La partita truccata della finanziaria di Meloni
Verso una nuova legge finanziaria liberista e antipopolare [Franco Turigliatto]
E’ cominciato la discussione nel governo e nei media su quali saranno i contenuti della prossima legge di bilancio (che ad oggi viene quantificata in 25 miliardi di euro) e sulle diverse proposte delle forze politiche e sociali.
Il ritornello abituale, teso a nascondere le scelte di classe del governo e dei capitalisti, è quello solito: “Non ci sono le risorse per accontentare tutti”; quindi non si può assolutamente pensare di affrontare e risolvere le grandi questioni sociali del paese, sanità, occupazione, difesa dell’ambiente. Al massimo si può tagliare qualcosa qua e là per redistribuirlo da altre parti a risultato zero.
E’ un gioco totalmente truccato non solo da parte dell’esecutivo, ma anche, e non meno, dalla “opposizione borghese e liberista” al governo rappresentata da alcuni giornali.
E’ truccato in primo luogo perché non si apre mai il capitolo delle entrate, cioè si esclude un aumento della imposizione fiscale per il capitale, le rendite e per le fortune delle classi possidenti al fine di avere le risorse per i servizi sociali fondamentali. E’ ben nota la storia della tassazione dei super profitti delle banche, una misura che è vissuta un solo giorno e solo sui giornali.[1] Anzi ci troviamo già di fronte alla conferma della riduzione delle aliquote fiscali (solo tre che significa una riduzione delle tasse sui redditi superiori). La parola patrimoniale rimanda a un peccato mortale.
In secondo luogo si esclude che si possano operare tagli ai trasferimenti di soldi pubblici alle imprese che in mille forme sono stati garantiti ai capitalisti in questi anni e che sono considerati intoccabili.
Viene poi considerata bestemmia parlare di un drastico taglio alle spese militari. Anzi devono aumentare arrivando rapidamente al 2% del bilancio dello stato e l’Italia deve partecipare appieno alla folle corsa al riarmo in atto.
L’ultimo argomento è che non si può aumentare ulteriormente il debito, visto le nuove regole del patto di stabilità. In realtà una parte cospicua della manovra anche quest’anno sarà finanziata a debito.[2]
A questo punto nella logica governativa, padronale e dei loro media non resta che tagliare ulteriori risorse della spesa pubblica destinata alle classi lavoratrici e ai settori popolari più deboli, più ancora di quanto già non sia stato fatto in questi anni che ha prodotto oltre sei milioni di persone in povertà assoluta e alcuni altri milioni in povertà relativa, sulla base del principio che i “sacrifici possono farli quelli che già ci sono abituati”. Quasi che si possa dimenticare che la stessa OCSE ha sentenziato che i redditi delle famiglie italiane sono ancora inferiori a quelle del 2007. E l’Eurostat lo ribadisce: il reddito disponibile reale lordo delle famiglie italiane nel 2023 è diminuito di ben sei punti percentuali rispetto al 2008.
Prendendo come riferimento il 2008 nei 27 paesi dell’Unione –la media dei redditi disponibili nell’ultimo anno sale da 110,12 a 110,82; in Italia cala da 94,15 a 93,74; il reddito disponibile reale nel nostro paese risulta pertanto inferiore di oltre 17 punti, rispetto alla media europea. Tutta la logica classista sta dentro questa impostazione padronale e governativa della legge di bilancio: l’obiettivo è una nuova e più forte aggressione alle condizioni di vita delle classi lavoratrici.
Quindi.
Tutta la discussione sulla riduzione dei bonus punta semplicemente ad abolire una serie di agevolazioni, certo molte volte parziali e disordinate, che interessano le condizioni di reddito, di sostegno, di assistenza sociale, dei più diversi settori popolari, comprese le donne, per fare cassa.
Sulle pensioni non ci sarà nessuna “quota Salvini”, specchio per le allodole con cui da anni questo cupo personaggio illude e prende in giro le lavoratrici e i lavoratori.
Anzi la logica delle controriforma Fornero opera sempre più e l’età della pensione diventa sempre più lontana. Ma non basta, le pensioni saranno usate ancora una volta dal governo per fare cassa, riducendo ancora i criteri per la loro rivalutazione annuale, che pure è ben lontana dal corrispondere alle reali dinamiche del carovita e che già negli ultimi due anni è stata corrisposta per intero solo alle pensioni 4 volte il minimo (2.272 euro lordi mensili).
Non ci saranno le risorse per rilanciare la “sanità pubblica, non perché non sia questa una necessità assoluta e non perché le risorse non potrebbero essere trovate nella nostra economia, ma perché si vuole sempre più favorire la sanità privata e i suoi profitti. E lo stesso vale per la previdenza.
E discorso analoghi possono essere fatti per la scuola, dove quest’anno si raggiungerà il record di supplenti (oltre 250 mila).
Né saranno messe a disposizione le risorse per affrontare il problema della disoccupazione e della precarietà e le centinaia di vertenze aziendali di crisi per delocalizzazione e ristrutturazione e anche infine il nodo dei salari e degli stipendi italiani, tra i più bassi in Europa, che rappresentano una ripartizione della ricchezza nazionale (e degli aumenti di produttività) a totale vantaggio delle classi proprietarie.
Servirebbe un forte intervento pubblico per creare lavoro nuovo e sicuro, ma da tempo viene esclusa questa scelta e si usano invece i soldi pubblici per regalarli ai privati, nella speranza, mai realizzata, che questi realizzino buoni posti di lavoro. Anzi viene riaperto il capitolo di nuove privatizzazioni di quel che resta di ancora pubblico.
Infine non inganni il rinnovo che ci sarà del cosiddetto cuneo fiscale, cioè una riduzione dell’imposizione fiscale sui salari che dà un modesto sollievo a milioni di lavoratrici e lavoratori. In realtà siamo di fronte non solo a una ben modesta “elemosina” alle lavoratrici e ai lavoratori, m soprattutto a un grande regalo ai padroni per liberarli da una più forte pressione salariale da parte dei dipendenti. Sono i capitalisti che dovrebbero sborsare i soldi per gli aumenti salariali. Invece si usano soldi dello stato, di quello stato che è sostenuto soprattutto dalla classe lavoratrice, l’unica pagare fino i fondo le tasse.
Infine il governo si guarda bene dallo stanziare le risorse necessarie per un adeguato rinnovo dei contratti delle lavoratrici e lavoratori pubblici.
Costruire, lotta, convergenza delle classi lavoratrici. Rompere con le regole liberiste del capitale
Davanti a questa pessima situazione che opprime le classi popolari, da tempo avrebbe dovuto esserci la costruzione di una generalizzata mobilitazione di massa dei sindacati su piattaforme di lotta ben chiare e definite nei contenuti che esprimessero i bisogni e le rivendicazioni salariali, occupazionali e dei diritti sociali di tutti i settori della classe lavoratrici per garantire una condizione di vita degna a tutte/i.
Cioè un radicale cambio di passo rispetto alla accettazione delle regole e degli interessi del capitale e dei profitti, cioè una rottura rispetto a tutti i parametri liberisti che hanno dominato nei programmi e nelle scelte di tutti i maggiori partiti e a cui le direzioni sindacali si sono subordinati. Quella rottura con cui le forze sociali e politiche che hanno dato vita al NFP in Francia provano a misurarsi pur in un contesto molto difficile.
Per ora in Italia, abbiamo visto solo qualche dichiarazione, da parte da alcune forze sindacali e segnatamente dalla CGIL. Ma da tempo la più grande Confederazione sindacale proclama e minaccia forti percorsi di mobilitazione, a cui però non fa seguire fatti e misure organizzative concrete di coinvolgimento di tutti i settori dei lavoratori.
E’ questa però la strada da seguire, anche perché sono aperte le vertenze per il rinnovo dei contratti di lavoro per più di 7 milioni di lavoratrici e lavoratori. Così come è aperta la battaglia sia contro le antidemocratiche controriforme istituzionali e per i referendum sociali della CGIL contro la precarietà.
L’obiettivo non può che essere quello che già da tre anni il collettivo della EX-GKN di Firenze ha proposto, quello di combinare l’insorgenza, cioè la costruzione di tutte le forme di lotta e resistenza contro le politiche capitaliste e nello stesso la convergenza di tutti i movimenti sociali, sia quelli che riguardano direttamente il lavoro, ma anche quelli ambientalisti contro il riscaldamento climatico, quelli per i diritti e tanto più i movimenti delle donne e LGBTQIA+ senza dimenticarsi i movimenti contro il riarmo, la corsa alle guerre delle diverse potenze imperialiste, contro le barbarie delle stragi e del genocidio, per i diritti dei popoli alla loro autodeterminazione, per l’unità e la solidarietà delle classi oppresse e sfruttate di tutto il mondo.
E’ la sfida che abbiamo davanti in questo autunno, indispensabile per costruire una reale opposizione sociale e politica efficace contro il governo delle estreme destre, ma anche contro le forze padronali e capitaliste di cui è al servizio.
E’ il modo anche con cui chiamare allo scoperto l’opposizione politica del centro sinistra, un’opposizione molto pallida ed anche molto segnata dalle sue scelte liberiste filocapitaliste passate e mai ripudiate, che hanno aperto un’autostrada alla demoralizzazione di vasti settori di massa e allo sviluppo ed insediamento delle destre ed estreme destre.
Molte saranno le iniziative che saranno messe in cantiere nelle prossime settimane. Da subito esprimiamo il nostro sostegno alle iniziative promosse dall’Assemblea contro il vergognoso DdL 1660 che criminalizza e reprime ogni lotta e dissenso e che arriverà a metà settembre in Parlamento.
Così come esprimiamo il pieno sostegno e la nostra partecipazione alla assemblea della ex GKN del 13 ottobre.
Ma prima ancora invitiamo tutte e tutti a partecipare alla nostra Università estiva dal 5 al l’8 settembre a Marina di Massa in cui tutti i grandi temi sociali e politici che abbiamo di fronte saranno affrontati e discussi con la partecipazione degli attivisti dei diversi movimenti sociali e sindacali e con numerosi ospiti stranieri.
[1] Nel 2024 si annunciano per le banche nuovi profitti record dopo il 25 miliardi del 2022 e i 40 miliardi del 2023; se continuerà il trend attuale che nei primi sei mesi ha già assegnato alle 8 banche principali utili netti per 13 miliardi di euro, a fine anno la manna per gli Istituti di crediti potrebbe aggirarsi intorno ai 45-50 miliardi.
[2] Il debito dello stato è ormai alla soglia del 3 mila miliardi (circa il 138% rispetto al Pil). Nel 2023 l’Italia ha speso circa 78,6 miliardi per rimborsare gli interessi del debito pubblico (il 3,8% del PIL).