Il capitalismo secondo il Governatore di Bankitalia
La relazione della leaderhip di Palazzo Koch è un passaggio fondamentale per capire cosa ha in mente la borghesia per mantenere lo status quo. La ricetta è la stessa di Draghi: più concorrenza, meno diritti [Franco Turigliatto]
La relazione del Governatore della Banca d’Italia è sempre un passaggio fondamentale per comprendere lo stato del capitalismo italiano (ed europeo) e cosa propongano i gestori della grande borghesia per la tenuta di questo modo di produzione basato sulla concorrenza e contraddistinto da forti contraddizioni economiche e sociali.
Le Considerazioni finali di Fabio Panetta hanno esaminato in primo luogo le grandi questioni irrisolte dell’Unione Europea capitalista.
Il Governatore ha sviluppato un ragionamento di grande convergenza analitica e prospettica con la relazione sulla produttività europea svolta circa due mesi fa da Mario Draghi in cui l’ex Primo ministro italiano non aveva esitato a denunciare che “il re era nudo” cioè la mancanza di competitività del capitalismo europeo, la sua debolezza non solo nei confronti della Cina, ma degli USA, perdente di fronte ad entrambi i colossi economici.
Anche l’altro tassello del ragionamento di Draghi, la mancanza di una vera governance unitaria dell’UE per fronteggiare le sfide economiche e politiche del capitalismo del continente, è stato ampiamente ripreso da Panetta.
La globalizzazione capitalista e la congiuntura mondiale
Il Governatore ha messo le mani avanti nel giudicare l’evoluzione della congiuntura mondiale:
“Nei mesi scorsi l’economia globale ha continuato a espandersi, nonostante il tono ancora restrittivo della politica monetaria in molti paesi e l’incertezza provocata dalle tensioni e dai conflitti in atto in più regioni del mondo. Le prospettive a breve termine rimangono tuttavia deboli. Nel 2024 il prodotto mondiale crescerebbe del 3 per cento, sensibilmente sotto la media dei primi vent’anni di questo secolo. Dopo avere ristagnato nel 2023, quest’anno il commercio tornerebbe ad aumentare, ma meno che in passato. Si tratta di una previsione di crescita modesta e soggetta a rischi al ribasso. Le tensioni geopolitiche potrebbero frenare il commercio mondiale e generare rincari delle materie prime. Le politiche monetarie restrittive attuate in più paesi potrebbero comprimere consumi e investimenti più di quanto previsto. Le politiche fiscali potrebbero divenire più rigide a causa di un consolidamento delle finanze pubbliche maggiore delle attese.
La relazione sviluppa l’analisi delle dinamiche economiche, ma non può non evocare lo “spettro di Banco” che aleggia sulla situazione mondiale, cioè lo scontro interimperialista (diremmo noi) non solo economico commerciale, ma politico militare: “I segnali di frammentazione degli scambi commerciali e finanziari si stanno intensificando. La contrapposizione politica e commerciale tra Stati Uniti e Cina si è inasprita; tensioni e conflitti armati affliggono più aree del mondo”.
L’interrogativo di molti economisti, la possibile fine della globalizzazione, non può essere evitato, anche se, come su tutto il resto, i toni del Governatore sono cauti e moderati, tanto più quando deve richiamare le polarizzazioni sociali e l’emarginazione dei paesi più poveri.
“È prematuro parlare di deglobalizzazione, ma è chiaro che il processo di rapida integrazione dell’economia mondiale si è interrotto. L’incidenza del commercio internazionale sul prodotto è rimasta al 30% negli ultimi quindici anni, dopo essere raddoppiata nei due decenni precedenti. Dal 2010 gli investimenti diretti esteri hanno anch’essi ristagnato a livello globale. Negli ultimi anni si è assistito a un calo dei flussi tra paesi politicamente distanti e all’emarginazione di quelli più poveri”.
I mutamenti in atto sono quindi profondi, agiti delle contraddizioni capitaliste e dall’azione dei governi per cui le scelte di molte aziende si stanno modificando. “Le imprese stanno rivedendo le proprie strategie al fine di riorganizzare su base nazionale o regionale attività che in passato venivano svolte su scala globale e di diversificare le fonti di approvvigionamento. I sondaggi condotti dalla Banca d’Italia con altre banche centrali mostrano che molte imprese manifatturiere europee stanno sostituendo i fornitori cinesi con altri localizzati nell’Unione europea.”
Si richiamano anche i rischi che corrono le aziende nella partecipazione a filiere produttive globali lunghe e complesse, emersi durante la pandemia. Si potrebbe aggiungere che la guerra in Ucraina ha modificato in profondità le relazioni economiche tra la UE e la Russia soprattutto per quanto riguarda l’approvvigionamento delle materie energetiche, per cui l’Europa ha dovuto rivolgersi ad altri fornitori ed in particolare agli stessi USA.
Le conclusioni a cui arriva il Governatore sono alquanto interlocutorie e preoccupate, non del tutto in linea con la fanfare guerresche in atto sui media e nelle dichiarazioni dei capi di governo. Da una parte infatti tiene conto della corsa al riarmo in atto che qualifica col pudico termine di “sicurezza”, dall’altra non può non esprimere un diverso auspicio, che forse però presupporrebbe il superamento del capitalismo. “Non si può ormai prescindere dalla necessità di riconsiderare l’equilibrio tra efficienza e sicurezza. Al tempo stesso, le conseguenze negative di una frammentazione economica e di un ritorno del protezionismo non vanno sottovalutate. Esse non si limitano ai paesi coinvolti, né alla dimensione puramente economica. La storia insegna che l’apertura commerciale e la libera circolazione di merci, capitali, idee e persone sono potenti motori di integrazione e prosperità. Vanno dunque salvaguardati, in un quadro più arduo che in passato, quei principi di cooperazione internazionale e quell’insieme di istituzioni multilaterali che dal secondo dopoguerra hanno sorretto lo sviluppo mondiale e favorito il mantenimento della pace tra le principali potenze. Panetta fa finta di credere in un capitalismo perfetto ed equilibrato, privo di tutte le ingiustizie, diseguaglianze e violenze di cui è portatore. In realtà il Governatore ha una preoccupazione più immediata che riguarda il capitalismo europeo e quello italiano: “Le possibili conseguenze della frammentazione economica globale sono particolarmente rilevanti per l’area dell’euro, data la sua ampia apertura internazionale.
L’Europa e l’Italia in rapporto col mondo
La relazione esamina il ruolo dell’Europa nel contesto dell’economia mondiale. Due elementi balzano agli occhi: l’interscambio della UE con i paesi esterni supera il 55% del suo PIL, mentre per la Cina è del 40% e per gli USA appena del 25%, inoltre l’area euro è fortemente dipendente dall’estero per le risorse essenziali a partire dal gas e dal petrolio. Impietosa la sua analisi comparata tra i paesi che compongono la UE col resto del mondo ed anche quello tra la UE e l’Italia.
Mentre nel 1996 gli stati dell’Unione Europea costituivano la principale economia mondiale producendo un PIL complessivo del 26%, oggi sono appena al 18% superati dagli USA e in lotta per il terzo posto con la Cina che ha moltiplicato per 4 la ricchezza prodotta.
Se poi guardiamo al capitalismo italiano nel ’96 costituiva il 16,8 del prodotto della UE, oggi appena il 12,8%. In tutti questi anni la produttività del continente ha subito un ritardo di 20 punti percentuali rispetto agli USA, e l’Italia negli ultimi 20 anni ha registrato per quanto riguarda la produttività oraria un dinamica di crescita inferiore di 10-15 volte rispetto a quella di Francia Germania e Spagna.
Il Governatore non ha avuto esitazione anche a spiegarci che i redditi delle lavoratrici e dei lavoratori in Italia sono inferiori di un quarto rispetto a Francia e Germania e che il reddito disponibile delle famiglie è bloccato al 2000 mentre quello di questi altri paesi è cresciuto di un quinto, dimenticandosi però di stabilire quale correlazione esiste tra questi dati e quelli positivi dei profitti delle aziende e delle banche italiane presenti anche negli ultimi anni . Forse avrebbe dovuto introdurre l’analisi della precarietà e dello sfruttamento del lavoro.
Per il governatore il punto di partenza è direttamente l’Europa, l’individuazione di un progetto di rilancio dell’UE, indicato come “Il completamento dell’architettura economica europea”.
In realtà non si tratta solo dell’architettura economica, ma anche di quella politica vera e propria:
Se 30 anni fa: “l’avvio del mercato unico era il culmine di un lungo processo di integrazione realizzato nel tragico ricordo delle distruzioni della Seconda guerra mondiale, oggi l’avanzamento dell’integrazione europea è la risposta ai mutati equilibri geopolitici e al rischio di irrilevanza cui i singoli Stati membri sarebbero altrimenti condannati dalla cruda aritmetica dei numeri.”
All’architettura economica europea mancano due elementi essenziali: una politica di bilancio comune e un mercato dei capitali integrato. Resta incompleto l’assetto dell’Unione bancaria. Senza queste lacune l’Europa avrebbe potuto rispondere meglio alle crisi degli ultimi quindici anni. L’esigenza di colmarle è pressante alla luce dell’instabilità del contesto geopolitico e degli ingenti investimenti che l’Europa deve realizzare”.
Questi assi, del tutto interni alle logiche del capitale, puntano a costruire una Europa capitalista più potente e concorrenziale non certo a creare una struttura europea democratica, sociale volta a superare le divisioni sociali e gli squilibri territoriali, che garantisca a tutti e tutti salari e redditi per vivere adeguatamente e il pieno utilizzo di tutti i diritti. Lo slogan che li accompagna è quello solito e viene proposto sia per la UE che per l’Italia “Rilanciare la produttività: più investimenti, più innovazione. Ed infatti è stato già anche deliberato un nuovo patto di stabilità ancor più pesante e costringente di quello del passato che Panetta integra con qualche riserva nel suo ragionamento: “Gli effetti del nuovo impianto normativo dipenderanno da come esso sarà applicato: potrà rinvigorire l’economia europea se permetterà di coniugare la necessaria disciplina fiscale con il fine ultimo di favorire la crescita”. Ed anche sul tema della politica monetaria insiste sul fatto che le misure antiinflazionistiche non devono strozzare la crescita e chela liquidità deve restare abbondante.
Il primo obiettivo da raggiungere secondo Panetta è il rafforzamento del mercato interno comune, cioè una produzione e un consumo più forti ed interni al continente europeo, avvicinandosi ai livelli degli USA. Significa maggiori economie di scala, industrie e multinazionali più integrate e performanti. Si potrebbe definire un progetto “nazionalista” inteso a livello europeo, cioè dell’UE come struttura capitalista pienamente integrata. Il secondo elemento è la realizzazione di un vero bilancio comune europeo, la base fondamentale di qualsiasi stato, quello stato federale, anche se non viene detto, a cui si deve arrivare. Per ora ci si può accontentare di decisioni prese senza l’unanimità di tutti i 28 paesi con i forti e disponibili ad andare più avanti insieme. Scrive il Governatore: “Un bilancio europeo consentirebbe di definire l’orientamento fiscale complessivo non più come la somma delle politiche nazionali, ma in base alle esigenze dell’economia dell’area; permetterebbe di affrontare efficacemente shock comuni forti e prolungati, quali la pandemia o la crisi energetica, favorendo la coerenza tra politica di bilancio e politica monetaria”. Giusto, resta da definire quali sono le priorità e i beneficiari di questo bilancio comune.
Il terzo elemento chiarisce dove si va a parare: è la formazione di un mercato di capitali europeo molto più forte, strumento decisivo per il consolidamento del capitalismo europeo. Da questo dipende anche la formazione di imprese europee molto avanzate sul piano tecnologico in grado di concorrere adeguatamente nel mercato mondiale. Servono infatti all’Europa di qui al 2030 almeno 800 miliardi di investimenti annui. Come scrive il Sole 24 ore: “Bisogna superare il paradosso tra un’area dell’euro che ogni anno ha rilevanti surplus di parte corrente e quindi un risparmio netto elevato, ma che finisce per essere investito in gran parte in titoli esteri”.
Per completare l’opera serve infine anche l’emissione di un titolo europeo ”Un titolo comune esente da rischi agevolerebbe la valutazione di prodotti finanziari quali le obbligazioni societarie e i derivati, stimolandone l’espansione; offrirebbe una forma di collaterale utilizzabile in tutti i segmenti di mercato, anche per gli scambi transfrontalieri; costituirebbe la base delle riserve in euro delle banche centrali estere, rafforzando il ruolo internazionale della nostra valuta”. Questo significa portare a termine l’Unione bancaria.
Da sottolineare che ogni misura proposta fa sempre riferimento alla necessità di reggere il confronto economico, non con la Russia, media potenza economica, ma forte potenza militare che si teme, ma gli Stati Uniti.
Ecco dunque le precondizioni per l’UE di conquistare una piena governance economica e politica del capitalismo europeo unito, senza la quale non ha speranza di reggere la concorrenza degli altri competitor capitalisti.
Nel processo di costruzione dell’unità europea le borghesie hanno saputo superare di volta in volta ostacoli molto difficili. E’ chiaro che ci proveranno anche in questo difficile passaggio, ma per farlo devono anche riuscire a darsi delle direzioni politiche all’altezza dei compiti.
Non è oggetto di questo articolo cosa dovrebbero fare le classi lavoratrici del continente, la classe alternativa, per difendere i loro interessi e il loro futuro.
Il quadro italiano
La prima fotografia è che l’economia italiana è quella con minore crescita del prodotto per abitante negli ultimi 25 anni, con la produttività ferma; se gli investimenti sono tornati al livello prepandemia non così le ore lavorate. Salari e redditi per le famiglie al palo da oltre 20 anni.
La seconda è che la ripresa è stata forte, ma che la disoccupazione resta al 7,7% e che il rilancio degli investimenti è stata largamente foraggiato dal pubblico con le agevolazioni fiscali non solo nell’edilizia ma anche in macchinari e beni intangibili.
La terza è che c’è stato un forte sviluppo delle esportazioni tanto che il paese è creditore rispetto al mondo di 155 miliardi di euro, il 7,4% del PIL
La quarta è che le imprese hanno migliorato la redditività e la posizione patrimoniale; industria e servizi privati non finanziari hanno avuto un aumento di produttività e la manifattura italiana è tra le più automatizzate a livello europee; se si esclude il comparto mezzi di trasporto è quella col maggior numero di robot.
Da questi dati si comprende meglio come i capitalisti italiani abbiano fatto un sacco di soldi e come tutti gli aumenti di produttività siano andati a loro vantaggio mentre invece il lavoro, sia quello regolare che quello precario, restava o resta sempre più povero.
La preoccupazione maggiore è che di qui al 2040 la popolazione in età lavorativa diminuirà di 5.400.000 persone con un possibile riduzione del PIL del 13 %. Necessario quindi un’immigrazione molto superiore alle 170.000 persone previste dagli attuali flussi governativi. Sia ben chiaro: la preoccupazione di Panetta non è per la sorte di chi fugge da fame e guerra, ma la disponibilità di “risorse umane” per lo sfruttamento e l’accumulazione del capitale.
La partecipazione al mercato del lavoro, cioè l’occupazione rimane molto più bassa di altri paesi europei (66,7%) e sono in particolare donne e giovani ad essere penalizzati.
“L’occupazione giovanile ha risentito della bassa crescita. Molti hanno cercato migliori prospettive di lavoro all’estero: 525.000 giovani italiani sono emigrati tra il 2008 e il 2022; solo un terzo di essi è tornato in Italia. Hanno lasciato il Paese soprattutto i laureati, attratti da opportunità retributive e di carriera decisamente più favorevoli”.
Non particolarmente nuove le ricette capitaliste di Panetta per il rilancio dell’economia italiana: rilanciare la produttività con più investimenti e più innovazione, premiare le iniziative imprenditoriali innovative, migliorare la qualità dell’azione pubblica.
Non troverete nessun ragionamento che parta dai bisogni delle classi lavoratrici, dal ruolo fondamentale del welfare nella società, dalla necessità di redistribuire il lavoro e ridurre gli orari a parità di salario visti gli aumenti della produttività e tanto meno un nuovo ruolo del pubblico garanzia di investimenti volti all’occupazione e al benessere di tutta la popolazione e tanto meno una riforma fiscale radicale che faccia pagare diversamente aziende e ceti alti. Solo un rapido e scontato accenno alla necessità di combattere l’evasione fiscale. Abbiamo visto come anche solo la modesta proposta di tassare un pochino in più i superprofitti sia durata lo spazio di un mattino.
Un lungo capitolo finale viene invece dedicato al sistema finanziario italiano e alle banche, (con approfondimenti anche sulla tecnologia nel sistema finanziario e sui suoi rischi), il che è anche logico visto che si tratta della relazione del Governatore della Banca d’Italia, ma che illustra pienamente il flussi della ricchezza nel nostro paese.
Ecco la sintesi che conferma quanto è nella percezione comune dei cittadini : “Il 2023 è stato un anno molto favorevole per le banche italiane. Il rendimento del capitale ha superato il 12 per cento. La redditività ha beneficiato di un’eccezionale congiuntura di mercato, in cui l’abbondante liquidità in circolazione ha frenato l’aumento del costo della raccolta, mentre il rialzo dei tassi ufficiali si è rapidamente trasmesso a quelli sui prestiti, alimentando il margine di interesse. Il capitale è salito al 15,6 per cento delle attività a rischio. Gli ultimi dati confermano la prosecuzione di questa fase favorevole. All’interno del sistema creditizio, le banche significative mostrano valori di redditività e patrimonio superiori alla meda europea. Il quadro è migliorato anche per le banche meno significative, sottoposte alla nostra diretta supervisione. “.
Abbastanza scontate le conclusioni sotto il segno dell’incitamento al fare capitalista e della fiducia nel futuro: “Rafforzare la capacità di azione comune, mobilitare le risorse necessarie per divenire parte attiva delle transizioni tecnologica, climatica ed energetica è il modo per superare l’attuale fase di appannamento. […] L’Italia ha concorso a fondare l’Unione europea: ora può e deve concorrere al suo progresso. È con la forza di questa prospettiva che dobbiamo guardare con fiducia al futuro”.
Esse contengono però anche il passaggio seguente: “Non dobbiamo però farci illusioni: la nostra economia soffre ancora di problemi gravi, alcuni radicati e di difficile soluzione. Il ritardo economico del Mezzogiorno e l’elevato debito pubblico sono questioni ineludibili per la politica economica. Così come i vincoli alla concorrenza che in molti settori creano rendite di posizione e limitano l’accesso di nuovi operatori, comprimendo l’innovazione, la produttività e l’occupazione. Dobbiamo aprire l’economia alla concorrenza e offrire a tutti l’opportunità di valorizzare i propri talenti.”
Lo sottolineo per due ragioni:
- perché viene espressa l’incrollabile fede nel pilastro del sistema, la concorrenza capitalista, che invece è la fonte di tante contraddizioni e da ultimo alla base dei conflitti interimperialisti;
- perché fa riferimento a un problema italiano particolare, annoso mai risolto, l’esistenza di vasti settori di piccola e media borghesia che vivono di rendite di posizione, abbastanza fuori dalle dure costrizioni della concorrenza, non a caso particolarmente protetti dall’attuale governo di cui sono sostegno elettorale fondamentale, che risultano però un freno ai processi di accumulazione del capitale e contribuiscono fortemente ai bassi livelli di produttività del paese nel suo complesso. Per il governatore della Banca d’Italia e per il capitalismo italiano sono un problema irrisolto e da risolvere.
Poi naturalmente c’è un elemento tenuto a lato ed irrisolto nella relazione stessa: che succede se il “mondo perfettibile” del Governatore, volge alla guerra?