Fermiamo il massacro del popolo palestinese

Il governo sionista di Israele ha rotto la tregua in atto da due mesi in Palestina e ha ripreso a bombardare con una violenza inaudita il popolo palestinese e inviato nuovamente i carri armati a Gaza.  

Sapendo che, come prima e ancor più di prima durante l’amministrazione Biden, ha il sostegno totale degli USA di Trump, Netanyahu rilancia la barbarie del genocidio di un intero popolo, con l’obbiettivo palese di portare a termine la cacciata dei palestinesi dalla loro terra. E ancora una volta tutto questo avviene con l’appoggio e la complicità della maggior parte degli Stati, compreso il nostro e dell’UE capitalista, liberista e riarmista. E bisogna anche aggiungere, ancora una volta, con il silenzio quasi totale di quella intellettualità, pur molto attiva nelle ultime settimane in Italia, che per prima dovrebbe essere chiamata a difendere i principi fondamentali di umanità, di democrazia e di diritti dei popoli.

Più che mai facciamo appello a tutte le associazioni e organizzazioni democratiche e sindacali a tutte le lavoratrici e i lavoratori a costruire la più ampia mobilitazione per impedire che il massacro del governo sionista continui, che i suoi disegni coloniali vengano battuti e che sia posta fine alla strage infinita delle/dei palestinesi e riconosciuti i loro diritti.

Invitiamo tutti i nostri circoli, non solo a partecipare attivamente alle mobilitazioni che sono in corso, ma anche a prendere tutte le iniziative necessarie perché si moltiplichino ancora e siano costruite nelle forme più larghe e coinvolgenti possibili. 

Di seguito pubblichiamo la risoluzione approvata dal recente Congresso Mondiale della Quarta Internazionale sulla Palestina  

Palestina: un attacco imperialista contro l’intero Medio Oriente

La guerra contro la Palestina apre un nuovo capitolo di storia. Si tratta di un genocidio compiuto da Israele con il sostegno attivo degli Stati Uniti e l’appoggio attivo o la complicità di molti altri stati.

Su 2,4 milioni di palestinesi di Gaza, 1,9 milioni, ovvero l’86% della popolazione, sono sfollati all’interno del Paese. Degli oltre 47.000 morti identificati, il 40% sono donne e bambini, e la realtà della carneficina si colloca tra 200.000 e 300.000 morti, ovvero circa il 15% della popolazione di Gaza. Con l’assedio della popolazione del territorio senza cibo né sostegno e con le sue numerose altre violazioni del diritto internazionale, l’assassinio di centinaia di giornalisti e medici, il blocco degli aiuti umanitari, Israele dimostra che il suo obiettivo è riprendere il controllo totale della Striscia di Gaza. Allo stesso tempo, 16 comunità palestinesi sono state sfollate con la forza dalla Cisgiordania e nel luglio 2024 erano stati sfollati 1.285 palestinesi.

Si tratta di un attacco e di una minaccia contro tutti i palestinesi e la maggioranza della popolazione del Medio Oriente, che ha importanti implicazioni sia per la regione nel suo insieme che per le relazioni geopolitiche mondiali.

Una guerra genocidaria di lunga durata

Gli attacchi israeliani al Libano dal settembre 2024 rappresentano una nuova fase della guerra: diverse migliaia di persone sono state uccise da attacchi e bombardamenti indiscriminati e decine di migliaia di persone sono fuggite dal sud del Paese. Il 27 settembre, l’assassinio del segretario generale di Hezbollah Hassan Nasrallah e di molti dei suoi leader ha completato quella che si è rivelata una decapitazione sistematica dell’organizzazione dopo aver sabotato la sua rete di comunicazioni.

Successivamente, è apparso chiaro che l’obiettivo dell’attacco militare e politico di Israele si era spostato da Gaza al sud del Libano – cioè nelle aree di quello stato dove si trovavano le retrovie  di Hezbollah – così come i tentativi di riorientare la propaganda, che presentano l’Iran come la principale minaccia per il cosiddetto mondo civilizzato.  In effetti, Netanyahu sta guidando “incursioni“operazioni militari limitate” in questa regione dal novembre 2023.

Le azioni di Biden hanno rivelato la profondità della sua ipocrisia: l’appello del 26 settembre da parte degli Stati Uniti e di altri paesi per un cessate il fuoco di tre settimane tra lo Stato sionista e Hezbollah ha rapidamente lasciato il posto a una dichiarazione di Biden che accoglieva favorevolmente la scomparsa di Nasrallah, dimostrando chiaramente che la sua l’amministrazione sostiene sia l’offensiva israeliana nel sud del Libano che a Gaza. Il posizionamento del “genocidario” Joe è una delle cause della sconfitta di Harris nell’elezioni presidenziali, perché i democratici hanno perso il sostegno di una parte della popolazione razzializzata. L’arrivo di Trump è coinciso con una situazione di usura dell’esercito israeliano e del potere di Netanyahu che ha dovuto accettare uno scambio di prigionieri nel quadro “del cessate il fuoco” del 15 gennaio 2025, un prigioniero israeliano per 30 palestinesi.

Ma il “cessate il fuoco”, se rappresenta una pausa dell’orrore, non ha in alcun modo frenato la volontà genocidaria degli USA e di Israele. Trump ha mostrato la volontà di impadronirsi di Gaza, di svuotarla della sua popolazione espellendola verso l’Egitto o la Giordania, mentre Israele ha intensificati i suoi attacchi in Cisgiordania. Il Ministro israeliano della Difesa Katz ha dichiarato: “Noi abbiamo dichiarato la guerra al terrorismo palestinese in Cisgiordania”. “Una volta terminata l’operazione le forze dell’IDF (l’esercito israeliano) resteranno nel campo di Jenine per assicurarsi che il terrorismo non possa tornare”. 

Una guerra totale 

Israele attua quindi il terrore di massa come parte di una guerra asimmetrica, con l’obiettivo di mettere a tacere ogni dissenso politico, militante o militare. Questa guerra non è una semplice continuazione della guerra di apartheid, colonizzazione e pulizia etnica che dura da 75 anni contro coloro che abitavano la Palestina prima della creazione imposta dello Stato di Israele; c’è un salto di qualità nel desiderio di sradicare il popolo palestinese, attraverso la disumanizzazione dei palestinesi e in una logica suprematista, con un tradimento totale della memoria della Shoah. 

L’attuale carneficina è legata anche alla natura neofascista del governo Netanyahu. Molto indebolito da mesi di proteste popolari contro la sua arroganza nei confronti della magistratura e la chiara evidenza della sua corruzione, Netanyahu, che ha sfruttato l’estrema debolezza della sinistra antisionista, ha colto l’occasione del sanguinoso attentato del 7 ottobre 2023 per cercare di riprendere l’iniziativa e il controllo della situazione interna. Prosegue la Nakba, massacrando e cacciando da Gaza e portando un nuovo attacco in Cisgiordania L’obiettivo di creare un Grande Israele – che potrebbe comprendere il sud del Libano fino al fiume Litani –, gli obiettivi interni della politica israeliana e la corsa sfrenata alla guerra fanno parte della retorica dello “scontro di civiltà” avanzata da parte delle potenze occidentali, un discorso che corrisponde perfettamente alle loro esigenze nel contesto della crisi globale del sistema di dominazione imperialista.

Netanyahu è oggi l’avanguardia dell’estrema destra globale, che ha messo da parte il suo tradizionale antisemitismo a favore di un’offensiva globale razzista e islamofobica. Stiamo assistendo all’emergere di un nuovo ordine mondiale la cui missione storica è quella di consentire massacri di massa a vantaggio del dominio delle grandi potenze imperialiste sul mondo. L’arrivo al potere di Trump permette una accelerazione gigantesca di questi orientamenti.

La repressione dei Palestinesi non deriva dai capricci di un solo uomo, ma dalla logica delle classi dirigenti dello Stato israeliano, a spese del popolo palestinese.

Gli interessi imperialisti e i governi arabi

Tuttavia, Israele non agisce da solo.  È la prima volta dall’offensiva contro l’Iraq del 2003 che gli Stati Uniti intervengono in modo così diretto.  Il loro sostegno in armi e milioni di dollari a Israele è decisivo per realizzare un massacro storico di civili. Si sviluppa con il silenzio complice o con le proteste ipocrite delle grandi potenze occidentali, con le proteste tardive della Cina o con il funambolismo della Russia di Putin. Le potenze imperialiste ignorano le varie risoluzioni dell’ONU e della Corte Penale Internazionale, che non hanno alcuna influenza sugli eventi.

Per quanto riguarda la maggior parte dei governi del mondo arabo, la loro logica di “normalizzazione” delle relazioni con Israele e di invisibilità della causa palestinese, che prevaleva prima del 7 ottobre, rende patetiche e tragiche le loro dichiarazioni critiche sul bombardamento israeliano di Gaza, espresse solo perché sottoposti alla pressione popolare. Per milioni di persone nei paesi arabi e musulmani della regione, i regimi arabi sono chiaramente visti come collaborazionisti con Israele e gli imperialisti. Questa politica li porta, come nel caso dell’Algeria, del Marocco, dell’Egitto e della Giordania, a rafforzare la repressione contro le loro popolazioni, perché sanno che qualsiasi mobilitazione in solidarietà con la Palestina si trasformerebbe inevitabilmente in protesta contro i loro governi.

Il fatto che abbiano denunciato i piani di Trump volti a fare di Gaza la “Costa azzurra” del Medio Oriente, si spiega con la preoccupazione di difendere i loro interessi e non con il sostegno del popolo palestinese.

La complicità dell’Autorità palestinese con lo Stato israeliano è diventata sempre più evidente per una gran parte della popolazione palestinese.

I battaglioni pro-Assad in Siria, Hezbollah in Libano e gli Houthi in Yemen, che si ribellano contro un governo controllato dall’Arabia Saudita – tutte forze che intrattengono rapporti con il regime teocratico e profondamente repressivo dell’Iran – affermano di agire nell’interesse del popolo palestinese, mentre in realtà cercano di promuovere i propri interessi. La caduta dell’odioso regime di Bachar el –Assad in Siria, rappresenta un sollievo per milioni di Siriane/i, ma ci sono nello stesso tempo seri dubbi e preoccupazioni sull’evoluzione del nuovo regime, soprattutto da parte delle diverse minoranze etniche e confessionali.

Si tratta quindi di un’offensiva coloniale e imperialista con molteplici obiettivi, con la repressione violenta e l’incoraggiamento a nuovi insediamenti in Cisgiordania, la scomparsa o l’esodo di massa dei palestinesi, delle incursioni militari nel sud-ovest della Siria, dei bombardamenti sugli Houthi nello Yemen, che cercano di bloccare le manovre della marina americana e delle navi mercantili all’ingresso del Mar Rosso.

Ciò che Israele sta facendo non è legittima difesa ma uno dei massacri più vergognosi della storia recente, denunciato giustamente come genocida da parte del Sud Africa davanti al Tribunale dell’Aja. La tragedia in corso sta causando sconvolgimenti politici e ideologici in tutto il mondo. È sempre più difficile per i loro alleati difendere sia gli Stati Uniti che Israele.

Una solidarietà internazionale senza precedenti da molti decenni 

La carneficina di Gaza ha un impatto particolare sulla gioventù periferica di tutto il mondo. Il movimento di solidarietà ha dovuto affrontare una repressione diffusa: le manifestazioni sono state vietate, i partecipanti sono stati repressi e persino incarcerati. Centinaia di migliaia di persone hanno manifestato, bloccato le fabbriche di armi e spinto per la rottura degli accordi tra i loro paesi e Israele. Il movimento ha esercitato un’influenza negli ambienti artistici e il movimento di boicottaggio si è diffuso. Milioni di giovani che non avevano conosciuto le due Intifada hanno riscoperto questa lotta e l’hanno fatta propria. I giovani di colore dei quartieri operai, vittime dell’aumento dell’islamofobia, si sono identificati con la causa palestinese.

Mentre le azioni a sostegno di questa causa vengono rapidamente accusate di antisemitismo da coloro che difendono le azioni di Israele, i giovani umanisti ebrei occidentali hanno mostrato un’evoluzione della coscienza sviluppando un orientamento non sionista o antisionista, contro corrente rispetto alle reazioni filo-israeliano al 7 ottobre e ha organizzato una mobilitazione storica che ha sfidato i poteri in atto negli Stati Uniti. Il movimento ha svolto un ruolo importante nella sostituzione del “genocida Joe” Biden con Kamala Harris. 

La mobilitazione ha attraversato diverse fasi. Innanzitutto, nei mesi successivi al 7 ottobre, è stato molto difficile far fronte alle pressioni politiche a sostegno del cosiddetto “diritto di Israele a difendersi”. Poi ci sono state grandi mobilitazioni, con una forte ripresa quando si sono mobilitate le università.  Oggi ci troviamo di fronte ad una situazione nuova con l’estensione della guerra in Libano, che fa seguito agli attacchi mirati in Iran. La minaccia di una conflitto regionale è più presente che mai e la corsa vera una guerra che temevamo e annunciavamo sembra essere in corso.

Esiste anche in Israele un’opposizione al genocidio e alla colonizzazione, con un appello firmato da 3600 personalità in cui si chiedono delle sanzioni contro Israele, con dei soldati che rifiutano il servizio militare, con dei deputati del partito comunista israeliano (ebrei ed arabi) sospesi dal parlamento per aver sostenuto l’appello del Sudafrica contro il genocidio a Gaza, con dei giornalisti del quotidiano Haaretz che denunciano i crimini israeliani a Gaza e la colonizzazione della Cisgiordania, con delle ONG, come B’Tselem che difendono i prigionieri politici palestinesi, ecc. Certo, si tratta di una debole minoranza, ma bisogna far conoscere la loro battaglia, soffocata da tanta propaganda.

Le nostre azioni per la Palestina

È più che mai nostra responsabilità costruire un movimento globale di solidarietà con la Palestina.  Questo movimento deve essere ampio e unitario, rivendicando:

  • la cessazione dei massacri e il ritiro delle truppe,
  • la ricostruzione di Gaza, per e dai Gazawi, a carico delle potenze imperialiste, quelle che intervengono direttamente e quelle che sono complici,
  • l’accesso all’aiuto umanitario per la popolazione,
  • la liberazione dei prigionieri,
  • la cessazione totale delle deportazioni e la garanzia del diritto al ritorno delle/dei Palestinesi,
  • BDS (Boicottaggio, disinvestimento, sanzioni)

Tutte queste esigenze umanitarie sono fondamentali. Per questo bisogna moltiplicare le manifestazioni, le occupazioni, e il boicottaggio, esigere la requisizione delle imprese che collaborano al genocidio, bloccare la vendita delle armi, chiedere ai governi di cessare tutti i legami, in particolare quelli commerciali, e qualsiasi sostegno allo Stato genocida. Dobbiamo ottenere il sostegno dei sindacati e delle piazze. Sosteniamo la formazione di raggruppamenti ebraici pubblici in solidarietà con la Palestina. Ricerchiamo il massimo di spazio per un dibattito democratico in seno al movimento.

Ma sappiamo nel profondo che questo movimento è anche un movimento antimperialista, decoloniale e pacifista, che entra in sinergia con la minaccia di un mondo caotico in cui le relazioni tra le grandi potenze sono regolate dalle armi. Come parte di questo movimento, vogliamo affermare la necessità che le persone del mondo, le classi lavoratrici e le persone razzializzate, si sollevino per strappare il potere ai criminali.  Sosteniamo la resistenza dei popoli, armata e non. Solo una mobilitazione massiccia, in particolare in Medio Oriente, può modificare i rapporti di forza, oggi totalmente squilibrati e costringere gli stati e le organizzazioni a mobilitarsi contro questo genocidio.

Noi non condividiamo il progetto politico di Hamas o di Hezbollah, né le loro visioni repressive e reazionarie della società. Tuttavia, dato il declino della sinistra nella regione e l’assenza di altre forze di resistenza al colonialismo, queste organizzazioni sono di fatto strumenti di resistenza riconosciuti, sia nella regione che da alcuni nei movimenti di solidarietà. Denunciamo quindi la retorica delle classi dirigenti occidentali che qualificano il popolo palestinese e le sue organizzazioni come “terroristi”. Per Israele e i suoi alleati, l’atto stesso di resistenza è un’azione terroristica. Per noi la violenza delle vittime deriva dalla violenza degli oppressori. Se noi non sosteniamo politicamente Hamas, sosteniamo il suo diritto democratico ad esistere e chiediamo la rimozione del FPLP, di Hamas e di Hezbollah dalle liste delle organizzazioni terroristiche stilate in particolare dagli Stati Uniti e dall’Unione europea.

In Palestina più che altrove, la lotta vittoriosa degli sfruttati e degli oppressi può essere la strada verso un mondo più giusto. Noi riaffermiamo la necessità di smantellare lo Stato sionista, in quanto “Stato per gli ebrei” e che solo una Palestina libera, democratica, laica ed egualitaria, in cui tutte/i le/i palestinesi disperse/i possano tornare, e dove ognuno possa vivere, quale sia la sua religione, purché accettino questo quadro decoloniale, può portare una soluzione giusta e pacifica per la popolazione della regione.  I rapporti di forza necessari o per l’attuazione di tale soluzione, lontano dai miraggi di una Palestina limitata ai bantustan, implica una mobilitazione mondiale, e ancor più regionale, per fermare gli imperialisti, gli Stati Uniti in particolare.

Israele e gli Stati Uniti sono isolati sul piano internazionale. La Palestina è sostenuta dalla maggioranza delle classi popolari, sta a noi trasformare questo sostegno in azioni di massa!

27 febbraio 2025