diffondono la negazione della scienza come strumento di comprensione del cambiamento climatico. L’avanzata di questa costellazione di destra è il risultato di decenni di crisi. crisi delle democrazie (neoliberali) e delle loro istituzioni, dell’incapacità di questi regimi di rimuovere le diseguaglianze e di fornire risposte soddisfacenti alle aspirazioni dei popoli, delle lavoratrici e dei lavoratori.
La nuova estrema destra ha le sue profonde radici nella disperazione di settori sociali impoveriti dalla crisi, nella disintegrazione del tessuto sociale imposto dal neoliberismo in combinazione con i fallimenti delle “alternative” rappresentate dal liberismo sociale e dal “progressismo”.
Di conseguenza, alcuni settori della borghesia di tutto il mondo cominciano a sostenere questa nuova versione del fascismo come soluzione politico-ideologica in grado di inasprire i regimi, controllare i movimenti di massa con il pugno di ferro, imporre aggiustamenti ed espropri brutali con lo scopo di recuperare il profitto. L’esempio più notevole di questa divisione è la polarizzazione dello scontro tra il trumpismo (che si è impadronito del Partito Repubblicano) e il Partito Democratico negli Stati Uniti.
Questo scenario quadro pone un compito fondamentale alla Quarta Internazionale: la lotta all’ultimo sangue contro le forze di destra, l’autoritarismo e il neofascismo.
Il popolo ucraino difende il proprio diritto all’autodeterminazione nazionale
Con l’invasione dell’Ucraina, l’esercito di Putin ha accelerato il rimodellamento del mondo. Con la sua aggressione il regime di Putin sta riproducendo le relazioni di dominio ereditate dall’impero zarista, con qualche ammiccamento allo stalinismo e una convergenza con le ideologie di estrema destra di tutto il mondo.
A lungo termine la guerra sta infliggendo queste atrocità. La Russia continua i bombardamenti nelle aree civili, ad attaccare le infrastrutture ucraine (ferrovie, strade, scuole, ospedali, fabbriche, magazzini, ecc…) in tutto il Paese. Nelle zone occupate, gli stupri, i massacri, la distruzione di Mariupol e i bombardamenti che colpiscono i civili – che la Russia presume di “proteggere”- vanno di pari passo con la russificazione forzata: l’imposizione repressiva di passaporti russi, la distruzione della cultura ucraina, la deportazione dei bambini, ecc. ..Milioni di ucraini sono stati costretti a fuggire dalle loro case o a lasciare il loro paese, lacerando le loro le famiglie e le reti sociali, trasformandoli in profughi, trasformandoli in rifugiati nei diversi Paesi.
È la resistenza popolare armata e civile all’invasione del febbraio 2022 (non voluta da Putin e dalle potenze occidentali) che ha costretto Putin a modificare gli obiettivi della sua offensiva militare che avrebbe dovuto “denazificare” l’Ucraina e proteggere le popolazioni russofone del Donbass. Il fronte di terra si è stabilizzato (inizio 2024) dopo enormi perdite umane, senza che le forze russe siano riuscite a stabilizzare il loro controllo sull’insieme dei territori russi.
In Russia e Bielorussia, coloro che osano parlare di “guerra” al poso di quella che è ufficialmente è una “operazione militare speciale”, o che esprimono la minima opposizione ad essa, vengono criminalizzati. Nel settembre 2023 la mobilitazione parziale di circa 300.000 truppe ha provocato la fuga di centinaia di migliaia di giovani – spesso privi dello status di rifugiato – mentre le loro famiglie vengono minacciate in Russia. Migliaia di civili nelle zone di confine russe sono ora vittime della guerra di Putin, sotto gli attacchi dei droni e dei proiettili ucraini.
Per ora, l’aggressione russa ha permesso il consolidamento e l’allargamento della Nato ai paesi dell’Europa orientale vicini alla Russia. Proprio per questo la sconfitta di questa invasione e della logica imperiale russa è un fattore decisivo per il successo di una campagna popolare in tutta Europa per lo smantellamento di tutti i blocchi militari: NATO, CSTO, AUKUS.
Internazionalizzazione senza precedenti
Viviamo in una situazione di internazionalizzazione senza precedenti delle principali questioni che l’umanità deve affrontare. La crisi del capitalismo è diventata dal crollo del 2008, e in particolare con la pandemia di Covid, chiaramente multidimensionale. C’è una convergenza tra la crisi ambientale, che negli ultimi anni ha portato a fenomeni climatici sempre più estremi, tra cui le recenti ondate di calore, e la fase duratura di stagnazione economica, con l’intensificarsi della contesa per l’egemonia all’interno del sistema interstatale tra Stati Uniti e Cina, con l’avanzata dell’autoritarismo e del neofascismo, con la resistenza dei popoli e dei lavoratori nel mondo.
Siamo entrati in una nuova fase della storia del capitalismo. Stiamo affrontando un periodo qualitativamente diverso da quello che abbiamo vissuto a partire dalla globalizzazione neoliberista a cavallo degli anni ’80, più conflittuale dal punto di vista della lotta di classe e della lotta tra Stati di quello iniziato 33 anni fa con il crollo dell’Unione Sovietica e della burocrazia.
Ci sono due grandi differenze tra questa situazione e la convergenza delle crisi all’inizio del XX secolo, che portarono all’”Età delle Catastrofi” (1914-1946), tra cui due sanguinose guerre mondiali. L’ aspetto più immediatamente minaccioso di questa crisi ecologica multidimensionale è la crisi ecologica causata da due secoli di accumulazione predatoria. Dopo tutto, che cos’è la crisi ecologica se non è il risultato del capitalismo dei combustibili fossili? L’aggravarsi della crisi climatica ed ecologica sta colpendo l’umanità e la vita sul pianeta: il tasso di aumento delle temperature medie è raddoppiato rispetto a quello dell’ultimo decennio; la biodiversità sta scomparendo e siamo di fronte a inquinamento, contaminazione e pandemie, tutti fattori che accorciano i tempi per un’azione decisiva.
L’economia globalizzata, basata sui combustibili fossili, sul consumo crescente di carne e di alimenti ultra-lavorati, sta rapidamente aggravando la crisi climatica. Essa porrà dei limiti al futuro dell’umanità su questo pianeta. Lo scioglimento dei poli e dei ghiacciai sta accelerando l’innalzamento del livello del mare e la crisi idrica. L’agroindustria, l’industria estrattiva di minerali e di idrocarburi accrescono (non senza resistenze) nelle foreste, che sono essenziali per il mantenimento dei sistemi climatici e della biodiversità del pianeta.
Gli effetti della crisi climatica continueranno a manifestarsi violentemente, distruggendo infrastrutture, sistemi agricoli, mezzi di sussistenza e provocando sfollamenti massicci di persone. Tutto questo non avverrà senza un’esacerbazione dei conflitti sociali.
La crisi economica e sociale
Stiamo ancora vivendo l’impatto della grande crisi finanziaria del 2008, che ha aperto ad una nuova Grande Depressione seguita da una lunga recessione come quella del 1873-90 e soprattutto quella del 1929-1933. Stiamo vivendo una crisi della globalizzazione neoliberista.
In primo luogo, perché questa modalità di funzionamento del capitalismo non è più in grado, come un tempo, di assicurare quella crescita economica, quei tassi di profitto e di accumulazione del capitale garantiti alla fine degli anni ’80 e nel 1990.
In secondo luogo, poiché la polarizzazione geopolitica, aggravata dalle guerre e dall’ascesa dei nazionalismi, sta minando le catene del valore super-internazionalizzate (come la catena energetica Europa-Russia, quella della produzione di chip, bersaglio della furia americana volta a impedire la la leadership cinese nelle telecomunicazioni e quella dell’intelligenza artificiale). La tendenza è quella di ristrutturare quelle catene di produzione globali già scosse. Nessuna di queste difficoltà impedisce ai governi imperialisti neoliberali e ai loro subordinati di continuare i loro aggiustamenti e i loro feroci attacchi ai salari, ai servizi sociali e la mercificazione dell’agricoltura.
Nonostante l’irrisoria crescita post 2008, l’economia neoliberale cerca di uscire dalla propria crisi con fughe in avanti, attraverso la continua concentrazione del capitale, la finanziarizzazione, l’indebitamento pubblico e privato, la digitalizzazione – che conferisce un potere crescente alle imprese transnazionali in generale e al Bigtech in particolare.
La stagnazione o il rallentamento della crescita, l’inflazione (esacerbata dall’invasione russa dell’Ucraina) e l’applicazione delle stesse vecchie politiche neoliberali esacerbano le disuguaglianze sociali, regionali, razziali e di genere all’interno dei Paesi. La ricerca affannosa di protezione contro la crisi (o per mantenere i profitti) incoraggia la speculazione finanziaria e minaccia permanentemente il sistema con l’ondata di fallimenti che dal 2008 ha colpito non solo le banche ma anche le grandi imprese industriali come General Motor, Ford, General Electric e le principali società immobiliari. Oltre alla sua natura recessiva – che ha compromesso il tenore di vita delle masse lavoratrici – l’aumento dei tassi di interesse ha portato a un incremento del debito sovrano e privato, creando le condizioni per nuove crisi dei pagamenti a livello regionale e persino globali.
L’assenza di alternative rivoluzionarie
Non è che non ci siano lotte e resistenze, al contrario. Questo secolo ha visto almeno tre grandi ondate di lotte democratiche e anti-neoliberali (all’inizio del secolo, nel 2011 e nel 2019-2020), un rinnovato movimento delle donne, il movimento antirazzista negli Stati Uniti e una costellazione di lotte per la giustizia climatica ha attraversato il mondo. Tuttavia, queste grandi lotte si sono dovute confrontare oggettivamente non solo col capitalismo neoliberale e i suoi governi, ma anche con i dilemmi posti dalla riorganizzazione strutturale del mondo del lavoro – la classe operaia industriale ha perso il suo peso sociale in gran parte dell’Occidente; i settori oppressi, i giovani e le nuove frange di precari non sono ancora organizzati su base permanente e hanno difficoltà a unirsi al movimento sindacale.
Di fronte a questi cambiamenti sempre più rapidi, un elemento del periodo precedente permane e si aggrava con la riconfigurazione della classe sfruttata e dei settori oppressi (come risultato della cosiddetta ristrutturazione produttiva): l’assenza di un’alternativa al capitalismo che sia credibile agli occhi delle masse, l’assenza di una forza o di forze anticapitaliste che promuovano rivoluzioni economiche e sociali. Il momento estremamente critico per il sistema è quindi anche un momento di grande frammentazione politica e ideologica dei movimenti sociali e della sinistra. Questa situazione è legata a una regressione della coscienza degli oppressi e degli sfruttati, colpiti da riconfigurazioni geografiche, tecnologiche, e strutturali così come dall’iperindividualismo neoliberista. Occorre, inoltre, aggiungere a ciò i risultati negativi dei governi di “sinistra” come quelli di Syriza e di Podemos, così come l’enorme frammentazione della sinistra socialista, che hanno determinato un panorama in cui le lotte sono più difficili e il loro impatto in termini di organizzazione e di coscientizzazione politica più debole.
In che modo le crisi si rafforzano a vicenda
La caratterizzazione della crisi capitalistica come multidimensionale ha come suo presupposto il fatto che non siamo di fronte ad una semplice somma di crisi, ma ad una combinazione dialetticamente articolata, in cui ogni ambito ha un impatto sull’altro ed è a sua volta impattato dalle altre. Il legame tra la guerra in Ucraina (prima del conflitto in Palestina) e la stagnazione economica ha aggravato la già critica situazione alimentare delle popolazioni più povere del mondo, con più di 250 milioni di persone in più che soffrono la fame nel decennio (2014-2023). Il flusso di persone sfollate dalla guerra, dai cambiamenti climatici, dalla crisi alimentare dalla diffusione di regimi repressivi è in aumento, soprattutto nei Paesi del Sud del mondo, sebbene i media diano maggiore risalto agli spostamenti dal Sud al Nord del mondo.
Dal 2016, le prospettive disastrose per l’ambiente e l’economia hanno indubbiamente giocato un ruolo importante nel spingere una parte delle frazioni della borghesia dei vari paesi ad allontanarsi dal progetto delle democrazie formali come strumento migliore capace di attuare i precetti neoliberali. ali. Alcuni settori, sempre più ampi, della borghesia stanno adottando alternative autoritarie all’interno delle democrazie liberali, con un conseguente rafforzamento dei movimenti fondamentalisti di destra e dei governi di estrema destra.
L’espansione di una sociabilità iperindividualista neoliberale che, combinata con l’uso da parte della destra dei social network e molto probabilmente ora dell’Intelligenza Artificiale, favorisce ora la frammentazione della classe e il conservatorismo. Le tecnologie digitali stanno inoltre contribuendo a rendere più profonda la subordinazione e il processo di clientelismo delle piccole e medie imprese contadine, considerate i principali produttori di cibo nel mondo, così come la massiccia riduzione dei contadini. D’altra parte, il neoliberismo, continuando ad attaccare violentemente ciò che resto dello Stato sociale, imponendo lo sfruttamento eccessivo dei lavoratori dell’industria, del settore dei servizi e soprattutto quello del lavoro di cura, pone le donne, in particolare le donne lavoratrici, di fronte ad un dilemma, sopravvivere (male) o difendersi.
Il neoliberismo relega le donne nella forza lavoro formale (nel Nord del mondo) o meno strutturata, più informale (nel Sud del mondo), riducendo ulteriormente i salari e i redditi di coloro che “lavorano fuori” o forniscono servizi, gravando al tempo stesso sulle le donne lavoratrici nel loro complesso con i compiti di cura dei bambini, degli anziani, dei malati e dei diversamente abili – tutto ciò che lo stato sociale garantiva, soprattutto nei paesi a capitalismo avanzato, e che oggi ha brutalmente ridotto.
Con le reti di riproduzione sociale in crisi, in maniera preponderante più nei paesi neocoloniali che in quelli metropolitani, la società neoliberale sta “addomesticando” (affidando alla famiglia) e razzializzando (affidando ai non bianchi, ai neri, alle donne indigene e alle donne immigrate), ma non si assume la responsabilità della riproduzione sociale nel suo complesso.
Da una prospettiva geoeconomica, oggi il capitalismo neoliberale e il suo sistema interstatale stanno introducendo dispositivi digitali e algoritmi come nuove forze produttive, dando luogo all’emergere di piattaforme digitali, nonché a nuove forme di relazioni sociali di produzione, come l’uberizzazione e la mercificazione di varie relazioni sociali. Allo stesso tempo, il centro di gravità dell’accumulazione mondiale del capitale si è spostato nel 21° secolo dal Nord Atlantico (Europa e Stati Uniti) al Pacifico (Stati Uniti, in particolare la Silicon Valley, l’Asia orientale e sudorientale). Non si tratta solo della Cina ma l’intera regione, dal Giappone alla Corea, dall’Australia all’ India.
Il caos geopolitico e la riconfigurazione dell’ordine mondiale
Il “nuovo ordine” o disordine in costruzione, che comporta già maggiori conflitti inter-imperialistici e una ripresa della corsa al nucleare, sta rendendo il mondo più conflittuale e più pericoloso. Il “caos geopolitico” si sta aggravando, dando luogo a una crisi del sistema imperialista, cioè un indebolimento della potenza egemonica. A questo si aggiunge l’emergere di nuovi imperialismi, come la Russia, o di un nuovo imperialismo emergente, come quello della Cina. Si tratta di una riconfigurazione continua in un contesto globale di fortissima instabilità, in cui non vi è nulla di consolidato. In ogni caso, l’unipolarismo del blocco sotto la guida americana dopo il crollo dell’URSS non esiste più.
Tuttavia, i fatti dimostrano che, nonostante il rafforzamento del gigante asiatico in ambito economico, tecnologico e militare, nell’ultimo decennio abbiamo assistito a un conflitto inter-imperialista basato sulla rivalità tra il blocco nordamericano, da una parte (con gli imperialismi europei, il Canada, il Giappone, la Corea del Sud e l’Australia) e dall’altra parte un blocco costruito intorno alla Cina Quest’ultimo blocco, in espansione e all’offensiva, comprende la Russia (nonostante i suoi interessi particolari e le contraddizioni con Pechino), la Corea del Nord, molte repubbliche dell’Asia centrale; esso sta consolidando nuovi amici, tra cui i califfati mediorientali (Arabia Saudita, Qatar, Bahrein e Iran) e sta cercando di trasformare i BRICS in un’alleanza contro l’imperialismo occidentale. L’India, tuttavia, rimane un solido alleato degli Stati Uniti, anche contro la Cina.
Stiamo assistendo ad una moltiplicazione delle situazioni di guerra nel mondo, come quelle in corso in Siria, Yemen, Sudan e il conflitto nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo. Inoltre, ci troviamo di fronte a guerre civili palesi o occulte come in Myanmar, alla lotta permanente in corso tra gli Stati latinoamericani contro le organizzazioni criminali e di queste ultime contro le masse, come in Messico, Brasile ed Ecuador. Questa situazione conflittuale progredisce nella geoeconomia e nella geopolitica dell’Africa, dove la Russia è in competizione con la Francia e gli Stati Uniti sul piano economico e militare, in particolare nelle ex colonie francofone dell’Africa occidentale. La Cina, dal canto suo, sta cercando di aumentare la propria influenza economica in tutte le parti del continente africano, così come in America Latina e nei Caraibi.
La natura della Cina attuale e della Russia di Putin
Il “grande balzo” cinese degli ultimi 30 anni è stato di natura capitalistica. Erede di una grande rivoluzione sociale e di una svolta restauratrice a partire dagli anni ’80, essenziale per il riassetto neoliberale del mondo (in collaborazione con gli Stati Uniti e i loro alleati), l’imperialismo emergente della Cina ha caratteristiche particolari, come tutti gli imperialismi. Si basa su un capitalismo di Stato a pianificazione centrale all’interno del PCC e dell’esercito cinese, un capitalismo di sviluppo con politiche apertamente sviluppiste in cui la maggior parte delle grandi aziende sono joint venture tra aziende di proprietà dello Stato controllate dallo Stato e aziende private.
Il suo imperialismo emergente è ancora, ovviamente, in fase di costruzione. Negli ultimi dieci anni, la Cina ha compiuto un salto di qualità nell’esportazione di capitali: ha acquisito grandi partecipazioni nei settori dell’energia, delle miniere e delle infrastrutture nei Paesi neocoloniali (Asia del Sud-Est e Asia centrale, Africa e America Latina) ed è diventato il Paese che registra il maggior numero di brevetti al mondo. Dal 2022, la Cina è diventata un paese esportatore netto di capitale (esporta più di quanto importa). Sta investendo sempre di più in armamenti e avverte con veemenza che c’è una linea di demarcazione che i suoi avversari non devono oltrepassare – Taiwan e il mare del Sud. Essa non ha ancora invaso o colonizzato “un altro Paese” sul modello europeo o americano, anche se la sua politica nei confronti del Tibet e dello Xinjiang (così come i piccoli territori storicamente territori storicamente contesi con l’India e il Bhutan) è essenzialmente colonialista.
La Russia di oggi è lo Stato risultato della distruzione massiccia dell’ex Unione Sovietica e della restaurazione capitalista caotica e non centralizzata – a partire dalla gestione delle aziende vecchie e nuove da parte dei burocrati trasformati in oligarchi. Putin e il suo gruppo, proveniente da settori degli ex servizi di spionaggio e repressivi, hanno elaborato all’inizio del secolo il progetto di ricentralizzazione del capitalismo russo facendo leva sulle relazioni bonapartiste tra oligarchi e su una versione targata XXI secolo della vecchia ideologia nazional-imperialista della Grande Russia, trasformata nel principale strumento di riaffermazione del capitalismo russo nella concorrenza imperialista e di crescita qualitativa della repressione dei popoli della Federazione – compreso il popolo russo. La natura ultra-repressiva del regime di Putin può essere vista come un’evoluzione verso il fascismo.
Gli Stati Uniti, una crisi di egemonia
L’emergere di rivali non toglie agli Stati Uniti lo status di paese più ricco e militarmente più potente del mondo, dotato di una potenza bellica senza precedenti e della borghesia più convinta della sua “missione storica” di dominare il pianeta a tutti i costi, e quindi di fare la guerra per garantire la continuità della sua egemonia. Lo zio Sam è colui che ha effettivamente l’ultima parola nella “collettività” imperialista ancora egemonica.
Il fatto è che gli Stati Uniti, pur essendo imbattibili con la forza, hanno un problema serio che non si vedeva dai tempi della guerra del Vietnam: un’egemonia imperialista (come tutte le egemonie) può essere mantenuta soltanto se convince anche i suoi alleati e l’opinione pubblica interna. E non c’è niente di più pericoloso che un’egemonia messa alle strette.
Gli Stati Uniti hanno problemi molto seri di legittimità esterna, così come, ed è ancora più grave, di legittimità interna, elementi che non esistevano nel periodo precedente di presunta “unipolarità” e di “guerra al terrorismo” negli anni 1990. Le sue élite economiche e politiche sono divise come mai prima d’ora sul progetto di dominio interno e sono costrette all’imbroglio” di sciogliere quelle catene del valore che hanno legato profondamente legato l’economia statunitense a quella all’economia cinese negli ultimi 40 anni.
Inoltre, a causa del suo relativo declino economico, gli Stati Uniti sono una società e un regime democratico borghese, in aperta crisi da quando il Tea Party e Trump hanno preso il controllo del Partito Repubblicano dall’interno – con l’obiettivo di cambiare le regole della più antica democrazia borghese del mondo – e la polarizzazione si è accentuata. La tendenza è all’aggravamento ulteriore della crisi e, con Trump o Biden alla Casa Bianca, contribuirà all’indebolimento dell’ “America”, un tempo la più grande potenza, perché si troverà di fronte a conflitti tra l’Esecutivo, il Congresso e Magistratura, che potranno minare i suoi obiettivi globali.
Il Sud globale
L’ America Latina, l’Africa, il Medio Oriente ampie parti dell’Asia (in particolare le sue parti meridionali e sudorientali) costituiscono i territori dei neocoloniali noti con la denominazione di “Sud globale”. Nonostante le disuguaglianze tra diversi Stati e le diverse formazioni sociali, essi costituiscono insieme quella parte fondamentale del mondo, dove la maggior parte dell’umanità vive o sopravvive – indebitata, produttrice di materie prime, che possiede gli ecosistemi meno distrutti, sistemi alimentari estensivi e una manodopera a basso costo essenziali per il lavoro permanente e predatorio del Nord imperialista.
Dopo quarant’anni di globalizzazione neoliberista, il Sud continua a concentrare la maggior parte dele diseguaglianze, dovute alla fame, alla mancanza di protezione sociale, di sistemi di protezione sociale, ai governi autoritari, alle espropriazioni, e ai sanguinosi conflitti sociali. Tuttavia, l’internazionalizzazione finanziaria, produttiva, commerciale e culturale ha prodotto anche una perversa equiparazione con il Nord in termini di problemi e di polarizzazione politica: l’ascesa dell’estrema destra (Duterte, Bolsonaro, Modi, Milei), la crescita del potere delle organizzazioni criminali, le tragedie climatiche (come in India, Bangladesh, nelle Filippine e in Brasile), la crisi dei sistemi statali e politici, le guerre civili (come in Myanmar, il Sudan, la Repubblica Democratica del Congo, Haiti) e le guerre tra Paesi.
America Latina
Dall’inizio del secolo, il Sudamerica è stato teatro di una serie di lotte, di manifestazioni, rivolte, elezioni di governi riformisti nati da queste lotte e di una grande polarizzazione politica polarizzazione politica – perché il neoestrattivismo, l’estirpazione predatoria della natura, la distruzione sociale, la disuguaglianza, la violenza quotidiana, la militarizzazione e le crisi politiche sono in aumento, il che alimenta anche le alternative di estrema destra. Dal 2018, un nuovo ciclo di mobilitazioni radicali ha attraversato i Paesi andini. Se da un lato resistenze, esplosioni e lotte sociali- che hanno intrecciato rivendicazioni democratiche ed economiche – trovano una loro unione, dall’altro lato la presenza dell’estrema destra come nemico centrale è permanente. Queste lotte sono talvolta recuperate attraverso le elezioni “governi della seconda ondata”.
Non si tratta di governi delle lavoratrici e dei lavoratori e degli oppressi, non sono i nostri governi. Noi non partecipiamo a questi governi e non dobbiamo loro il nostro sostegno incondizionato. Tuttavia, in un periodo caratterizzato dalla presenza e dalla crescita dell’ultradestra, questi governi vengono visti da ampi settori di massa come un’alternativa al neofascismo, per cui in generale sono alternativi in termini elettorali. Pertanto, studiando ogni caso nazionale a partire dall’attuale contesto mondiale e considerando la necessità di sconfiggere l’estrema destra, la nostra politica non può che invitare alla mobilitazione popolare e ad una combinazione oculata di richieste programmatiche, di incoraggiamento e di sostegno alle lotte contro le misure neoliberali e predatorie di questi governi, denunciando le misure più reazionari, promuovendo le modalità di lotta migliori contro l’estrema destra, mantenendo l’essenziale indipendenza dei movimenti contro questi governi.
L’Africa nel vortice delle crisi
Questa regione di 1,2 miliardi di persone è all’interno di un mondo capitalista che la modella e condiziona le loro vite in ogni momento. Nonostante la narrazione del successo dell’Africa, che suggeriva la liberazione del continente dal giogo del sottosviluppo neocoloniale, L’Africa, e in particolare l’Africa sub-sahariana, è vittima della parte “ineguale” dello sviluppo ineguale e combinato. Essa rimane il continente più povero del mondo. La Banca Mondiale stima che l’87% della povertà estrema del mondo vivrà in Africa entro il 2030.
La crisi multidimensionale del capitalismo sta avendo effetti catastrofici nell’insieme del continente L’Africa è responsabile solo del 4% delle emissioni globali, ma 7 dei 10 Paesi più vulnerabili alle catastrofi climatiche si trovano in Africa. Quattro anni di siccità nel Corno d’Africa hanno provocato lo spostamento di 2,5 milioni di persone. Diversi conflitti. che hanno contrassegnato la situazione politica, in particolare la guerra in Sudan, hanno le loro radici nell’estrema accelerazione della crisi climatica.
Da un po’ di tempo a questa parte, stiamo assistendo a una nuova corsa all’Africa, che sta alimentando un’ondata di conflitti in tutto il continente, dal Sudan al Mozambico. Mentre molti di questi conflitti sono legati a nuove scoperte di petrolio e gas, la corsa per il controllo e l’estrazione di terre rare e di altri minerali critici (cobalto, rame, litio e platino) per le tecnologie a basse emissioni di carbonio necessarie alla “green economy nelle economie avanzate, suscita nuovi interessi.
A fianco delle ex potenze coloniali e, naturalmente della potenza imperiale egemone, gli Stati Uniti, la Cina e la Russia stanno giocando un ruolo importante nell’estrazione delle ricchezze attraverso forme di ipersfruttamento e nell’alimentare i conflitti nel continente. Di conseguenza, nuovi conflitti, guerre regionali, colpi di stato e guerre civili continuano a definire l’economia politica del continente. Approfittando dei conflitti in diversi paesi africani, dove i regimi sostenuti dalle potenze occidentali stanno affrontando nuove insurrezioni o sono stati rovesciati, si sta riproponendo uno schema familiare. La Russia, soprattutto attraverso il gruppo mercenario Wagner, è schierata con l’obiettivo di minare l’influenza occidentale nella regione e accrescere la sua. Questo emerge anche nella serie di colpi di Stato in Africa occidentale che mettono in discussione il potere del neocolonialismo francese e dove i nuovi regimi si rivolgono ai concorrenti di Washington per ottenere aiuti militari e finanziari.
La Cina è, comunque, la principale potenza non occidentale che sfrutta le ricchezze dell’Africa. La Cina sta usando il suo potere economico per esigere scambi ineguali, sia sotto forma di prestiti garantiti da risorse, altri prestiti, altri prestiti, accordi commerciali e attraverso i suoi investimenti nelle industrie estrattive e nelle infrastrutture africane. Si stima che il 62% del debito bilaterale dell’Africa sia dovuto a creditori cinesi.
Nell’Africa sub-sahariana, i cosiddetti movimenti di cittadini, “Le Balai citoyen” in Burkina Faso, “Y en a marre!” in Senegal, “Lucha” in Congo, ecc… sembrano alla ricerca di un nuovo rilancio vitale. Di fronte alle manifestazioni popolari, comprese quelle dell’opposizione politica, i regimi rispondono anche con una feroce repressione (Senegal, Swatini/ ex Swaziland, Zimbabwe, ecc.). In generale, manca un orientamento di sinistra o “progressista” (anti-neoliberista), per non parlare di una prospettiva anticapitalista (evidenziata dai nostri compagni algerini durante l’Hirak). L’insurrezione sudanese, con la sua notevole auto-organizzazione e le sue radicali rivendicazioni sociali e democratiche, viene ora soffocata e la sua popolazione decimata nello spietato conflitto armato tra i generali, tutti sostenuti dagli Stati più reazionari. In Tunisia, il regime di Kais Saïed ha soffocato le aspirazioni democratiche nate dalla Primavera araba.
I colpi di Stato militari del 2023 nelle ex colonie francesi (Mali, Burkina Faso, Niger e Gabon) sono un indicatore della profonda crisi politica del continente. Questa crisi è aggravata dalla crescente azione militare dei gruppi terroristici islamici, finanziati dalle monarchie del Golfo, rafforzati dalla sconfitta di Gheddafi in Libia e dall’intervento delle potenze occidentali. In questi quattro paesi, i militari hanno preso il potere, senza incontrare alcuna resistenza in un contesto di crisi di regime, hanno approfittato del discredito totale delle istituzioni politiche e del diffuso rifiuto della presenza imperialista francese (françafrique) tra la popolazione, in particolare tra i giovani del Sahel. Questo rifiuto è stato espresso molto chiaramente in Senegal durante i movimenti sociali del 2021. Nel caso del colpo di stato militare in Gabon, ex colonia francese in Africa centrale, decisiva è stata la crisi del regime, nel momento in cui non c’è stato lo stesso rigetto nei confronti della Francia così come nel Sahel. Tuttavia, i militari che sono saliti al potere non offrono una vera alternativa alle politiche imperialiste e al modello neoliberista, così come gli islamisti che sono saliti al potere attraverso le elezioni in Tunisia e in Egitto in una delle fasi successive alla Primavera araba.
Gli sfruttati, gli oppressi e popoli del mondo stanno rispondendo con le mobilitazioni
Dopo la crisi del 2008, c’è stata una ripresa delle mobilitazioni di massa in tutto il mondo. La primavera araba, Occupy Wall Street, Plaza del Sol a Madrid, Taksim a Istanbul, giugno 2013 in Brasile, Nuit Debout e i Gilet Gialli in Francia, le mobilitazioni a Buenos Aires, Hong Kong, Santiago, Bangkok. Questa prima ondata è stata seguita da una seconda ondata di rivolte e di esplosioni tra il 2018 e il 2019, interrotta dalla pandemia: la ribellione antirazzista negli Stati Uniti e nel Regno Unito a seguito della morte di George Floyd, la mobilitazione delle donne in molte regioni del mondo, compresa l’eroica lotta delle donne in Iran, le rivolte contro i regimi autocratici come la Bielorussia (2020), la massiccia mobilitazione dei contadini indiani del 2021. Il 2019 è stato segnato da manifestazioni, scioperi e tentativi di rovesciamento di governo in più di cento Paesi: in sei di essi, i governi sono stati rovesciati o radicalmente riformati, in quattro i governi sono stati rovesciati, e in due i governi sono stati completamente rimaneggiati. (studio di Mediapart, 24/11/2019).
All’indomani pandemia, si sono succeduti i tre mesi di resistenza in Francia contro la riforma delle pensioni di Macron; la rivolta dei lavoratori, degli studenti e dei lavoratori n Cina, che ha sconfitto il progetto governativo di politica “Zero Covid” del PCC. Negli Stati Uniti, il processo di sindacalizzazione e di lotta avanza in nuovi settori (Starbuck’s, Amazon UPS), con l’emergere di nuovi processi antiburocratici partiti dalla base, con scioperi dei lavoratori soprattutto nel settore dell’istruzione e nella sanità. Nel 2022/2023, il grande sciopero degli attori di Hollywood, così come lo storico e fino ad ora vittorioso sciopero delle lavoratrici e dei lavoratori delle tre principali aziende automobilistiche del paese.
La classe operaia nel senso largo del termine, che si sta preparando all’impatto dell’intelligenza (e di resistere ad essa, come durante lo sciopero degli sceneggiatori di Hollywood) è ancora viva e vegeta, sebbene ristrutturata, repressa, meno consapevole e organizzata rispetto al secolo scorso. I principali complessi industriali persistono in Cina e si stanno espandendo in tutta l’Asia. Gli agricoltori in Africa, Asia meridionale (India e Pakistan) e America Latina stanno resistendo con coraggio anche all’ invasione dell’agroindustria imperialista.
I popoli indigeni, che rappresentano il 10% della popolazione mondiale, resistono all’avanzata del capitale nei loro territori e difendono i beni comuni indispensabili all’insieme dell’umanità. La sconfitta della primavera araba e la tragedia siriana frenano la capacità di resistenza dei popoli del Vicino e Medio Oriente. Nonostante ciò, abbiamo assistito all’l’eroica rivolta delle donne e delle ragazze dell’Iran.
I lavoratori continuano a resistere al capitale e a lottare per le loro condizioni di vita, anche se con nuove forme di organizzazione del lavoro e nuovi modi di organizzazione nella lotta, e quindi con maggiori difficoltà rispetto al passato SI tratta di lavorare più che mai in ogni paese, in ogni periferia urbana, in ogni luogo di lavoro e di occupazione, in ogni sciopero, in ogni nuovo sindacato di base e in ogni nuovo movimento popolare che resistenza all’ordine esistente, all’unità attorno a rivendicazioni comuni, nella creazione e nel rafforzamento dell’autorganizzazione e nella politicizzazione anticapitalista delle rivendicazioni, nella ricostruzione della coscienza degli sfruttati e degli oppressi e oppressi e della loro indipendenza di classe dal capitalismo.
Alcune esigenze centrali per una nuova era
Di fronte alla crescente disuguaglianza tra i paesi, imposta dal sistema capitalistico imperialista, di fronte alle guerre e ai conflitti che mietono milioni di vittime, la Quarta Internazionale si schiera incondizionatamente contro ogni imperialismo. Siamo a favore dell’indipendenza di tutte le colonie e neocolonie. Siamo a favore di un mondo in cui nessuno Stato o gruppo etnico opprima o limiti ii diritti degli altri. La pace che proponiamo è una pace egualitaria e anticoloniale.
Per quanto riguarda la Palestina, il nostro compito più urgente è quello di coinvolgere le forze politiche e sociali a sostenere l’appello internazionale per un immediato cessate il fuoco a Gaza, che consenta l’ingresso senza ostacoli degli aiuti umanitari. Chiediamo la fine della distruzione di Gaza, dell’espulsione e dell’allontanamento dei palestinesi da Gaza e dalla Cisgiordania, la liberazione di prigionieri palestinesi e degli ostaggi israeliani. Chiediamola fine della complicità degli altri Stati con le azioni di Israele e un embargo sulle armi contro di esso. Ci sforziamo di costruire il movimento più ampio possibile per sostenere il popolo palestinese, intensificando la campagna BDS. Questo movimento comprende ebrei di tutto il mondo che affermano che Netanyahu e il governo israeliano non parlano a loro nome e per i quali una presenza pacifica in Palestina può essere raggiunta solo garantendo i diritti del popolo palestinese.
La soluzione strategica per il Medio Oriente inizia con il diritto al ritorno di tutti i palestinesi sul territorio storicamente riconosciuto dalla Palestina, l’eliminazione dell’apartheid dal fiume al mare, la lotta contro tutte le forme di oppressione, razzismo e sfruttamento in tutta la regione, l’imposizione di uguali diritti per tutti i popoli e, di conseguenza, lo smantellamento dello Stato sionista come Stato “degli ebrei”. Noi lavoriamo per lo sviluppo di un vasto movimento rivoluzionario, egualitario di tutti i popoli della Palestina nella loro lotta per l’autodeterminazione. Ma ciò richiede il rifiuto del sionismo da parte degli ebrei di Israele e la loro partecipazione ad una rivoluzione che porti con sé una dinamica democratica e socialista.
L’unica soluzione duratura alla guerra in Ucraina è il ritiro completo delle truppe di Putin. Ogni cessate il fuoco così come i negoziati di “pace” devono essere pubblici, davanti ai popoli dell’Ucraina e della Russia. Spetta al popolo ucraino decidere le condizioni per un cessate il fuoco che porterà alla sconfitta dell’aggressione, alla conservazione di ciò che resta delle infrastrutture ucraine e il ritiro delle truppe russe – con il ritorno della popolazione alle loro case. Difendiamo il diritto del popolo ucraino a resistere e a ricevere aiuti contro l’invasione, a costruire un’Ucraina libera e democratica, così come sosteniamo tutte quelle e tutti quei che in Russia e in Bielorussia si oppongono alla guerra.
Ci battiamo per lo smantellamento di tutti i blocchi militari – NATO, CSTO, AUKUS. Ci opponiamo a qualsiasi divisione secondo “sfere di influenza” a scapito dei popoli, e al condizionamento neoliberista e politico degli aiuti forniti. Ci opponiamo all’uso cinico della guerra in Ucraina volto ad aumentare i bilanci militari, come in Europa. Denunciamo il ricatto nucleare da parte di entrambe le parti. Continuiamo a lottare per il disarmo globale, in particolare delle armi nucleari e chimiche, per una pace mondiale in cui in cui nessuno Stato si imponga, invada o opprima un altro Stato, cioè una pace senza colonizzatori e senza cimiteri dei popoli colonizzati.
In Africa, rifiutiamo il discorso imperialista occidentale che, con il pretesto di ripristinare l’ordine costituzionale, vuole sostenere gli interventi militari per preservare i propri interessi. Ci battiamo per il ritiro totale delle truppe francesi dall’intera regione e la chiusura della base militare di Agadez, in Niger. Esigiamo la partenza delle truppe del gruppo Wagner. Sosteniamo tutti gli sforzi per conquistare la sovranità politica ed economica dei popoli, in vista di un nuovo movimento antisistema per l’unità dei paesi e dei popoli dell’Africa.
Di fronte all’estrema destra del Nord e del Sud del mondo, le politiche unitarie della sinistra (fronte unito) sono un elemento importante della nostra politica attuale, senza mai negoziare o accettare la perdita della nostra indipendenza politica o di quella dei movimenti social. Nei Paesi con regimi autoritari (come Cina, Russia, Bielorussia, Nicaragua, Siria, Arabia Saudita, Emirati Arabi, Iran e altri califfati) o in quelli con governi eletti ma di tipo autoritario (come Turchia, Venezuela e Filippine), la nostra politica è di opposizione frontale a chi è al potere, di lotta senza quartiere per i diritti democratici e di sostegno incondizionato agli insorti, come quelli in Myanmar e nello Yemen.
In questo contesto, l’iniziativa di tenere in Brasile una grande conferenza militante contro il fascismo nel 2025 è di grande importanza per l’Internazionale. Essa dovrà essere una delle nostre priorità in tutti i continenti per sostenere e rafforzare questa idea, lavorando alla sua realizzazione attraverso preconferenze regionali o continentali.
Stiamo lottando per la soddisfazione di richieste fondamentali, come l’ assistenza sanitaria universale e gratuita, per esigere infrastrutture sanitarie garantite dallo Stato, alloggi decenti, un lavoro, dei salari e dele pensioni dignitose, per l’accesso all’acqua e all’energia a basso costo.
Uno dei nostri compiti principali è quello di incoraggiare e sostenere le lotte socio-ambientali, lavorando per garantire che le richieste ecologiche anticapitaliste siano quelle di tutti i lavoratori e di tutti gli oppressi. Solo la forza dei movimenti degli sfruttati e degli oppressi sul piano socio-ambientale può fare fronte al collasso climatico in corso.
Difendiamo il diritto delle donne lavoratrici e della società in generale ad un reddito per il lavoro di cura (assistenza ai bambini, agli anziani o ai malati) garantito dallo Stato. Ci battiamo per il diritto di decidere di avere figli, per il diritto all’aborto e a tutti i metodi contraccettivi, per l’educazione sessuale a tutti i livelli, asili nido pubblici di qualità, scuole a tempo pieno di qualità, per la parità di retribuzione parità di salario, di opportunità di lavoro e reddito tra uomini e donne.
Contro il razzismo strutturale che discrimina i neri, le popolazioni indigene e tutte le minoranze etniche razzializzate, in particolare quando migrano verso il Nord, proponiamo e lottiamo per politiche antidiscriminatorie, risarcimenti per il furto delle terre, nonché azioni positive. Siamo al fianco di tutte e tutti i migranti contro la xenofobia e le politiche di deportazione. Per la fine di tutti i muri.
Contro l’omofobia e la transfobia dei conservatori, che attaccano la comunità LGBTQI in tutto il mondo, alziamo la nostra voce per il più ampio diritto di disporre dei nostri corpi nel modo che riteniamo più opportuno e come desideriamo. Per la piena cittadinanza e i diritti delle coppie lesbiche e non binarie, per il diritto di sposarsi, concepire e adottare. Difendiamo i diritti della comunità transgender contro la violenza e la loro piena e la loro piena partecipazione alla vita sociale.
Tutte queste lotte devono essere unite per sconfiggere i nuovi fascismi, regimi di sfruttamento e di oppressione e per arrivare a un confronto con l’imperialismo., il colonialismo e il capitalismo. La Quarta Internazionale lotta per un mondo in cui nessuno Stato invade o opprime un altro, in cui la pace tra uguali sia possibile, rispettando l’autodeterminazione dei popoli. Lottiamo per un mondo decoloniale, ecologico e socialista – ecosocialista – in cui la caduta del capitalismo e della sua logica permettere l’uguaglianza per tutte e tutti, nelle loro differenze. Un mondo femminista, di tutte le etnie e colori, di tutti gli orientamenti sessuali e identità, di tutte le credenze, di tutte le forme di vita umana in simbiosi ed equità con la natura.