La primavera ai tempi della guerra esterna ed interna (1)
Tutta l’Unione Europea si riconverte all’economia di guerra. L’industria della Difesa ha già aumentato del 50% la sua capacità di produzione e nel prossimo anno sarà raddoppiata la produzione europea di munizioni. E il governo Meloni, mentre fa affari con il genocidio, mette il segreto di Stato sulla vendita di armi [Franco Turigliatto]
L’Italia “festeggia” quest’anno la Pasqua cristiana con il record storico di famiglie in povertà assoluta, 5,7 milioni di persone registra l’Istat con una crescita di 136 mila unità in particolare nel Nord del paese. 1,3 milioni di minori vivono in una famiglia in condizione di povertà assoluta.
Non male il primato di un governo che opera secondo il principio di “Dio Patria e Famiglia”, ma soprattutto che non dimentica mai il supremo primato delle imprese.
La cause di questa povertà sono fin troppo chiare: l’inflazione e il caro vita che colpiscono soprattutto chi sta in basso, tra cui i migranti, l’abolizione di una serie di aiuti governativi stanziati durante il periodo covid (si aggiunge ora il passaggio obbligatorio al “libero mercato” per gas ed elettricità), la soppressione del reddito di cittadinanza, la dismissione progressiva dello stato sociale che va avanti da molti anni sotto tutti i governi.[1] Impressiona il fatto che il 10% di coloro che vivono in Italia abbiano difficoltà non solo ad arrivare alla fine del mese, ma a mangiare!
La festa cristiana della pace e l’aria dei tempi passati
Ma l’Italia, insieme alla UE, omaggia anche la festa cristiana della pace, con una corsa al riarmo (che ha riscontro soltanto con i tempi della guerra fredda) e con una massiccia campagna mediatica di preparazione alla guerra che lascia assolutamente frastornati e basiti. La brutale aggressione russa del neozarista Putin all’Ucraina e il conflitto che ne è seguito ha scatenato e liberato tutte le contraddizioni e le dinamiche soggiacenti alla attuale fase di scontro tra gli imperialismi. Sono i vertici stessi dell’Unione Europa a non avere alcuna vergogna a riprendere gli slogan bellicisti più infami della storia della Roma imperiale e del balcone “fatale” di Piazza Venezia.
Il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha concluso un suo intervento pubblicato su diversi giornali europei poco prima della riunione del Consiglio del 21-22 marzo con un lapidario ed inequivocabile : “Se vogliamo la pace dobbiamo prepararci alla guerra” precisando che i paesi UE devono produrre più armi e munizioni, “raddoppiando i nostri acquisti dall’industria europea entro il 2030”; si è poi soffermato su come finanziare questi costosi investimenti, ampliando il mandato della Banca Europea e, specificando infine, che bisogna modificare il sistema economico attuale passando a una “modalità di economia di guerra”.
Questi i punti chiave: i Paesi Ue devono essere “pronti a difendersi”, producendo più munizioni e spendendo di più per la difesa, e soprattutto attivando una “economia di guerra“. Michel si allinea così alle precedenti dichiarazioni di Ursula von der Leyen: “Servono più armi, dobbiamo produrne come abbiamo fatto coi vaccini” .
Particolare non secondario: i vaccini sono serviti a salvare le vite umane, le armi servono a distruggerle.
Con questo programma, con questa economia di guerra, si mette da parte la transizione ecologica e si annuncia un nuovo assalto a quel che resta del welfare sociale (una particolarità positiva dell’Europa) per altro già duramente colpito dalle politiche di austerità.
Sulla stessa lunghezza d’onda Joseph Borrell, l’alto rappresentante UE per gli affari esteri, che non ha avuto problemi a far riferimento allo stesso Mussolini affermando: “Tutti, me compreso, preferiscono sempre il burro ai cannoni, ma senza cannoni adeguati potremmo presto ritrovarci anche senza burro”, citando anche lui l’antico motto degli imperatori romani: “Si vis pacem, para bellum” («Se vuoi la pace, prepara la guerra») e sviluppando una lunga argomentazione sulla necessità una nuova strategia industriale europea sulla Difesa.[2]
Anche il nostro Gentiloni, commissario europeo per l’Economia, è in piena sintonia ed ha rilanciato l’idea di un debito europeo per finanziare le armi e quindi la guerra: “Se vogliamo rafforzare la difesa europea, dobbiamo finanziarla insieme…. si tratta di qualcosa di molto importante per il futuro stesso dell’Ue”, aggiungendo poi che nelle nuove norme del Patto di stabilità “esiste già una forma di incentivo alla spesa per la difesa“, ma che “l’uso di finanziamenti comuni potrebbe essere cruciale“.
Per intanto l’industria europea della Difesa ha già aumentato del 50% la sua capacità di produzione e nel prossimo anno sarà raddoppiata la produzione europea di munizioni, portandola a oltre 2 milioni di pezzi.
Ma non basta di certo al segretario generale della Nato, il socialdemocratico Stoltenberg, che preannuncia uno scontro decennale con la Russia per cui: “Dobbiamo ricostruire ed espandere la nostra base industriale più velocemente, in modo da poter aumentare le forniture all’Ucraina e rifornire le nostre scorte. Questo significa passare da una produzione lenta in tempi di pace a una produzione veloce, come è necessario in tempi di conflitto”. Stoltenbergha quindi chiesto alle aziende europee del settore della difesa “ordini più numerosi e più rapidi”.
Il volto dell’UE si modifica ancora dopo la svolta liberista di più di 30 anni fa con il complesso industriale militare, fonte di grandi profitti e già fortemente presente nell’economia e nelle esportazioni, che assume una centralità ancora più grande. Combatterlo è uno dei compiti delle classi lavoratrici.
Nota secondaria e di colore: c’è da supporre che tanti di questi esponenti politici, economici, intellettuali e giornalisti delle classi dominanti, appartengano a una delle religioni cristiane largamente egemoni nel continente ed abbiano partecipato diligentemente ed anche devotamente alle funzioni della festa cristiana della pace, senza neanche provare disagio o sentire contraddizione con quello che fanno, compresa la loro partecipazione diretta o indiretta al massacro del popolo palestinese, ma si sa che l’ipocrisia è regina e che il mondo va così da millenni.
Per quanto riguarda poi specificamente l’Italia il governo Meloni ha approvato un disegno di legge che costituisce una vera e propria controriforma della legge 185/1990, che, grazie alla battaglia dei movimenti contro la guerra, regolamentava la produzione e l’export di armi. L’intento governativo è quello di eliminare ogni ruolo del Parlamento e di conoscenza per la società civile su tali delicatissime questioni. Si introduce una sorta di segreto di Stato, utile ai produttori e funzionale a una Unione Europea in grado di difendere i propri interessi economici con le armi ovunque nel mondo, come indicato nel documento denominato bussola strategica approvato dal Consiglio Europeo. Si vuole fornire alla UE un piano di azione che rafforzi e sviluppi la politica di sicurezza e di difesa dell’UE entro il 2030.
Che dire dunque del moltiplicarsi di queste dichiarazioni convergenti che mettono al centro dell’UE uno sviluppo senza precedenti delle spese militari e l’aperta preparazione alla guerra se non prendere atto che sono scelte strategiche delle borghesie del continente per difendere ed affermare gli interessi e il ruolo dell’imperialismo europeo nell’attuale contesto dello scontro economico, politico e militare delle grande potenze mondiali, cercando noi di costruire il più presto possibile un vasto movimento contro la guerra, per il disarmo, per lo scioglimento dei blocchi militari a partire dalla Nato e dall’OTSC costruito dalla Russia, per la difesa delle condizioni di vita delle masse popolari. Siamo dentro un clima che richiama drammaticamente i momenti più crudi della storia europea, in particolare lo “spirito del 14” e al primo conflitto mondiale. Si legga in proposito questo articolo di Brais Fernandez. Dobbiamo reagire.
[1] Il Manifesto ricorda i dati forniti dalla CGIL: ”le domande accolte di «assegno di inclusione» sono state 550 mila, al di sotto delle 737 mila attese, e poco meno della metà del milione 200 mila famiglie che un anno fa percepivano il «reddito di cittadinanza». Sul «sostegno formazione e lavoro»: a fronte di 400 mila possibili beneficiari, a gennaio hanno percepito i 350 euro solo 24 mila. Il «governo risparmierà 4 miliardi di euro». Chissà se andranno alle imprese che, a dire di Meloni, sono quelle che creano «ricchezza».
[2] In proposito si rimanda alle utili letture di un articolo di Josep Borrell e del saggio di Colin Gannon