La resistibile ascesa di Matteo Renzi

di Franco Turigliatto

matteo-renziIl giovane Renzi brucia le tappe della carriera politica, rinnega le affermazioni su cui una settimana prima aveva giurato, pugnala alle spalle, come in tutte le congiure di palazzo, il collega a cui aveva rassicurato la sopravvivenza, tira dritto incurante delle regole scritte e non scritte per arrivare all’agognato obbiettivo della sua ambizione, la guida di un nuovo governo, del suo governo.

Lo può fare perché si è assicurato il patto con l’amico concorrente Berlusconi, perché il governo Letta dopo appena un anno, è completamente logoro, perché nel suo partito non c’è nessuna alternativa, perché i media lo sostengono, perché il movimento sindacale è complice delle politiche padronali ed ha appena firmato un accordo con la Confindustria che ha la funzione di impedire le lotte contro le politiche di austerità, perché quest’ultima sa di avere in lui un soggetto affidabile e così anche la finanza, perché nella società c’è tanta demoralizzazione e disperazione dove molti cercano una loro speranza alla miseria attuale, disponibili ad affidarla a qualche demiurgo o a qualcuno che tale appaia attraverso i media.

E il programma di Renzi qual’è?

Il programma, avete detto programma?

Il programma nel percorso di Renzi è del tutto secondario; la sua azione consiste nell’apparire come colui che cambia, che rompe le regole, che agisce, che butta via le vecchie nomenklature, che non guarda in faccia nessuno, che propone subito “la speranza”. Per questo il tempo non stava giocando a suo favore; doveva incassare subito la vittoria delle primarie del PD, doveva dimostrare che lui non si ferma, che la sua azione era efficace e non si faceva ingabbiare dalle vecchie pastoie di partito e parlamentari. Non potendo avere subito le elezioni, dopo qualche esitazione, ha scelto di forzare i tempi e di provare a guidare direttamente un governo di coalizione, anche perché si è alla vigilia del semestre italiano alla guida dell’Europa, una vetrina e un ruolo, che sapeva di non poter lasciare ad altri senza correre il rischio di arretrare.

Già, il programma, ma il programma non c’è bisogno che lo elaborino Renzi e la sua equipe, il programma è quello della Confindustria, è quello che i padroni continuano a chiedere, mastini affamati che non si accontentano mai e vogliono sempre di più.

Il programma non è altro che una ulteriore accelerazione delle controriforme già realizzate negli anni passati, a partire, vedremo sotto quale forma, da nuove consistenti riduzioni di imposta per le imprese, di ulteriori liberalizzazioni del lavoro e di flessibilità, di mirabolanti promesse sui posti nella ricerca e dei loro miracolosi effetti sulla occupazione giovanile. E naturalmente il programma è anche la conferma di un altro vigoroso taglio alla spesa pubblica con la spending review. E’ esattamente quello che da dieci anni a questa parte, governo dopo governo, hanno fatto in misura sempre più ampia con i risultati che ben conosciamo.

L’unica cosa che viene rigorosamente negata, anzi neanche evocata, perché è un dogma indiscusso, è che lo stato intervenga direttamente in economia e che crei nuovi posti di lavoro, come invece sarebbe d’obbligo di fronte a una crisi così profonda.

Già perché questo è il problema: nessun ulteriore regalo ai padroni rilancerà mai l’economia in questa fase di accumulazione del capitalismo, nessun padrone investirà di più e soprattutto assumerà avendo di fronte prospettive difficili, un mercato in contrazione e bassi consumi indotti proprio dai meccanismi delle politiche di austerità; al massimo, come ha fatto il padronato finora invece di assumere un lavoratore a tempo indeterminato ne assumerà uno giovane con contratto più vantaggioso (per il capitalista), o addirittura sostituirà un “vecchio” lavoratore con uno, forse più giovane, ma soprattutto più conveniente.

Ma c’è un’altra ragione di fondo per cui la disoccupazione rimarrà a livelli altissimi: la formazione di un grande esercito industriale di riserva di disoccupati non è solo un effetto di questa fase di crisi del capitalismo, ma è anche una scelta politica strategica delle classi dominanti in Europa per ricattare la classe lavoratrice e ridisegnare il volto sociale del continente.

Un secondo capitolo dell’agenda programmatica di Renzi già è ben conosciuto: una legge elettorale capestro, una Costituzione modificata geneticamente, un senato di ottimanti nominati dall’alto, la democrazia che, come una pelle di zigrino si rattrappisce, con le elettrici ed elettori sempre più chiamati a esprimersi su due prodotti di eguale contenuto e sui cui c’è solo l’etichetta diversa nel volto del capo che deve guidare il paese. Ah, dimenticavo di dire, che se c’è qualcuno che propone sul mercato un prodotto meno avariato, questo non deve neanche più mettere piede dentro il Parlamento; il parlamento come è già in gran parte oggi, deve essere solo per i rappresentanti dei prodotti omogeneizzati liberisti.

Il PD dei giovani rampanti

Per fare queste operazioni Renzi ha rimodellato un PD, macerato dalle sconfitte, un Pd che passo dopo passo in questi anni ha assunto tutte le politiche del liberismo e i paradigmi della società capitalista, con una base sempre più ansiosa, alla ricerca disperata di qualcuno che li portasse infine alla vittoria. La giovane equipe che si è radunata intorno a lui, con il sostegno di alcuni vecchi notabili, promossa non per meriti propri, ma per demeriti degli altri, è priva di qualsiasi legame col passato, è cresciuta e vive in questa società così com’è, che accetta che il mondo sia dei potenti, che pensa di costruire il suo futuro personale e collettivo dentro la corrente dei tempi. Ambiziosi e superficiali, si definiscono democratici, ma in realtà la loro democrazia somiglia a quella di un normale consiglio di amministrazione di una azienda, compreso le loro riunioni, e non a caso sono portatori attivi insieme a Berlusconi, e dentro la scelta storica delle classi dominanti di una ulteriore involuzione istituzionale autoritaria, antidemocratica; una scelta nello stesso tempo finalizzata a colpire il movimento dei lavoratori e i diritti democratici e del lavoro.

L’instabilità dei governi e la crisi di direzione

In realtà le vicende politiche mettono in luce anche un altro elemento di fondo: dentro la crisi economica la borghesia ha difficoltà a trovare un assetto istituzionale e politico stabile, a darsi dei governi con maggiore continuità e soprattutto che possano godere di un largo consenso popolare, l’unica vera garanzia di stabilità sul medio periodo.

Nel ruolo di garante della stabilità borghese il presidente Napolitano ha prima garantito nell’autunno del 2010 la continuità del governo Berlusconi minacciato dalla scissione di Fini, poi nel 2011 il defenestramento di Berlusconi e l’arrivo del governo “salvifico” di Monti Fornero”, poi, dopo il non successo di Bersani, l’irrilevanza elettorale della formazione di Monti Casini e il parricidio nelle elezioni alla presidenza della Repubblica di Marini, Prodi e Rodotà, la sua rielezione, a cui è seguita la costruzione del governo delle larghe intese, poi delle piccole intese. Oggi, sembra a malincuore, deve dare le chiavi di Palazzo Chigi a Renzi, di cui, dall’alto della sua esperienza e percorso storico, non può sentirsi del tutto rassicurato, in particolare su cosa andrà a fare in giro per il mondo dove si troverà di fronte soggetti di altro peso politico ed economico. Sullo scenario internazionale non sarà sufficiente la rappresentazione mediatica, come già ha dimostrato l’esperienza di un altro che pure ci sa fare su questo terreno, cioè Berlusconi.

Per altro la difficoltà di darsi una direzione politica stabile è un problema che attraversa in varia misura tutti i paesi del continente; non è facile condurre politiche economiche e sociali che fanno a pezzi elementi della condizione di lavoro, di servizi sociali, di occupazione che si erano consolidati a partire dal secondo dopoguerra, pauperizzare milioni di persone, avere oltre 25 milioni di disoccupati, bruciare rapidamente le speranze di cambiamento di chi ti aveva votato pochi mesi prima e nello stesso tempo mantenere consenso e sostegno in larghi settori di massa. Per questo un governo come quello di Hollande si è logorato rapidamente, per questo da molte parti la borghesia deve ricorrere ai governi di coalizione per garantirsi la governabilità, per questo si moltiplicano le svolte autoritarie come strumento fondamentale per la gestione del governo e la stabilità borghese. L’Unione Europea è l’esempio concreto della mancanza di democrazia e dell’autoritarismo. Ma anche per questo fette sempre più consistenti dell’elettorato si estraniano, con una massa che non investe più sul voto, ma che costituisce comunque una minaccia, una mina vagante sugli equilibri; ma anche e soprattutto nuovi consensi che in questo clima di deriva sociale conquistano le forze reazionarie, populiste ed anche dichiaratamente fasciste.

Non sappiamo quanto e come funzionerà l’esperienza di Renzi, non mancheranno le trappole che qualcuno metterà in atto né le difficoltà che speriamo possano venire anche dalle mobilitazioni dei lavoratori. Inoltre le elezioni non sono rimandate al 2018, potrebbero arrivare prima e Berlusconi già le evoca per il prossimo anno; è vero che Renzi punta a conquistare direttamente con la sua politica settori di destra, ma il caimano ha dimostrato anche ultimamente molte vite. Vedremo.

Non restare passivi, costruire l’opposizione al nuovo governo

Per questo la chiave di volta per non restare passivi di fronte alla resistibile ascesa dei Renzi e di quel che rappresenta, cioè un’ulteriore fase di involuzione sociale e politica, accompagnata per ora da una certa attesa in alcuni settori sociali verso il “nuovo” rappresentato dal dinamico sindaco di Firenze, si colloca in primo luogo sul piano sociale, nella lotta delle lavoratrici e dei lavoratori per difendere occupazione, reddito e diritti.

Le cose non sono facili; per impedire una ripresa del movimento operaio le burocrazie sindacali e i padroni stanno costruendo un vergognoso sistema neocorporativo con l’accordo del 31 maggio e il suo perfezionamento del 10 gennaio, che ha la funzione di garantire ruolo e spazi solo agli apparati e ai sindacati che accettano appieno le regole e le richieste del capitalismo, che sanzionano tutti coloro, sindacati, delegati o lavoratori che vogliano ancora difendere realmente le condizioni di vita e di lavoro dei salariati.

La correlazione tra le vicende politiche e quanto sta avvenendo dentro i luoghi di lavoro è totale. Renzi non potrebbe esistere o non avrebbe quel successo e quella parziale credibilità con una lotta sindacale reale in piedi.

Non è facile sbloccare una situazione così difficile e degenerata dal punto di vista dei rapporti di forza e della coscienza di classe di larghi settori popolari, tuttavia è possibile assumere alcuni orientamenti politici e alcune tracce di lavoro che sono necessari ed indispensabili.

In primo luogo per chi milita nei sindacati e agisce nei luoghi di lavoro una completa contrapposizione con le forze padronali, ma anche una completa indipendenza e alternatività rispetto ai gruppi dirigenti burocratici, compreso quello della CGIL. Per questo è così importante la battaglia dell’opposizione in questa Confederazione e gravissimo errore di opportunismo hanno compiuto quelle forze della sinistra che non se ne sono accorte o che peggio ancora, attraverso i loro iscritti, hanno finito per sostenere il documento Camusso. Lo ripetiamo ancora: non è secondario al fine di una capacità di resistenza del movimento dei lavoratori che si configuri una corrente di classe all’interno della principale organizzazione sindacale del paese, dopo che la direzione della FIOM, con i suoi errori ed oscillazioni, ha dimostrato tutte le sue debolezze e insufficienze

Per questo le forze sindacali che vogliono essere utili alle battaglie dei lavoratori, devono lavorare senza tentennamenti a costruire l’unità d’azione reale e un programma d’azione sui contenuti e sulle iniziative di lotta, piuttosto che privilegiare l’effimera affermazione di questa o quella sigla, magari costruita sulle sconfitte o difficoltà delle altre.

In secondo luogo anche le forze dirigenti che animano movimenti sociali, ambientali, locali, il cui impatto politico varia a seconda delle esperienze, ma che in ogni caso si scontrano con le politiche dell’austerità tese a garantire i profitti e le rendite con le grandi opere, le privatizzazioni, la distruzione dei territori, non possono non porsi il problema di una coerenza anche politica, cioè di indipendenza reale con le forze politiche che queste scelte gestiscono; la scelta di praticare una politica di lobby di pressione, di far correggere il tiro al PD è del tutto perdente.

Ma questo vale a maggior ragione per quel che resta delle forze della sinistra. Essa potrà essere utile, recuperare forze, solo se saprà riportare piena coerenza nella sua azione, a partire naturalmente da una comune iniziativa sul piano sociale e sindacale, ad essere soggetto attivo nella costruzione di un fronte unitario sul piano sociale, di comitati contro l’austerità, nel sostegno alle iniziative sindacali di classe e antiburocratiche.

Meglio, anzi molto utile, se questa unità d’azione si esprimesse anche nelle consultazioni elettorali, non per avere come finalità unica e primaria la conquista di un posto nelle istituzioni, posti sempre più ristretti e in molti casi ormai inaccessibili, ma per utilizzare tutti gli strumenti pubblici a disposizione per costruire la credibilità della lotta contro le politiche di austerità per un programma alternativo.

La strada è piuttosto lunga, ma proprio per questo è meglio mettersi in cammino con spirito unitario, pur nella diversità, sapendo che il cammino è profondamento diverso da quello del PD; che anzi è proprio l’opposizione sociale e politica quella che va costruita contro il governo padronale di Renzi e chi lo sostiene.

Per altro queste sono le modalità migliori per affrontare in modo positivo e costruttivo l’altro problema che la situazione politica e sociale pone alle sinistre anticapitaliste; esiste una opposizione ampia in parlamento e nel paese che si esprime del voto e nel sostegno al movimento 5 Stelle. Abbiamo scritto anche recentemente su questo sito dei limiti profondi e delle incertezze future di questa formazione politica che si riassumono in due elementi: la natura del suo gruppo dirigente racchiuso in due persone e dei metodi di gestione da una parte, dall’altra, che questa formazione pur capace in alcuni passaggi di alcune battaglie democratiche sul terreno istituzionale, si limita a sua volta a chiedere al popolo una delega (votateci, mandateci al governo e noi spezzeremo la corruzione e salveremo il paese) ed è del tutto estranea a un’idea e prospettiva di ricomposizione sociale e di lotta, a partire dall’attività di un sindacalismo di classe.

E’ questa invece la reale chiave di volta per riuscire a costruire un’opposizione adeguata, una reale alternativa, a modificare i rapporti di forza dando efficacia al desiderio di resistenza di alcuni settori e all’incertezza/attesa delle più larghe masse.

La mobilitazione e l’autoorganizzazione delle classi lavoratrici è la ragione per cui è nata la sinistra di classe ed è il compito immediato e storico per cui deve lavorare.