La scuola torna a lottare

Lo sciopero del 31 ottobre, indetto da USB, Cub e Flc-Cgil è una occasione fondamentale per dimostrare al governo Meloni che le lavoratrici e i lavoratori della conoscenza si collocano all’opposizione [Francesco Locantore]

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Finalmente la scuola torna a lottare! Lo sciopero del 31 ottobre, indetto da USB, Cub e Flc-Cgil è una occasione fondamentale per dimostrare al governo Meloni che le lavoratrici e i lavoratori della conoscenza si collocano all’opposizione. E’ l’occasione perché l’insofferenza diffusa verso le politiche postfasciste, militariste e neoliberiste che il governo sta attuando nell’istruzione, nell’università e nella ricerca si trasformi in una lotta politico sindacale, con gli strumenti che sono propri della classe lavoratrice, a cominciare appunto dallo sciopero.

Molte manifestazioni di piazza sono previste in coincidenza con lo sciopero, a partire dal presidio davanti al Ministero dell’istruzione e del merito a viale Trastevere a Roma.

Ormai da molti anni, ma in particolare dopo il periodo di emergenza sanitaria, il conflitto sindacale nei settori della conoscenza stenta a ripartire. La responsabilità principale è sicuramente dei sindacati, che spesso non danno continuità alle giornate di sciopero, sempre più sporadiche e rituali. Questa volta la Flc ha scelto uno slogan molto efficace: “I lavoratori fanno sul serio”. Ci auguriamo che sia proprio così, che le lavoratrici e i lavoratori aderiscano in massa allo sciopero e scendano in piazza anche per dare un segnale ai sindacati stessi, che devono cominciare a fare davvero sul serio, proseguendo nella lotta fino ad ottenere gli obiettivi dichiarati nelle piattaforme.

La scuola, così come tutti i settori pubblici, dovrebbe rinnovare un contratto scaduto ormai da tre anni, che ha tenuto fermi gli stipendi in un triennio in cui l’inflazione è cresciuta di circa il 17%. Un taglio delle retribuzioni reali di quasi un quinto del potere d’acquisto, come se tutti coloro che lavorano nel pubblico stessero pagando su ogni mensilità una cessione del quinto, senza però aver ricevuto alcun prestito… E stiamo parlando di retribuzioni che sono state bloccate già dal 2009 al 2015, che per quanto riguarda la scuola sono le più basse d’Europa e sono più basse anche degli altri settori della pubblica amministrazione. Le somme stanziate in questi anni per il rinnovo dei contratti pubblici consentirebbero di recuperare appena un terzo di questa perdita, il 5,78%, e l’ultima proposta di legge di bilancio approdata in questi giorni in Parlamento non interviene a stanziare risorse a questo scopo, determinando nei fatti un taglio significativo delle retribuzioni pubbliche.

La scuola viene tagliata anche dalle politiche di dimensionamento delle reti scolastiche, che prevedono la chiusura degli istituti più piccoli, quelli nei piccoli centri e l’accorpamento in scuole sempre più sovradimensionate e affollate, in modo da risparmiare sul personale tecnico amministrativo e docente. Inoltre si continua a fondare sempre più l’istruzione pubblica sul lavoro precario degli insegnanti a tempo determinato, che continuano a crescere di numero (in particolare gli insegnanti di sostegno per l’inclusione delle persone con disabilità), a dover affrontare ostacoli e costi sempre maggiori per l’abilitazione e l’assunzione a tempo indeterminato, che vengono messi in competizione tra loro a seconda dei percorsi formativi che hanno intrapreso e che continuano a mutare ad ogni cambio di governo.

Oltre alle rivendicazioni economiche, la scuola, l’università e la ricerca pubbliche sono vittime delle politiche del governo post fascista che punta a squalificare e subordinare istruzione e ricerca agli interessi delle imprese private e alle logiche militariste. La scuola è investita da controriforme che ne stanno cambiando radicalmente il volto. 

La riforma della filiera tecnica e professionale punta a tagliare un anno di scuola superiore per i figli della classe lavoratrice, favorendo ulteriormente la formazione professionale privata e rilanciando gli ITS, istituti tecnici superiori gestiti da fondazioni miste pubblico-private, in cui le aziende decidono i programmi di studio e nominano gli insegnanti. In questo modo si approfondisce la discriminazione tra gli studenti liceali, proiettati verso la formazione universitaria e quelli degli istituti tecnici e professionali destinati a interrompere gli studi ed entrare in azienda il prima possibile. L’istituzione del liceo del made in Italy dimostra ancora una volta la visione del governo subordinata ai miopi interessi delle imprese private. La formazione “incentivata” degli insegnanti e l’introduzione delle figure dei tutor per l’orientamento punta a dividere chi lavora nelle scuole ed ha creare un middle management scolastico sul modello aziendale, approfondendo allo stesso tempo i meccanismi di selezione di classe nei percorsi di istruzione pubblici, visto che ai titoli di studio si vanno sostituendo i curriculum degli studenti. Anche l’educazione civica nelle scuole è stata distorta con l’emanazione delle nuove linee guida, che vanno nel senso dell’esaltazione dell’individualismo, del patriottismo e dell’imprenditorialità. E questo governo si prepara a riformulare le indicazioni nazionali – quelli che una volta erano i programmi ministeriali – per tutti gli ordini di scuola.

Infine con la legge Calderoli sull’autonomia differenziata, come per altri importanti settori pubblici, si punta a differenziare l’offerta scolastica regionalizzandola e condizionandola alle differenze di reddito di ciascuna regione, smantellando la contrattazione collettiva nazionale e reintroducendo le gabbie salariali tra i lavoratori e le lavoratrici del Sud e del Nord.

Sconfiggere queste politiche e questo governo è una priorità per le lavoratrici e i lavoratori della conoscenza. Per vincere bisognerà dotarsi di strumenti sindacali conflittuali adeguati all’obiettivo, che possono essere costruiti solo nella ripresa della pratica delle lotte sociali, a partire dagli scioperi previsti in questa stagione.