Gaza, lo spettacolo della pace che non c’è

La strada di casa Il piano di pace per Gaza per ora sembra “soltanto” uno scambio di prigionieri [Tommaso Di Francesco]

«Là dove il mondo reale si cambia in semplici immagini, le semplici immagini divengono degli esseri reali…»: così Guy Debord ne La società dello spettacolo. C’era già l’annuncio spettacolare dell’accordo ma giovedì mattina e ancora ieri mattina i cacciabombardieri israeliani hanno martellato la Striscia e Gaza City pesantemente con decine di morti e feriti, nonostante tutto sia già raso al suolo, per non lasciare inevaso il «lavoro sporco» del terrore, con minacce diffuse ai gazawi perché non si recassero a nord “zona pericolosa di battaglia” dove invece tentano ora di ritornare. Ieri alle 12 il cessate il fuoco, solo il primo dei famosi 20 punti, è davvero cominciato, sotto la voce tuonante di Netanyahu: «Se il piano non sarà raggiunto sarà guerra».

C’è dunque «la pace in Medio Oriente» annunciata in diretta da Trump dopo il pizzino del ministro Rubio? Il fatto è che nella notte e poi per tutto il giorno di ieri il popolo di Gaza ha festeggiato. Che avrebbe detto Ali Rashid, che da poco ci ha lasciato? Abbiamo provato a guardare con i suoi occhi fraterni. Abbiamo rivisto il sorriso sui volti degli adolescenti e dei bambini una luce inusitata da quando sono nati, o meglio dall’ultimo massacro di Piombo Fuso, convinti stavolta che il tiro al bersaglio su di loro sia finalmente cessato. Pur sapendo che almeno 64mila bambini uccisi, feriti e mutilati – dati dell’Unicef – non potranno certo gioire, come non partecipare della loro gioia, come non condividere, fosse solo un malriposto sentimento di sollievo, il respiro di una generazione che per ora sembra avere scampato il genocidio che c’è stato e che ha mirato a distruggere una parte della loro vita con le bombe, con la distruzione di ogni casa e infrastruttura civile, con gli ospedali e le scuole rase al suolo, con la fame come arma. Per il quale chi è responsabile e chi è stato a guardare complice, dovrà risponderne alla Corte penale internazionale.

Ma è davvero finita questa guerra come rivendica un tracotante Trump, ed è avviata a soluzione con questo accordo la questione palestinese? Che non è così c’è significativamente la assai tiepida accettazione dell’accordo tra Netanyahu e Hamas di Abu Mazen, il presidente di quella che ci ostiniamo a chiamare Autorità nazionale palestinese – che vede in frantumi la sua storia a cominciare dalla cancellazione degli accordi di Oslo e dalla non salvaguardia della integrità dei Territori palestinesi sotto occupazione militare e rioccupati dai coloni, così tanto da impedire la continuità di uno Stato – , e probabilmente consapevole che la trattativa che lo ha escluso con i termini dell’accordo ora siglato, celebrano insieme sia l’irremovibile Netanyahu che porta a casa gli ostaggi come da promessa alle famiglie israeliane, che Hamas che non disarma, arruola nuovi seguaci, allarga consensi in West Bank e diventa, nonostante il 7 ottobre, il partner privilegiato di Paesi arabi sunniti decisivi, come già il Qatar ma anche di Arabia saudita, petromonarchie decisive per gli interessi economici Usa, l’Egitto sotto il tallone di Al Sisi e la Turchia di Erdogan; e si propone come l’interlocutore privilegiato degli stessi Stati uniti – non è esagerato se solo si guarda a Trump che plaude all’ex qaedista Al Jolani arrivato “ a sua insaputa” al potere a Damasco con il sostegno armato e diretto di un paese della Nato come la Turchia.

In realtà questo annuncio per ora sembra “soltanto” uno scambio di prigionieri – gli ostaggi ancora fortunatamente vivi e quelli morti per quasi duemila prigionieri palestinesi tra i quali 200 cosiddetti “ergastolani” condannati per gravi per attentati.

È un accordo pieno di non detti e promesse, fatto al di fuori delle sedi delle Organizzazioni internazionali come le Nazioni unite e quel che è peggio i palestinesi come soggetto politico non ci sono o sono messi ai margini; la Striscia di Gaza – che l’Idf occuperà ancora per il 53% – si avvia al protettorato d’affari a guida Trump e Blair, Gerusalemme est rimane capitale di Israele, la Cisgiordania resta occupata e ricolonizzata. Non sarà liberato Marwan Barghouti, del quale pare che con insistenza Hamas abbia chiesto la liberazione: ancora un’umiliazione del “Mandela palestinese” dopo quella subita in carcere dal fascista Ben Gvir. Meglio non dare ad un popolo assediato e disperso la possibilità di una nuova leadership politica. Meglio lasciarlo nell’incertezza e nella subalternità a pietire gli aiuti umanitari bloccati per affamarlo.

Quegli aiuti che Meloni si vanta di avere inviato ma non s’interroga se siano mai arrivati e dimentica di avere perfino sospeso i fondi all’Unrwa-Onu che quegli aiuti distribuiva dalle sue sedi proprio mentre Netanyahu le bombardava. Giorgia Meloni che corre ad applaudire Trump in Egitto per intestarsi la «pace», è pronta a trattare ora le quote della “ricostruzione” dando disponibilità di forze di sicurezza. Ma chi ricostruisce i palestinesi? Chi spiega ad una generazione per due anni abbandonata, affamata e in fuga tra le macerie sotto il cielo nero di Gaza, che la vendetta non è la risposta? I carabinieri?

Intanto la festa continuerà, diseguale se non contrapposta. Purtroppo quasi nessuno di quelli che scendono in piazza a Tel Aviv gioisce per lo scampato genocidio dei gazawi rimasti, e quasi nessuno dei palestinesi in festa a Gaza City si rallegra che 25 ostaggi siano ancora in vita. Lo spirito dell’odio e della pura sopravvivenza è egoista, soprattutto se riguarda da una parte gli oppressori e dall’altra gli oppressi.

Trump pretendeva il Nobel per la pace, ma fino al bombardamento israeliano di Doha – proseguendo l’operato di Biden – ha sostenuto in armi il genocidio dei palestinesi a Gaza; intanto azzera la credibilità dell’Onu al quale si sostituisce e in patria mette in discussione lo stato di diritto e dal nuovo “ministero della guerra” prepara uno stato di guerra interno agli Usa. E ha la faccia tosta di dichiarare: “I am very proud”.

Ma anche noi, dalla apparente distanza occidentale, dobbiamo essere “orgogliosi”. Una nuova generazione d giovani e un vasto movimento di milioni di persone è sceso in piazza in mezzo mondo e poi in mare con le Flotille chiedendo il cessate il fuoco, la liberazione degli ostaggi e dei prigionieri, cibo e soccorsi medici alla popolazione gazawi allo stremo, denuncia del criminale di guerra Netanyahu. Con manifestazioni che è bene ricordarlo sono iniziate proprio negli Usa di Trump che le ha represse violentemente arrivando ad assediare e sanzionare le università sedi della protesta.

Pensa davvero Giorgia Meloni che questo grande movimento e sventolio delle bandiere-ragioni palestinesi, che va tenuto in vita e curato oggi più che mai, che ha camminato per le contrade e sulle rotte marine, non si sia rivelato come la “pancia profonda del mondo” e che non abbia avuto un peso su questo accenno di accordo? Che non abbia avuto un peso sulle scelte della Corte penale internazionale? E che alla fine non abbia influito sui riconoscimento dello Stato di Palestina da parte di governi super-alleati come la Francia e la transatlantica Gran Bretagna e questi a loro volta sulla scelta di Trump di condizionare Netanyahu? Quel riconoscimento negato dal governo italiano che, con la sua “sproporzionata” complicità, non ha mai pensato di sanzionare Tel Aviv, né di sospendere Trattati militari e Accordi di adesione mantenendo in vita commerci di armi e di materiali pericolosamente dual use.