Né con Trump, né con i Brics: per un’alternativa ecosocialista
Risoluzione del Cpn di Sinistra Anticapitalista, adottata all’unanimità con due astensioni il 16 febbraio 2025
1. Il contesto internazionale
Le tendenze fondamentali della situazione mondiale, che abbiamo analizzato nel nostro documento congressuale lo scorso anno e nel dibattito per il prossimo congresso mondiale sono confermate ed approfondite.
In particolare l’avanzata della destra reazionaria ha registrato un’accelerazione con l’insediamento di Donald Trump. I primi ordini esecutivi emanati dal nuovo presidente degli USA sono stati caratterizzati dal negazionismo climatico, da una stretta protezionista di guerra commerciale, da un rinnovato protagonismo imperialista e da un attacco feroce ai diritti dei ceti più deboli. La guerra contro i migranti di Trump continua con la proclamazione dello stato di emergenza ai confini del Messico, con l’attacco allo ius soli e al diritto di asilo. Anche le lavoratrici e i lavoratori pubblici sono sotto attacco con un’ondata di licenziamenti e con l’abolizione dello smart working. Allo stesso modo i diritti delle donne, delle persone transgender e di quelle razzializzate sono messi in pericolo dai tagli ai programmi governativi per l’inclusione. Gli USA si sono ritirati dall’Organizzazione mondiale per la sanità, così come hanno disdetto unilateralmente gli accordi di Parigi sul clima, proclamando l’emergenza energetica che li porterà a rinforzare la produzione di energie da fonti fossili (carbone, petrolio e nucleare). Questa è solo la punta dell’iceberg di una serie di politiche contro l’ambiente che arrivano fino alla reintroduzione delle cannucce di plastica. Trump ha dichiarato di voler annettersi Panama, la Groenlandia e la striscia di Gaza, facendone una riviera con resort di lusso. Ciò significa legittimare la barbarie genocida che il governo israeliano sta mettendo in campo da oltre due anni e assecondare il progetto di pulizia etnica della Palestina, progetto che destabilizzerà ulteriormente tutto il Medio Oriente.
La guerra commerciale cominciata già dopo la crisi del 2008 e perseguita anche dall’amministrazione Biden attraverso il friend shoring, cioè l’imposizione di trattamenti più favorevoli solo agli stati politicamente amici, si approfondisce con la minaccia di imporre dazi su tutto il commercio internazionale, compresi gli “amici” della UE, per rientrare da un deficit della bilancia dei pagamenti che ha raggiunto livelli record. La globalizzazione dell’economia ha portato all’esplosione delle contraddizioni capitalistiche a livello internazionale e si è ritorta contro la principale potenza economica mondiale, che ora cerca di correre ai ripari producendo ulteriori danni e una situazione di instabilità politica ed economica sempre più grave. Ormai l’economia è dominata da poche multinazionali, tutte basate negli USA e la tendenza alla concentrazione dei capitali si è accelerata fino a una situazione in cui l’80% del capitale azionario mondiale è posseduto da solo il 2% degli azionisti (dati 2022 in via di ulteriore peggioramento). Lo sviluppo di questi grandi gruppi capitalisti legati alle produzioni digitali e all’intelligenza artificiale non deve trarre in inganno sui loro interessi materiali all’ipersfruttamento del lavoro e delle risorse naturali, sulle quali si basa pesantemente l’operatività dei megacomputer che gestiscono i database e le elaborazioni dell’IA. Ovviamente questo atteggiamento neoprotezionista si scontra con le esigenze dei paesi emergenti (i cosiddetti BRICS) che pure hanno costruito le loro reti commerciali e di investimenti internazionali, quando non hanno mire direttamente espansionistiche politico-militari come nel caso della Russia di Putin.
Le basi economiche della guerra si stanno mettendo in campo in maniera sempre più evidente. L’intervento di Trump sulla situazione in Ucraina getta la maschera degli interessi imperialisti per le risorse naturali (le terre rare promesse da Zelensky in cambio degli aiuti militari) e per la concorrenza sulle fonti energetiche. Il suo riavvicinamento all’amico storico Putin potrebbe portare ad un esito della guerra tutt’altro che nella direzione dell’autodeterminazione del popolo ucraino, come propagandato in questi anni per giustificare il riarmo delle potenze NATO in occidente.
2. Il governo delle destre
In Europa le destre estreme si fanno campioni del trumpismo, con la concorrenza tra chi si fa interprete più fedele del messaggio reazionario americano e si dimostra degno del sostegno del presidente e del suo sodale Elon Musk.
Il governo Meloni esce rafforzato, oltre che dall’elezione di Trump, anche dai risultati che riesce a conseguire in Italia. L’approvazione della legge di bilancio assesta un taglio importante ai servizi pubblici, sanità e istruzione in testa, penalizza fiscalmente i redditi da lavoro e avanza nel programma anticostituzionale di imporre una flat tax sui redditi, favorendo così quelli più alti e i redditi da capitale. Va avanti l’iter del disegno di legge “sicurezza” con una serie di misure repressive contro le persone migranti, contro chiunque voglia mettere in campo forme di lotta radicali contro l’ingiustizia sociale, arrivando ad imporre alle università di collaborare con i servizi segreti nella segnalazione dei “facinorosi”. Le precettazioni degli scioperi dell’autunno scorso la dicono lunga sul disprezzo del diritto dei lavoratori e delle lavoratrici di provare a migliorare le proprie condizioni di vita.
Una parziale battuta d’arresto delle politiche del governo contro i migranti si è avuta nel caso del centro di detenzione costruito in Albania per impedire l’esercizio del diritto d’asilo ai rifugiati che cercano di raggiungere le coste italiane. L’evidente tentativo di aggirare la Costituzione e il diritto internazionale è stato per ora bloccato dalle sentenze della magistratura.
La vicenda del rimpatrio con l’aereo di Stato del torturatore e stupratore libico Al Masri, sul quale pendeva un mandato d’arresto della Corte penale internazionale, è una ulteriore riprova della disumanità, dell’incoerenza e del disprezzo del diritto del governo Meloni, che annuncia la guerra ai trafficanti di persone e poi garantisce la libertà d’azione di uno dei peggiori personaggi, al quale purtroppo non solo questo governo si è appoggiato per fermare le migrazioni dall’Africa con qualsiasi disumano mezzo. Per fortuna c’è chi ha avuto il coraggio di denunciare i ministri di questo Governo per quanto è stato fatto, ma prima ancora di una condanna giuridica – che probabilmente non arriverà, come ha dimostrato il caso di Salvini – esprimiamo la nostra più forte condanna politica per la cricca al governo.
Infine il rischio di un referendum sulla legge Calderoli sull’autonomia differenziata è stato sventato grazie ad una sentenza condizionata da una chiara scelta politica della Corte Costituzionale, che non ha ritenuto ammissibile il quesito referendario per la sua abrogazione totale, pur avendo giudicato in precedenza ampie parti di quella legge contrarie alla stessa Costituzione.
3. Le condizioni sociali
Le condizioni di lavoro continuano a peggiorare. Nel solo mese di gennaio ci sono stati altri 85 omicidi sul lavoro, confermando una media di tre morti al giorno sui posti sul lavoro, una strage che continua nell’indifferenza del Governo, che anzi ne legittima le cause profonde dovute alla precarietà delle condizioni lavorative e allo strapotere padronale.
Il Governo è riuscito a portare a casa l’approvazione in Parlamento del disegno di legge collegato al bilancio sui temi del lavoro, che peggiora ancora la precarizzazione attraverso l’estensione dei contratti di somministrazione (lavoro interinale) e con l’introduzione delle dimissioni “per fatto conseguente”, cioè in conseguenza alla semplice assenza del lavoratore o della lavoratrice, rafforzando così un elemento di ricatto per i padroni, che non avranno più bisogno di licenziare, impedendo semplicemente l’accesso sul luogo di lavoro.
Nel frattempo i dati diffusi dall’Istat mostrano una situazioni di crisi delle produzioni industriali, che nel 2024 sono calate del 3,5% rispetto all’anno precedente (4,8% per quanto riguarda le produzioni di beni durevoli) e del 5,4% rispetto al 2022. La crisi è trainata dal settore dell’automotive, che è funestato in tutta Europa da una crisi strutturale, con la chiusura di stabilimenti da parte della Volkswagen e con le ristrutturazioni annunciate da Stellantis. Una crisi provocata dall’assenza di politiche industriali e da una transizione all’auto elettrica del tutto impotente perché l’auto elettrica, perlomeno alle attuali condizioni, non può diventare un prodotto di massa in una misura anche solo parzialmente paragonabile a quella che fu la diffusione delle auto a benzina nel secolo: Ma soprattutto perché, a fronte di un modello di trasporto basato su veicoli individuali alimentati dai combustibili fossili, l’auto elettrica individuale non rappresenta una soluzione visto che la sua produzione e il suo ipotetico uso di massa risultano ambientalmente e socialmente incompatibili, constatato il devastante impatto ambientale che hanno l’estrazione dei metalli rari e la produzione di batterie al litio.
Esprimiamo inoltre preoccupazione per l’ennesima svendita della ex ILVA, senza peraltro alcun piano che richiederebbe cospicui investimenti per ristrutturarla e decarbonizzarla, che mette a rischio ulteriormente la prospettiva occupazionale per oltre 3500 lavoratrici e lavoratori.
Ribadiamo il nostro sostegno ai lavoratori ex-GKN, senza stipendio ormai da anni e che hanno saputo mettere in discussione dal basso il modello capitalistico e avanzare una proposta di riconversione della propria fabbrica su produzioni coerenti con la giustizia climatica. Oggi hanno ottenuto una importante vittoria con l’approvazione della legge regionale sui consorzi pubblici e puntano a raddoppiare la sottoscrizione popolare di capitale per mettere in piedi il loro progetto industriale autogestito.
Nell’ultima stagione alcuni rinnovi contrattuali si sono realizzati, senza però recuperare la perdita di potere d’acquisto dei salari a causa dell’inflazione degli ultimi anni, in molti casi con salari al di sotto di quel minimo di 9 euro orari richiesto dalla proposta di legge di iniziativa popolare delle opposizioni e sostenuta anche dalla Cgil. Il dibattito parlamentare sul salario minimo (richiesto anche dalle istituzioni europee) è stato affossato con la retorica governativa che sono i contratti a dover stabilire dei minimi salariali dignitosi. Nel frattempo è il Governo stesso che impedisce il rinnovo contrattuale dei dipendenti pubblici, non stanziando le risorse necessarie al recupero dell’inflazione del triennio 2022-2024. Il padronato fa la sua parte, opponendosi alle richieste di rinnovo contrattuale dei metalmeccanici. Così due tra i contratti simbolicamente e materialmente più importanti per la classe lavoratrice italiana non sono ancora rinnovati e l’istituto stesso della contrattazione collettiva nazionale è messa in discussione dal padronato e dal Governo.
E’ necessaria su questi temi una ripresa dell’iniziativa sindacale, in continuità con gli scioperi dell’autunno. I nostri militanti e le nostre militanti saranno impegnate/i a costruire tutte le iniziative di lotta per la conquista di rinnovi contrattuali che restituiscano dignità alle lavoratrici e lavoratori. La conquista quantomeno dei risultati indicati nelle piattaforme sindacali deve essere perseguita con ogni mezzo, in primis con lo sciopero, costruito attraverso le assemblee sui luoghi di lavoro e con l’organizzazione di casse di resistenza, sciopero che rimane lo strumento principale con cui la classe può esercitare il suo potere e sconfiggere il disegno padronale, anche per restituire fiducia nell’azione collettiva della classe lavoratrice. Bisogna riconquistare il diritto stesso di sciopero, i rinnovi contrattuali e la democrazia sindacale, che oggi si ritorce contro gli stessi sindacati confederali che si trovano ad essere privati di ogni diritto sindacale in quanto non firmatari di contratto in diversi settori.
Il rinnovo delle rappresentanze sindacali unitarie nel pubblico impiego (e in diverse aziende del settore privato) deve vedere protagoniste/i le ecosocialiste e gli ecosocialisti, non solo per conquistare ruoli di rappresentanza dei lavoratori e delle lavoratrici difendendole/i nelle loro esigenze quotidiane, ma per costruire una modalità diversa di fare sindacato, mettendo in connessione le mobilitazioni sul lavoro con le altre istanze portate avanti dai movimenti sociali, prime fra tutte quelle in difesa dell’ambiente e per la giustizia climatica.
4. I referendum in primavera
Dopo l’intervento della Corte Costituzionale, rimangono in piedi cinque quesiti referendari che saranno calendarizzati nella prossima primavera: i quattro quesiti sul lavoro promossi dalla Cgil e quello per l’estensione della cittadinanza promosso da varie reti sociali. La battaglia per portare a votare almeno metà dell’elettorato sarebbe stata difficile anche se fosse sopravvissuto il quesito sull’autonomia differenziata, su cui un minimo di sensibilizzazione e mobilitazione era stato costruito negli ultimi anni. Il terreno referendario sui quesiti superstiti ha poche possibilità di successo per diversi motivi. In primo luogo il merito dei referendum riguarda porzioni minoritarie dell’elettorato: solo una parte del lavoro privato è interessato dai quesiti su Jobs Act e appalti e gli immigrati senza cittadinanza (circa 2,5 milioni di persone) non hanno il diritto di voto. In secondo luogo i referendum rischiano di svolgersi in assenza di quella vagheggiata “rivolta sociale”, non essendo in campo una continuità e un’estensione delle lotte dopo gli scioperi dell’autunno. Sbaglia Landini a dire che “il voto è la nostra rivolta sociale”, uno slogan quantomeno anacronistico ma che rischia di mettere il sindacato su un binario morto. Non sarà il voto referendario a costituire una rivolta sociale, ma semmai una rivolta sociale sarebbe necessaria per costruire un clima di protagonismo che, forse, potrebbe determinare anche un esito inaspettatamente positivo per le consultazioni referendarie previste.
Dopo una probabile sconfitta referendaria invece, le conseguenze rischierebbero di peggiorare ulteriormente i rapporti di forza. Sia perché l’attuale gruppo dirigente della Cgil sarebbe messo in discussione da destra, da chi punta a una completa trasformazione del sindacato in un’agenzia di servizi sul modello della Cisl, che non metta i bastoni tra le ruote a governo e padroni. Sia perché il Governo stesso avrebbe gioco facile nel chiudere la partita con l’unico soggetto di massa che ha (tardivamente e illudendo i lavoratori e le lavoratrici sulla possibilità di un confronto “nel merito” delle questioni con un governo delle destre) messo in campo un minimo di opposizione sociale alle sue politiche antipopolari.
Ribadiamo che le battaglie di pura difesa dell’ordine costituzionale risultano perdenti in questa fase in cui la Costituzione è già un simulacro di democrazia. Lo dimostra l’atteggiamento soprattutto politico della Corte costituzionale, che si guarda bene dal consentire consultazioni che potrebbero mettere in difficoltà il Governo. Lo dimostra il fatto che l’autonomia differenziata è già stata inserita all’interno della Costituzione stessa, riformata in modo bipartisan da centrodestra e centrosinistra (PD in testa) all’inizio del secolo. Lo dimostra la riforma nefasta del taglio dei Parlamentari voluta dal Movimento Cinque Stelle. Lo dimostra l’abuso della decretazione d’urgenza praticato da tutti i governi di qualsiasi colore politico negli ultimi decenni, che hanno svuotato di ruolo il Parlamento elettivo.
La difesa della stessa democrazia deve necessariamente passare per un progetto condiviso dalle masse, che metta un freno allo strapotere delle classi dirigenti. I referendum in primavera aprono uno spazio straordinario di campagna nei territori e nei posti di lavoro, per cominciare a costruire un’alternativa popolare di massa, al di là dell’esito di queste consultazioni referendarie. Uno spazio che va praticato dalle militanti e dai militanti di Sinistra Anticapitalista, con le nostre idee e la nostra piattaforma ecosocialista, in modo anche critico con le burocrazie sindacali che oggi si scontrano contro le stesse contraddizioni che hanno contribuito a costruire. I referendum saranno quindi un terreno di scontro su cui chiamiamo all’impegno tutta la nostra organizzazione.
5. Lo stato della sinistra di classe
La sinistra politica italiana con un’impostazione più classista e radicale versa in uno stato di crisi e difficoltà che ha le sue basi materiali nella sconfitta storica del movimento operaio, che abbiamo individuato ed analizzato nei nostri documenti fin dalla nascita di Sinistra Anticapitalista.
Il Prc ha chiuso il suo congresso con un risultato di sostanziale parità tra le due opzioni politiche che hanno attraversato il dibattito. Un congresso che rispettiamo e non sottovalutiamo, vista anche la consistenza del corpo militante di quella organizzazione, che ha visto esprimersi quasi 6000 votanti. Tuttavia entrambe le posizioni politiche espresse ci risultano insufficienti e sbagliate. Sicuramente non condividiamo quella del rieletto segretario Acerbo che avanza l’ipotesi di una collocazione del Prc nel campo largo del centrosinistra, riportando il Prc alle radici della sua crisi politica, incapace di liberarsi dal ruolo di ancella di un partito borghese come il PD, che ha più di qualche responsabilità nella degenerazione della situazione politica attuale (ruolo oggi del resto già ben occupato dall’Alleanza Verdi e Sinistra). Riteniamo profondamente sbagliata anche la posizione rappresentata da Paolo Ferrero, che va nel senso di una costruzione identitaria, nel quadro di una coalizione con soggetti che ormai rischiano di screditare la sinistra agli occhi delle masse, con i loro riferimenti a regimi falsamente antimperialisti (i BRICS) e che invece opprimono larghe masse di lavoratrici e lavoratori all’interno dei propri paesi. Combattiamo il campismo oggi molto diffuso in gran parte della sinistra di classe, che è oggi una variante delle idee delle classi dominanti. Siamo contro tutte le frazioni della borghesia e contro tutti gli imperialismi, dalla parte delle classi lavoratrici, dei popoli e degli sfruttati e sfruttate ovunque nel mondo, con cui vogliamo costruire una solidarietà basata sul reciproco riconoscimento delle lotte di ciascuno/a. Siamo per una prospettiva politica ecosocialista, per un’economia democraticamente pianificata e per il diritto dei popoli ad autogovernarsi.
La situazione rende ancora più difficile oggi una qualche iniziativa di fronte unico delle forze della sinistra di classe, che pure abbiamo perseguito negli ultimi anni e continuiamo a perseguire, perché abbiamo chiara la coscienza della nostra non autosufficienza per costruire una risposta anticapitalista di massa alle politiche padronali.
Oggi sarebbe più che mai necessaria un’azione combinata e unitaria di tutte le forze classiste per fermare le destre, ma l’unità nelle lotte va perseguita non solo con le forze di impostazione più radicale, ma all’interno di movimenti sociali più larghi, i cui si esprime la disponibilità alla mobilitazione e alla militanza di settori più ampi della classe lavoratrice. Avanziamo la proposta dell’unità antifascista dei movimenti sociali e delle forze sindacali e politiche di classe che vogliono fermare il governo delle destre, le azioni repressive e tutte le misure di riforme autoritarie e antidemocratiche già prese o in discussione. Si tratta inoltre di contrastare anche a livello continentale europeo l’accelerazione autoritaria e antidemocratica che la vittoria di Trump in America sta favorendo.
6. I nostri compiti
Nei prossimi giorni una delegazione di compagne e compagni di Sinistra Anticapitalista parteciperà ai lavori del diciottesimo congresso mondiale della Quarta Internazionale in Belgio. Nel mese di marzo terremo un’assemblea nazionale di restituzione del dibattito del congresso mondiale ed apriremo una campagna politica di valorizzazione del manifesto ecosocialista di cui la Quarta Internazionale si sta dotando, pubblicando la traduzione italiana e costruendo iniziative di promozione e discussione di quel testo nei nostri circoli. L’università ecosocialista d’estate ruoterà intorno ai temi del manifesto ecosocialista e alle battaglie contro le destre che le sinistre anticapitaliste stanno conducendo negli altri paesi europei, a partire dall’esperienza francese e da quella tedesca.
Saremo impegnati in tutte le mobilitazioni contro le destre, a partire dallo sciopero mondiale dell’8 marzo contro la violenza patriarcale per l’autodeterminazione delle donne e delle persone LGBTQIA+. Sciopero che, nel quadro dell’ attacco ai diritti delle donne e delle persone LGBTQIA+ a cui assistiamo a livello globale, assume una centralità nel nostro intervento. Ci impegneremo per dare continuità alla mobilitazione contro il disegno di legge paura del Governo, dopo l’importante movimento già espressosi lo scorso anno e culminato nella manifestazione unitaria dello scorso 14 dicembre. Siamo con le migranti e i migranti per la costruzione di una società solidale e inclusiva, sostenendo le iniziative di solidarietà dal basso e lottando per sconfiggere le politiche razziste del Governo. Sosteniamo e partecipiamo alle mobilitazioni in difesa del territorio e dell’ambiente naturale, contro l’estrattivismo e le grandi opere, a partire dall’infausto progetto del ponte sullo Stretto di Messina e l’Alta velocità ferroviaria. Saremo nelle scuole e nelle università al fianco degli studenti e delle studentesse per difendere la possibilità di un sapere critico e libero, contro l’autoritarismo e la sottomissione dell’istruzione e della ricerca alle esigenze del profitto e del militarismo. Vogliamo costruire una mobilitazione di massa contro la guerra, il riarmo e il militarismo, per un cessate il fuoco immediato e il ritiro delle truppe russe dai territori occupati nel 2022, per una soluzione pacifica in Ucraina che garantisca il diritto del popolo ucraino ad autogovernarsi sul proprio territorio e ad utlizzare pienamente le risorse naturali del proprio territorio. Siamo solidali con il popolo siriano che si è liberato della dittatura di Assad, con il popolo kurdo e con l’esperienza del confederalismo democratico in Rojava, oggi messo in discussione dal ritorno del fondamentalismo e dal regime turco. Siamo nel movimento di solidarietà internazionale con il popolo palestinese, per la fine del genocidio e per il diritto dei palestinesi e delle palestinesi ad autogovernarsi in uno Stato democratico, plurinazionale, che garantisca il diritto al ritorno per i tanti e le tante esuli provocate dall’aggressione israeliana. Per questo vogliamo contribuire alla costruzione di un movimento ampio e unitario e parteciperemo alla costruzione della rete antisionista nazionale.