L’avanzata delle destre in Europa e i compiti della sinistra di classe

Risoluzione della Direzione nazionale di Sinistra Anticapitalista

Ilaria Salis è stata eletta e probabilmente si sottrarrà abbastanza presto alla prigionia feroce del dittatore ungherese amico di Putin e Giorgia Meloni. E questa è sostanzialmente l’unica buona notizia di queste elezioni.

I risultati elettorali a livello europeo testimoniano soprattutto (ne sono una fotografia se pure distorta) della grande crisi sociale e politica che attraversa il continente dopo venti anni di politiche dell’austerità, di plurime crisi, tra cui quella ambientale, di scontri internazionali economici e politici sempre più duri e di un clima di guerra sospinto ogni giorno dalle terribili guerre già in corso in Ucraina e in Palestina, ma non solo.

La crisi si esprime in primo luogo nella disaffezione al voto che caratterizza molti paesi dell’UE, ma che è particolarmente evidente nel nostro paese, dove per la prima volta, si scende sotto il 50% (6 punti percentuali in meno rispetto al 2019) dei votanti con percentuali di astensionismo drammatiche nel Sud e in particolare nelle Isole dove è andato alla urne appena il 37%. 

Il primo partito è quindi quello del non voto che fotografa un mix di disillusione e frammentazione sociale che incide in modo permanente sul senso comune.

Il secondo elemento è che i governi dei due principali (e trainanti) paesi della UE, Francia e Germania vengono sonoramente battuti dalle opposizioni: in Germania da un partito popolare sempre più a destra che arriva primo e dai fascisti dell’AfD, che arrivano secondi con il crollo dei socialdemocratici; in Francia precipita il partito di Macron e il RN della Le Pen arriva primo col 32% dei voti. In molti altri paesi formazioni di estrema destra raggiungono risultati improvvisi e consistenti raccogliendo il malessere, la rabbia e l’insicurezza diffusa nella società, la paura del futuro ed agitando lo spauracchio dell’immigrazione. E’ la cosiddetta onda nera sull’Europa di cui sono in primo luogo responsabili sul piano politico coloro che in tutti questi anni hanno guidato le politiche economiche e sociali delle istituzioni europee.

Clamorosa la situazione francese dove l’affermazione di RN, a guida Le Pen-Bardella, ha spinto Macron a sciogliere il parlamento e a tornare alle urne tra tre settimane per provare a spuntarla con la sperimentata tattica del voto utile repubblicano dentro una legge elettorale ancora più esclusiva di quella che in Italia, combinando astensioni e mancati quorum, tiene fuori dalla possibilità di rappresentanza il 65% degli elettori.

Se qua e là in paesi di piccole o di medie dimensioni le forze socialdemocratiche e affini riescono a difendere meglio le posizioni, per cui sul piano delle/degli elette/i, la vecchia governance politica  composta da popolari, liberali  e socialdemocratici dispone ancora di una possibile maggioranza,  una maggioranza già spostata a destra come hanno dimostrato il recente patto sull’immigrazione e la riedizione del patto di stabilità e le scelte riarmiste; oggi poi, con il rafforzamento complessivo dell’estreme destre è impensabile che la gestione dell’Unione non conosca un ulteriore spostamento  a destra a partire dai temi del clima, e quindi della cosiddetta transizione  verde, per non parlare poi  del welfare e delle condizioni di vita delle salariate e dei salariati. 

In Italia la polarizzazione ha favorito Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia da una parte e dall’altra Schlein e il PD.

Meloni e il suo governo escono rafforzati dal voto, anche se dovranno affrontare la dura prova della legge finanziaria. Meloni ha anche  la possibilità di giocare un ruolo maggiore nella UE; vedremo quali carte cercherà di usare. Tra gli sconfitti nella destra va annoverata la Lega di Salvini che nemmeno l’effetto Vannacci riesce a mantenere al di sopra del 10%;  contemporaneamente invece riemerge Forza Italia, già data in via di estinzione, grazie soprattutto al voto del Sud.

La destra vince facilmente il voto regionale in Piemonte anche se il PD riesce a tenere abbastanza bene pur nel ruolo di forza di opposizione.

E’ sempre importante però avere una misura del voto non solo percentuale, ma anche di quella reale delle persone concrete; FDI vince ed è ad oggi egemone, ma nel quadro dell’astensione ottiene 600 mila voti in meno delle elezioni politiche; E così anche per La lega  che perde 375 mila voti.

IL PD mostra di essere il partito dell’opposizione più strutturato; supera il 24% con Schlein che  esce rafforzata; il PD è il primo partito in grandi città come Torino e Milano, ed ottiene 250.000 voti in più rispetto a 2 anni fa.

Vedremo se il voto amministrativo delle città confermerà non solo la tenuta del PD sul piano locale, ma anche un suo rafforzamento nel governo delle città.

A pagare il prezzo della polarizzazione è il M5S che si ferma al 10% e che, anche in questo passaggio, mette in luce non solo la sua debolezza strutturale, ma anche quella politica. Il PD ha oggi in mano il gioco delle possibili ricomposizioni delle forze di opposizione, tenuto conto anche dell’insuccesso di Calenda e Renzi battuti dai personalismi e buggerati da soglie di sbarramento che a suo tempo avevano caldeggiato. 

AVS costruisce invece una efficace campagna elettorale sia dal punto di vista della individuazione di candidature emblematiche e simboliche, sia sul piano della gestione politica riuscendo così ad ottenere un risultato al di sopra delle aspettative. Sfrutta appieno quel sentimento presente in strati di elettori che vorrebbero non solo un PD spostato a sinistra, ma anche una formazione che sia sua alleata ma che nello stesso tempo lo possa minimamente condizionare, tanto più al tempo del governo delle destre. E’ una illusione certo, ma anche una dinamica politica con cui la vecchia Rifondazione si era già imbattuta. E infatti già dalle dichiarazioni dei primi minuti dopo gli exit poll, il duo Bonelli-Fratoianni ha messo a disposizione del Pd il buon risultato ottenuto, anche grazie alle candidature della prigioniera antifascista e di Mimmo Lucano, non solo eletto al Parlamento europeo, ma anche rieletto sindaco di Riace.  

La ibrida e strana creatura di Santoro, unica lista ad aver raccolto le firme collegio per collegio, non è mai riuscita a decollare per la scarsa attrattività di una lista troppo eterogenea e in alcuni nomi ambigua ed anche campista rispetto al concetto di pace che pure avrebbe dovuto essere il collante della coalizione. 

Sommando i candidati pacifisti nel Pd al dato del M5S che ha inserito l’ashtag pace nel simbolo elettorale e ai voti di AVS e PTD l’istanza antiguerra più o meno confusa e tra molte contraddizioni politiche mostra una certa consistenza sebbene non si sia materializzata più nelle piazze nelle forme conosciute fino a qualche anno fa.

Certo, bisognerà osservare più da vicino i dati – paese per paese – specie quelli tedesco (dove gli ambigui scissionisti di Sahra Wagenknecht hanno prosciugato il bacino elettorale della Linke) e francese, per provare a intuire le dinamiche di un’onda nera che riguarda anche l’Italia dove la sinistra radicale ha armi spuntate da tempo o consegnate al Pd per campi così larghi da impedire qualsiasi agglutinamento sociale e politico capace di immaginare alternative anziché alternanze.

Dopo lo scontro elettorale arriverà subito la dimensione sociale dello scontro di classe sul terreno, del salario, dell’occupazione, delle morti sul lavoro, della sanità e del pieno ritorno al fossile. Sarà la partita decisiva. Il risultato certo non favorisce particolarmente le organizzazioni della classe lavoratrice e le forze anticapitaliste dell’alternativa; queste non solo e non tanto sono deboli o inefficaci sul piano elettorale, ma  anche e soprattutto lo sono sul piano politico e del loro inserimento sociale e sindacale. A sinistra del Pd e di Avs non c’è per ora alcun processo di ricomposizione prevedibile in tempi brevi e quindi forse crescerà ancora la forza attrattiva delle componenti campiste che, merito loro, sono riuscite ad avere un certo radicamento giovanile e sono troppo occupate a consolidare una microegemonia su quel che resta delle aree antagoniste da porsi il problema di allargare lo sguardo sulle urgenze della fase.

In primo luogo la necessità di costruire un vasto fronte sociale e politico di classe che sappia opporsi con impatto di massa alla avanzata e alle politiche delle destre più o meno estreme, dando vita a comitati unitari in tutte le città, nei territori e nei luoghi di lavoro. L’onda nera sull’Europa

costituisce un grave pericolo per il movimento e il futuro delle lavoratrici e dei lavoratori non solo su tutti i terreni sociali ed economici ma anche sugli stessi spazi democratici. E’ necessaria una mobilitazione antifascista immediata ed attiva, senza ulteriori indugi e ritardi. 

Così come resta all’ordine del giorno il sostegno alla lotta della GKN, il cui esito riguarda l’insieme del movimento di classe.

Si aprirà un dibattito a sinistra – a partire da Rifondazione che ne è ancora il pezzo più consistente – con frasi fatte del tipo “torniamo sui territori” e con rese dei conti drastiche, oppure si aprirà finalmente una discussione reale, ancorata alle necessità della lotta di classe, su che tipo di sinistra servirebbe per uscire da un modello di sviluppo disastroso, ricostruire una coscienza di classe, restituire speranza e appartenenza? Il primo compito è certo di creare le condizioni per costruire un’opposizione sociale forte e vincente contro il governo delle destre favorendo contemporaneamente l’aggregazione delle forze anticapitaliste che si pongono in rottura con l’attuale sistema economico e non limitandosi a cercare di costruirsi uno spazio un poco più grande in una nuova alleanza di un governo con il PD che, anche in questo passaggio elettorale, al di là delle effervescenza “rinnovatrice” più simbolica che reale della Schlein, non ha rotto in alcun modo con le sue istanze politiche strategiche di fondo, cioè con la sua natura.