Così stanno uccidendo il mare

Plastica-Mare

di Umberto Oreste

Amiamo il mare e lo sentiamo parte di noi, non solo perché napoletani, non solo perché al mare ci lega la nostra storia, la nostra cultura, momenti belli della nostra vita, amiamo il mare anche perché lo sentiamo violato, maltrattato, offeso quotidianamente dall’inquinamento, dal riscaldamento globale, dall’acidificazione, dalla cementificazione delle sue coste, da una pesca sconsiderata che distrugge le riserve ittiche, da traffici intensissimi di mostri galleggianti quali portaerei nucleari, portacontainer enormi, navi da crociere, vere città galleggianti di migliaia di abitanti. Se gli oceani sono malati, alcuni mari interni sono già morti, come il Mare di Aral in Asia Centrale, il Mar Morto in Palestina, e parzialmente il Mar Caspio tra Europa ed Asia.

Allora, qual è lo stato del mare? Quali le cause dei suoi mali? Un articolo di giornale non può essere, certamente, esauriente sul tema ma sicuramente farà pensare qualche lettore.
È bene chiarire prima di tutto che lo stato del mare è lo stato del nostro pianeta che piuttosto che “Terra” dovrebbe chiamarsi “Mare”. I mari infatti costituiscono il 70,8 della superficie del pianeta, e la sua massa è stimata in 1,3 x1018 tonnellate; da ricordare che dal mare è nata, 3,5 miliardi di anni fa, la vita.
Ora è opinione corrente che il mare è un pozzo senza fine dove tutto si perde; si pensa che il mare alla fine consuma tutto e che rimane sempre uguale, quello di ieri come quello di oggi, come quello di domani. Niente di più falso: il mare è cambiato e, non a caso, è cambiato al cambiare dei modelli economici.

Generalmente viene indicato come “Antropocene” il periodo storico in cui l’azione della specie homo sapiens ha influito sull’ambiente. Questo è avvenuto con la caccia, l’introduzione dell’agricoltura, dell’allevamento, con le canalizzazioni per l’utilizzo dell’acqua piovana etc. Per moltissimi millenni l’equilibrio uomo-natura non è stato alterato, se non minimamente. Anzi le opere umane come le attività di cura dei boschi, il terrazzamento a scopo agricolo dei fianchi delle colline, hanno difeso il territorio da eventi catastrofici come incendi e alluvioni. Alla metà del XIX secolo, invece, lo sviluppo delle produzioni industriali ha condotto all’utilizzo dei carburanti fossili come fonte energetica primaria, alla conseguente crescita delle città dove accorrevano in cerca di lavoro i contadini immiseriti dal capitalismo agrario, alla conseguente corsa agli investimenti per trarne profitto. Questo periodo ha costituito una svolta nel rapporto uomo-natura che ha portato al depredamento dell’ambiente, ai disastri ecologici che oggi sono sotto gli occhi di tutti. A questa fase storica alcuni scienziati hanno dato il nome di “Capitalocene” indicando che il fattore dominante non è l’uomo in quanto specie, ma il Capitale con la sua sete inesauribile di profitto.

Anche nel mare all’Antropocene è seguito il Capitalocene e un esempio lampante è il tema della pesca. Per i lunghi secoli dell’Antropocene il mare era il luogo amato-temuto dai naviganti sia se sospinti ad imbarcarsi per semplice desiderio di conoscenza (Ulisse come Corto Maltese), sia per scambiare merci (Marco Polo come Colombo), sia per pescare (“Piscatore ‘e stu mare ‘e Pusilleco” come il pescatore “assopito all’ombra dell’ultimo sole, con un solco lungo il viso come una specie di sorriso”).
Immagini esemplificative dell’attualità del Capitalocene sono, invece, le “Floting processor” enormi industrie galleggianti che avvistano con implacabili mezzi tecnologici i banchi di pesci, li catturano con reti lunghe anche un chilometro, li caricano a bordo, e li trascinano su nastri che li portano in sale di lavorazione dove centinaia di operai li processano, in parte li congelano in azoto liquido, in massima parte li lavorano in farine proteiche per l’alimentazione di polli, maiali e bovini. Ma di chi è l’azienda? Di poche multinazionali americane o giapponesi o anche europee che controllano la pesca mondiale, la distribuzione del pescato, la vendita nei supermercati e introducono i propri rappresentanti all’interno degli organi di gestione dei governi.

Da considerare che i mari depredati dalle multinazionali sono i mari dei paesi poveri ed in questo caso anche la UE è colpevole: nel 2013, la PCP (politica comune europea della pesca) rivista ha introdotto accordi di partenariato in materia di pesca (APP) con i paesi terzi. Tali accordi prevedono l’accesso alle risorse in un ambiente regolamentato, commisurato agli interessi della flotta dell’UE, in cambio di un contributo finanziario e di un supporto tecnico che dovrebbero contribuire all’efficienza della raccolta, del monitoraggio, del controllo e della sorveglianza dei dati. Gli APP finiscono per foraggiare governi, sostenere le borghesie locali e danneggiare irrimediabilmente la pesca locale. E’ un mercato: soldi in tasca ai governanti che consentono a distruggere il sostentamento dei poveri pescatori locali.

Risultati: in alcuni decenni le riserve ittiche mondiali sono diminuite del 30% secondo i dati ufficiali della FAO, ma dati 2015 della società zoologica di Londra affermano che fauna ittica nei nostri oceani si è dimezzata rispetto al 1970 In particolare, secondo i ricercatori, le popolazioni di tonno e sgombro hanno subito un declino catastrofico, perdendo quasi tre quarti delle rispettive popolazioni.

In definitiva, la pesca negli ultimi decenni si è capitalizzata: da attività “artigianale” si è trasformata in attività “industriale”: non ci sono più pescatori ma ci sono operai, le tecnologie di pesca sono cambiate enormemente, la pesca da fonte alimentare è divenuta un segmento integrato del ciclo capitalistico.
La pesca ha assunto le caratteristiche predatorie del sistema capitalistico: nessun rispetto per l’ambiente, nessun rispetto per le leggi internazionali, predazione di un bene comune, interessi neocoloniali, scontri di interessi tra gli stati.
In conseguenza le riserve ittiche si esauriscono, fame e migrazioni dai paesi poveri.

…e la pesca è solo una delle offese perpetrate dal capitalismo sul mare. Le altre ad una prossima puntata.

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