PALESTINA. Non cessano le invasioni in Cisgiordania, i raid israeliani su Gaza, le morti e gli arresti.

Di Giorgio Coluccia

Dopo la scomparsa dei tre coloni israeliani che risiedevano in zona C, cioè in una delle tante colonie illegali, sono iniziati i bombardamenti sulla striscia di Gaza e sono partite immediatamente le irruzioni e le occupazioni, giorno e notte, da parte dell’esercito israeliano, di numerose città e campi profughi della Cisgiordania che erano sotto il controllo dell’autorità nazionale palestinese:

La prima città ad essere occupata è stata Hebron dove, dopo aver messo a ferro e fuoco l’intera città, sono stati installati gli stessi check-point dell’invasione del 2002, e poi si è passati alle altre città, i villaggi ed i campi profughi con centinaia di arresti. Al decimo giorno erano già oltre 370 gli arrestati, ma la rappresaglia non si ferma ed è portata avanti in maniera massiccia; per fare un esempio dell’imponente dispiegamento di forze, basti pensare che la notte del 20 giugno i soldati che sono entrati nel campo profughi di Deheishe, sparando lacrimogeni per disperdere i ragazzi palestinesi che li ostacolavano “armati di tutto punto” di pietre, erano più di mille armati di tutto punto e accompagnati da grossi blindati ed hanno fatto irruzione in molte case distruggendo tutto, rubando i pochi soldi, picchiato gli abitanti ed hanno arrestato e portato via 35 palestinesi, molti dei quali erano ex detenuti rilasciati da pochi giorni in base agli ultimi accordi.

Questo raid ha comportato oltre alla distruzione di molte case anche il ferimento in maniera grave di cinque ragazzi, due sono stati schiacciati dalle jeep, uno è stato colpito alla testa ed ha perso un occhio, un altro colpito al petto ed uno ad una gamba; questa incursione è durata circa 4 ore e alla fine, prima di andare via hanno fatto irruzione, facendo saltare il portoncino blindato dell’ingresso, al centro culturale “Ibadaa”, che si trova all’entrata del campo profughi ed ha la funzione di accogliere sia chi chiede aiuto sia gli osservatori internazionali, dove si trovava un’osservatrice italiana(che ha raccontato tutto l’accaduto a Radio Onda Rossa) ed un palestinese, hanno messo a soqquadro il centro e portato via alcuni computer. Dopo alcune ore i 35 fermati sono stati rilasciati e gli è stato detto che l’obiettivo del raid non era arrestare loro o altri me far tremare e mettere sotto pressione tutti i palestinesi del campo e della Cisgiordania.

Un altro dato che ci può aiutare a comprendere la portata dell’operazione e che attualmente 20.000 soldati ammassati intorno a Ramallah. Questo modo di procedere evidenzia che l’obiettivo di questo violento attacco (bombardamenti, invasioni, distruzioni, arresti) contro il popolo palestinese non ha come obbiettivo la ricerca dei tre scomparsi, ma e l’ennesima azione per dimostrare ai palestinesi ed al mondo che comandano loro e che possono fare ciò che vogliono e quando vogliono e, nello specifico, per sancire definitivamente che i territori della zona C, che loro hanno occupato illegalmente, ormai fanno parte di Israele e sono inutili accordi o rivendicazioni di altra natura.

E’ altrettanto evidente che questa è una risposta in primo luogo al tentativo di riunificazione delle autorità palestinesi (Hamas e ANP) – infatti Israele ha chiesto aiuto all’ANP che glielo ha fornito o direttamente, scontrandosi con i giovani palestinesi, o restando a guardare di fronte alle razzie in Cisgiordania. Chiaramente ciò ha scatenato un forte protesta da parte del popolo palestinese tanto che il 22 giugno una manifestazione della popolazione di Ramallah si è conclusa con un lancio di pietre contro la sede della polizia palestinese. E’, inoltre, una risposta a chi vorrebbe incidere sui processi decisionali israeliani (ultimamente gli Usa, da anni ferventi difensori della politica israeliana, hanno dimostrato timide riserve sulle azioni del governo israeliano ndr.) E se servisse una conferma a quanto prima detto basta pensare al fatto che in questi giorni oltre ai raid terrestri in Cisgiordania ci sono stati continui bombardamenti sulla striscia di Gaza che nulla ha a che vedere con la ricerca dei tre coloni.
Per concludere ci teniamo a sottolineare che le tre persone israeliane scomparse (nessuno ha prove di rapimento o assassinio) non sono tre ragazzi studentelli inermi ma tre coloni armati e che facevano parte di gruppi di coloni (boys) che costantemente compiono irruzioni nei campi e nei villaggi palestinesi incendiando i raccolti o gli alberi di ulivo e devastando le fattorie palestinesi.

Un altro elemento da tenere in considerazione in questa fase è lo sciopero della fame attuato da alcuni prigionieri palestinesi che attuano questa forma di protesta da oltre un mese per attirare l’attenzione sulla loro condizione in quanto si trovano in carcere per un fermo amministrativo quindi senza accuse o imputazioni precise, e il governo israeliano pur di non rilasciarli aveva deciso l’alimentazione forzata. Collegata a questa problematica è la morte Arafat Jaradat, il giovane palestinese morto sabato 21 giugno 2014 in circostanze sospette in una cella israeliana. Questa morte ha toccato, appunto,un tasto più dolente in ogni famiglia palestinese: quello dei “prigionieri”. Al termine di un’autopsia, il ministro palestinese Issa Qaraqe ha imputato la morte di Jaradat a sevizie patite nelle prigioni di Jalame e Megiddo, nel nord di Israele. Il ministero israeliano della Sanità ha respinto le accuse, sostenendo che sul corpo non c’erano tracce evidenti di violenze e consigliando di attendere l’esito definitivo delle indagini. Ma la conferma dell’individuazione di due costole rotte (che Israele riconduce a maldestre manovre di rianimazione) rinfocola i sospetti. Mentre i familiari di Jaradat denunciano tumefazioni sul volto. Questa ennesima morte a causa dell’occupazione israeliana ha fatto divampare numerose proteste in Palestina, a Hebron (dove per ore si sono avuti scontri fra dimostranti ed esercito), a Nablus, a Ramallah, a Betlemme. In questa ultima località un adolescente di 13-14 anni è stato colpito al ventre da due proiettili sparati da militari israeliani. Il ragazzo è stato portato in un vicino ospedale in condizioni “molto gravi”. Nelle stesse ore un suo coetaneo è stato ferito, pure in forma grave, a Nablus.

Tutto questo evidenzia la tragedia che il popolo palestinese sta vivendo e mette a nudo l’insipienza della “comunità internazionale” che di fronte a tanta violenza non muove un dito mentre il popolo palestinese si ribella e cerca il sostegno internazionale. Prima di concludere e per correttezza dobbiamo segnalare che in Israele qualcuno ha manifestato a sostegno del popolo palestinese. Noi esprimiamo la più totale e profonda condanna nei confronti dell’operato del governo israeliano che si configura come l’ennesima violenza nei confronti del popolo palestinese con il chiaro intento di rubare e annettere allo stato israeliano ulteriori territori. Esprimiamo la più totale solidarietà con i palestinesi e ci impegniamo per rompere l’assordante muro di silenzio e disinformazione che circonda l’ennesima aggressione nei loro confronti.

Fonti: Radio Onda Rossa e Avvenire.it del 27/6/2014