Opportunità e prospettive per la lunga marcia del movimento contro l’estrattivismo nel territorio delle Alpi Apuane
CONTRIBUTO PER IL LABORATORIO DI GIOVEDI’ 28 ORE 16.30- SECONDA EDIZIONE DELL’UNIVERSITA’ ESTIVA ECOSOCIALISTA -28-31 AGOSTO C/O CASA PER FERIE IL PIOPPO, VIA DELLE PINETE 386, MARINA DI MASSA
Il circolo di Sinistra Anticapitalista (MS) dalla sua nascita e, ancor prima, le sue compagne e i suoi compagni sono stati impegnate/i nelle lotte e nei movimenti a difesa del patrimonio naturalistico delle Apuane, della proprietà pubblica o del dominio collettivo su tutti i beni naturali, acqua e marmo in primo luogo.
Per questo, in prossimità dell’apertura della seconda edizione della nostra Università Estiva Ecosocialista a Marina di Massa, e per l’importante momento che la lotta contro l’estrattivismo in questo territorio sta attraversando, abbiamo ritenuto di portare questo contributo per una necessaria riflessione rivolta non solo all’interno della nostra organizzazione ma all’intero movimento antiestrattivista apuano.
E’ trascorso circa mezzo secolo da quando la lotta dei lavoratori del marmo di Carrara, con l’appoggio delle forze popolari di sinistra, impose la costituzione di una società pubblica (IMEG) per la gestione di larga parte dei bacini marmiferi e impedì una oscura operazione privatistica.
Trent’anni sono trascorsi da quando una sindaca “eretica”, Emilia Fazzi Contigli, con la sua amministrazione in cui forze di sinistra, espressioni della classe lavoratrice, erano maggioritarie, riusciva a rendere esecutivo ed eseguibile un regolamento che, dopo settant’anni di inerzie e tentativi falliti, ripristinava, almeno in punto di diritto, il titolo e le prerogative della cittadinanza e definiva i poteri del Comune nei confronti dei conduttori di cava, a qualsiasi titolo.
Da allora, non solo sotto il profilo giuridico, a Carrara e nel territorio Apuano le cose sono andate molto diversamente; infatti si sono registrati solo gravi arretramenti a danno dei diritti della cittadinanza e quindi, indirettamente, anche dei lavoratori del marmo.
Finalmente, nel 2025, due diverse sedi giurisdizionali hanno emesso importanti pronunciamenti a favore della comunità di uso civico del Monte Altissimo che, nelle forme e secondo le procedure fissate dalle leggi, ha visto così rafforzate le sue rivendicazioni per la gestione delle terre collettive su quella montagna, contro le usurpazioni perpetuate nel tempo dalla ditta Henraux, con la lunga connivenza del Comune di Seravezza (destra) e della Regione Toscana (centro sinistra).
Certamente a queste decisioni ha contribuito, in generale, una maggiore sensibilità maturata dalla consapevolezza sempre più diffusa degli impatti negativi del modello di sviluppo capitalistico sul clima e sull’ambiente, ma anche dalla intensa attività di controinformazione e di mobilitazione messa in campo, in questi ultimi anni, dal movimento che si oppone all’estrattivismo sulle Alpi Apuane.
Naturalmente senza il coraggio e la caparbietà delle cittadine e dei cittadini che, in prima persona, si sono fatti carico di questa battaglia contro uno schieramento così ampio politicamente e potente economicamente, non ci sarebbe stato alcun risultato.
Per la prima volta, dopo molto tempo, si presenta un’occasione storica, a Seravezza, per imprimere una sconfitta al padronato e all’estrattivismo. La rilevanza di quel territorio sotto il profilo naturalistico e minerario, l’importanza di Henraux a livello locale e mondiale, lo spettro politico delle amministrazioni coinvolte conferiscono a questa vertenza un’importanza potenzialmente decisiva per il futuro assetto dell’intero modello economico e sociale del territorio apuano.
Oggi, diversamente dagli anni settanta e novanta, oggetto della contesa non è soltanto la questione della proprietà pubblica, ma quella della piena e diretta disponibilità del bene da parte dei cittadini organizzati in forma collettiva; soprattutto in discussione c’è l’intero modello economico con le sue forme sociali.
L’ordinamento degli usi civici e dei beni collettivi infatti consente, ma dovremmo scrivere impone, attività economiche ecosostenibili e rispettose del paesaggio; l’attività estrattiva, qualora ammessa, dovrebbe essere significativamente ridimensionata e consentita solo in funzione accessoria delle altre attività economiche locali. Insomma l’esatto contrario del modello estrattivista oggi imperante che fagocita natura, territorio, saperi e occupazione al ritmo imposto dalla voracità del mercato mondiale dei materiali lapidei e del carbonato di calcio, nonché dalle esigenze dell’industria dei materiali inerti a livello nazionale.
Questa possibilità, considerata l’auspicata, prossima e positiva conclusione delle vicende giudiziarie, interroga in primo luogo la comunità dell’Altissimo ma anche il movimento nel suo complesso, ponendo nuovi compiti e aprendo terreni inesplorati.
E’ tutt’altro che sufficiente, infatti, il riconoscimento della natura di demanio collettivo e l’insediamento di un organismo rappresentativo dei cittadini aventi titolo per aprire, veramente, un nuovo capitolo nei rapporti sociali e nel rapporto tra la comunità e la montagna.
Se, pur nei limiti delle compatibilità del sistema capitalistico, esistono interessanti esperienze, in termini di redistribuzione e di contenimento degli impatti ambientali, ne esistono molte altre, anche nelle Apuane, che non si differenziano, nell’approccio con la natura, da un’impostazione di tipo fortemente privatistico e che, attraverso il sistema concessorio, vedono vanificata la stessa equa redistribuzione economica nella collettività, consentendo l’arricchimento di alcuni o, in certi casi, addirittura di grandi imprese esterne al territorio.
Si tratta quindi di farsi carico di grandi compiti:
Il primo, secondo noi, è senz’altro quello di ricostruire una comunità a partire dal protagonismo di quante/i in questi anni si sono battuti. Non una comunità chiusa ma aperta ai fermenti che provengono dai movimenti che si battono contro lo sfruttamento delle persone e della natura; una comunità che, nell’esercizio delle sue attività, si ponga i temi di una vera pianificazione democratica e di una effettiva partecipazione popolare. Una comunità che a partire da un serio confronto su questi temi costruisca una sua forte e aperta caratterizzazione.
Ma, già nella prima fase, sarà necessario por mano all’elaborazione di un progetto economico ecosostenibile, chiaramente comprensibile anche a quante/i finora non sono stati partecipi di questa lotta. Quali nuove attività ecosostenibili? Marmo sì o marmo no? Quanto marmo, da dove e per quanto tempo? Quanta e quale lavorazione, quanta e quale estrazione?
Sono domande a cui è necessario rispondere; il vastissimo fronte che va dalla destra al centro sinistra non è svanito, dopo le elezioni regionali si riproporrà nel modo più aggressivo; Henraux non se n’è andata e l’intero fronte estrattivista sarà ed è già attivo in questa vicenda. Tutti questi soggetti non hanno solo emissari nella comunità della montagna, hanno un vero e proprio radicamento sociale. Sarà necessario essere molto attivi e molto convincenti per superare ogni forma di insidia.
Altro nodo fondamentale è quello della relazione con i sindacati dei lavoratori organizzati e con la classe lavoratrice nel senso più ampio. La concreta sperimentazione, su scala significativa, di un modello economico alternativo, la possibilità di proporre concrete risposte occupazionali che non eludano ideologicamente le questioni poste dalla classe lavoratrice del marmo, rappresentano una grande opportunità per un fondamentale cambiamento dei rapporti di forza nei confronti del padronato estrattivista e dei suoi lacchè.
Negli ultimi anni larghissima parte del movimento, andando oltre ma senza abbandonare la sacrosanta parola d’ordine del “no alla devastazione”, ha assunto consapevolezza del fatto che quella devastazione è frutto di un sistema che si chiama estrattivismo, un fenomeno che coinvolge imprese, finanza, istituzioni, partiti e organizzazioni politiche con diversi posizionamenti. In questi anni si è diffusa la consapevolezza che ci troviamo di fronte non solo ad un’espropriazione di beni materiali e ad un danno ambientale di proporzioni ciclopiche, ma anche ad un impoverimento culturale nel senso più ampio dell’intero tessuto sociale, ad una marginalizzazione dei centri urbani e dell’intero territorio, che si stanno riducendo a stazioni di servizio per il distretto minerario e a dormitori al servizio dell’area di costa.
Questo stato di cose è favorito dal combinato disposto del quadro normativo regionale che disciplina le attività estrattive e il Parco Regionale delle Alpi Apuane. Questo complesso di norme assume l’attività estrattiva non come un fenomeno economico con una sua storicità, ma come l’elemento caratterizzante e dominante l’intera storia del territorio, facendone quasi un destino naturale per la montagna e un tratto antropologico di tutta la popolazione del territorio.
Larga parte dell’opinione pubblica sensibile ai temi ambientali e una fascia non trascurabile di attivisti ambientalisti mantiene però fiducia nei partiti che reggono la regione Toscana o finisce, in ogni caso, con attribuire loro una delega. Secondo noi è necessario trasformare gli elementi rivendicativi elaborati da alcune tra le più importanti associazioni ambientaliste (ARCI, CAI, Legambiente ed altri) nel corso del 2024 in una vera e propria campagna per un ribaltamento di questo quadro normativo, altrimenti destinato ad essere peggiorato con l’insediamento del nuovo governo regionale.
E’ necessario porre il governo regionale e la sua base sociale ed elettorale di fronte alla contraddizione tra il suo operato e le aspirazioni di molti, anche tra i suoi sostenitori, e di una vasta opinione pubblica.
La ridefinizione dei contingenti escavabili in base alla sostenibilità degli ecosistemi e alle capacità di lavorazione della filiera locale e non alle potenzialità derivanti dalla domanda delle esportazioni estere, la piena riaffermazione delle proprietà pubbliche e collettive esistenti sulle Apuane, oggetto di usurpazioni, occupazioni e pretese da parte dell’industria estrattiva, la progressiva, reale ed effettiva esclusione di ogni attività estrattiva nel Parco delle Alpi Apuane, sono solo alcune delle lucide e puntuali richieste di quelle associazioni.
Certamente il raggiungimento di questi obbiettivi non sarebbe sufficiente per dare vita ad un’alternativa di società ma potrebbe segnare un’inversione di tendenza che, sommata ad un’amministrazione virtuosa delle terre di uso civico, potrebbe rappresentare un’importante esperienza per un’accumulazione di forze per una prospettiva necessariamente più ampia e radicale.
Questi obbiettivi definiti come transitori dalle stesse associazioni che li hanno sottoscritti, contrastano oggettivamente forse non con il capitalismo in astratto, ma certamente e radicalmente con il capitalismo così com’è in questo territorio e con le sue connessioni a livello mondiale. Un forte movimento a loro sostegno e addirittura una loro affermazione, anche parziale, potrebbe essere di riferimento anche per altri territori ed altri movimenti.
Sicuramente abbiamo aperto nuovi interrogativi e solo accennato a risposte parziali, ma le definitive e compiute risposte potranno essere maturate solo da un confronto nel movimento nel suo complesso e nel vivo delle mobilitazioni che non mancheranno.
Così, in un’epoca reazionaria, nel territorio delle Apuane c’è chi lotta contro la devastazione, interrogandosi su come contrastare il modello estrattivista e chi, come noi ed altre/i, si impegna per inserire questa lotta non tanto nella prospettiva di un’alternativa di società bensì in quella di una società alternativa che, per noi di Sinistra Anticapitalista, può essere efficacemente e sinteticamente definita come una società ecosocialista.