Le nuove contraddizioni dell’UE e il voto di giugno

La difficoltà a costituirsi in un compiuto capitalismo europeo. La gestione politica e istituzionale della UE. Le contraddizioni del PSE e le debolezze delle sinistre. La sfida per il movimento operaio. Le proposte politiche emerse in Italia per le elezioni. Risoluzione del CPN di Sinistra Anticapitalista ★

L’Unione Europea, cioè la struttura protostatale che le borghesie dei paesi capitalisti europei si sono date per superare le storiche divisioni che hanno attraversato il continente  e per competere su scala internazionale con gli altri capitalisti, arriva alle elezioni del nuovo parlamento europeo (6-9 giugno) in una situazione internazionale segnata  dall’accelerazione della crisi ambientale,  dalle contraddizioni del sistema capitalista mondiale, dalla corsa al riarmo e alle guerre, da una forte debolezza competitiva rispetto ai suoi concorrenti imperialisti, segnatamente USA e Cina, priva di una capacità di governance comune di cui dispongono invece gli altri “competitors”.

1. La difficoltà a costituirsi in un compiuto capitalismo europeo

I capitalismi europei non sono riusciti ad integrarsi in un compiuto capitalismo europeo e  in una corrispondente borghesia europea; si sono dati una moneta comune, ma – caso unico nella storia – non un stato federale che costituirebbe una strumento decisivo per affrontare lo scontro economico e tanto più quello geopolitico tra le grandi potenze.

Di fronte alle difficoltà che in passato hanno segnato la storia della Comunità europea, poi diventata Unione Europea, l’intesa tra i due principali Stati e dei loro governi, Germania e Francia, aveva permesso di superare le diverse impasse e di rilanciare in avanti il processo di integrazione europeo, ma oggi la geografia economica, sociale e politica presente sul continente, con i suoi 27 stati che compongono l’UE (20 aderiscono all’euro), rende assai difficile questo schema operativo.

Il processo è stato segnato fin da metà degli anni 80 dalle scelte liberiste della borghesia che si sono espresse con particolare durezza negli ultimi 20 anni con le politiche dell’austerità che hanno prodotto profonde e drammatiche divisioni sociali in tutti i paesi del continente. Queste politiche si sono parzialmente interrotte di fronte alla devastante crisi pandemica, che ha riportato in primo piano il ruolo dell’intervento pubblico, ma questa scelta è durata lo spazio di un mattino; appena superato il momento più tragico si è si è rientrati rapidamente nel quadro ultraliberista e delle sue infernali ricette con l’adozione del nuovo Patto di Stabilità, ancor più restrittivo e cogente.

Le classi dominanti europee propongono un’Europa segnata da nuove dure politiche di austerità e dalla preparazione alle guerre, un’Europa fortezza, crudele contro i migranti, un‘Europa attraversata da tendenze autoritarie sempre più forti dove le involuzioni sociali si combinano con quelle antidemocratiche.

Quando i governanti europei proclamano apertamente che si deve passare da una “economia normale a una “economia di guerra”, si può comprendere cosa sia l’ulteriore cambio passo e quali ricadute pesanti avrà sulla condizione di vita delle classi lavoratrici e popolari.

2. La gestione politica e istituzionale della UE

Le strutture istituzionali dell’UE sono state gestite col connubio politico tra socialdemocratici (molto moderati e filo capitalisti), i partiti della destra storica tradizionale e quelli liberali, a cui faceva riscontro, sul terreno nazionale la concorrenza e l’alternanza governativa tra di loro presentata come il mondo migliore possibile e modello di democrazia che evitava ogni forma di estremismo e garantiva una buona gestione del sistema capitalista. Solo che dopo 30 anni di politiche liberiste di austerità, dopo la sconfitta del movimento dei lavoratori e delle forze della sinistra antagonista, la storia presenta il suo conto: quelle politiche hanno creato le condizioni per uno sviluppo, impetuoso delle forze delle estrema destra, scioviniste, reazionarie, nazionaliste ed anche fasciste, che in alcuni paesi sono giunte al governo, come in Italia e che i sondaggi danno in ascesa in tutto il continente, tanto da poter avere un ruolo determinante della gestione politica dell’Unione Europea. Imprevedibile che cosa possa prodursi da una gestione dell’UE di forze che da una parte hanno orientamenti nazionalisti e che nello stesso tempo possono disporre degli strumenti comunitari, tanto più ben conoscendo che ci sono importanti settori della borghesia che hanno scelto questi partiti per garantirsi lo sfruttamento e il loro dominio.

Un cambio di maggioranza rispetto alla tradizionale alleanza di gestione dell’UE tra conservatori, liberali e socialdemocratici, risulta ancora difficile, ma non è più del tutto escludibile. Per parte sua la Meloni, a partire dalla sua concezione del ruolo delle “patrie”, lavora e manovra per rafforzare i suoi legami con le forze della destra tradizionale, ma nello stesso tempo mantenendo e rinnovando i rapporti con numerosi partiti dell’estrema destra.

Ma è tutto il quadro politico che va a destra, a partire dalle scelte dei partiti europei tradizionali, che sperano in questo modo stupidamente di contenere l’ascesa delle forze dell’estrema destra, ma anche perché sono questi gli orientamenti delle borghesie.

Così alla vigilia delle elezioni il vecchio Parlamento, cioè la maggioranza dei tre partiti tradizionali ha varato tre misure fondamentali:

  • La nuova versione del Patto di Stabilità, per molti versi ancor più liberista e costringente per i singoli paesi (c’è ancora qualche discussione sull’interpretazione di alcune norme), una spada di Damocle pesantissima per i paesi che hanno il debito più alto e quindi per l’Italia che guida questa classifica con il 7,4% di Deficit e il 137,3% del rapporto Debito/Pil.
  • Politiche migratorie sempre più penalizzanti e crudeli nei confronti di chi fugge dalla fame, dagli stravolgimenti climatici e dalla guerra, rimettendo in discussione lo stesso concetto del diritto di asilo;
  • La corsa al riarmo che si esprime non solo con l’invio massiccio delle armi all’Ucraina nel quadro dello scontro con la Russia, ma con il rafforzamento delle spese militari e del dell’industria bellica e con il progetto dell’Europa militare.

L’involuzione violenta e antisociale di questa Europa capitalista si manifesta sempre più a tutti i livelli, senza che riesca però a superare alcune contraddizioni di fondo.

Difficile moltiplicare la spesa militare e nello stesso tempo contenere la spesa pubblica e ridurre il debito pur aumentando ancora lo sfruttamento del lavoro e tagliando quel che resta del welfare.

Difficile soprattutto, ma necessario, come ha scritto Draghi nella sua relazione sull’Europa, aumentare la produttività e la competitività per reggere il confronto con USA e Cina e rilanciare la forza del capitalismo del continente, sia perché i miliardi di euro necessari comportano cifre astronomiche, sia perché serve una superiore convergenza politica: “I nostri rivali ci stanno precedendo perché possono agire come unico paese con un’unica strategia”. Per questo Draghi propone la possibilità di decisioni prese a maggioranza e non col criterio dell’unanimità, con alcuni paesi che vanno avanti.[1]

Infine il nodo dello strumento militare: si tratta di costruire una “force de frappe” europea indipendente per far fronte alla Russia e agli scontri futuri, compresi quelli relativi al controllo delle materie prime indispensabili per i processi della cosiddetta transizione verde, ma nello stesso tempo restando nel quadro dell’alleanza atlantica della Nato.

3. Le contraddizioni del PSE e le debolezze delle sinistre

I rappresentanti politici delle maggiori forze italiane nel Parlamento europeo di fronte alle misure prima richiamate hanno fatto scelte di voto tattiche, ricorrendo in vari casi all’astensione (da destra o da sinistra) ed anche al voto contrario avendo lo sguardo rivolto all’elettorato italiano e alla necessità di ciascuno di loro di conseguire il migliore risultato possibile l’8 e 9 giugno per consolidare o riconquistare un maggior ruolo politico nel nostro paese.  

Per quanto riguarda il partito socialista europeo, di cui il PD costituisce parte assai importante, si batte per non uscire indebolito nelle prossime elezioni; nella sua recente assise di Berlino ha riaffermato con il Manifesto “Dichiarazione di democrazia di Berlino” la sua ferma opposizione alle forze dell’estrema destra con le quali esclude qualsiasi accordo (ci mancherebbe altro!); questa presa di posizione vuole anche e soprattutto sollecitare liberali e conservatori, affinché mantengano nel nuovo parlamento la tradizionale alleanza di governo tra le tre forze.

Solo che il problema è un poco più semplice e complesso allo stesso tempo: oggi la battaglia antifascista, più che mai indispensabile e necessaria, risulta priva di una reale possibilità di successo (rischia anzi di apparire quasi ipocrita e formale) se non si accompagna ad un rigetto delle politiche liberiste che hanno spianato la strada ai movimenti della estrema destra e fascisti e da un organico  progetto di rilancio sociale e di rifiuto della corsa al riarmo.

Il processo di unificazione dell’Europa avrebbe dovuto da sempre essere accompagnato da una gestione collettiva dei processi economici, sostenuto da una fiscalità comune che permettesse di gestire forti investimenti verso i paesi più deboli per l’omogeneizzazione economica, da piani sociali per ridurre le diseguaglianze, dall’equiparazione verso l’alto di welfare e salari, dalla distribuzione in modo equo degli aumenti di produttività. La socialdemocrazia da tempo ha scelto un‘altra strada ed è pienamente responsabile dei disastri che si sono prodotti.

Lo vediamo quotidianamente in Italia, dove l’incerto e generico “nuovo corso” della Schlein non riesce a cambiare la direzione di marcia del suo partito segnato dalla gestione delle politiche dell’austerità e dalla sua natura di classe (borghese).

Ma la strada per i partiti che si collocano a sinistra della socialdemocrazia e che sono raggruppati nel GUE (37 deputati), il gruppo parlamentare europeo più piccolo, si presenta egualmente in salita; non sarà facile per loro confermare o migliorare la loro presenza, certo utile e necessaria al di là delle loro debolezze politiche, nell’assemblea di Bruxelles. In particolare gli eventi e le divisioni che si sono prodotti in Francia e Germania e nello stesso Stato spagnolo pongono una serie di interrogativi sui risultati che saranno raggiunti.

Per quanto riguarda l’Italia va fatta anche una considerazione sul piano delle condizioni assai poco democratiche su cui si svolge il processo elettorale. Il primo luogo vanno rimessi in discussione i criteri di presentazione delle liste con norme costruite dalle forze politiche maggiori per garantirsi non solo una posizione di privilegio e di presenza automatica, ma anche di esclusività, rendendo difficilissima od anche impossibile la presenza delle forze scomode e di alternativa. Assurdo, per esempio, è il numero di firme necessarie da raccogliere in regioni molto piccole per la presentazione. In secondo luogo porre lo sbarramento al 4% per avere diritto alle/agli elette/i è compiere un atto fortemente antidemocratico e lesivo della rappresentanza e dei diritti delle/dei cittadine/i, al fine di garantire un diritto feudale alle forze maggiori. La prima legge elettorale italiana per il Parlamento europeo, vigente dal 1979 fino al 2004, era invece pienamente democratica e proporzionale senza alcun sbarramento. La modifica della legge con l’introduzione dello sbarramento al 4% è avvenuta nel febbraio 2009 sotto il terzo governo Berlusconi con una legge votata da tutti i principali gruppi parlamentari.  

4. La sfida per il movimento operaio

Il movimento operaio e popolare ha di fronte una doppia sfida: le contraddizioni del sistema capitalista e il violento attacco delle classi padronali per superarle sulla pelle dei lavoratori rendono più che mai necessaria una battaglia anticapitalista per porre fine a questo sistema di sfruttamento e di ingiustizia, che trascina il mondo verso la guerra e la catastrofe sociale ed ambientale.

Più che mai di fronte all’Europa matrigna dei padroni e dei capitalisti, bisogna costruire la prospettiva di un’altra Europa, l’Europa delle lavoratrici e dei lavoratori, l’Europa dei diritti per tutti i popoli, attraverso un orientamento e una pratica internazionalista e solidale.

La risposta da parte del movimento delle lavoratrici e dei lavoratori non può che partire dalla dimensione sociale, dal rifiuto delle politiche di austerità in tutte le sue varianti, contrastando ogni tentativo di divisione, non ripiegando sul nazionalismo che farebbe solo il gioco dei padroni stessi, ma anzi praticando sempre di più una visione, una politica e una mobilitazione internazionale.

Serve dunque un triplo passo:

  • lottare nel proprio paese contro la propria classe dominante e i suoi governi, respingere i ricatti e le politiche dell’austerità;
  • lottare contro i progetti di rilancio del capitalismo europeo e la corsa a riarmo e l’Europa militare, contro la fortezza Europa.
  •  ricercare una mobilitazione europea, un’azione comune tra le lavoratrici e i lavoratori dei diversi paesi, a partire dalle fabbriche di una stessa multinazionale, dai settori e dalle categorie per contrastare i padroni costruendo una unità sempre più ampia al di sopra delle frontiere sia quelle storiche, sia quelle costruite contro i migranti.

In gioco è il futuro delle classi lavoratrici; nelle mobilitazioni sociali va ricostruito il nuovo progetto solidale e internazionalista contro il dominio del capitale.

Il ruolo delle organizzazioni sindacali e delle mobilitazioni per difendere salario occupazione e diritti dovrebbe essere il primo tassello per costruire le risposta alle politiche del capitale.

La Confederazione europea dei sindacati (CES) costituita da 89 Confederazioni sindacali nazionali di 39 Paesi europei e da 10 Federazioni industriali europee, con 45 milioni di lavoratrici e lavoratori aderenti, avrebbe la possibilità ed anche la forza per costruire una mobilitazione europea, ma non è questa la scelta dei gruppi dirigenti, profondamente subalterni alle istituzioni e al potere capitalista che hanno reso questa struttura solo un grande apparato burocratico, assai poco operativo.

Eppure in Europa sono tanti i movimenti sociali presenti. Milioni di persone si rivoltano contro le politiche autoritarie, violente ed ingiuste, ma se non emerge una mobilitazione sociale e sindacale convergente, senza una prospettiva collettiva ed emancipatrice, senza un progetto politico di alternativa anticapitalista è l’estrema destra che trae i massimi vantaggi e che rischia di essere vincente. Più che mai coloro che lottano e si ribellano devono unire le loro forze nella battaglia sociale. Era questa per altro la proposta della GKN quando ha lanciato l’appello dell’insorgenza e della convergenza. Nel quadro delle elezioni europee, sarebbe stato necessario costruire uno schieramento forte e antifascista contro l’Europa liberista, antidemocratica e sempre più militarista, per difendere le politiche della solidarietà e della giustizia sociale, le condizioni di vita delle classi lavoratrici e popolari, capace anche di portare le battaglie ecosocialiste in un  Parlamento Europeo che non deve essere lasciato totalmente in mano alle forze delle destre estreme e alle altre forze conservatrici e socialiberiste del tutto interne alle logiche del sistema.

Si trattava di unire le forze di una sinistra di lotta con un chiaro programma di rottura con le logiche del capitalismo.

Contro l’Unione Europea capitalista, per un’Europa delle lavoratrici, dei lavoratori e dei popoli, contro le involuzioni autoritarie e ogni sorta di fascismo, per l’uscita dalla Nato e lo scioglimento di tutti i blocchi militari, per il cessate in fuoco in Ucraina e il ritiro delle truppe russe, per il diritto all’autodeterminazione di tutti i popoli, perché cessi i genocidio del popolo palestinese da parte del governo israeliano e siano riconosciuti i suoi diritti, per l’accoglienza dei migranti e per la libertà di circolazione, la requisizione della grandi banche ed imprese, in primis quelle dell’energia, per porre fine alla corsa alle armi e alla guerra e la riconversione dell’industria bellica, per un movimento internazionale contro le guerre, per una transizione ecologica che rompa con il capitalismo e i produttivismo e una armonizzazione verso l’alto dei diritti sociali europei che vanno difesi con le unghie e coi denti, per la difesa dei diritti civili, per il diritto all’aborto, per i diritti delle donne e delle persone LGBTQIA+.

Più che mai c’era e c’è la necessità per le forze anticapitaliste, di saper collegare le battaglie quotidiane sociali, economiche, sui diritti, con obiettivi che preparino ed evochino una transizione oltre il capitalismo, cioè in una logica e prospettiva della necessità di un’alternativa ecosocialista a questo sistema di sfruttamento ed oppressione. La convergenza e l’insorgenza presuppongono il tentativo di costruire questo processo, di renderlo credibile, partendo dalla concretezza dell’agire sociale materiale, ma anche caricandolo di una dose di “utopismo”, contrastando cioè il T.I.N.A. thatcheriano (non ci sono alternative) dominante e che invece è necessario e possibile cambiare le cose del mondo.  La nostra organizzazione svilupperà la sua campagna politica ed elettorale a partire da questi contenuti.

5. Le proposte politiche emerse in Italia per le elezioni

Non hanno queste caratteristiche, anzi ne sono ben lontane, le due proposte politiche emerse in queste elezioni diverse da quelle delle destre e dei due partiti maggiori di opposizione PD e M5S. Nessun progetto radicale, anticapitalista, ecosocialista ancorato su una prospettiva e un lavoro sociale, ma solo il tradizionale navigare in funzione elettorale. Le organizzazioni della sinistra radicale per i loro orientamenti e gli errori compiuti non hanno nemmeno provato a costruire un altro percorso sociale e una presenza elettorale coerente con una prospettiva alternativa di sistema.

E Sinistra Anticapitalista per la sua dimensione politica-organizzativa non ha potuto e saputo costruire le condizioni perché le forze politiche e sociali radicali della sinistra imboccassero altre strade.  

Lo scenario elettorale che si presenta nel nostro paese, vede quindi da una parte la lista di Sinistra italiana e dei Verdi che, se da una parte avanza un programma riformista e pacifista contro le politiche liberiste e di guerra, dall’altro configura da sempre strettamente la sua azione e il suo ambito politico all’interno della coalizione con il PD, che invece ha in varia forma gestito e le politiche economiche ed istituzionali che hanno prodotto molte delle catastrofi attuali.

Dall’altra parte troviamo l’eterogeneo raggruppamento promosso da Santoro, a cui aderisce anche il PRC, che si propone una ispirazione pacifista, ma che si configura volutamente senza alcun riferimento di classe raggruppando eterogenei personaggi di varia ed incerta provenienza, alcuni anche sul versante campista di Putin, nonché varie altre ambiguità sia sul terreno della Nato che sul sostegno al popolo palestinese, una miscellanea strettamente elettoralistica e segnata dalle note caratteristiche del suo promotore.

Nello stesso tempo esiste la necessità e volontà (frustrata dalle scelte dei gruppi dirigenti delle sinistre radicali) di tante e tanti militanti e soggetti di non lasciare ulteriore spazio alle destre, alla loro propaganda che alimenta le peggiori ideologie reazionarie e tutti i luoghi comuni del razzismo bianco, maschile, omofofobo e beninteso avversi ai diritti delle donne e della comunità LGBTQIA+.

Candidature come quella di Ilaria Salis, espressione di una scelta e di una militanza antifascista più che mai necessaria e di altri militanti sociali come Mimmo Lucano protagonista dell’accoglienze dell’integrazione dei migranti e Fabio Alberti da sempre impegnato nella costruzione dei ponti e della solidarietà tra i popoli che per la loro attività e le loro posizioni rappresentano pratiche e contenuti di alternativa alle destre e alle forze filocapitaliste, avrebbero dovuto trovare posto in una lista di alternativa come quella che avremmo voluto si costruisse.

Poniamo quindi al centro del nostro lavoro l’attività sociale a partire dal sostegno alla lotta della Gkn e alla costruzione dei movimenti rivendicativi delle lavoratrici e dei lavoratori correlata a una campagna elettorale in cui porteremo avanti i contenuti espressi nel punto 4.

I primi 4 punti della Risoluzione sono stati approvato all’unanimità dal CPN, il punto 5 a maggioranza.

NOTA


[1] Per meglio comprendere il problema è utile far riferimento a quanto Draghi ha affermato nella sua relazione sulla competitività dell’Europa.

Abbiamo confidato nella parità di condizione globale e nell’ordine internazionale basato sulle regole, aspettandoci che gli altri facessero lo stesso che non è stata rispettata la parità di condizioni globale e delle regole” quasi che non conosca il sistema capitalista, aggiungendo poi: “Ma ora altre regioni non rispettano più le regole e stanno elaborando politiche che nella migliore delle ipotesi sono progettate per reindirizzare gli investimenti verso le loro economie a scapito delle nostre; e nel peggiore dei casi pere renderci permanentemente dipendenti”.

Il riferimento non è soltanto alla Cina, ma in primo luogo agli Stati Unit. “Ripristinare la nostra competitività non è qualcosa che possiamo raggiungere da solo o solo battendoci a vicenda. Ci impone di agire come Unione Europea in modo mai fatto prima”.

La Cina mira a catturare tutte le parti della catena di approvvigionamenti di tecnologie verdi ed avanzate e sta garantendo l’accesso alle risorse necessarie…. Gli Stati uniti stanno utilizzando una politica industriale su larga scala per attrarre capacità manifatturiere nazionali, utilizzando il protezionismo per escludere i concorrenti, dispiegano il loro potere geopolitico per riorientare e proteggere catene di approvvigionamento. I nostri rivali ci stanno precedendo perché possono agire come unico paese con un’unica strategia

Il nodo che attanaglia l’UE è in questa affermazione lapidaria.