Che vuol dire alzare le spese militari al 5% del Pil
E’ il più grande stravolgimento fiscale del dopoguerra. La fine definitiva del modello sociale europeo. L’analisi della Campagna No ReArm Europe
E’ surreale: da quanto è stato eletto, Trump ha dichiarato più volte di voler lasciare l’Europa al suo destino e lo ha dimostrato più volte, aumentando i dazi e lasciando all’oscuro i paesi europei sui piani di attacco all’Iran. I paesi europei, invece che approfittarne per rompere la gabbia atlantica, ieri si sono di nuovo inchinati ai suoi voleri, e hanno accettato il diktat di alzare al 5% la spesa militare in dieci anni. L’eccezione della Spagna dimostra che non era obbligatorio, dire di sì.
Il 3,5% del PIL dovrà andare a investimenti in armi, mezzi, munizioni, costi operativi, stipendi e pensioni, spese per le missioni internazionali e sostegno militare all’Ucraina.
L’1,5% del PIL sarà per spese per la sicurezza nazionale: infrastrutture (strade, ferrovie, ponti, porti), cybersicurezza, difesa delle frontiere e altro ancora.
Mentre nell’1,5% per la sicurezza nazionale sarà possibile conteggiare spese già programmate o a doppio uso anche civile, la vera sfida impossibile è quella del 3,5% di spese militari pure, per le quali andranno reperite risorse nuove nel bilancio dello Stato.
Per l’Italia, ci vorranno quasi due punti di PIL per arrivare al target del 3,5%. In valore assoluto significa che, per portare in dieci anni la spesa militare annua dagli attuali 35 miliardi agli oltre 100 miliardi, cioè per triplicarla, dovranno essere reperite ogni anno in manovra nuove risorse finanziarie nell’ordine dei 6-7 miliardi, ogni anno per dieci anni.
Questo si traduce in un impegno cumulativo decennale di spesa per l’Italia di quasi 700 miliardi di euro. Una cifra folle, irraggiungibile e inimmaginabile.
Servirà in gran parte a comperare sistemi d’arma dall’estero, principalmente dagli Stati Uniti. Non servirà ad aumentare l’occupazione anche di fronte alla preannunciata riconversione in chiave bellica del sistema produttivo, perché le cifre dimostrano che nel settore bellico aumentano i profitti ma diminuisce l’occupazione.
La flessibilità concessa ai singoli alleati Nato sul percorso finanziario da seguire per arrivare all’obiettivo finale, con l’assenza di target di spesa annuali da rispettare ma che comunque deve essere “incrementale” e “credibile”, lascia al governo la possibilità di rinviare il grosso degli aumenti di spesa, ma questo non cambia la sostanza di un impegno finanziario cumulativo decennale che supererebbe comunque i 600 miliardi.
In generale, per l’Europa tutta, questa scelta è una una vera e propria sciagura destinata a distruggere quel che resta del modello sociale europeo.
I paesi dell’Unione Europea spendono attualmente circa il 2% del PIL in armi, intorno ai 320 miliardi. Il 5% farebbe salire questa cifra a 750 miliardi annui.
Il piano Rearm Europe consente una flessibilità fiscale di 650 miliardi totali in 4 anni per l’insieme dei paesi della UE: sarà possibile cioè sforare i limiti di indebitamento per questa cifra, ovviamente garantendo poi il rientro. E in più sono previsti 150 miliardi di prestiti. Solo per 4 anni. E’ niente, rispetto a quanto i paesi europei nel loro insieme dovranno spendere dopo la decisione di ieri: in dieci anni, si tratta della vertiginosa cifra di 4.000 miliardi.
E’ il più grande stravolgimento fiscale del dopoguerra. La fine definitiva del modello sociale europeo. E infatti il Fondo Monetario Internazionale ha ieri dichiarato che non c’è altra via: o nuove tasse o nuovi tagli ai bilanci. Sarà una ecatombe di diritti sociali, di servizi alle persone e alle comunità, di fondi per gli Enti Locali, di investimenti per il sociale, l’ambiente e il clima, il lavoro, la salute, la scuola, la formazione, la cultura.