Scuole in piazza: Bianchi tornatene a casa!

di Francesco Locantore

Venerdì 18 febbraio il movimento studentesco è tornato nelle piazze delle nostre città con le manifestazioni promosse dai settori più radicali – i collettivi studenteschi, la rete OSA, il Fronte della gioventù comunista – contro l’alternanza scuola-lavoro. Circa 40 piazze e 200mila studenti in corteo secondo gli organizzatori, che chiedono le dimissioni dei ministri Bianchi e Lamorgese.

Alcuni sindacati di base (USB il 18 febbraio, i Cobas lo avevano già fatto il 28 gennaio) hanno indetto uno sciopero della scuola in concomitanza con le manifestazioni studentesche, per permettere la partecipazione anche dei lavoratori della scuola, partecipazione che, sia pur minoritaria, si è vista con alcuni striscioni nei cortei, come per gli Autconvocati della scuola di Roma.

Altri settori del movimento, l’Unione degli studenti, Link, insieme alla Flc Cgil, Priorità alla scuola, Coord. Nazionale precari scuola, Arci, Libera, Sbilanciamoci ecc. hanno organizzato invece dal 18 al 20 febbraio gli Stati generali della scuola a Roma, una tre giorni di discussione che ha visto coinvolte/i diverse centinaia di studenti, per condividere le esperienze di lotta nelle scuole e per elaborare una piattaforma rivendicativa comune.

La morte dei due studenti, Lorenzo Parelli di 18 anni e Giuseppe Lenoci di 16 anni, mentre svolgevano attività lavorative all’interno del proprio percorso di studi, hanno riportato al centro della riflessione pubblica la relazione tra la scuola e il lavoro, o meglio tra la scuola e lo sfruttamento del lavoro salariato nelle imprese capitalistiche. Questa relazione è totalmente a senso unico: le imprese stanno ridisegnando l’istruzione pubblica a loro uso e consumo.

Sicuramente uno dei tasselli più evidenti del dominio dell’impresa sull’istruzione pubblica è stato quello dell’introduzione, con la legge 107 del 2015 cd. Buona scuola, dell’alternanza scuola-lavoro obbligatoria in tutte le scuole superiori: 400 ore in tre anni nei tecnici e professionali, 200 nei licei. Nel 2019 l’alternanza ha cambiato nome in Pcto (Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento) e le ore sono diventate 90 nei licei, 150 nei tecnici e 210 nei professionali, ma la sostanza è rimasta invariata: le imprese possono usufruire di milioni di ore di lavoro gratuite prestate dagli studenti che sono obbligati a svolgere tali percorsi e sottoposti al giudizio di un tutor aziendale, giudizio che va ad influire sul voto di comportamento alla fine dell’anno scolastico, oltre che sul voto della maturità.

Già da questi dati risulta evidente la differenza di trattamento riservata alle/agli studenti dei licei, molto spesso provenienti da contesti familiari e sociali più agiati, e a quelle/i dei tecnici e professionali. Senza contare che nei licei più facilmente si faranno esperienze di alternanza con associazioni, biblioteche, istituzioni pubbliche, mentre il lavoro in aziende private è più frequente nelle scuole professionali.

Ma la buona scuola non si è limitata ad introdurre l’alternanza scuola-lavoro, ha anche prodotto un ulteriore passaggio di riforma dell’istruzione professionale inserendo a pieno titolo i centri di formazione professionale (CFP) regionali, molto spesso privati, all’interno del percorso scolastico, consentendo di passare in un senso o nell’altro dall’istruzione professionale ai CFP, al fine di ottenere il titolo di studio ed espletare l’obbligo scolastico. Nei percorsi professionalizzanti vige il sistema duale di scuola e lavoro, che prevede l’alternanza rafforzata con periodi di applicazione pratica non inferiori a 400 ore annue a partire dai 14 anni e l’apprendistato di primo livello, un vero e proprio contratto di formazione e lavoro che consente il conseguimento del titolo di studio (qualifica e diploma) professionale.

E’ proprio in questi percorsi all’interno dei CFP che hanno perso la vita Lorenzo e Giuseppe e in cui sono coinvolte e coinvolti migliaia di studenti, costrette/i prematuramente a fare esperienza di lavoro salariato, compreso il rischio della vita stessa a cui sono sottoposti oggi lavoratori e lavoratrici salariate. Ricordiamo che da gennaio vengono uccise sul posto di lavoro quasi 4 persone ogni giorno. E’ un ritorno indietro nella storia a condizioni di lavoro mortali e allo sfruttamento del lavoro minorile, vietato sulla carta dalla Costituzione ma reintrodotto dalle politiche di aziendalizzazione della scuola che vanno fermate.

La scuola dovrebbe essere un luogo sicuro in cui si formino coscienze critiche, capaci di esercitare i propri diritti e di chiederne di nuovi, di costruire una società migliore. La formazione dei lavoratori deve tornare a carico delle imprese ed essere scorporata dalla scuola pubblica. Chiediamo che l’obbligo scolastico sia alzato a 18 anni e che il percorso scolastico sia unificato, comprendendo saperi teorici e pratici e assecondando le inclinazioni di ciascuno, con la possibilità di adattare negli ultimi anni i piani di studio individuali. Basta con la scuola gentiliana, divisa tra i percorsi che servono a formare le classi dirigenti e quelli per i lavoratori subordinati di domani!

Il governo Draghi va in tutt’altra direzione, spingendo per asservire l’istruzione pubblica alle esigenze dell’impresa privata ancora più di quanto non lo sia già oggi. Solo per citare alcuni degli interventi del governo e dell’ampia maggioranza che lo sostiene in Parlamento:

  • il ministro Bianchi ha (ri)avviato la sperimentazione per la riduzione a quattro anni delle scuole superiori, cosa che per fortuna ad oggi ha avuto una bassa adesione da parte delle istituzioni scolastiche, ma che rende chiara l’intenzione del ministero di imporre ulteriori tagli alla scuola;
  • la Camera ha votato all’unanimità un progetto di legge per l’introduzione delle “competenze non cognitive” nelle scuole. La scuola dovrebbe in qualche modo coltivare quelle competenze che non prevedono l’elaborazione di conoscenze, le cd. soft skills, come sono chiamate in linguaggio aziendalistico. Anziché istruire, fornire spunti per l’elaborazione critica delle conoscenze e quindi costruire cittadine/i consapevoli e attive/i, lavoratori e lavoratrici in grado di rivendicare e far valere i propri diritti, secondo i deputati la scuola dovrebbe valorizzare la capacità degli/delle studenti di “gestire le emozioni”, di adattarsi alle situazioni di difficoltà, magari sottomettendosi alle ingiustizie che quotidianamente dovranno affrontare nella società e sui posti di lavoro;
  • all’interno del PNRR, tra i pochi fondi stanziati per la scuola, c’è la previsione di un finanziamento da ben 1,5 miliardi di euro agli Istituti tecnici superiori (ITS). Da non confondere con gli istituti tecnici, gli ITS offrono percorsi post-diploma alternativi all’università e sono gestiti da fondazioni miste pubblico-private, in cui sono presenti scuole, università e aziende, in cui una parte considerevole degli insegnanti provengono dalle stesse aziende e che sono orientati alla formazione professionale di alto livello. Una ulteriore distrazione di fondi pubblici a vantaggio delle imprese, in barba al divieto costituzionale di finanziamento delle scuole private.

Prendiamo in considerazione anche le politiche governative sulla scuola, che in tempo di pandemia è stata la prima a chiudere e l’ultima a riaprire, quando serviva un posto dove tenere i figli mentre lavoratori e lavoratrici venivano richiamati al lavoro in presenza. Nessun investimento strutturale è stato fatto per fare nuove assunzioni, stabilizzare i precari ed eliminare le classi pollaio: il quadro della subordinazione della scuola alle esigenze capitalistiche è lampante.

L’insubordinazione degli studenti delle ultime settimane è quindi un segnale di risveglio da cogliere positivamente, in primis dai lavoratori e dalle lavoratrici della scuola, che troppo spesso guardano con sufficienza alle proteste studentesche, quando non si schierano apertamente con la repressione operata dai dirigenti scolastici. La richiesta di abolizione dell’alternanza scuola lavoro è la stessa protesta che il movimento degli/delle docenti ha organizzato contro la buona scuola nel 2015. Gli/le studenti non stanno portando in piazza solo il proprio disagio rispetto a ciò che sta diventando la scuola, ma anche uno spiraglio per riaprire unitariamente una lotta per una scuola pubblica, laica, gratuita per tutte e tutti, che sia un luogo di crescita critica per loro come per tutta la società, in autonomia e se serve anche contro le esigenze di un sistema capitalista che sfrutta il lavoro fino alla morte, devasta l’ambiente naturale, impone una competizione di tutti contro tutte e tutti, portando la società alla miseria e alla guerra in nome del profitto di pochi.

Oggi il movimento degli e delle studenti ha capito che serve una convergenza con i lavoratori e le lavoratrici, con i movimenti femministi e con quelli per la giustizia climatica e sociale. L’intervento più applaudito agli Stati generali della scuola al Teatro Italia è stato proprio quello di un compagno del collettivo di fabbrica GKN, che ha invitato tutti e tutti a insorgere ed a partecipare alla manifestazione nazionale di Firenze del 26 marzo. Il suo intervento è stato salutato in sala, così come in tutte le piazze studentesche del 18 febbraio, con l’inno dei lavoratori GKN: Occupiamola fino a che ce ne sarà, che fatica che ti chiedo: oggi devi sciopera’!

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