Bashar è caduto! Viva il popolo siriano
Riprendiamo il comunicato dell’NPA francese di cui condividiamo i contenuti, sulla caduta del regime dittatoriale siriano. Di seguito riprendiamo da Siria, capire la rivolta di questi giorni | Sempre e per sempre dalla stessa parte un’intervista a Joseph Daher, docente all’Università di Losanna e all’Istituto Universitario Europeo di Firenze, autore di vari libri sul Medioriente, coordinatore del sito Syria Freedom Forever, da Tempest
Nel giro di dieci giorni è caduto uno dei regimi più brutali del mondo. Ci sono state scene di giubilo, in particolare all’apertura delle prigioni dove migliaia e migliaia di persone sono state imprigionate, a volte per decenni e tante di loro torturate ed uccise. Le statue della famiglia Assad sono cadute in tutte le città della Siria e tutte le comunità vi hanno partecipato.
Bashar al-Assad, il violento affossatore della rivoluzione siriana, figlio e degno successore del dittatore Hafez al-Assad che ha governato negli anni ’80, è fuggito dal Paese senza dare più notizie di se.
A capo di un regime che ha sfruttato le divisioni religiose per mantenere il potere, Bashar al-Assad stava già per cadere durante la Primavera araba del 2011 e le massicce rivolte democratiche e sociali nel suo Paese. La repressione mortifera, gli arresti e le torture diffuse, le decine di migliaia di sparizioni e l’uso dell’esercito e delle armi chimiche come politica del terrore contro la popolazione hanno militarizzato questa rivoluzione popolare. In quasi 15 anni, Assad ha massacrato e ucciso mezzo milione di persone.
Sono seguiti circa dieci anni di guerra civile in cui sono intervenuti diversi gruppi e fazioni, con l’ingerenza di Paesi esterni (monarchie petrolifere, Turchia, Russia, Iran e Hezbollah libanesi, oltre a Francia e Stati Uniti) e lo schieramento dello Stato Islamico/Daech, che hanno schiacciato il popolo siriano. Per non parlare delle continue aggressioni israeliane Condanniamo l’invasione di Israele della zona cuscinetto del Golan avvenuta in questi giorni.
L’offensiva condotta dai gruppi ribelli siriani, approfittando dell’indebolimento di Hezbollah, ha mostrato e prodotto il dissolvimento dell’esercito e dei sostenitori di Bashar.
Ci rallegriamo della fine del suo regno. Sosteniamo le aspirazioni emancipatrici e democratiche del popolo siriano, che le forze curde in particolare stanno portando avanti. Nulla è stato risolto per il popolo siriano, che rimane sotto la costrizione di vari gruppi militari e politici con interessi contraddittori e, il più delle volte, reazionari.
La fine della dinastia Assad deve permettere di garantire i diritti dei popoli e delle minoranze della Siria, la democrazia e la giustizia sociale.
In proposito si veda anche l’articolo di Andrea Martinihttps://andream94.wordpress.com/2024/12/08/siria-per-una-societa-democratica-e-sociale/
Siria, capire la rivolta di questi giorni
La ribellione in Siria ha colto il mondo di sorpresa e ha portato alla caduta della dittatura della famiglia Assad, che governava la Siria da quando il padre di Bashar al-Assad, Hafez, prese il potere con un colpo di Stato 54 anni fa. Né le forze militari del regime né il suo sponsor imperiale, la Russia, e il suo sostenitore regionale, l’Iran, sono stati in grado di difenderlo. Le città sotto il controllo del regime sono state liberate, migliaia di prigionieri politici sono stati scarcerati dalle sue famigerate prigioni, e per la prima volta dopo decenni si è aperto lo spazio per una nuova lotta per una Siria libera, inclusiva e democratica.
Allo stesso tempo, la maggior parte dei siriani sa che questa lotta deve affrontare sfide enormi, a cominciare dalle due principali forze ribelli, Hayat Tahrir Al-Sham (HTS) e l’Esercito nazionale siriano (ENS) sostenuto dalla Turchia. Pur avendo guidato la vittoria militare, sono autoritarie e hanno una storia di settarismo religioso ed etnico. Alcuni esponenti della sinistra hanno affermato, senza alcun fondamento, che la loro ribellione è stata orchestrata dagli Stati Uniti e da Israele. Altri hanno acriticamente romanticizzato queste forze ribelli come se stessero riaccendendo la rivoluzione popolare originale che aveva quasi rovesciato il regime di Assad nel 2011. Nessuna di queste analisi coglie le complesse dinamiche che si stanno svolgendo oggi in Siria.
In questa intervista, condotta nel mezzo di una situazione in rapida evoluzione in Siria, Tempest chiede a Joseph Daher, socialista siriano svizzero, di parlare del processo che ha portato alla caduta del regime di Assad, delle prospettive per le forze progressiste e delle sfide che devono affrontare nella lotta per un paese veramente liberato che serva gli interessi di tutti i suoi popoli e classi popolari.
Tempest: Come si sentono i siriani dopo la caduta del regime?
Joseph Daher: La felicità è incredibile. È un giorno storico. 54 anni di tirannia della famiglia Assad sono finiti. Abbiamo visto video di manifestazioni popolari in tutto il paese, da Damasco, Tartous, Homs, Hama, Aleppo, Qamichli, Suwaida, ecc. di tutte le sette religiose ed etnie, che distruggevano statue e simboli della famiglia Assad.
E naturalmente c’è grande felicità per la liberazione dei prigionieri politici dalle carceri del regime, in particolare dalla prigione di Sednaya, conosciuta come il “mattatoio umano”, che poteva contenere 10.000-20.000 prigionieri. Alcuni di loro erano detenuti dagli anni Ottanta. Allo stesso modo, le persone che erano state sfollate nel 2016 o prima, da Aleppo e da altre città, sono potute tornare alle loro case e ai loro quartieri, rivedendo le loro famiglie per la prima volta dopo anni.
Allo stesso tempo, nei primi giorni successivi all’offensiva militare, le reazioni popolari sono state inizialmente contrastanti e confuse, riflettendo la diversità di opinioni politiche nella società siriana, sia all’interno che all’esterno del paese. Alcuni settori erano molto soddisfatti della conquista di questi territori e dell’indebolimento del regime, e ora della sua potenziale caduta.
Ma alcuni settori della popolazione temevano, e temono tuttora, l’HTS e l’ENS. Sono preoccupati per la natura autoritaria e reazionaria di queste forze e del loro progetto politico.
E alcuni sono preoccupati per ciò che accadrà nella nuova situazione. In particolare, ampie fasce di curdi e non solo, pur rallegrandosi per la caduta della dittatura di Assad, hanno condannato gli spostamenti forzati e gli assassinii di persone da parte dell’ENS.
Tempest: Puoi raccontare la sequenza di eventi, in particolare l’avanzata dei ribelli, che ha sconfitto le forze militari di Assad e ha portato alla sua caduta? Cosa è successo?
JD: Hayat Tahrir Al-Sham (HTS) e l’Esercito nazionale siriano (ENS) sostenuto dalla Turchia hanno lanciato una campagna militare il 27 novembre 2024 contro le forze del regime siriano, ottenendo vittorie sorprendenti. In meno di una settimana, HTS e ENS hanno preso il controllo della maggior parte dei governatorati di Aleppo e Idlib. Poi, la città di Hama, situata a 210 chilometri a nord di Damasco, è caduta nelle mani di HTS e ENS a seguito di intensi scontri militari tra loro e le forze del regime sostenute dall’aviazione russa. Dopo Hama, l’HTS ha preso il controllo di Homs.
Inizialmente, il regime siriano ha inviato rinforzi ad Hama e Homs e poi, con il supporto dell’aviazione russa, ha bombardato le città di Idlib e Aleppo e i loro dintorni. L’1 e il 2 dicembre, più di 50 attacchi aerei hanno colpito Idlib, almeno quattro strutture sanitarie, quattro strutture scolastiche, due campi di sfollati e una stazione idrica. Gli attacchi aerei hanno provocato lo sfollamento di oltre 48.000 persone e interrotto gravemente i servizi e la fornitura di aiuti. Il dittatore Bashar al-Assad aveva promesso la sconfitta dei suoi nemici e aveva dichiarato che “il terrorismo comprende solo il discorso della forza”. Ma il suo regime si stava già sgretolando da ogni parte.
Mentre il regime perdeva città dopo città, i governatorati meridionali di Suweida e Daraa si sono liberati da soli; le loro forze di opposizione popolare e armata locale, separate e distinte da HTS e ENS, hanno preso il controllo. Le forze del regime si sono poi ritirate da località a circa dieci chilometri da Damasco e hanno abbandonato le loro posizioni nella provincia di Quneitra, che confina con le alture del Golan, occupate da Israele.
Quando diverse forze armate dell’opposizione, ancora una volta non HTS né ENS, si sono avvicinate alla capitale Damasco, le forze del regime hanno ceduto e si sono ritirate, mentre le manifestazioni e i roghi di tutti i simboli di Bashar al-Assad si moltiplicavano nei vari sobborghi di Damasco. Nella notte tra il 7 e l’8 dicembre è stato annunciato che Damasco era stata liberata. La sorte e la posizione esatta di Bashar al-Assad erano inizialmente sconosciute, ma alcune informazioni indicavano che si trovava in Russia sotto la protezione di Mosca.
La caduta del regime ha dimostrato la sua debolezza strutturale, dal punto di vista militare, economico e politico. È crollato come un castello di carte. Non c’è da sorprendersi, perché sembrava chiaro che i soldati non avrebbero combattuto per il regime di Assad, date le loro misere paghe e condizioni. Hanno preferito fuggire o semplicemente non combattere piuttosto che difendere un regime per il quale hanno pochissima simpatia, soprattutto perché molti di loro erano stati arruolati con la forza.
Oltre a queste dinamiche nel sud, altre si sono verificate in diverse parti del paese dall’inizio dell’offensiva dei ribelli. Prima l’ENS ha condotto attacchi contro i territori controllati dalle Forze Democratiche Siriane (FDS) a guida curda nel nord di Aleppo, poi ha annunciato l’inizio di una nuova offensiva contro la città settentrionale di Manbij, sotto il dominio delle FDS. Domenica 8 dicembre, con il sostegno dell’esercito, dell’aviazione e dell’artiglieria turchi, l’ENS è entrato in città.
In secondo luogo, l’FDS ha conquistato la maggior parte del governatorato di Deir-ez-Zor, precedentemente controllato dalle forze del regime siriano e dalle milizie filo-iraniane, dopo che queste si erano ritirate per ridispiegarsi in altre aree per combattere contro l’HTS e l’ENS. Le FDS hanno poi esteso il loro controllo su vaste aree del nord-est precedentemente sotto il dominio del regime.
Tempest: Chi sono le forze ribelli e in particolare le principali formazioni ribelli HTS e ENS? Quali sono la loro politica, il loro programma e il loro progetto? Cosa ne pensano le classi popolari?
JD: Il successo della conquista di Aleppo, Hama, Homs e di altri territori in una campagna militare condotta dall’HTS riflette per molti versi l’evoluzione di questo movimento nel corso di diversi anni in un’organizzazione più disciplinata e più strutturata, sia politicamente che militarmente. Ora è in grado di produrre droni e gestisce un’accademia militare. Negli ultimi anni, l’HTS è riuscito a imporre la propria egemonia su un certo numero di gruppi militari, sia attraverso la repressione che l’inclusione. Sulla base di questi sviluppi, si è posizionato per lanciare questo attacco.
È diventato un attore quasi statale nelle aree che controlla. Ha istituito un governo, il Governo di Salvezza Siriano (GSS), che agisce come amministrazione civile dell’HTS e fornisce servizi. Negli ultimi anni, l’HTS e il GSS hanno mostrato una chiara volontà di presentarsi come una forza razionale alle potenze regionali e internazionali, al fine di normalizzare il proprio dominio. Ciò si è tradotto in uno spazio sempre maggiore per alcune ONG che operano in settori chiave come l’istruzione e la sanità, in cui il GSS non dispone di risorse finanziarie e competenze.
Ciò non significa che non esista corruzione nelle aree sotto il suo dominio. L’HTS ha imposto il suo dominio attraverso misure autoritarie e di polizia. L’HTS ha notevolmente represso o limitato le attività che considera contrarie alla sua ideologia. Ad esempio, l’HTS ha bloccato diversi progetti di sostegno alle donne, in particolare alle residenti dei campi, con il pretesto che questi progetti coltivavano idee di uguaglianza di genere ostili al suo dominio. L’HTS ha anche preso di mira e detenuto oppositori politici, giornalisti, attivisti e persone che considerava critiche o contrarie.
L’HTS – che è ancora classificato come “organizzazione terroristica” da molte potenze, compresi gli Stati Uniti – ha anche cercato di proiettare un’immagine più moderata di sé, cercando di ottenere il riconoscimento di essere ora un attore razionale e responsabile. Questa evoluzione risale alla rottura dei suoi legami con al-Qaeda nel 2016 e alla ridefinizione dei suoi obiettivi politici nel quadro nazionale siriano. Ha inoltre represso individui e gruppi legati ad Al-Qaeda e al cosiddetto Stato Islamico.
Nel febbraio 2021, in occasione della sua prima intervista con un giornalista statunitense, il suo leader Abu Mohammad al-Jolani, o Ahmed al-Sharaa (il suo vero nome), ha dichiarato che la regione da lui controllata “non rappresenta una minaccia per la sicurezza dell’Europa e dell’America”, affermando che le aree sotto il suo dominio non sarebbero diventate una base per operazioni all’estero.
In questo tentativo di definirsi come interlocutore legittimo sulla scena internazionale, ha enfatizzato il ruolo del gruppo nella lotta al terrorismo. Nell’ambito di questo rinnovamento, ha permesso il ritorno di cristiani e drusi in alcune aree e ha stabilito contatti con alcuni leader di queste comunità.
Dopo la conquista di Aleppo, l’HTS ha continuato a presentarsi come un attore responsabile. I combattenti dell’HTS, ad esempio, hanno immediatamente pubblicato video davanti alle banche, assicurando di voler proteggere le proprietà e i beni privati. Hanno anche promesso di proteggere i civili e le comunità religiose minoritarie, in particolare i cristiani, perché sanno che il destino di questa comunità è attentamente esaminato all’estero.
Allo stesso modo, l’HTS ha rilasciato numerose dichiarazioni in cui promette di proteggere in modo analogo i curdi e le minoranze islamiche come gli ismailiti e i drusi. Ha anche rilasciato una dichiarazione sugli alawiti, invitandoli a rompere con il regime, senza tuttavia suggerire che l’HTS li avrebbe protetti o dire qualcosa di chiaro sul loro futuro. In questa dichiarazione, l’HTS descrive la comunità alawita come uno strumento del regime contro il popolo siriano.
Infine, il leader di HTS, Abu Mohammed al-Jolani, ha dichiarato che la città di Aleppo sarà gestita da un’autorità locale e che tutte le forze militari, comprese quelle di HTS, si ritireranno completamente dalla città nelle prossime settimane. È chiaro che al-Jolani vuole impegnarsi attivamente con le potenze locali, regionali e internazionali.
Tuttavia, è ancora aperta la questione se l’HTS darà seguito a queste dichiarazioni. L’organizzazione è stata un’organizzazione autoritaria e reazionaria con un’ideologia fondamentalista islamica e conta ancora combattenti stranieri tra le sue fila. Negli ultimi anni, a Idlib si sono svolte numerose manifestazioni popolari contro il suo dominio e le violazioni delle libertà politiche e dei diritti umani, tra cui assassinii e torture di oppositori.
Non basta tollerare le minoranze religiose o etniche o permettere loro di pregare. La questione fondamentale è riconoscere i loro diritti di cittadini uguali che partecipano a decidere il futuro del paese. Più in generale, le dichiarazioni del capo dell’HTS, al-Jolani, come “chi teme la governance islamica o ne ha visto un’applicazione scorretta o non la capisce bene”, non sono certo rassicuranti, anzi.
Per quanto riguarda l’ENS, sostenuto dalla Turchia, si tratta di una coalizione di gruppi armati per lo più di orientamento conservatore islamico. Ha una pessima reputazione ed è colpevole di numerose violazioni dei diritti umani, soprattutto nei confronti delle popolazioni curde nelle aree sotto il loro controllo. Hanno in particolare partecipato alla campagna militare a guida turca per l’occupazione di Afrin nel 2018, che ha portato allo sfollamento forzato di circa 150.000 civili, la maggior parte dei quali curdi.
Nell’attuale campagna militare, ancora una volta l’ENS serve principalmente gli obiettivi turchi nel colpire le aree controllate dalle Forze di Difesa Siriane (FDS) a guida curda e a prevalente popolazione curda. L’ENS ha, ad esempio, conquistato la città di Tal Rifaat e l’area di Shahba nel nord di Aleppo, precedentemente sotto il controllo delle FDS, provocando lo sfollamento forzato di oltre 150.000 civili e molte violazioni dei diritti umani contro individui curdi, tra cui assassinii e rapimenti. L’ENS ha poi annunciato un’offensiva militare, sostenuta dall’esercito turco, sulla città di Manbij, che ospita 100.000 civili ed è controllata dall’FDS.
Esistono quindi differenze tra HTS e ENS. L’HTS ha una relativa autonomia dalla Turchia, a differenza dell’ENS, che è controllato dalla Turchia e ne serve gli interessi. Le due forze sono diverse, perseguono obiettivi distinti e hanno conflitti tra loro, anche se per il momento sono stati tenuti nascosti. Ad esempio, l’HTS non sta cercando di confrontarsi con l’FDS. Inoltre, l’ENS ha pubblicato una dichiarazione critica contro l’HTS per il suo “comportamento aggressivo” contro i membri dell’ENS, mentre l’HTS avrebbe incolpato i combattenti dell’ENS di saccheggio.
Tempest: Per molti che non hanno prestato attenzione alla Siria, questa notizia è arrivata all’improvviso. Quali sono le radici di questa situazione nella rivoluzione, controrivoluzione e guerra civile siriana? Cosa è successo all’interno del paese nell’ultimo periodo che ha scatenato l’offensiva militare? Quali sono le dinamiche regionali e internazionali che hanno aperto lo spazio per l’avanzata dei ribelli?
JD: Inizialmente, l’HTS ha lanciato la campagna militare come reazione all’escalation di attacchi e bombardamenti sul suo territorio nord-occidentale da parte del regime di Assad e della Russia. Mirava anche a riconquistare le aree che il regime aveva conquistato, violando le zone di de-escalation concordate in un accordo del marzo 2020, negoziato da Mosca e Teheran. Con il loro sorprendente successo, tuttavia, hanno ampliato le loro ambizioni e hanno apertamente chiesto il rovesciamento del regime, che ora hanno realizzato insieme ad altri.
L’HTS e l’ENS hanno avuto un tale successo grazie all’indebolimento dei principali alleati del regime. La Russia, il principale sponsor internazionale di Assad, ha dirottato le sue forze e risorse verso la sua guerra imperialista contro l’Ucraina. Di conseguenza, il suo coinvolgimento in Siria è stato significativamente più limitato rispetto a operazioni militari simili negli anni precedenti.
A causa di tutte le sue debolezze strutturali, della mancanza di sostegno da parte della popolazione che governa, dell’inaffidabilità delle sue stesse truppe, e senza il supporto internazionale e regionale, il regime di Assad si è dimostrato incapace di resistere all’avanzata delle forze ribelli, città dopo città, e il suo dominio su di esse è crollato come un castello di carte.
Gli altri due alleati chiave, gli Hezbollah libanesi e l’Iran, sono stati drammaticamente indeboliti da Israele dopo il 7 ottobre 2023. Tel Aviv ha assassinato i vertici di Hezbollah, compreso Hassan Nasrallah, ha decimato i suoi quadri con gli attacchi ai cercapersone e ha bombardato le sue forze in Libano. Hezbollah sta sicuramente affrontando la sfida più grande dalla sua fondazione. Israele ha anche lanciato ondate di attacchi contro l’Iran, mettendo a nudo le sue vulnerabilità. Negli ultimi mesi ha anche aumentato i bombardamenti sulle posizioni iraniane e di Hezbollah in Siria.
Con i suoi principali sostenitori preoccupati e indeboliti, la dittatura di Assad era in una posizione vulnerabile. A causa di tutte le sue debolezze strutturali, della mancanza di sostegno da parte della popolazione che governa, dell’inaffidabilità delle proprie truppe e senza il supporto internazionale e regionale, si è dimostrata incapace di resistere all’avanzata delle forze ribelli, città dopo città, e il suo dominio su di esse è crollato come un castello di carte.
Tempest: Come hanno reagito inizialmente gli alleati del regime? Quali sono i loro interessi in Siria?
JD: Sia la Russia che l’Iran si sono inizialmente impegnati a sostenere il regime e hanno fatto pressioni per combattere l’HTS e l’ENS. Nei primi giorni dell’offensiva, la Russia ha invitato il regime siriano a ricomporsi e a “mettere ordine ad Aleppo”, il che sembra indicare che sperava che Damasco contrattaccasse.
L’Iran ha chiesto un “coordinamento” con Mosca di fronte a questa offensiva. L’Iran ha affermato che gli Stati Uniti e Israele sono dietro l’offensiva dei ribelli contro il tentativo del regime siriano di destabilizzarlo e di distogliere l’attenzione dalla guerra di Israele in Palestina e in Libano. I funzionari iraniani hanno dichiarato il loro pieno sostegno al regime siriano e hanno confermato l’intenzione di mantenere e persino aumentare la presenza dei loro “consiglieri militari” in Siria per sostenere l’esercito. Teheran ha anche promesso di fornire missili e droni al regime siriano e persino di schierare le proprie truppe.
Ma è chiaro che tutto ciò non ha funzionato. Nonostante i bombardamenti russi su aree fuori dal controllo del regime, l’avanzata dei ribelli è stata imperterrita.
Entrambe le potenze hanno molto da perdere in Siria. Per l’Iran, la Siria è fondamentale per il trasferimento di armi e il coordinamento logistico con Hezbollah. In realtà, prima della caduta del regime, si vociferava che il partito libanese avesse inviato un piccolo numero di “forze di supervisione” a Homs per assistere le forze militari del regime e 2000 soldati nella città di Qusayr, una delle sue roccaforti in Siria vicino al confine con il Libano, per difenderla in caso di attacco da parte dei ribelli. Il regime ha ritirato le sue forze mentre stava cadendo.
Da parte sua, la base aerea russa di Hmeimim, nella provincia siriana di Latakia, e la struttura navale di Tartous, sulla costa, sono stati siti importanti per la Russia per affermare il suo peso geopolitico in Medio Oriente, nel Mediterraneo e in Africa. La perdita di queste basi minerebbe lo status della Russia, il cui intervento in Siria è stato usato come esempio di come essa possa usare la forza militare per plasmare gli eventi al di fuori dei suoi confini e competere con gli stati occidentali.
Tempest: Che ruolo hanno avuto in questo scenario altre potenze regionali e imperiali, in particolare Turchia, Israele e Stati Uniti? Quali sono le loro ambizioni in questa situazione?
JD: Nonostante la normalizzazione della Turchia con la Siria, Ankara si è sentita frustrata da Damasco. Quindi ha incoraggiato, o almeno dato il via libera, all’offensiva militare e l’ha assistita in un modo o nell’altro. L’obiettivo di Ankara era inizialmente quello di migliorare la propria posizione nei futuri negoziati con il regime siriano, ma anche con l’Iran e la Russia.
Ora, con la caduta del regime, l’influenza della Turchia è ancora più importante in Siria e probabilmente la rende l’attore regionale chiave nel paese. Ankara sta anche cercando di usare l’ENS per indebolire l’FDS, che è dominato dall’ala armata del partito curdo Partiya Yekîtiya Demokrat (PYD), un’organizzazione sorella del partito curdo turco Partiya Karkerên Kurdistanê (PKK), il partito diretto da Abdullah Öcalan e designato come terrorista da Ankara, Stati Uniti e Unione Europea.
La Turchia ha altri due obiettivi principali. In primo luogo, mira a realizzare il ritorno forzato in Siria dei rifugiati siriani presenti in Turchia. In secondo luogo, vogliono negare le aspirazioni curde all’autonomia e, più specificamente, minare l’amministrazione a guida curda nel nord-est della Siria, l’Amministrazione autonoma della Siria settentrionale e orientale (AANES, detta anche Rojava), che costituirebbe un precedente per l’autodeterminazione curda in Turchia, una minaccia per il regime nella sua attuale composizione.
Né gli Stati Uniti né Israele hanno avuto un ruolo in questi eventi. Anzi, è vero il contrario. Gli Stati Uniti erano preoccupati che il rovesciamento del regime potesse creare maggiore instabilità nella regione. I funzionari statunitensi hanno inizialmente dichiarato che “il continuo rifiuto del regime di Assad di impegnarsi nel processo politico delineato nella risoluzione 2254 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e il suo affidamento alla Russia e all’Iran hanno creato le condizioni che si stanno ora verificando, compreso il crollo delle linee del regime di Assad nel nord-ovest della Siria”.
Ha inoltre dichiarato di non avere “nulla a che fare con questa offensiva, che è guidata da Hayat Tahrir al-Sham (HTS), designata come organizzazione terroristica”. Dopo una visita in Turchia, il Segretario di Stato Antony Blinken ha chiesto una de-escalation in Siria. Dopo la caduta del regime, i funzionari statunitensi hanno dichiarato che manterranno la loro presenza nella Siria orientale, circa 900 soldati, e che prenderanno le misure necessarie per prevenire una recrudescenza dello “Stato Islamico”.
Da parte loro, i funzionari israeliani hanno dichiarato che “il crollo del regime di Assad creerebbe probabilmente un caos in cui si svilupperebbero minacce militari contro Israele”. Inoltre, Israele non ha mai sostenuto realmente il rovesciamento del regime siriano, fin dal tentativo di rivoluzione del 2011. Nel luglio 2018 Netanyahu non si è opposto a che Assad riprendesse il controllo del paese e stabilizzasse il suo potere.
Benjamin Netanyahu ha detto che Israele avrebbe agito solo contro le minacce percepite, come le forze e l’influenza dell’Iran e di Hezbollah, spiegando: “Non abbiamo avuto problemi con il regime di Assad, per 40 anni non è stato sparato un solo proiettile sulle alture del Golan”. Poche ore dopo l’annuncio della caduta del regime, l’esercito di occupazione israeliano ha preso il controllo del versante siriano del Monte Hermon, sulle Alture del Golan, per impedire ai ribelli di conquistare l’area. In precedenza, il primo ministro israeliano Netanyahu aveva ordinato all’esercito di occupazione israeliano di “prendere il controllo” della zona cuscinetto del Golan e delle “posizioni strategiche adiacenti”.
Tempest: Molti campisti sono tornati a difendere Assad, questa volta sostenendo che una sua sconfitta sarebbe una battuta d’arresto per la lotta di liberazione palestinese. Cosa ne pensi di questa argomentazione? Cosa significherebbe per la Palestina?
JD: Sì, i campisti hanno sostenuto che questa offensiva militare è guidata da “Al-Qaeda e altri terroristi” e che si tratta di un complotto occidentale-imperialista contro il regime siriano, volto a indebolire il cosiddetto “Asse della Resistenza” guidato da Iran e Hezbollah. Poiché questo Asse sostiene di essere a sostegno dei palestinesi, i campisti affermano che la caduta di Assad lo indebolisce e quindi mina la lotta per la liberazione della Palestina.
Oltre a ignorare qualsiasi potere degli attori siriani locali, il problema principale dell’argomentazione promossa dai sostenitori del cosiddetto “Asse della Resistenza” è il loro presupposto che la liberazione della Palestina verrà dall’alto, da questi stati o da altre forze, indipendentemente dalla loro natura reazionaria e autoritaria e dalle loro politiche economiche neoliberali. Questa strategia ha fallito in passato e fallirà anche oggi. Infatti, invece di far progredire la lotta per la liberazione della Palestina, gli stati autoritari e dispotici del Medio Oriente, sia che siano allineati con l’Occidente sia che vi si oppongano, hanno ripetutamente tradito i palestinesi e li hanno persino repressi.
Inoltre, i campisti ignorano il fatto che gli obiettivi principali di Iran e Siria non sono la liberazione della Palestina, ma la conservazione dei loro stati e dei loro interessi economici e geopolitici. Essi li anteporranno sempre e comunque alla Palestina. La Siria, in particolare, come Netanyahu ha chiarito abbondantemente nella citazione che ho appena riportato, non ha mosso un dito contro Israele per decenni.
Da parte sua, l’Iran ha retoricamente sostenuto la causa palestinese e finanziato Hamas. Ma dal 7 ottobre 2023, il suo obiettivo principale è quello di migliorare la sua posizione nella regione, in modo da essere nella posizione migliore per i futuri negoziati politici ed economici con gli Stati Uniti. L’Iran vuole garantire i suoi interessi politici e di sicurezza e quindi ha voluto evitare qualsiasi guerra diretta con Israele.
Il suo principale obiettivo geopolitico in relazione ai palestinesi non è quello di liberarli, ma di usarli come leva, in particolare nelle relazioni con gli Stati Uniti. Allo stesso modo, la risposta passiva dell’Iran all’assassinio di Nasrallah da parte di Israele, alla decimazione dei quadri di Hezbollah e alla brutale guerra contro il Libano dimostra che la sua prima priorità è proteggere se stesso e i suoi interessi. Non è stato disposto a sacrificare questi ultimi e a venire in difesa del suo principale alleato non statale.
Allo stesso modo, l’Iran si è dimostrato, nella migliore delle ipotesi, un alleato volubile di Hamas. Ha ridotto i suoi finanziamenti ad Hamas quando i loro interessi non coincidevano. Ha tagliato l’assistenza finanziaria ad Hamas dopo la rivoluzione siriana del 2011, quando il movimento palestinese si è rifiutato di sostenere la repressione omicida del regime siriano nei confronti dei manifestanti siriani.
Nel caso del regime siriano, l’argomento contro il suo presunto sostegno alla Palestina è inattaccabile. Non è intervenuto in difesa della Palestina durante l’ultimo anno di guerra genocida di Israele. Nonostante i bombardamenti di Israele sulla Siria, prima e dopo il 7 ottobre, il regime non ha risposto. Ciò è in linea con la politica del regime che dal 1974 cerca di evitare qualsiasi confronto diretto e significativo con Israele.
Inoltre, il regime ha ripetutamente represso i palestinesi in Siria, uccidendone diverse migliaia dal 2011 e devastando il campo profughi di Yarmouk a Damasco. Ha anche attaccato lo stesso movimento nazionale palestinese. Ad esempio, nel 1976 Hafez al-Assad, padre del suo erede e dittatore appena deposto Bashar al-Assad, è intervenuto in Libano e ha sostenuto i partiti libanesi di estrema destra contro le organizzazioni palestinesi e libanesi di sinistra.
Ha anche condotto operazioni militari contro i campi palestinesi a Beirut nel 1985 e nel 1986. Nel 1990 circa 2.500 prigionieri politici palestinesi erano detenuti nelle carceri siriane.
Alla luce di questa storia, è un errore per il movimento di solidarietà con la Palestina difendere e allinearsi con gli stati imperialisti o sub-imperialisti che antepongono i loro interessi alla solidarietà con la Palestina, competono per ottenere vantaggi geopolitici e sfruttano i lavoratori e le risorse dei loro paesi. Naturalmente, l’imperialismo statunitense rimane il principale nemico della regione, con la sua eccezionale storia di guerra, saccheggio e dominio politico.
Ma non ha senso considerare le potenze regionali reazionarie e altri stati imperialisti come la Russia o la Cina come alleati della Palestina o del suo movimento di solidarietà. Semplicemente non ci sono prove a sostegno di questa posizione. Scegliere un imperialismo piuttosto che un altro significa garantire la stabilità del sistema capitalistico e lo sfruttamento delle classi popolari. Allo stesso modo, sostenere regimi autoritari e dispotici per perseguire l’obiettivo di liberare la Palestina non solo è moralmente sbagliato, ma si è anche dimostrato una strategia fallimentare.
Il movimento di solidarietà palestinese deve invece vedere la liberazione della Palestina come legata non agli stati della regione, ma alla liberazione delle sue classi popolari. Queste si identificano con la Palestina e vedono le proprie battaglie per la democrazia e l’uguaglianza come intimamente legate alla lotta di liberazione dei palestinesi. Quando i palestinesi lottano, tendono a innescare il movimento regionale per la liberazione, e il movimento regionale alimenta quello della Palestina occupata.
Queste lotte sono dialetticamente collegate, sono lotte reciproche per la liberazione collettiva. Il ministro israeliano di estrema destra Avigdor Lieberman ha riconosciuto il pericolo che le rivolte popolari regionali rappresentano per Israele nel 2011, quando ha affermato che la rivoluzione egiziana, che ha rovesciato Hosni Mubarak e ha aperto le porte a un periodo di apertura democratica nel paese, rappresentava per Israele una minaccia maggiore dell’Iran.
Questo non significa negare il diritto di resistenza dei palestinesi e dei libanesi alle brutali guerre di Israele, ma comprendere che la rivolta unitaria delle classi popolari palestinesi e regionali ha da sola il potere di trasformare l’intero Medio Oriente e il Nord Africa, rovesciando i regimi autoritari, espellendo gli Stati Uniti e le altre potenze imperialiste. La solidarietà internazionale antimperialista con la Palestina e le classi popolari della regione è essenziale, perché esse non devono affrontare solo Israele e i regimi reazionari dell’area MENA (Middle East and North Africa), ma anche i loro finanziatori imperialisti.
Il compito principale del movimento di solidarietà con la Palestina, in particolare in Occidente, è quello di denunciare il ruolo complice delle nostre classi dominanti nel sostenere non solo lo stato razzista di apartheid coloniale di Israele e la sua guerra genocida contro i palestinesi, ma anche gli attacchi di Israele ad altri paesi della regione come il Libano. Il movimento deve fare pressione su queste classi dirigenti affinché interrompano qualsiasi relazione politica, economica e militare con Tel Aviv.
In questo modo, il movimento di solidarietà può sfidare e indebolire il sostegno internazionale e regionale a Israele, aprendo ai palestinesi lo spazio per liberarsi insieme alle classi popolari della regione.
Tempest: L’avanzata dei ribelli in Siria aprirà uno spazio alle forze progressiste per rinnovare la lotta rivoluzionaria e fornire un’alternativa sia al regime che al fondamentalismo islamico?
JD: Non ci sono risposte ovvie, se non altre domande. La lotta dal basso e l’auto-organizzazione saranno possibili nelle aree in cui il regime è stato espulso? Le organizzazioni della società civile (non definite in senso stretto come ONG, ma in senso gramsciano come formazioni popolari di massa al di fuori dello stato) e le strutture politiche alternative con politiche democratiche e progressiste saranno in grado di affermarsi, organizzarsi e costituire un’alternativa politica e sociale a HTS e ENS? L’allontanamento delle forze dell’HTS e dell’ENS lascerà spazio all’organizzazione locale?
Queste sono le domande chiave, a mio avviso, senza risposte chiare. Guardando alle politiche dell’HTS e dell’ENS in passato, non hanno incoraggiato lo sviluppo di uno spazio democratico, ma piuttosto il contrario. Sono stati autoritari. Non bisogna dare fiducia a queste forze. Solo l’auto-organizzazione delle classi popolari che lottano per le rivendicazioni democratiche e progressiste creerà questo spazio e aprirà un cammino verso l’effettiva liberazione. Ciò dipenderà dal superamento di molti ostacoli, dalla fatica della guerra alla repressione, alla povertà e alla dislocazione sociale.
Non bisogna dare fiducia a HTS e ENS. Solo l’auto-organizzazione delle classi popolari che lottano per le richieste democratiche e progressiste creerà questo spazio e aprirà un percorso verso la liberazione effettiva. Ciò dipenderà dal superamento di molti ostacoli, dalla fatica della guerra alla repressione, alla povertà e alla dislocazione sociale.
L’ostacolo principale è stato, è e sarà rappresentato dagli attori autoritari, in precedenza il regime, ma ora molte delle forze di opposizione, in particolare l’HTS e l’ENS; il loro dominio e gli scontri militari tra loro hanno soffocato lo spazio per le forze democratiche e progressiste per determinare democraticamente il loro futuro. Anche negli spazi liberati dal controllo del regime non si sono ancora viste campagne popolari di resistenza democratica e progressista. Inoltre, laddove l’ENS ha conquistato le aree curde, ha violato i diritti dei curdi, li ha repressi con la violenza e ne ha sfollati con la forza un gran numero.
Dobbiamo affrontare la dura realtà dell’assenza di un blocco democratico e progressista indipendente, in grado di organizzarsi e di opporsi chiaramente al regime siriano e alle forze fondamentaliste islamiche. La costruzione di questo blocco richiederà tempo. Dovrà combinare le lotte contro l’autocrazia, lo sfruttamento e tutte le forme di oppressione. Dovrà sollevare richieste di democrazia, uguaglianza, autodeterminazione curda e liberazione delle donne per costruire la solidarietà tra gli sfruttati e gli oppressi del paese.
Per avanzare tali richieste, il blocco progressista dovrà costruire e ricostruire organizzazioni popolari, dai sindacati alle organizzazioni femministe, alle organizzazioni comunitarie e alle strutture nazionali per riunirle. Ciò richiederà la collaborazione tra gli attori democratici e progressisti di tutta la società.
Detto questo, c’è speranza: mentre le dinamiche chiave erano inizialmente militari e guidate dall’HTS e dall’ENS, negli ultimi giorni abbiamo visto crescere le manifestazioni popolari e la gente scendere in strada in tutta la Siria. Non stanno seguendo alcun ordine dell’HTS, dell’ENS o di altri gruppi armati di opposizione. Ora c’è uno spazio, con le sue contraddizioni e le sfide di cui sopra, in cui i siriani possono cercare di ricostruire una resistenza popolare civile dal basso e strutture di potere alternative.
Inoltre, uno dei compiti principali sarà quello di affrontare la divisione etnica centrale del paese, quella tra arabi e curdi. Le forze progressiste devono condurre una chiara lotta contro lo sciovinismo arabo per superare questa divisione e forgiare la solidarietà tra queste popolazioni. Questa è stata una sfida fin dall’inizio della rivoluzione siriana, nel 2011, e dovrà essere affrontata e risolta in modo progressivo affinché il popolo siriano sia veramente liberato.
C’è un disperato bisogno di tornare alle aspirazioni originarie della rivoluzione siriana per la democrazia, la giustizia sociale e l’uguaglianza – e in un modo che sostenga l’autodeterminazione curda. Sebbene il PYD curdo possa essere criticato per i suoi errori e la sua forma di governo, non è il principale ostacolo a questa solidarietà tra curdi e arabi. Si tratta delle posizioni e delle politiche bellicose e scioviniste delle forze di opposizione arabe in Siria – a cominciare dalla Coalizione Nazionale Siriana, dominata dagli arabi, seguita dalla Coalizione Nazionale delle Forze Rivoluzionarie e di Opposizione Siriane, i principali organismi di opposizione in esilio sostenuti dall’Occidente e dai paesi della regione, che hanno cercato di guidare la rivoluzione siriana nei suoi primi anni – e oggi di quelle delle due principali forze militari, l’HTS e l’ENS.
In questo contesto, le forze progressiste devono perseguire la collaborazione tra arabi e curdi siriani, compresa l’AANES. Il progetto dell’AANES e le sue istituzioni politiche rappresentano ampie fasce della popolazione curda e l’hanno protetta da varie minacce locali ed esterne.
Ma anche questo ha dei difetti e non deve essere sostenuto acriticamente. Il PYD e l’AANES hanno usato la forza e la repressione contro attivisti politici e gruppi che sfidavano il loro potere. Inoltre, hanno violato i diritti umani dei civili. Ciononostante, hanno ottenuto alcuni importanti risultati, in particolare l’aumento della partecipazione delle donne a tutti i livelli della società, la codificazione di leggi laiche e una maggiore inclusione delle minoranze religiose ed etniche. Tuttavia, per quanto riguarda le questioni socio-economiche, non hanno rotto con il capitalismo e non hanno affrontato adeguatamente le rivendicazioni delle classi popolari.
A prescindere dalle critiche che i progressisti possono muovere al PYD e all’AANES, dobbiamo rifiutare e opporci alle descrizioni scioviniste degli arabi che li definiscono come “il diavolo” e un progetto etno-nazionalista “separatista”. Ma nel rifiutare questo bigottismo, non dobbiamo romanticizzare acriticamente l’AANES, come hanno fatto alcuni anarchici e sinistrorsi occidentali, travisandola come una nuova forma di potere democratico dal basso.
C’è già stata una certa collaborazione tra i democratici e i progressisti arabi siriani e l’AANES e le istituzioni ad essa collegate, che deve essere rafforzata e ampliata. Ma, come in ogni tipo di collaborazione, ciò non dovrebbe essere fatto in modo acritico.
Sebbene sia importante ricordare a tutti che il regime di Bashar al-Assad e i suoi alleati sono i primi responsabili dell’uccisione di massa di centinaia di migliaia di civili, delle distruzioni di massa, dell’impoverimento crescente e dell’attuale situazione in Siria, l’obiettivo della rivoluzione siriana va al di là di quanto affermato dal leader dell’HTS, al-Jolani, nella sua intervista alla CNN. Non si tratta solo di rovesciare questo regime, ma di costruire una società caratterizzata da democrazia, uguaglianza e pieni diritti per i gruppi oppressi. Altrimenti, stiamo solo sostituendo un male con un altro.
Tempest: Che impatto avrà la caduta del regime sulla regione e sulle potenze imperiali? Quale posizione dovrebbe assumere la sinistra internazionale in questa situazione?
JD: Dopo la caduta del regime, il leader dell’HTS al-Jolani ha dichiarato che le istituzioni statali siriane saranno supervisionate dall’ex primo ministro del regime Mohammed Jalali fino a quando non saranno consegnate a un nuovo governo con pieni poteri esecutivi, dopo le elezioni, segnalando gli sforzi per garantire una transizione ordinata. Il ministro siriano delle telecomunicazioni Eyad al-Khatib ha accettato di collaborare con i rappresentanti dell’HTS per garantire che le telecomunicazioni e internet continuino a funzionare.
Queste sono chiare indicazioni che l’HTS vuole effettuare una transizione controllata del potere per placare i timori stranieri, stabilire contatti con le potenze regionali e internazionali e ottenere il riconoscimento come forza legittima con cui negoziare. Un ostacolo a tale normalizzazione è rappresentato dal fatto che l’HTS è ancora considerato un’organizzazione terroristica, mentre la Siria è sottoposta a sanzioni.
C’è comunque da aspettarsi un periodo di instabilità. A Damasco, il giorno dopo la caduta del regime, si è visto un certo caos nelle strade, ad esempio la banca centrale è stata saccheggiata.
È ancora difficile dire quale impatto avrà la caduta del regime sulle potenze regionali e imperiali. Per gli Stati Uniti e gli stati occidentali, l’obiettivo principale è ora quello di limitare i danni per evitare che il caos si estenda alla regione. Gli stati regionali non sono chiaramente soddisfatti della situazione attuale, poiché negli ultimi anni avevano avviato un processo di normalizzazione con il regime. Per quanto riguarda la Turchia, il suo obiettivo principale sarà quello di consolidare il suo potere e la sua influenza in Siria e di sbarazzarsi dell’AANES guidata dai curdi nel nord-est. Il più alto diplomatico turco ha dichiarato domenica che lo stato turco è in contatto con i ribelli in Siria per garantire che lo “Stato Islamico” e in particolare il “PKK” non approfittino della caduta del regime di Damasco per estendere la loro influenza.
Le diverse potenze hanno tuttavia un obiettivo comune: imporre una forma di stabilità autoritaria in Siria e nella regione. Questo, ovviamente, non significa unità tra le potenze regionali e imperiali. Ognuna di esse ha i propri interessi, spesso antagonisti, ma non vogliono la destabilizzazione del Medio Oriente e del Nord Africa, soprattutto un’instabilità che interrompa il flusso di petrolio verso il capitalismo globale.
La sinistra internazionale non deve schierarsi con i resti del regime o con le forze locali, regionali e internazionali della controrivoluzione. La bussola politica dei rivoluzionari dovrebbe invece essere il principio della solidarietà con le lotte popolari e progressiste dal basso. Ciò significa sostenere i gruppi e gli individui che si organizzano e lottano per una Siria progressista e inclusiva e costruire la solidarietà tra loro e le classi popolari della regione.
In un momento di instabilità in Siria, Medio Oriente e Nord Africa, dobbiamo evitare le due trappole della romanticizzazione e del disfattismo. Dobbiamo invece perseguire una strategia di solidarietà critica, progressista e internazionale tra le forze popolari della regione e del mondo intero. Questo è il compito e la responsabilità cruciale della sinistra, soprattutto in questi tempi così complessi.