Non ci “stringiamo a coorte” – L’unica unità che ci piace è quella degli sfruttati e degli oppressi!

di Fabrizio Burattini

Noi, oggi, venerdì 20 marzo, alle 11 del mattino, spegneremo le nostre radio. Non ci uniremo al coro messo in onda da tutte le radio nazionali e locali del nostro paese che unificheranno i propri programmi per far risuonare insieme l’inno di “fratelli d’Italia”.

Non ci saremo perché, ancora una volta, come in tutti i momenti cruciali nei quali l’enfasi nazionalista ci intima di “stringerci a coorte”, ci chiameremo fuori.

Ancora una volta non accetteremo la retorica del “siamo tutti nella stessa barca”, perché l’emergenza del Covid-19 non solo conferma che in quella barca c’è chi è incatenato ai remi e chi viaggia in suite di prima classe, ma, se mai fosse possibile, enfatizza le differenze.

Tra quelle lavoratrici e quei lavoratori che sono costretti, oggi come ieri, oggi più che ieri a mettere a rischio la propria salute, la propria vita (e quella dei propri familiari) affollandosi nei mezzi pubblici e poi sulle linee di produzione, e quei “datori di lavoro” che, dall’isolamento delle loro ville, traggono profitti da quel lavoro. Tra quegli immigrati che oggi come ieri, oggi più che ieri lavorano al nero in agricoltura e quei padroni che continuano a sfruttarli, magari tifando nel frattempo per i partiti razzisti, per aumentare le armi di ricatto nei confronti dei migranti.

Tra quegli infermieri, quei medici, quegli operatori della sanità che si impegnano al di là di ogni limite per salvare le vite e quei politici, quei giornalisti che negli ultimi decenni, da destra e da “sinistra”, hanno deciso e sostenuto le più feroci politiche di taglio della sanità, la sua privatizzazione, la chiusura degli ospedali perché poco utilizzati…

No, noi non ci saremo. Siamo uniti. L’unità di classe più che mai necessaria non ha nulla a che vedere con quel coro.