I nodi vengono al pettine. Addio al governo Draghi

La crisi del governo Draghi. Le difficoltà dei partiti e l’impasse del M5S. La nostra bussola. Verso le elezioni. L’Unione Popolare e noi [Franco Turigliatto]

I nodi vengono al pettine per il governo Draghi, un governo dei padroni messo in piedi per operare una profonda ristrutturazione e rilancio del capitalismo italiano, che in un periodo “normale” avrebbe potuto forse padroneggiare le contraddizioni sociali e politiche di cui era portatrice, ma che di fronte a eventi giganteschi come la guerra, i contrasti interimperialisti, la crisi climatica e quella energetica, il rilancio di una inflazione quale non si vedeva da decenni, nel quadro della persistenza della pandemia, non poteva che subire tutti i contraccolpi del caos capitalista imperante.

La crisi del governo Draghi

Le politiche del governo Draghi nel corso degli ultimi mesi sono state vergognose, a partire dalla gestione, o per meglio dire dalla “non gestione”, della crisi sanitaria, fino alla partecipazione dell’Italia alla guerra, all’aumento delle spese militari a scapito, inevitabilmente, di quelle sociali, al perseguimento dell’infame autonomia differenziata che divide il paese e che schiaccerà sempre più i settori più deboli della società, e naturalmente alle politiche economiche che hanno favorito la caduta dei salari e delle pensioni per non parlare della precarietà , sempre più diffusa per effetto delle leggi vigenti e del degrado dei rapporti di forza tra le classi.

Ora padroni e governo, di fronte alla moltiplicazione delle contraddizioni e dello sprofondo della società temono una crisi sociale senza precedenti, temono soprattutto un autunno di lotte o rivolte incontrollate come quelle che già si manifestano in altri paesi di fronte al carovita e alla povertà che contagia settori sempre più larghi della popolazione.

I dati  recenti dell’INPS segnalano quale sia la realtà delle condizioni delle classi subalterne in questa fase del sistema capitalista.

Per questo Draghi parla di agenda sociale, quasi che quello che finora è stato fatto non fosse già una agenda sociale,  a vantaggio del capitale e della borghesia. Se volessero veramente aprire una agenda sociale la prima cosa da fare sarebbe l’abolizione del Jobs Act di Renzi e di tutte le leggi della precarietà e la controriforma Fornero delle pensioni.

Invece le misure che ancora una volta vengono proposte non sono un cambio di indirizzo, ma misure di parziale tamponamento a partire dal cosiddetto cuneo fiscale, una  vera e propria truffa che pretende di dare qualcosa alle/ai lavoratrici/tori e alle/ai pensionate/i, mentre contemporaneamente glielo si toglie da un’altra parte, cioè dalla spesa sociale per effetto della riduzione delle entrate pubbliche. Link Vedi articolo

Per di più i padroni, che dovrebbero essere chiamati a mettere di tasca loro per aumentare i salari, ricevono a loro volta un beneficio dalla riduzione del cuneo fiscale.

Facile in questo modo trovare l’accordo con la Confindustria di Bonomi ed anche avere il supporto di un sindacato come la CISL da sempre allineato col governo.

Più stretto il cammino per la CGIL con il segretario Landini, uscito dall’incontro col governo quanto mai deluso, fatto che dovrebbe spingerlo ad aprire quella fase di lotta che da mesi vagamente promette… per il giorno dopo, ma che non ha nessuna intenzione di intraprendere.

Le difficoltà dei partiti e l’impasse del M5S

In questo quadro è fin troppo evidente che tutto lo schieramento politico che  sostiene il governo è in fibrillazione alla ricerca di un ruolo che permetta ai diversi partiti, e agli schieramenti in costruzione, di affrontare le elezioni il prossimo anno o anche prima se la crisi sfocerà nello scioglimento delle Camere. Non dimenticando mai che FdI, con la sua posizione di opposizione, se pur largamente finta, aspetta tutti al varco elettorale col vento in poppa dei sondaggi elettorali favorevoli.

I nodi sono arrivati al pettine per un partito come il M5S. il partito della protesta indifferenziata che metteva insieme temi parzialmente validi, insieme a obiettivi  e pratiche anche nocive, forza maggioritaria in tre governi diversi, sottoposto a operazioni volte a  renderlo sempre più in un partito borghese “normale”, con un  ruolo sempre più marginale, minacciato sempre più da una frana elettorale e di consenso,  che spinge la sua base alla ricerca di quella libertà di azione con cui aveva costruito le sue fortune.

Conte è chiamato, obbligato a qualche forma di distinguo, di rottura della continuità.

Vedremo nei prossimi giorni come evolverà la situazione e se la crisi precipiterà verso le elezioni anticipate, anche se gli interessi della borghesia sarebbero ancora quelli di poter operare con il governo Draghi o con un qualcosa di simile  per varare la legge finanziaria di la realizzazione nei tempi definiti delle misure del PNRR.

La nostra bussola

Qualsiasi sia la conclusione delle vicenda politica del governo, una bussola deve guidare l’attività delle forze politiche e sindacali della sinistra autentica: la lotta contro le politiche di questo governo, o per meglio dire contro le politiche della borghesia, la lotta contro il carovita, contro la povertà, contro le diverse forme della precarietà per veri aumenti salariali strappati ai profitti del padroni, per imporre una reale tassazione della fortune capitaliste, delle rendite e dei profitti.

In questa vicenda, in questa crisi drammatica, lo abbiamo sottolineato più volte, c’è qualcosa che non torna, ed è il ruolo delle grandi organizzazioni sindacali, del tutto subalterno; in particolare vogliamo sottolineare il ruolo del sindacato più grande e della forbice enorme che si esprime anche nel testo congressuale della sua direzione tra le cose che vengono scritte nei testi sulla necessità di politiche ed obbiettivi alternativi e le sue pratiche concrete, cioè la passività e la subalternità, tutti elementi che accrescono la demoralizzazione delle classi lavoratrici.

L’apatia e la rabbia che può coinvolgere larghi settori di massa può spingere questi stessi in cattive direzioni, verso destra, già ieri a sostegno di Salvini, oggi forse anche più in là.

Per questo il nodo sindacale/sociale non può non essere parte della attenzione e dell’intervento, con scelte conseguenti, delle forze antiliberiste e anticapitaliste che pretendono di lavorare per una alternativa di sistema

Per questo consideriamo essenziale e dirimente per molti aspetti, un punto di riferimento, la battaglia interna alla maggiore confederazione della sua opposizione di sinistra che propone di tornare alle “Radici del sindacato”.

E per questo non possiamo che riprendere con forza l’orientamento emerso dal Collettivo della GKN che si pone come orizzonte la costruzione di tanti punti non solo sindacali, ma sociali ed ambientalisti di insorgenza, in un  quadro che punta alla costruzione della unità delle lotte, cioè alla convergenza di obiettivi  strategica al sistema capitalista.

Verso le elezioni

La prospettiva delle elezioni politiche e la fibrillazione interna al governo in corso da mesi, ha posto il problema politico elettorale anche alle forze che si dichiarano a sinistra del campo largo di Letta; sono stati realizzati alcuni atti concreti e percorsi volti ad  affrontare la scadenza delle elezioni politiche.

Va in questa direzione l’accordo tra i verdi e Sinistra Italiana, progetto che vuole fare riferimento all’esperienza francese del NUPES. Queste forze puntano ad avvantaggiarsi dal fatto che esse non hanno partecipato al governo Draghi presentandosi come alfieri di una politica alternativa. In realtà la mistificazione è palese perché questi partiti sul piano dei governi locali a trazione PD ne sono molte volte pienamente partecipi, ma anche perché hanno anche già espresso chiaramente che punteranno ad alleanza con il PD.

Diverso è il caso della alleanza politica che si è costituita nell’ultimo mese e che ha portato alla assemblea di Roma del 9 luglio, cioè dell’Unione Popolare che fa riferimento anche essa alla esperienza e al successo di Mélenchon in Francia, che si vorrebbe replicare anche in Italia, L’iniziativa è partita dall’accordo di vertice di due forze, Rifondazione e Potere al popolo in stretto rapporto con il gruppo ManifestA delle 4 deputate della Camera e col gruppo più ristretto costituito al Senato, e con Dema, cioè con De Magistris. Va da se che consideriamo assai positivo che le due forze maggiori della sinistra radicale, Rifondazione Potere al Popolo abbiamo ritrovato un livello, se pure parziale, di unità.

De Magistris ha chiuso l’assemblea romana, con un forte intervento che potremmo definire democratico radicale dal punto di vista programmatico, presentandosi come il garante, cioè il dominus dell’unità e del progetto politico alternativo per le prossime elezioni.

Eravamo a conoscenza di questo percorso da alcuni mesi ed abbiamo avviato varie discussioni interlocutorie con i soggetti promotori che hanno ritenuto di trovare tra loro l’accordo di base. Hanno poi invitato singoli soggetti e altre forze politiche a firmare l’appello e ad aderire al progetto. Abbiamo seguito con attenzione questo percorso, ma non abbiamo, se pure richiesti, apposto alcuna firma all’appello, i cui contenuti nella loro genericità erano condivisibili, ma che faceva già anche riferimento a una precisa configurazione politica elettorale.

E tanto più dopo l‘assemblea di Roma intendiamo seguire il percorso verificandone i contenuti.

Non c’è dubbio che sia necessario costruire uno schieramento politico alternativo non solo a tutte le forze della destra, ma anche al PD, perno centrale do governo Draghi, ed anche al M5S, costruendo un progetto assai diverso e radicale a da quello moderato e subalterno dei Verdi e SI.    

E’ una parte importante del lavoro che la sinistra di alternativa deve fare e l’unità è essenziale perché il progetto sia politicamente credibile ed anche potenzialmente capace di captare consensi. Da sempre lavoriamo a prospettive unitarie che devono partire in primo luogo dalle battaglie sociali concrete e che possono e devono manifestarsi anche sul terreno politico, compreso anche quello elettorale.

Facciamo tre considerazioni che sono anche la bussola del nostro agire e di metodo con cui vogliamo seguire il percorso che i soggetti promotori hanno intrapreso.

La prima riguarda il grado di coinvolgimento e di partecipazione dal basso di settori sociali e politici più ampi possibili che dia spessore e credibilità reale al progetto.

Il secondo riguarda l’orientamento strategico, al centro non può esserci solo la dimensione politica istituzionale, elettorale, ma quello che si produce nelle mobilitazioni da costruire nell’autunno, cioè l’impegno a dare gambe alla formula dell’insorgiamo e del convergiamo; non può essere solo uno slogan nelle assemblee, ma una pratica politica centrale.

La terza questione è sinergica con la seconda ed ancora più delicata. Non c’è dubbio che nel costruire le resistenze e l’opposizione alle politiche del governo si deve partire da un programma con contenuti semplici, ben comprensibili, cioè obbiettivi sociali, salariali occupazionali che rimettano in discussione le politiche liberiste, e una parte delle proposte deve riguardare anche le aspirazioni a una partecipazione democratica alla vita sociale e politica oggi fortemente compressa.

Solo che le politiche liberiste non sono altro che l’espressione del capitalismo concreto; impensabile pensare di ottenere dei successi sulla precarietà, senza azzerare tutte le leggi che ne fanno il perno della flessibilizzazione del lavoro e dello sfruttamento da 30 anni a questa parte e senza una radicale riduzione dell’orario. In altri termini impossibile realizzare una vera agenda sociale senza rimettere in discussione alcuni assetti fondamentali del capitalismo, il potere delle aziende e la proprietà privata.

Un vero cambiamento potrà venire solo dal rilancio di un processo di lotta di massa, nel quadro di una prospettiva anticapitalista.

Una campagna elettorale certo deve avere più tonalità e deve saper parlare anche a livelli di coscienza oggi molto bassi e confusi, ma è impensabile costruire un reale processo alternativo se limitato al mero risultato elettorale: le forze politiche che se ne fanno carico devono tenere sempre presente la dimensione dello scontro sociale e che il nodo è lì nel sistema in quanto tale: “hic rhodus, hic salta”.

E’ con questo spirito unitario, di volontà di interlocuzione, ma anche di verifica del processo e del suo valore che intendiamo essere presenti in una discussione che deve coinvolgere, se pure sotto diverse forme, tutte le forze della sinistra sociale sindacale e politiche di alternativa al sistema capitalista e alle politiche dei padroni.

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